Premessa
Il presente lavoro riporta alcuni risultati relativi ad uno studio sulle seconde
generazioni cinesi in Italia
realizzato nell’arco di nove mesi tra il 2003 ed il 2004. Lo studio è inserito all’interno di un’indagine più
ampia sulle seconde generazioni di stranieri in Italia promossa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e affidata alla Fondazione Labos, in partenariato con il
CISP. Tale ricerca è stata condotta su giovani figli di immigrati nati o scolarizzati almeno in parte sul nostro territorio, provenienti da famiglie
appartenenti a cinque dei principali gruppi nazionali presenti in Italia: Marocco, Albania, Cina, Romania e Perù.
La gran parte dell’indagine sui giovani cinesi è consistita in un lavoro di ricerca etnografica durato sei
mesi su un gruppo di 9 ragazzi di età compresa tra i 13 e i 17 anni, compagni di classe in una scuola
media di Roma.
Tre sono le aeree tematiche attorno alle quali si è sviluppata la ricerca: (a) le dinamiche familiari
e i rapporti intergenerazionali; (b) l’inserimento scolastico; (c) i percorsi di integrazione sociale e di
costruzione dell’identità. Per l’etnografia si è utilizzata una metodologia di osservazione conosciuta come
shadowing, che prevede che il ricercatore accompagni un determinato attore nei momenti e nei contesti
chiave della sua giornata. Per il caso cinese si è trattato di osservazioni ravvicinate, prolungate e
partecipate con i giovani individuati, sia a scuola (a contatto con coetanei di altre nazionalità e con i
docenti), sia nei loro contesti di vita extrascolastica. Oltre alle osservazioni, sono stati anche svolti un
focus group con il gruppo in analisi e diverse conversazioni dirette attraverso griglie semistrutturate di
domande. Parallelamente, l’indagine ha allargato lo spettro delle informazioni sulle seconde generazioni
cinesi attraverso interviste di approfondimento con testimoni privilegiati, coinvolgendo mediatori
culturali, ricercatori e giovani universitari di origine cinese. In ultima analisi, a conclusione del lavoro sul
campo, sono state svolte 10 interviste di verifica con famiglie immigrate cinesi e 7 con docenti che
abbiano insegnato a studenti cinesi nelle scuole romane. In queste pagine viene fornita una
presentazione riassuntiva dei risultati relativi alla terza area tematica in analisi, ovvero ai percorsi di
integrazione sociale e di costituzione identitaria dei giovani cinesi di seconda generazione.
1. Spazi e tempi dei giovani cinesi
Per inquadrare l’orizzonte dei valori delle seconde generazioni cinesi in Italia ci si deve soffermare
su alcune caratteristiche che distinguono il progetto migratorio delle prime generazioni cinesi rispetto ad
altri flussi migratori. Il movimento migratorio cinese, a differenza di altri, non si genera
con la finalità di rifuggire una situazione di disagio, ma piuttosto con il preciso intento di accumulare una ricchezza utile
per sé e per i propri familiari. I migranti che lasciano il paese di origine, dunque, non sentono la
necessità di cominciare una vita nuova in un contesto nuovo; nella maggior parte dei casi sono persone
relativamente facoltose anche in patria che si spostano con il definito intento di sfruttare le condizioni
economiche o sociali favorevoli del paese accogliente.
Una seconda caratteristica del modello migratorio cinese in Italia è la sua modalità ‘a catena’, per
cui i gruppi emigrano per nuclei familiari, mossi dalla finalità di insediarsi nel paese d’approdo
mediante imprese a conduzione familiare, in cui tutti i membri, se non appartengono alla stessa famiglia, ne
condividono la provenienza1 .
I due elementi descritti contribuiscono a giustificare il forte attaccamento alla cultura di origine
che si riscontra nelle prime generazioni di immigrati cinesi. Se infatti, da un lato, viene a mancare
la motivazione ad un assimilazione alla cultura di approdo, l’organizzazione in imprese familiari
ostacola ulteriormente la contaminazione con l’ambiente esterno. La ricerca sul campo ha
evidenziato come tale attitudine venga deliberatamente trasmessa alle seconde generazioni.
Un elemento che è emerso prepotentemente durante la ricerca è la tendenza in molte famiglie
cinesi immigrate ad esercitare un forte controllo sugli spazi e tempi dei più giovani. Per poter meglio giustificare tale atteggiamento si
deve riflettere su alcune differenze nella percezione del ruolo dei figli nel contesto di origine e in Italia. Molto illuminante è stato l’intervento durante un focus group di uno studente universitario di origine
cinese che ha sottolineato come per molte famiglie cinesi il concetto italiano di tempo libero sia poco
comprensibile. Anche se nelle città cinesi sono iniziati a diffondersi costumi e valori consumistici di
impronta occidentale, nelle campagne e nelle sacche più tradizionali, giovani ed adulti considerano la
giornata come un contenitore che va riempito unicamente con lo studio, il lavoro e le faccende di
casa. Nel contesto di origine, quindi, non sono previste attività o luoghi specificamente rivolti allo svago, i
giovani una volta svolti gli onerosi compiti scolastici, solitamente trascorrono il poco tempo rimasto
aiutando a casa oppure svolgendo piccole faccende. Dal momento che i ritmi lavorativi non sono così
pressanti come in contesto migratorio ed i genitori si sentono più sicuri, ai ragazzi è concesso
di vivere una certa socialità, rappresentata dallo svolgere i compiti con i compagni, oppure passare il tempo con i
cugini e via dicendo. Sebbene quindi i giovani cinesi nel contesto di origine non siano coinvolti in attività
prettamente ludiche, vivono comunque un continuo scambio con i coetanei membri della famiglia allargata o i compagni di scuola.
In Italia, invece, i giovani cinesi si trovano isolati e sottoposti ad un rigido controllo familiare e le loro
occasioni di socializzare si riducono così sensibilmente. Oltre una frequente ingerenza aperta da parte
dei genitori sulle frequentazioni dei figli, un’altra strategia protettiva molto comune è il coinvolgimento
dei ragazzi nelle attività lavorative familiari. Il contributo lavorativo può prendere varie forme, ma a
prescindere dall’intensità, è comunque significativo il fatto che gli immigrati
cinesi lo chiamino semplicemente “aiuto” (bangzhu). Il lavoro è interpretato come un contributo
all’assoluzione del debito che i più giovani devono sentire verso i genitori.2 La ricerca sul campo ha per
dimostrato che si può parlare di lavoro vero e proprio solo in alcune circostanze, ovvero presso quelle famiglie meno abbienti,
che si trovano in uno stadio meno avanzato del progetto migratorio, e per le quali è necessaria la forza
lavoro di tutta la famiglia. Il nodo cruciale è che anche nelle famiglie di media estrazione il contributo
lavorativo viene chiesto ai ragazzi, ma differisce profondamente nelle modalità. Se tutti i ragazzi
contattati affermano infatti di collaborare in qualche modo alle attività lavorative dei genitori, spesso si tratta unicamente di un appoggio,
il cui scopo principale sembra il mantenimento del controllo sui figli ed il rinforzo della loro attenzione nei confronti delprogetto migratorio. A tal fine ai ragazzi spesso viene anche solo
richiesta la presenza fisica presso gli esercizi commerciali, oppure un aiuto nelle faccende
domestiche. Il concetto sotteso a questa imposizione sembra essere che i giovani devono sempre
sentirsi impegnati per la riuscita economica dell’impresa familiare, restando continuamente coinvolti in
attività di responsabilità; e deve anche essere sempre possibile prevedere dove e con chi sono, in modo
da prevenire il loro coinvolgimento in interessi che li possano rendere estranei agli obiettivi della famiglia.
A livello di disponibilità di libertà però il risultato non cambia, sia che si tratti di vero lavoro che di
sola presenza, i giovani cinesi sono schiacciati tra la scuola che almeno in parte permette loro di
socializzare, ed il controllo familiare espresso molte volte dal contributo lavorativo3 .
Va sottolineato che non è solo l’ossessione per il successo del progetto migratorio che spinge le famiglie
ad inquadrare i figli in una serie di attività controllabili, ma anche il naturale tentativo di proteggerli
d quanto non si conosce e non si capisce profondamente: quel misterioso tempo libero italiano,
che potrebbe spingere i ragazzi in attività sconvenienti o situazioni dolorose.
Sebbene le giornate dei ragazzi cinesi siano fortemente strutturate dagli impegni scolastici e familiari,
per alcuni giovani del tempo da occupare rimane; a volte dedicano le ore di studio ad altre attività, lontani dallo sguardo dei genitori; in
altre occasioni gli viene chiesto di assistere i fratelli minori, e di nuovo si trovano soli senza nulla da
fare. Generalmente trascorrono questo tempo, che più che “libero” potremmo definire “vuoto”, in
attività che li fanno sentire più vicini ai coetanei in patria e agli altri giovani cinesi che condividono le
loro esperienze sul territorio italiano. Agli occhi dei ragazzi è comune che si generi un ricordo idealizzato
del paese natale, dovuto al diverso modo del vivere quotidiano. Il continuo confronto con la situazione
di origine, inoltre è mantenuto vivo dall’uso diffuso, per le famiglie che se lo possono permettere, di
mandare in Cina i figli per brevi periodi non appena ce ne sia la possibilità, anche durante l’anno
scolastico.
Questa modalità di mantenimento del contatto con la patria che emerge dai viaggi dei
ragazzi in Cina, assieme al forte orgoglio culturale trasmesso dalle famiglie, sembrano contribuire alla
profonda nostalgia che anche quegli individui che hanno lasciato il paese in tenera età continuano ad
avere. Considerato tale attaccamento al paese di origine, non stupisce che i rari passatempi disponibili
per i giovani cinesi, risultino essere sostanzialmente dei mezzi per usufruire, attraverso dei surrogati, del
vivere e sentire cinese. Ampiamente utilizzata è la televisione,ma unicamente per vedere programmi
cinesi. Molte famiglie possiedono un’antenna parabolica e possono ricevere programmi cinesi, ma cosa
veramente appassiona i giovani cinesi sono le telenovelas, in particolare le soap opera cavalleresche. La
telenovela è un genere molto apprezzato anche in patria: le più popolari sono lunghe saghe a sfondo
storico che suscitano l’interesse del pubblico cinese appartenente a diverse generazioni ed estrazioni
sociali e culturali. Tale passione viene importata nel contesto migratorio: i ragazzi frequentano
assiduamente le videoteche cinesi e la maggior parte delle case ha dei riproduttori dvd con ricche
collezioni di telenovelas. I ragazzi collezionano dvd che comprano durante i viaggi in Cina o che si fanno
spedire e che portano a scuola per scambiarli con i compagni.
Un’altra attività domestica che assorbe molto tempo è l’utilizzo delle chat line telematiche. Anche in
questo caso, si tratta di chat cinesi, che mettono in contatto adolescenti in patria ma anche altri
giovani figli di immigrati in varie zone italiane. I ragazzi amano a tal punto le chat, da passare intere giornate a casa o presso gli internet cafè (cosiddetti wangba) inventandosi identità e profili per comunicare con i coetanei4 .
2. Il rapporto con l’altro sesso
Per quanto riguarda la vita affettiva, nel corso della ricerca è emersa una profonda discrepanza tra i
valori coltivati dai giovani cinesi rispetto ai coetanei italiani, in particolare in relazione al concetto di
amore. Numerose conversazioni sul tema con giovani universitari di origine cinese hanno rilevato un
atteggiamento piuttosto cinico e pragmatico nei confronti del sentimento amoroso. Questa prospettiva è stata confermata durante lo shadowing, allorché i giovani in
osservazione si sono dichiarati in maniera unanime poco interessati all’amore. Quello che segue è un estratto da una conversazione con una
giovane cinese di 13 anni nata in Italia:
Giovane: Non credo che l’amore sia una cosa così importante, penso che l’amicizia sia molto più
importante. Non mi interessa tanto se nella vita mi innamorerò sul serio oppure no. Però mi sposerò di sicuro.
Ricercatrice: Ma come, secondo te le due cose non sono collegate in nessun modo?
Giovane: [ride] Ma no, questa è una cosa cinese, per questo non capisci. Noi nella vita ci sposiamo e
basta. L’amore è tutta un’altra questione. (…) Per questo in Cina non divorzia nessuno: perché non ci
sposiamo per amore, quello poi può finire. Lo so che ti sembra strano, ma ai miei occhi siete strani voi italiani, così ossessionati con l’amore, è proprio una mania!
I flirt adolescenziali sono considerati con leggerezza dai ragazzi cinesi che guardano all’amore
come a una sorta di accessorio, una variabile trascurabile nel valutare i propri progetti futuri. Le
interviste con i genitori cinesi hanno confermato come il matrimonio sia visto prevalentemente
come un fatto strettamente pragmatico, un’unione strumentale alla procreazione e alla
condivisione dei beni materiali. Questa ottica, già radicata nel contesto di origine, si acuisce in
territorio straniero, in quanto le oggettive difficoltà quotidiane, ancor più rendono urgenti delle
unioni a basso conflitto.
Considerando le opinioni dei genitori riguardo all’eventualità di un matrimonio misto, le persone
intervistate hanno mostrato a volte di preferire apertamente che i figli scelgano partner cinesi, in
questo caso però sembra che il motivo principale sia solo il timore di incorrere in problemi di
comunicazione. Oltre la comunicazione verbale, tuttavia ci riferiamo anche alla condivisione di un
bagaglio di valori a cui gli immigrati di prima generazione sono molto attaccati. I genitori che
hanno affermato di preferire partner cinesi per i propri figli, infatti, hanno sottolineato che l’importante è che il
matrimonio risulti armonico, che non ci siano incomprensioni che possano risultare dannose all’unione. Altri hanno poi aggiunto di essere preoccupati nello specifico del fatto che gli italiani non mostrano un
rispetto per gli anziani pari a quello prescritto dai dettami della tradizione cinese, ovvero si sono rivelati
preoccupati in prima persona che una coppia mista possa avere meno interesse al mantenimento della
loro buona salute e del loro benessere. Si riporta di seguito una estratto da un’intervista con una
famiglia cinese, che più in dettaglio ha mostrato quanto sia viva tale preoccupazione:
Ricercatrice: Quali sono le caratteristiche della famiglia italiana che le piacciono di meno?
Madre: Non ne so molto, ma mi sembra che i rapporti tra figli e genitori nella famiglia italiana non
sono molto stretti e forti.
Figlia: Voi vivete così, a diciotto anni ve ne andate di casa. In Cina non è così, anche se i rapporti non
sono i migliori, i figli rimangono con i genitori anche dopo il matrimonio.Ed è dovere dei figli mantenerli.
Ricercatrice: Quali sono i valori cinesi che è importante mantenere quando ci si sposta in Italia?
Madre: Sicuramente il rispetto per gli anziani, perché i genitori attraverso molti sforzi allevano i figli e
non è giusto che da vecchi i figli li trascurino. Questo è un valore cinese che è importante mantenere.
Non tutte le famiglie comunque hanno mostrato di preferire partner cinesi: gran parte degli adulti
con cui si è venuti in contatto durante la ricerca si sono, infatti, limitati a spiegare che l’unica cosa
che conta è che le unioni siano solide e durature. In alcuni casi, si è anche registrata da parte di
certe famiglie una propensione alla scelta di partner italiani, che possano guidare i figli verso una
migliore comprensione del paese ospite5 .
E’ notevole tuttavia che i ragazzi contattati abbiano invece un’opinione molto omogenea, preferendo in
maniera assoluta un partner cinese. Spesso, evidentemente, i genitori immaginano che i propri figli
abbiano raggiunto un livello di integrazione tale con la società da non avvertire alcun ostacolo alla
comunicazione con un partner italiano. I ragazzi, a prescindere dalla durata della loro permanenza in
Italia, quando chiamati in causa però hanno spiegato di sentirsi interamente capiti solo da altri cinesi:
sentono che condividere il tetto con una persona che parla la propria lingua e conosce le proprie
tradizioni è la sola garanzia di stabilitàe di maggiore semplicità relazionale6 .
3. Modelli di riferimento
La maggior parte dei ragazzi contattati avvertono che le proprie esistenze in Italia “sono vuote”:
lo denunciano nei temi, nei questionari, nelle interviste e nelle conversazioni informali; troppo
poco spazio è dedicato alla socialità e spesso la barriera della lingua limita le amicizie ad un
gruppo in cui già tutti i membri vivono forti ingerenze sulla libertà personale da parte della famiglia.7
Anche se, come si è detto, molti giovani cinesi passano il tempo esterno alla scuola, al lavoro o
agli eventuali corsi pomeridiani di cinese, soli in casa impegnati con i mezzi di comunicazione
descrit i, una parte di loro appare avere una timida iniziativa a costruire spazi ricreativi in cui
socializzare.
Questi ragazzi si trovano per la prima volta ad inventarsi un modo di stare insieme, diverso da
quello dei giovani in Cina, ma non completamente uguale a quello dei coetanei italiani. Per questo è solo una parte
minoritaria di loro a trovare l’energia di reagire alla solitudine: la nostalgia del paese natale o la
pressione dei valori familiari, castra ogni spirito di iniziativa, quindi molti scelgono di rimanere a casa a
giocare con i solitari di carte sul computer oppure di rimanere al negozio della famiglia, aspettando solo
che il tempo passi.
Ma a quale modello si ispirano i timidi tentativi di una ricerca identitaria autonoma manifestata
da queste proto-comitive?
Sono gruppi che si identificano in una serie di comportamenti che chiaramente non sono caratteristici
del contesto di origine: giocare a basket, fumare (anche le ragazze), bere birra all’aperto, scambiarsi
effusioni in pubblico; tutte cose che non appartengono all’adolescenza delle famiglie cinesi delle zone
rurali di provenienza. Questi comportamenti scaturiscono dall’immersione nella società italiana e non
vengono riprodotti nel contesto di origine, se non nei grandi centri urbani. Altri aspetti ci mostrano che il
modello non è la gioventù italiana: i ragazzi passano i pomeriggi a giocare tra loro a poker e a majiang,
ad ascoltare musica cinese, mangiano solo cibi cinesi, vestono abiti di fattura cinese. Il modello che
sembrano avere in mente è la seconda, terza generazione cinese di paesi con una tradizione migratoria
più lunga, come gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Francia e altri paesi europei8 : giovani che non soffrono la
solitudine, perché grazie alla maggiore portata numerica, il maggiore successo economico e la completa
acquisizione degli strumenti linguistici, non si trovano a subire il paese ospitante, ma ad usarlo,
selezionando i valori ed i costumi che vogliono acquisire, ma mantenendo un’identità cinese a cui si
sentono orgogliosamente attaccati. Il modello giovanile a cui questi ragazzi si ispirano è proprio il cliche
del giovane cinese all’estero, figlio di famiglie cinesi immigrate con grande successo economico e che ha
a disposizione beni e libertà che i suoi coetanei in patria non possono avere per motivi culturali ed
economici. Sono modelli di vita che si ritrovano anche nelle grandi città cinesi dove l’estetica
occidentale si va imponendo sul pubblico giovanile.
Se l’identità di giovane huaqiao9 “di successo”, con l’immaginario musicale, d’abbigliamento, di
passatempi e stile di vita a lui propri, appare essere il modello a cui tendono i ragazzi cinesi di seconda
generazione, analogamente le loro velleità lavorative si dirigono verso lo stesso tipo di valori. I ragazzi
appaiono estremamente decisi nella prospettiva di riscattarsi economicamente, affermano “voglio
diventare un ricco commerciante”, in una maniera che li distingue dai loro coetanei anche quando questi
ultimi siano anch’essi immigrati. I testimoni in età più avanzata spiegano che il cuore delle aspirazioni è
fondamentalmente l’arricchimento, non necessariamente attraverso le attività commerciali. E’ molto
forte in tutti la tendenza al successo economico ma non necessariamente ottenuto subentrando
all’attività dei genitori. Il commercio, rimane a questo punto la via più rapida e proficua per raggiungere
tale meta, per questo i ragazzi spesso si proiettano impegnati in futuro nell’attività dei genitori in
quanto, nella maggior parte dei casi con cui siamo venuti in contatto, sono attività commerciali. Molti
però sono i casi in cui i ragazzi esprimono semplicemente la determinazione a perseguire la ricchezza,
senza necessariamente coinvolgersi nelle attività familiari, sentendo così di rispettare a sufficienza le aspettative
dei genitori, partiti con tale proposito.
La costante è la forte dedizione al lavoro, per cui è normale che i giovani cinesi che
padroneggiano la lingua si impegnino con diverse attività anche su vari fronti, dimostrando un forte spirito di abnegazione,
strumentale all’accumulo di ricchezza e all’affermazione personale. E’ questa grande laboriosità motivata
all’accumulo del patrimonio economico che spesso i cinesi rimproverano agli italiani di non capire, come
emerge, ad esempio, da un’intervista con una famiglia di ristoratori, in cui la madre ha sottolineato che:
“I cinesi sono molto operosi, più degli italiani; siamo più in grado di sopportare i disagi. Nel vostro caso
non si tratta proprio di pigrizia, ma è naturale, voi qui avete dei lavori sicuri. Per noi è diverso, dobbiamo
cercare di lavorare il più che possiamo, guadagnare il più che possiamo, non sappiamo cosa ci aspetta per il futuro”.
Per quanto riguarda le aspettative per il futuro dunque, si avverte nella maggioranza dei casi una
sovrapposizione con i valori sostenuti dalla prima generazione, in quanto i giovani condividono
pienamente gli ideali dei genitori e, per quanto possano decidere di non seguirli nell’attività avviata, si
sentono comunque come loro tesi alla ricerca di un successo economico da
condividere con tutto il clan familiare10 .
In conclusione, la vita sociale al di fuori della scuola e degli obblighi familiari è piuttosto limitata
per i giovani cinesi. I pochi tempi rubati alla loro routine fortemente strutturata sono utilizzati
dai ragazzi per concedersi degli svaghi che sono connotati da una forte spinta alla conferma della
propria identità cinese. I giovani consumano, spesso in solitudine, beni di intrattenimento cinesi che li facciano evadere
da una quotidianità che avvertono come noiosa e isolata. D’altro canto i soggetti più intraprendenti
cercano forme di socializzazione al di fuori della rete di obblighi in cui sono imprigionati. Questi ultimi si incontrano tra loro e formano comitive i cui modelli di riferimento
sono ancora una volta cinesi, ma non strettamente legati al contesto di origine. Il modello
adolescenziale a cui si ispirano infatti appare essere quello dei giovani cinesi di oltremare in paesi
a più lunga tradizione migratoria. Giovani che non vivono più la barriera linguistica e che in alcuni casi hanno a disposizione un notevole patrimonio economico. E’
un modello giovanile profondamente cinese che è diffuso anche in patria in quelle città in cui i beni di
consumo, i valori e le icone occidentali sono state già assimiliate e sinizzate. L’evidente permanere degli
orizzonti di riferimento cinesi per tutti questi giovani, fa sì che non si riscontri di norma un forte conflitto
generazionale. Considerato il forte utilitarismo che caratterizza il flusso migratorio delle famiglie cinesi in
Italia, riscontriamo un allineamento di vedute intergenerazionale su molti temi (il matrimonio, le
aspettative lavorative, l’attaccamento all’identità di origine). Rimane comunque da augurarsi che i
giovani cinesi non debbano continuare a pagare questa stabilità e consapevolezza del proprio ruolo nell’ambito del progetto migratorio, con l’alienazione dai contesti di socializzazione e con la solitudine.
MONDO CINESE N. 121, OTTOBRE-DICEMBRE
2004
Note
1 N. Baracani, “La seconda generazione nella migrazione cinese in Toscana: scuola e integrazione sociale”, in
G. Campani, F. Carchedi, A. Tassinari (a cura di), L’immigrazione silenziosa, le comunità cinesi in
Italia, Fondazione Agnelli, Torino 1994.
2 Sul ruolo dei figli nel progetto migratorio cinese si veda: D. Cologna (a cura di),
Bambini e famiglie cinesi a
Milano - Materiali per la formazione degli insegnanti del materno infantile e della scuola dell’obbligo, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 75-77.
3 AA.VV., Cina a Milano. Famiglie, ambienti e lavori della popolazione cinese a
Milano, Abitare Segesta, Milano
1997, pp. 230-231.
4 Per una accurata descrizione del valore che le chat line rivestono per i giovani cinesi in Italia si veda:
A. Ceccagno, Giovani migranti cinesi, Franco Angeli, Prato 2004, pp. 118-127.
5 S. Roncaglia, “Affettività e vita relazionale dei giovani cinesi”, in D. Cologna, L. Breveglieri (a cura di),
I figli
dell’immigrazione, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 145-163.
6 Per un confronto con la situazione della seconda generazione cinese negli Stati Uniti, in riferimento ai matri-moni misti, si
veda: N. Kibria, “The construction of ‘Asian American’: reflections on intermarriage and ethnic
identity among second-generation Chinese and Korean Americans”, in Ethnic and Racial
Studies, (20), 3, 1997.
7 Si veda anche: D. Cologna, in D. Cologna, L. Breveglieri (a cura di),
I figli dell’immigrazione, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 38-41.
8 Per un confronto con la seconda generazione cinese in Belgio si veda: Chinglin Pang, “Invisible visibility:
intergenerational transfer of identity and social position of Chinese women in Belgium”, in
Asian and Pacific
Migration Journal, 7, 4, 1998.
9 Il termine risalente alla fine del XIX° secolo indica tradizionalmente i cosiddetti ‘cinesi di oltremare’, durante la
ricerca tuttavia mi è capitato di sentirlo utilizzare per indicare specificamente quelle famiglie migrate da molto tempo che sono riuscite ad
accumulare una consistente ricchezza, preferendolo in tal caso al termine moderno
yimin (più genericamente “migrante”).
10 Si veda anche: A. Ceccagno, “Lingue e dialetti dei cinesi in Italia: percezioni, aspirazioni, ostacoli”, in
E. Banfi (a cura di), Italiano/L2 di Cinesi, Franco Angeli, Milano 2003, p. 142.
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