1. Che cosa é successo? La tormentata
traiettoria storica
La questione demografica - invecchiamento
della popolazione,
rapporto squilibrato
tra maschi e femmine, massicce
ondate migratorie dalle campagne
alle città - è tra quelle che
più preoccupano i dirigenti cinesi,
che vi stanno dedicando una
grande attenzione1. I problemi di
oggi sono il frutto di decenni di
strategie diverse, dirette, a secondo
delle esigenze della politica
centrale, a gestire rapidi processi
di urbanizzazione o, al contrario,
di massiccio spostamento di popolazione
urbana verso le campagne2.
Lo strumento principe
della politica demografica è stato l'hukou, meccanismo di registrazione
familiare, varato nel
1958, per controllare la mobilità
della popolazione sul territorio3.
Dopo le due fasi di urbanizzazione
e le due fasi di antiurbanizzazione,
con la politica di
"riforma e apertura" varata nel
1978 si è aperta in Cina una nuova
fase, la seconda, di rapida
urbanizzazione, che si protrae
tuttora. Uno degli effetti delle riforme
fu il rendere apparente la
disoccupazione o sotto -occupazione
rurale precedentemente
mascherata dal sistema delle comuni
popolari. L'incongrua espansione
della popolazione (sia urbana
che - soprattutto - rurale)
combinata con la riduzione delle
terre coltivabili ha determinato in
Cina un surplus progressivo di
manodopera agricola che nel
1982 veniva già stimato sui 60
milioni di contadini. Una prima
misura preventiva - semplice e
dura ma necessaria - fu l'applicazione
della regola "un figlio
solo" a partire dal 1979, con varie
misure punitive in caso di trasgressione4.
Ma, nel frattempo,
come occupare questa percentuale
importante (20-30%) di lavoratori
rurali? La politica scelta
dalla Cina fu quella di una
"urbanizzazione rurale locale" sintetizzata
dallo slogan "li tu bu li
xiang - jin chang bu jin cheng"
("lascia la terra ma non il villaggio,
entra in fabbrica ma non in
città"). In concreto, venne promossa
la creazione in tutto il Paese
di imprese rurali basate su una
produzione non-agricola, atte a trasferire il surplus di manodopera
rurale verso il settore manifatturiero.
Queste imprese funzionarono
efficacemente soprattutto
dall'84 all'88 e dal '92 al '96.
Successivamente persero
competitività nell'ambito delle
trasformazioni del mercato interno
(da "produttori" a "consumatori")
e della globalizzazione,
cosicché molte di esse sono andate
successivamente incontro a
bancarotta e chiusura.
Un altro effetto delle riforme fu
la perdita del controllo totale delle
risorse da parte dello Stato. Il che,
permettendo l'accesso al lavoro
privato e all'acquisto di prodotti,
tolse molta efficacia al sistema
dell' hukou. Molti contadini disoccupati
e impoveriti iniziarono
quindi a emigrare vero le città ("li
tu you li xiang": lascia la terra ed
il villaggio) sebbene privi dei previsti
documenti e permessi (i cosiddetti
migranti rurali-urbani non-hukou). Questo fenomeno,
impensabile nel pre-'78, si è intensificato
negli anni '90 con la
chiusura delle imprese rurali ed è
oggi la maggior forza trainante
del processo di urbanizzazione in
Cina, la cosiddetta mingong chao
o "grande ondata" dei lavoratori
rurali verso le città. Anche il vettore
di questa ondata migratoria
- che nel periodo pre-78 era piccolo
e diretto verso l'entroterra
ed il Nord - si è modificato con
l'apertura all'economia di mercato,
diventando progressivamente
più importante e dirigendosi verso
il Sud-Est e le aree costiere.
Il Governo, da parte sua, non ha
che leggermente modificato il tiro.
La strategia, a partire dal 1989,
è quella di una "urbanizzazione
regionale bilanciata" basata sullo
slogan: "Controllare rigidamente
le grandi città e promuovere lo
sviluppo di città medie e piccole".
Esistono come vedremo vari motivi
per giustificare questa politica
del partito comunista, che solo
recentemente sta andando incontro
a una ulteriore evoluzione nel
senso di una progressiva
liberalizzazione (anche vista l'attuale
crescente inapplicabilità) del
sistema dell'hukou.
In conclusione, riassumendo il
tormentato tracciato evolutivo
della Cina sul piano della
urbanizzazione, le cifre parlano
di 58 milioni di cittadini nel
1949, pari ad un livello di
urbanizzazione dell'11%, contro
389 milioni di cittadini nel 1999,
per un livello di urbanizzazione
del 31% (36% nel 2000 secondo
altri autori)5. Questi livelli, sulla
base di standard internazionali,
sono comunque giudicati insufficienti
e fonte di vari problemi.
2. La situazione attuale
Occorre ricordare che
l'urbanizzazione è stata una caratteristica
comune del processo
di sviluppo nella maggioranza dei
Paesi. In Cina - almeno fino al
1978 - questo processo è stato
fortemente frenato dal sistema di
registrazione del nuclei familiari
hukou che restringeva la mobilità.
Secondo la World Bank in paesi
a medio-basso reddito (categoria
nella quale rientra la Repubblica
popolare) il livello di
urbanizzazione dovrebbe essere
almeno del 42%. La Cina è quindi
di almeno 6 punti sotto a questo
livello. Come risultato della
sua politica anti-urbana la Cina
viene quindi considerata un caso
di "sottourbanizzazione sistematica
in Paese con economia di piano".
I problemi collegati a questa
situazione sarebbero:
1) surplus di manodopera rurale,
attualmente variamente valutato
dai 150 ai 300 milioni di contadini
e per il quale viene stimato
un ulteriore aumento di 8 milioni
all'anno nei prossimi 5 anni6;
2) ineguaglianza del reddito, con
ingiusto basso reddito rurale;
3) inadeguato sviluppo della domanda
del mercato interno;
4) disoccupazione.
D'altra parte le imprese rurali con
l'approccio "li tu bu li xiang" non
vengono più considerate una possibile
soluzione, non solo in quanto
non più competitive, ma anche
perché collegate a una eccessiva
frammentazione della produzione,
ad un eccessivo sfruttamento
agricolo ed a danni ecologici
all'ambiente rurale. La maggioranza
degli studiosi cinesi considera
pertanto l'urbanizzazione
come il fattore centrale della prossima
fase di sviluppo. In altri termini
essi ritengono che i tre classici
nong o rompicapo cinesi (agricoltura,
contadini e terra) non siano
risolvibili dai contadini stessi.
L'urbanizzazione sarebbe quindi
la soluzione: re-impiego del
surplus di manodopera rurale
nelle città con sviluppo dell'occupazione
nel secondario e nel terziario
da un lato, aumento della
produttività e del reddito agricolo
dall'altro. L'urbanizzazione e
sarebbe anche il miglior sistema
per render ricchi i contadini cinesi.
Il panorama attuale è però costellato
da problemi enormi, reciprocamente
connessi in maniera
complessa.
Da un lato, l'enorme surplus di
manodopera rurale (almeno 20-
30% del totale della forza lavoro
agricola) non trova una forte domanda
di ri-occupazione urbana:
il tasso di disoccupazione in città
è già ad un non certo basso 8%.
Inoltre la povertà in città si è rivelata
più seria del previsto ed in
aumento: 4,4% nel 2001, 6,2%
nel 20027. Stiamo parlando di 14
milioni di persone sotto la soglia
ufficiale di sussistenza, divenute
20 milioni l'anno successivo. I cittadini,
spesso non più giovani, che
vivono sulla base dell'assistenza
governativa ricevono oggi una
media di 61 RMB al mese (pari a
6 Euro!) e riferiscono questi problemi
prioritari: il 34%, malattia
di un membro della famiglia; il
29%, disoccupazione; il 26%, spese
mediche proibitive; il 17%, educazione
di figli e nipoti.
Ad aggravare le cose, i cinesi stanno
invecchiando: nel 2000 si contavano
88 milioni di persone oltre
i 65 anni di età, pari al 6.9%
della popolazione8. Le previsioni
vedono un incremento degli anziani
in Cina secondo una curva
ad "S", con una fase di incremento
dello 0,1% annuo fino al 2010 ed
una successiva fase di incremento
rapido (0,4% annuo) fino al
2040. Nel 2050 avremo quindi
300 milioni di cinesi anziani - il
20% della popolazione - a creare
un carico assai notevole sia sul
sistema di sicurezza sociale che su
quello sanitario9.
Il sostentamento degli anziani in
Cina è fondato su tre possibilità:
pensione statale, sostegno della
famiglia, auto-sostentamento. Le
pensioni statali però, come abbiamo
visto (oltre ad essere in media
quantitativamente insufficienti) si
applicano solo alla popolazione
non-rurale. Inoltre la moltitudine
di contadini - oggi non più giovani
- che credeva nel vecchio
detto "cresci un figlio contro la
vecchiaia" e vedeva i figli come la
propria pensione fu in buona parte
privata di questa risorsa dalla
rigida politica di pianificazione
familiare degli anni '80. Essi ebbero
fiducia nel governo quando
nel 1981 questo promise un adeguato
supporto per i loro anni
senili. Oggi però questo supporto
giunge in forma molto limitata:
solo 600 RMB all'anno per
coloro che non infransero mai la
legge sulla pianificazione familiare
dal 1973 al 2001, e questo non
in tutto il Paese, ma solamente in
alcune aree pilota. Decisamente
troppo poco per far pentire chi
invece quella legge la infranse, o
dissuadere chi intende infrangerla
in futuro. Tutto ciò non sembra
promettere troppo bene per il futuro
della pianificazione familiare
in Cina, specialmente in campagna
e specialmente se il governo
non riuscirà a discostarsi dalle
classiche misure punitive ed istituire invece un adeguato sistema
premiante - cioè un buon sistema
di sicurezza sociale - sia in ambiente
urbano che in quello rurale.
Il problema della sussistenza degli
anziani contadini è inoltre collegato
alla tradizionale preferenza
culturale cinese per i figli maschi.
Contrariamente a quanto si
potrebbe comunemente pensare
(ma in linea coi dati sul deterioramento
della situazione degli
anziani in ambiente rurale) il fenomeno
è in peggioramento. Il
rapporto fra i sessi alla nascita
era 108/100 (M/F) nel 1981, 111/
100 nel 1990 ed ha ora raggiunto
il valore di 118/100. Nel totale
della popolazione la prevalenza
dei maschi sulle femmine è oggi
di 106,7/100, con una previsione
di 43 milioni di maschi in più delle
femmine per il 2010 ed il conseguente
notevole problema sociale10.
La popolazione migrante rurale-urbana
è appunto oggi costituita
in maggioranza da maschi, giovani
(dai 25 ai 35 anni di età),
più spesso non sposati, con un livello
di istruzione pari a quello
della scuola media inferiore, che
abitano in città diverse da quelle
dove sono registrati (emigranti
non-hukou). Oltre a rappresentare
una eccezionale risorsa, questa
massa non facilmente
quantificabile (almeno 93 milioni
di persone nel settembre
2003) costituisce però anche un
fattore che falsa le statistiche
demografiche e disturba la pianificazione
familiare11.
Questa importante categoria di
cinesi deve inoltre affrontare quotidiani
problemi di accessibilità al
lavoro, all'educazione, all'alloggio,
alle cure e ad altri elementari
diritti sociali. Le ore lavorative
sono spesso 60 a settimana, ma
la paga è comunque inferiore (del
20% o più) a quella dei residenti,
che lavorano peraltro a ritmi assai
più convenzionali. Gli emigranti
hanno in prevalenza un impiego
privato, oppure lavorano in
proprio, mentre di rado - contrariamente
ai residenti urbani - hanno
accesso ad impiego pubblico
o presso grandi joint ventures o
compagnie estere (13% dei casi,
contro il 74% dei residenti urbani).
I relativi settori di impiego
includono più spesso (in ordine)
l'industria, le costruzioni, il commercio,
la ristorazione ed i servizi.
Essi vivono spesso in pericolanti
stamberghe periferiche, o
ammassati in 8-10 in un singolo
appartamento di cui condividono
l'affitto pagando circa 100 RMB
al mese a testa. In effetti il costo
implicito nell'acquisizione della residenza
in città (procedura per
cui si richiede la proprietà di un
appartamento) é molto alto e solo
una piccola parte degli emigranti
può affrontarlo. Una casa-tipo
può costare infatti facilmente
200.000 RMB, a fronte di un reddito
annuale dell'emigrante medio
di 6.000-8.000 RMB.
La provenienza di queste persone
è, nel 70% dei casi, da aree rurali
della stessa provincia e, solo nel
30%, da altre province; il pattern
generale è comunque quello che
prevede uno spostamento da aree
rurali interne a basso reddito verso
aree urbane costiere economicamente
avvantaggiate. Le regioni
più affette dall'emigrazione sono
Sichuan, Anhui, Guizhou, Henan,
Guangxi e Hunan. Le province (o
municipalità a statuto speciale) di
destinazione sono innanzitutto
Shanghai, Beijing e Guangdong.
Nella maggior parte di questi casi
gli eventuali (non frequenti) fratelli
minori, o le sorelle minori
degli emigranti restano a casa in
campagna insieme agli anziani
genitori, così come avviene per
moglie e figlio in caso di emigranti
sposati. Di conseguenza la "piramide
delle età" nelle campagne
cinesi si sta trasformando in una
sorta di "fossato" con prevalenza
della popolazione di età inferiore
a 14 e superiore ai 35 anni12.
L'effetto di questa situazione sulla
produttività agricola è
prevedibilmente sfavorevole.
In città, le autorità cinesi temono
che l'afflusso della grande ondata
mingong chao crei difficoltà
infrastrutturali - ad esempio di
alloggio, trasporti pubblici e telecomunicazioni
- oltre a problemi
di criminalità ed ordine pubblico.
Nelle parole dell'accademico
cinese Huang Ping - il "senso
di non appartenenza a nessun
luogo" di questa massa di giovani
emigranti "non è socialmente
sano e farà poco per frenarne le
tendenze criminali".
In definitiva, a prescindere dai
previsti benefici effetti
dell'urbanizzazione, l'impatto di
questo grande fenomeno di migrazione
rurale - urbana sulle
comunità di origine e su quelle di
destinazione non è ancora facilmente
prevedibile.
3. Questioni aperte e proiezioni
Come abbiamo visto, le cause
della migrazione rurale-urbana in
Cina vengono ascritte al surplus
di manodopera rurale abbinato
alla industrializzazione delle aree
urbane e costiere. Gli studiosi cinesi
tendono inoltre a far derivare
tale surplus con disoccupazione rurale principalmente dalla decollettivizzazione
iniziata a partire
dal '78. In realtà è possibile
osservare che - indipendentemente
dalla de-collettivizzazione - il
fenomeno può derivare soprattutto
dalla notevole espansione della
popolazione cinese negli ultimi
cinquant'anni. Nel 1955 i contadini
cinesi erano 186 milioni, distribuiti
su 110 milioni di ettari di
terra arabile, quindi con un rapporto
(già non elevato) di 0,59
ettari a persona. Nel 1995 erano
450 milioni, su 95 milioni di ettari
di terra, quindi con un rapporto
di 0,21 ettari a persona, insufficiente
al sostentamento.
In pratica, la Cina ha semplicemente
più abitanti di quanto la
sua terra possa sopportare. Ciò è
particolarmente vero per quanto
riguarda l'Ovest cinese: nel territorio
delle 10 province e regioni
autonome della Cina occidentale,
la terra arabile è pari solo al
23,7% del totale nazionale mentre
la loro popolazione complessiva
- di 283 milioni di persone -
cresce ancora ad un tasso del 2%
annuale, pari a più del doppio
della media nazionale13. Ciò significa
che i programmi di pianificazione
familiare dovrebbero
essere vigorosamente mantenuti
anche in futuro. Il gap economico
e di possibilità educative tra
Nord Ovest ed aree costiere, e tra
campagne e città, sembra comunque
destinato a perdurare ancora
per molto tempo e a determinare
l'ulteriore sviluppo della
urbanizzazione in Cina. Analogamente
l'età, il sesso, lo stato coniugale
ed il livello di educazione
continueranno ad essere fattori
importanti nelle scelte e nelle possibilità
di migrazione per la popolazione
rurale. La migrazione
sarà inoltre favorita dalle riforme
in corso nel sistema dell'hukou,
avviate ad una maggiore
liberalizzazione14. L'attuale tendenza
è di allargare tali riforme
a tutte le città cinesi, mantenendo
limitazioni solo per Pechino,
Shanghai e Tianjin, municipalità
sotto controllo diretto del Consiglio
di Stato.
Molte questioni restano peraltro
aperte; ad esempio un problema
di rilievo consiste nella inadeguatezza
degli studi sul fenomeno
"migrazione" da parte cinese. Ben
cinque diverse definizioni dei termini
"città" (jianzhi shi), "cittadina" (jianzhi zhen), "popolazione
urbana" ed "urbanizzazione" si
sono succedute nei documenti ufficiali
e nelle pubblicazioni cinesi
degli ultimi 50 anni, con tutte le
ovvie implicite complicazioni. Inoltre,
la ricerca demografica cinese
usa generalmente una base di dati di partenza di livello regionale
il che, date le grandi differenze,
crea problemi di comparazione.
Molti fra gli stessi autori
cinesi concludono pertanto che
attualmente la qualità dei dati
disponibili non permette valutazioni
scientifiche ed esprime la
necessità di ulteriori ricerche per
una adeguata pianificazione
demografica strategica.
Conscio di queste limitazioni il
governo nel 2003 ha istituito - o
rivitalizzato - una serie di commissioni
ed enti (SFPPC, State
Family Planning and Population
Commmission; DPB, Development
and Planning Bureau; CAPD, China
Academy of Population and
Development) la cui missione consisterà
nel tracciare piani strategici
di breve (5 anni) e medio-lungo
termine (25-50 anni) per lo
sviluppo demografico e delle risorse
umane del Paese. La SFPPC,
in particolare, dovrà assicurare,
oltre al coordinamento tra i diversi
indirizzi politici e tra i diversi
dipartimenti statali, la possibilità
di effettiva implementazione
delle leggi e delle regolamentazioni
in materia.
Nel presente, gli sviluppi in atto
della politica interna cinese includono
in primis un rilassamento del
sistema dell'hukou con una generale
facilitazione e tendenza
alla liberalizzazione della migrazione
rurale-urbana, in particolare
verso le città medie e piccole.
Resta invece, per ora, la netta
limitazione del fenomeno nei confronti
delle grandi città e specialmente
delle municipalità autonome
a statuto speciale. Esistono
diverse motivazioni a questa specifica
politica cinese, che si possono
riassumere in quattro punti:
1) Barriera ideologica. La Cina si
proclama un paese socialista guidato
dal Partito Comunista, per il
quale l'obiettivo finale è la eliminazione
delle "tre disuguaglianze"
(fra città e campagna, fra industria
e agricoltura, fra lavoro intellettuale
e manuale) attraverso
uno sviluppo integrato. Pertanto
il modello cinese di
"urbanizzazione regionale bilanciata"
sarebbe teso a ridurre il
divario tra grandi città e cittadine/
aree rurali. Effettivamente nella
maggioranza dei paesi in via
di sviluppo la modernizzazione ha
comportato specialmente uno sviluppo
esagerato di megalopoli,
tralasciando le città medie e piccole.
2) Stabilità sociale. Queste preoccupazioni
sono sempre al primo
posto nelle cure del governo
in un paese sconfinato come la
Cina. Gli eventi dell'89 non sono stati ovviamente dimenticati e la
marea mingong chao di lavoratori
rurali viene vista con apprensione.
Le grandi città sono inoltre
spesso caratterizzate da tassi di
criminalità maggiori rispetto alle
città medie e piccole.
3) Difficoltà di gestione: in termini
di organizzazione delle infrastrutture,
trasporti, costruzioni,
telecomunicazioni, protezione
ambientale e sicurezza, specialmente
in un paese "relativamente
povero" come ancora si considera
la Cina.
4) Dubbi sull'efficienza delle grandi
città: i cinesi (contrariamente
alla corrente di pensiero prevalente
a livello internazionale) ritengono
che, quando le notevoli
spese in termini di mantenimento
delle infrastrutture e di protezione
ambientale vengono prese in
considerazione, il rapporto costo/
efficacia della grandi città non è
favorevole rispetto alle medie e
piccole.
Per quanto riguarda le aree rurali
- a prescindere da quella che
per ora resta soltanto "un'idea"
di pensione per i contadini - il
governo ha comunque almeno
adottato un nuovo approccio che
premia chi ha sempre osservato
le regolamentazioni sulla pianificazione
familiare. Purtroppo,
come abbiamo visto, tali aiuti
sono però quantitativamente insufficienti.
Quali risultati si attende la Cina
da queste politiche? Esistono varie
proiezioni statistiche del livello
di urbanizzazione della Cina
nei prossimi 50 anni, basati su
scenari di bassa, media od alta
intensità di sviluppo. Il livello di
urbanizzazione viene calcolato dai
diversi autori dal 54 al 67% nel
2030, cioè quasi doppio rispetto
al valore attuale. Nessuno prevede
un livello di urbanizzazione
inferiore al 50% nel 2050. Più difficili
sembrano essere le previsioni
in termini di interazione tra i
vari fattori in gioco e loro effetti
reciproci: controllo delle nascite
ed invecchiamento della popolazione,
modificazione dei salari e
livelli di povertà, segregazione del
mercato del lavoro fra residenti
ed emigranti (e, in questi ultimi,
tra emigranti hukou e non-hukou),
livelli di disoccupazione
rurale ed urbana.
Quale sarà, in sostanza, l'impatto
della grande migrazione sulle
comunità di origine e su quelle di
destinazione, sulle campagne e
sulle città, sui territori del Nord
Ovest e sulle aree urbane costiere?
Gli studiosi cinesi ritengono sostanzialmente che le loro città
abbiano una buona capacità di
assorbire la mingong chao di lavoratori
attraverso un re-impiego
nel settore manifatturiero (la
"Fabbrica del Mondo") e tramite
un notevole sviluppo del terziario
legato all'aumento dei redditi.
Per quanto riguarda le campagne,
essi ritengono che l'agricoltura
cinese possa sopportare una accelerata
urbanizzazione grazie
all'aumento della produttività ed
al più facile accesso ai mercati
internazionali15. Attualmente la
produzione è ritenuta soddisfacente
anche in relazione alle necessità
della accresciuta popolazione
urbana. Tuttavia la terra
arabile per persona non è mai
stata elevata, in Cina, paese in
cui la desertificazione rappresenta
un problema rilevante in varie
aree settentrionali ed in cui storicamente
le carestie hanno sempre
rappresentato una
"vessazione" ed un freno allo sviluppo
urbano. In quest'ottica forse
i cinesi non dovrebbero dimenticare
le terribili conseguenze del
"Grande Balzo" con la sua fase
di urbanizzazione troppo rapida.
Inoltre, come ben noto, l'ingresso
nel WTO non ha certo favorito
l'agricoltura cinese, i cui prodotti
non sono competitivi sul mercato
internazionale.
MONDO CINESE N. 120, LUGLIO-SETTEMBRE
2004