Negli ultimi dieci mesi ho avuto la possibilità di visitare alcune
decine di fabbriche medio-piccole (che di solito occupano da
70 a 400 dipendenti) del settore metalmeccanico nei dintorni
di Shanghai, e le sorprese non sono mancate. Il mio compito era - è -
quello di creare una rete di fornitori di componenti meccaniche per
conto di un'azienda italiana che ha un ufficio di rappresentanza proprio
a Shanghai, e questo comporta la ricerca di un collega cinese di
fiducia (un neolaureato è l'ideale, parla l'inglese e con buona probabilità
capisce il dialetto locale), centinaia di telefonate, decine di visite,
ore di ricerche su internet, partecipazione a fiere del settore, e poi la
scelta dei migliori (o ritenuti tali) fra tutti quelli che sono stati contattati.
Bisogna lavorare con metodo e perseveranza, come racconto qui di
seguito con la cronaca di una di "giornata-tipo" di lavoro.
GLI APPUNTAMENTI - Generalmente, una volta individuata l'area geografica
più interessante, si comincia a fissare una fitta serie di appuntamenti,
mediamente tre al giorno, per viaggi che durano almeno una
settimana. Ma dopo l'esperienza del primo giorno, soprattutto se non
si gira con un'auto propria, ci si rende conto che le distanze cinesi sono
ben diverse da quelle italiane e diventa chiaro che mantenere questi
ritmi, più che difficile in realtà è impossibile. Pur restando nella stessa
zona, per spostarsi da un'azienda all'altra capita di percorrere 70-100
chilometri su strade provinciali piene di buche e lungo le quali scorre
un traffico incessante di automobili, camion sovraccarichi, trattorini,
pedoni, motocarri, biciclette, moto, e lungo i cui bordi venditori di
frutta e di ortaggi piazzano le loro bancarelle senza curarsi troppo
della propria incolumità e delle nuvole di polvere e fumo nerastro
sollevate dai camion di passaggio.
In poche parole, si finisce ben presto con l'assestarsi su due appuntamenti
al giorno, uno al mattino e uno al pomeriggio, in orari piuttosto
vaghi, per evitare di fare troppe figuracce con i potenziali fornitori. Di
solito si cerca di fissare il primo alla mattina presto, per liberarsi abbastanza
in fretta e preparare la seconda visita. In teoria è il sistema
ideale, perché in genere nelle fabbriche si comincia a lavorare alle
7.30. Peccato che in pratica i dirigenti arrivino in ufficio alle 9 e che
per prima cosa si debba parlare con loro, seduti intorno a tavoli sui
quali sono appoggiati bicchieri che qualcuno provvede sempre a tenere
pieni di tè o acqua calda. Da quanto si dirà in seguito si può capire
che capita con una certa facilità di disdire anche il secondo appuntamento
in programma per la giornata.
LE VISITE - In genere le visite seguono uno schema abbastanza fisso. Ci
si presenta, si segue il rito dello scambio dei biglietti da visita (guai a
non averli trascritti in cinese), si studiano i cataloghi, si racconta cosa
si sta cercando, si guarda il campionario. Spesso si viene ricevuti dai
proprietari, che hanno tutti storie molto simili da raccontare. Molti
hanno lavorato per anni in aziende statali del settore, accumulando
una lunga esperienza, e poi intorno al 1995 si sono messi in proprio.
Altri insegnavano all'università, ma poi hanno scoperto che si poteva
guadagnare di più buttandosi nel mondo degli affari e hanno salutato
i loro studenti, mettendosi in società con altri imprenditori. In altri casi,
invece, si ha a che fare con figli di contadini, che per una serie di
circostanze sono riusciti ad aprire una piccola azienda. Si ascoltano
queste lunghe storie, e si risponde a qualche domanda sull'Italia, che
in genere verte sul fatto che la capitale è a Roma e sul fatto che il porto
di Genova è vicino a Milano (ma una volta mi è capitato di partecipare
a una digressione storica sulle antiche dinastie cinesi e sull'antica Roma).
Si chiedono offerte per alcuni prodotti. E finalmente si arriva al momento
cruciale, fondamentale per capire come è organizzata la produzione:
la visita della fabbrica. Il guaio è che ormai sono le 11-11.30
e gli operai sono andati a chifan (mangiare) in mensa (quando c'è),
oppure si sono seduti nel cortile a consumare il loro pranzo portato da
casa, o stanno facendo il xiuxi sdraiati su qualche angolo di pavimento
libero e non troppo sporco. Il pranzo normalmente è a base di riso
bollito o fritto, gamberi o carne di pollo o di manzo, verdure, una
zuppa, a volte un po' di frutta (a seconda della stagione: arance,
pesche e tutto l'anno mele e anguria). Per vedere la fabbrica in funzione
bisogna aspettare il pomeriggio, e intanto si viene invitati a uscire a
pranzo, che è buona norma non rifiutare. Dopo aver letto molto sulle
trattative d'affari in Cina, inizialmente evitavo di parlare di lavoro
durante il pasto, ma ho dovuto ricredermi in fretta, quando ho dovuto
rispondere a domande tecniche sui prodotti che si vogliono acquistare,
sui prodotti commercializzati dall'azienda per cui lavoro, sulla situazione
del mercato, sull'andamento del prezzo delle materie prime, il
tutto mentre cercavo di sgusciare un granchio usando le mani e i denti
con risultati piuttosto goffi. Comunque il pranzo resta prevalentemente
il momento in cui si cerca di approfondire la conoscenza reciproca con
i propri interlocutori, tra domande sulla vita privata (dagli studi fatti
allo stato civile), sulle differenze fra il cibo italiano e quello cinese, e
qualche considerazione sulla politica internazionale sulla quale la prudenza
mi spinge a non esprimere pareri diversi dal senso comune, cosa
che probabilmente mi rende un po' strano agli occhi delle mie
controparti. Meno male che c'è il mio collega cinese a evitare silenzi
troppo lunghi e sorrisi troppo imbarazzati.
Dopo un pranzo abbondante, si ritorna in azienda e finalmente si
visita la fabbrica.
LE FABBRICHE - Di solito la disponibilità dei responsabili vendite o dei
proprietari a mostrare la produzione ai potenziali clienti è totale. A
parte un paio d'eccezioni, ho sempre trovato ambienti dall'aspetto
trasandato, nei quali è difficile trovare una logica organizzativa che
segua quella "occidentale": le varie lavorazioni avvengono in luoghi
spesso lontani l'uno dall'altro, a volte vengono subappaltate in parte o
completamente, e fin dove si può tutto viene fatto a mano. "Lavoriamo
tutto a mano perché costa meno che comprare macchinari" mi ha
detto candidamente uno degli industriali che ho incontrato. Dove avvengono
le lavorazioni più pesanti la maggioranza di uomini (dai ragazzini
ai cinquantenni) è netta, mentre il montaggio dei pezzi viene
svolto esclusivamente da donne di tutte le età, a una velocità e con una
precisione che lasciano esterrefatti. Qui i torni manuali azionati da
una cinghia collegata al motore di una lavatrice non temono ancora
quelli elettronici di altissima precisione.
Diventano le tre e mezza e il lavoro viene interrotto perché va via la
corrente. In molte province della Cina, soprattutto in quelle più industrializzate,
la domanda di energia supera l'offerta, perciò molte aziende
restano senza corrente tre giorni alla settimana (secondo un dettagliato schema di blackout programmati), e la produzione viene ripresa
non appena questa ritorna disponibile, cioè di notte, per non restare
troppo indietro con le consegne. Il governo centrale e quelli provinciali
stanno correndo ai ripari, costruendo nuove centrali (idroelettriche come
quella contestatissima della diga delle Tre Gole, termoelettriche e nucleari).
Nel frattempo la gente non si scompone e lavora negli orari più
strani. L'uscita degli operai è una scena epica, soprattutto d'estate,
quando tutti camminano tenendo una borsa a tracolla e un ventilatore
in mano.
OPERAI E IMPRENDITORI - Nel complesso e spesso poco comprensibile
sistema di proprietà cui appartengono le piccole e medie aziende visitate,
la differenza fra il salario di un operaio e quello di un imprenditore
può essere abissale. Gli operai lavorano in ambienti per nulla confortevoli
e spesso molto pericolosi, e in media percepiscono 600-700
RMB al mese (equivalenti a 60-70 euro); spesso sono persone molto
semplici, curiose e dirette, che s'illuminano quando si accenna loro un
sorriso. Gli imprenditori e i dirigenti, oltre a scrivere sui rispettivi biglietti
da visita i loro nomi seguiti da cariche altisonanti (c'è chi si
definisce ingegnere capo, membro del consiglio di amministrazione,
general manager, chi solo sales manager, chi semplicemente presidente),
hanno stipendi dalle 10 alle 20 volte più alti, per arrivare a cifre
non quantificabili (sono ancora poche le aziende che hanno l'obbligo
di depositare i bilanci). Fra loro si possono distinguere diverse tipologie:
i super-diffidenti, gli entusiasti, quelli che dicono che la loro azienda
può fare tutto, anche i miracoli (e poi vengono smentiti dai fatti, che
però non scalfiscono le loro convinzioni), e quelli che per capire cosa
pensano e come si comportano bisogna studiare a memoria "L'arte
della guerra" di Sunzi.
L'ABBIGLIAMENTO - Alle prime visite ci si presenta vestiti di tutto punto,
per evitare di fare brutte figure, ma capita di venire ricevuti dai titolari
delle aziende che indossano una canottiera, un paio di pantaloni malandati,
ciabatte, sputano sul pavimento del loro ufficio, ma vanno a
casa al volante di una BMW nuova fiammante. Altri amano essere più
curati nell'aspetto, anche fin troppo: ricordo un alto dirigente che si
radeva in ufficio mentre parlavamo di questioni piuttosto importanti. E
poi ci sono le unghie: non sono pochi gli imprenditori che si lasciano
crescere lunghissime le unghie dei pollici e dei mignoli (cosa molto comune anche fra i tassisti, per la verità), su mani che spesso hanno
conosciuto lavori pesanti ma ora sono impreziosite da anelli d'oro.
FINE DELLA GIORNATA - Il programma di lavoro fissato al mattino
risulta ormai totalmente stravolto. Non c'è tempo per fare la seconda
visita, è tardi. L'imprenditore diventa premuroso: mi invita a cena e se
rifiuto si offre di farmi accompagnare dal suo autista in albergo. Di
solito non ci sono taxi. Una volta rientrato in camera è normale chiamare
l'altra azienda che si sarebbe dovuta visitare, inventando qualche
scusa per rimandare l'appuntamento a uno dei giorni successivi.
Sicuramente i vari interlocutori lo sanno e ridono della mia dabbenaggine.
La serata trascorre riferendo all'Italia cosa è stato fatto e litigando
con la lentezza esasperante della connessione a internet dell'albergo.
Pronti via, per un'altra giornata di visite "con sorpresa".
ERRORI - L'errore più comune che commettono gli occidentali è quello
di andare a comprare in Cina a prezzi irrisori pretendendo un livello
qualitativo elevato e lamentandosi se i prodotti che si ricevono in molti
casi sono un po' dissimili da quelli che si erano commissionati. Tuttavia
basta vedere come si lavora là per capire perché le cose vanno così.
Altro errore grave: la fretta. Se si tradisce una certa fretta nel portare
avanti le trattative, la "battaglia" è persa in partenza. I cinesi si fidano
molto di più di chi dimostra di adeguarsi ai loro ritmi e alla loro mentalità.
Spesso si offrono di accompagnare i potenziali clienti a fare "massaggi"
o di portarli al karaoke, perché sanno che molti approfittano dei
viaggi di lavoro per divertirsi, ma in realtà forse disprezzano queste
persone.
MONDO CINESE N. 120, LUGLIO-SETTEMBRE
2004