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RAPPORTI

Shangai, una giornata a caccia di affari

di Stefano Bona

Negli ultimi dieci mesi ho avuto la possibilità di visitare alcune decine di fabbriche medio-piccole (che di solito occupano da 70 a 400 dipendenti) del settore metalmeccanico nei dintorni di Shanghai, e le sorprese non sono mancate. Il mio compito era - è - quello di creare una rete di fornitori di componenti meccaniche per conto di un'azienda italiana che ha un ufficio di rappresentanza proprio a Shanghai, e questo comporta la ricerca di un collega cinese di fiducia (un neolaureato è l'ideale, parla l'inglese e con buona probabilità capisce il dialetto locale), centinaia di telefonate, decine di visite, ore di ricerche su internet, partecipazione a fiere del settore, e poi la scelta dei migliori (o ritenuti tali) fra tutti quelli che sono stati contattati. Bisogna lavorare con metodo e perseveranza, come racconto qui di seguito con la cronaca di una di "giornata-tipo" di lavoro. 

GLI APPUNTAMENTI - Generalmente, una volta individuata l'area geografica più interessante, si comincia a fissare una fitta serie di appuntamenti, mediamente tre al giorno, per viaggi che durano almeno una settimana. Ma dopo l'esperienza del primo giorno, soprattutto se non si gira con un'auto propria, ci si rende conto che le distanze cinesi sono ben diverse da quelle italiane e diventa chiaro che mantenere questi ritmi, più che difficile in realtà è impossibile. Pur restando nella stessa zona, per spostarsi da un'azienda all'altra capita di percorrere 70-100 chilometri su strade provinciali piene di buche e lungo le quali scorre un traffico incessante di automobili, camion sovraccarichi, trattorini, pedoni, motocarri, biciclette, moto, e lungo i cui bordi venditori di frutta e di ortaggi piazzano le loro bancarelle senza curarsi troppo della propria incolumità e delle nuvole di polvere e fumo nerastro sollevate dai camion di passaggio. 

In poche parole, si finisce ben presto con l'assestarsi su due appuntamenti al giorno, uno al mattino e uno al pomeriggio, in orari piuttosto vaghi, per evitare di fare troppe figuracce con i potenziali fornitori. Di solito si cerca di fissare il primo alla mattina presto, per liberarsi abbastanza in fretta e preparare la seconda visita. In teoria è il sistema ideale, perché in genere nelle fabbriche si comincia a lavorare alle 7.30. Peccato che in pratica i dirigenti arrivino in ufficio alle 9 e che per prima cosa si debba parlare con loro, seduti intorno a tavoli sui quali sono appoggiati bicchieri che qualcuno provvede sempre a tenere pieni di tè o acqua calda. Da quanto si dirà in seguito si può capire che capita con una certa facilità di disdire anche il secondo appuntamento in programma per la giornata. 

LE VISITE - In genere le visite seguono uno schema abbastanza fisso. Ci si presenta, si segue il rito dello scambio dei biglietti da visita (guai a non averli trascritti in cinese), si studiano i cataloghi, si racconta cosa si sta cercando, si guarda il campionario. Spesso si viene ricevuti dai proprietari, che hanno tutti storie molto simili da raccontare. Molti hanno lavorato per anni in aziende statali del settore, accumulando una lunga esperienza, e poi intorno al 1995 si sono messi in proprio. Altri insegnavano all'università, ma poi hanno scoperto che si poteva guadagnare di più buttandosi nel mondo degli affari e hanno salutato i loro studenti, mettendosi in società con altri imprenditori. In altri casi, invece, si ha a che fare con figli di contadini, che per una serie di circostanze sono riusciti ad aprire una piccola azienda. Si ascoltano queste lunghe storie, e si risponde a qualche domanda sull'Italia, che in genere verte sul fatto che la capitale è a Roma e sul fatto che il porto di Genova è vicino a Milano (ma una volta mi è capitato di partecipare a una digressione storica sulle antiche dinastie cinesi e sull'antica Roma). Si chiedono offerte per alcuni prodotti. E finalmente si arriva al momento cruciale, fondamentale per capire come è organizzata la produzione: la visita della fabbrica. Il guaio è che ormai sono le 11-11.30 e gli operai sono andati a chifan (mangiare) in mensa (quando c'è), oppure si sono seduti nel cortile a consumare il loro pranzo portato da casa, o stanno facendo il xiuxi sdraiati su qualche angolo di pavimento libero e non troppo sporco. Il pranzo normalmente è a base di riso bollito o fritto, gamberi o carne di pollo o di manzo, verdure, una zuppa, a volte un po' di frutta (a seconda della stagione: arance, pesche e tutto l'anno mele e anguria). Per vedere la fabbrica in funzione bisogna aspettare il pomeriggio, e intanto si viene invitati a uscire a pranzo, che è buona norma non rifiutare. Dopo aver letto molto sulle trattative d'affari in Cina, inizialmente evitavo di parlare di lavoro durante il pasto, ma ho dovuto ricredermi in fretta, quando ho dovuto rispondere a domande tecniche sui prodotti che si vogliono acquistare, sui prodotti commercializzati dall'azienda per cui lavoro, sulla situazione del mercato, sull'andamento del prezzo delle materie prime, il tutto mentre cercavo di sgusciare un granchio usando le mani e i denti con risultati piuttosto goffi. Comunque il pranzo resta prevalentemente il momento in cui si cerca di approfondire la conoscenza reciproca con i propri interlocutori, tra domande sulla vita privata (dagli studi fatti allo stato civile), sulle differenze fra il cibo italiano e quello cinese, e qualche considerazione sulla politica internazionale sulla quale la prudenza mi spinge a non esprimere pareri diversi dal senso comune, cosa che probabilmente mi rende un po' strano agli occhi delle mie controparti. Meno male che c'è il mio collega cinese a evitare silenzi troppo lunghi e sorrisi troppo imbarazzati. Dopo un pranzo abbondante, si ritorna in azienda e finalmente si visita la fabbrica. 

LE FABBRICHE - Di solito la disponibilità dei responsabili vendite o dei proprietari a mostrare la produzione ai potenziali clienti è totale. A parte un paio d'eccezioni, ho sempre trovato ambienti dall'aspetto trasandato, nei quali è difficile trovare una logica organizzativa che segua quella "occidentale": le varie lavorazioni avvengono in luoghi spesso lontani l'uno dall'altro, a volte vengono subappaltate in parte o completamente, e fin dove si può tutto viene fatto a mano. "Lavoriamo tutto a mano perché costa meno che comprare macchinari" mi ha detto candidamente uno degli industriali che ho incontrato. Dove avvengono le lavorazioni più pesanti la maggioranza di uomini (dai ragazzini ai cinquantenni) è netta, mentre il montaggio dei pezzi viene svolto esclusivamente da donne di tutte le età, a una velocità e con una precisione che lasciano esterrefatti. Qui i torni manuali azionati da una cinghia collegata al motore di una lavatrice non temono ancora quelli elettronici di altissima precisione.

 Diventano le tre e mezza e il lavoro viene interrotto perché va via la corrente. In molte province della Cina, soprattutto in quelle più industrializzate, la domanda di energia supera l'offerta, perciò molte aziende restano senza corrente tre giorni alla settimana (secondo un dettagliato schema di blackout programmati), e la produzione viene ripresa non appena questa ritorna disponibile, cioè di notte, per non restare troppo indietro con le consegne. Il governo centrale e quelli provinciali stanno correndo ai ripari, costruendo nuove centrali (idroelettriche come quella contestatissima della diga delle Tre Gole, termoelettriche e nucleari). Nel frattempo la gente non si scompone e lavora negli orari più strani. L'uscita degli operai è una scena epica, soprattutto d'estate, quando tutti camminano tenendo una borsa a tracolla e un ventilatore in mano. 

OPERAI E IMPRENDITORI - Nel complesso e spesso poco comprensibile sistema di proprietà cui appartengono le piccole e medie aziende visitate, la differenza fra il salario di un operaio e quello di un imprenditore può essere abissale. Gli operai lavorano in ambienti per nulla confortevoli e spesso molto pericolosi, e in media percepiscono 600-700 RMB al mese (equivalenti a 60-70 euro); spesso sono persone molto semplici, curiose e dirette, che s'illuminano quando si accenna loro un sorriso. Gli imprenditori e i dirigenti, oltre a scrivere sui rispettivi biglietti da visita i loro nomi seguiti da cariche altisonanti (c'è chi si definisce ingegnere capo, membro del consiglio di amministrazione, general manager, chi solo sales manager, chi semplicemente presidente), hanno stipendi dalle 10 alle 20 volte più alti, per arrivare a cifre non quantificabili (sono ancora poche le aziende che hanno l'obbligo di depositare i bilanci). Fra loro si possono distinguere diverse tipologie: i super-diffidenti, gli entusiasti, quelli che dicono che la loro azienda può fare tutto, anche i miracoli (e poi vengono smentiti dai fatti, che però non scalfiscono le loro convinzioni), e quelli che per capire cosa pensano e come si comportano bisogna studiare a memoria "L'arte della guerra" di Sunzi.

 L'ABBIGLIAMENTO - Alle prime visite ci si presenta vestiti di tutto punto, per evitare di fare brutte figure, ma capita di venire ricevuti dai titolari delle aziende che indossano una canottiera, un paio di pantaloni malandati, ciabatte, sputano sul pavimento del loro ufficio, ma vanno a casa al volante di una BMW nuova fiammante. Altri amano essere più curati nell'aspetto, anche fin troppo: ricordo un alto dirigente che si radeva in ufficio mentre parlavamo di questioni piuttosto importanti. E poi ci sono le unghie: non sono pochi gli imprenditori che si lasciano crescere lunghissime le unghie dei pollici e dei mignoli (cosa molto comune anche fra i tassisti, per la verità), su mani che spesso hanno conosciuto lavori pesanti ma ora sono impreziosite da anelli d'oro. 

FINE DELLA GIORNATA - Il programma di lavoro fissato al mattino risulta ormai totalmente stravolto. Non c'è tempo per fare la seconda visita, è tardi. L'imprenditore diventa premuroso: mi invita a cena e se rifiuto si offre di farmi accompagnare dal suo autista in albergo. Di solito non ci sono taxi. Una volta rientrato in camera è normale chiamare l'altra azienda che si sarebbe dovuta visitare, inventando qualche scusa per rimandare l'appuntamento a uno dei giorni successivi. Sicuramente i vari interlocutori lo sanno e ridono della mia dabbenaggine. La serata trascorre riferendo all'Italia cosa è stato fatto e litigando con la lentezza esasperante della connessione a internet dell'albergo. Pronti via, per un'altra giornata di visite "con sorpresa". 

ERRORI - L'errore più comune che commettono gli occidentali è quello di andare a comprare in Cina a prezzi irrisori pretendendo un livello qualitativo elevato e lamentandosi se i prodotti che si ricevono in molti casi sono un po' dissimili da quelli che si erano commissionati. Tuttavia basta vedere come si lavora là per capire perché le cose vanno così. Altro errore grave: la fretta. Se si tradisce una certa fretta nel portare avanti le trattative, la "battaglia" è persa in partenza. I cinesi si fidano molto di più di chi dimostra di adeguarsi ai loro ritmi e alla loro mentalità. 
Spesso si offrono di accompagnare i potenziali clienti a fare "massaggi" o di portarli al karaoke, perché sanno che molti approfittano dei viaggi di lavoro per divertirsi, ma in realtà forse disprezzano queste persone.

MONDO CINESE N. 120, LUGLIO-SETTEMBRE 2004

 

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