1. Il lungo viaggio di Wen Jiabao
Con Jiang Zemin la politica
estera cinese aveva avuto
- o aveva mirato ad avere
- un interlocutore privilegiato: gli
Stati Uniti d’America. Jiang era
realmente convinto che fosse possibile
una condivisione di responsabilità
a garanzia dell’allentamento
pacifico delle tensioni e dei
conflitti internazionali. La
partnership, l’accordo dei due
grandi paesi, si sarebbe basata
sulla convergenza tra la forza tecnologica,
economica e - perchè
no? - militare degli Stati Uniti e
la saggezza e il peso di una civiltà
che, come ricordava Jiang
Zemin con orgoglio, ha
cinquemila anni di vita.1 La nuova
dirigenza di Hu Jintao e di Wen
Jiabao ha abbandonato questo
orizzonte strategico. O meglio vi
è stata obbligata dalla rapida
evoluzione della realtà internazionale
segnata non solo dalla guerra
in Iraq, ma anche da altri avvenimenti
che il pragmatismo cinese
non poteva sottovalutare.
L’attenzione della politica estera
si è venuta così sensibilmente spostando
verso l’Europa. L’attivismo
diplomatico di questi mesi con i
viaggi di Hu Jintao in Francia, di
Wen Jiabao in Germania, Belgio,
Italia, Inghilterra e Irlanda, e ancora
di Hu Jintao in Polonia, Ungheria
e Romania lo ha pienamente
confermato.2
Era del resto inevitabile. Con l’ingresso
il primo maggio scorso di
dieci nuovi paesi, l’Unione Europea
- ora di 25 membri - è diventata
un polo geopolitico di rilievo,
destinato a modificare le relazioni
economiche internazionali
e un giorno - è l’auspicio degli
europeisti convinti - anche quelle
politiche. Ha 455 milioni di abitanti,
quasi il doppio della popolazione
statunitense, copre il 35%
dell’economia e del commercio
mondiali.3 Per la Cina rappresenta
nuove grandi opportunità: si
estendono i confini del mercato
europeo e i nuovi arrivati, con
salari molto lontani da quelli dell’Europa
più ricca, possono essere
allettanti per una economia
come quella cinese, interessata
ora a investire all’estero e proprio
in aree più vicine ai mercati
di sbocco dei suoi prodotti.
Se queste sono le ragioni economiche
dell’attenzione per la nuova
dimensione europea, a spingere
è stato anche un altro ‘allargamento’,
quello della Nato,
un organismo del quale il 2 aprile
scorso sono diventati membri
sette paesi dell’ex Europa orientale
comunista. A differenza del
benvenuto allargamento economico,
l’ampliamento militare viene
visto dalla Cina con una certa
apprensione, quasi una minaccia
per la Russia di Putin - l’autentico
vero interlocutore della leadership
pechinese - e per l’area della Asia
Centrale, la cui stabilità è per i
cinesi la garanzia della loro stessa stabilità.
Nei mesi scorsi, già il solo annuncio
delle visite europee ha mandato
dei messaggi politici
inequivocabili. La Cina mostrava
di considerare interlocutrice importante
e necessaria quell’Europa
che i neoconservatori dell’Amministrazione
americana avevano
definito con disprezzo ‘vecchia’,
quasi a sottolinearne
l’inaffidabilità politica e la non
indispensabilità di ruolo nelle
nuove dinamiche internazionali.
La Cina faceva compiere un salto
di qualità alla stessa cooperazione
economica. Stava mostrando
di dare il giusto peso e quindi di
voler cercare le soluzioni comuni
alle preoccupazioni europee per
le pratiche scorrette nel campo dei
brevetti, della tutela dei diritti di
proprietà intellettuale, della contraffazioni
delle merci, temi questi
che avevano alimentato in alcuni
paesi - l’Italia, ad esempio -
virulente campagne protezionistiche.
Infine, la Cina dava prova di
voler offrire nuovi e definitivi passi
sulla strada della costruzione della
‘partnership strategica’ sia con
l’Unione Europea sia con i suoi
singoli stati.
I dirigenti cinesi arrivavano in Europa
non in condizioni di inferiorità
e meno che mai come dei
questuanti o dei mercanti. Al contrario,
avevano alle spalle delle
clamorose vittorie di principio.
L’esito della guerra in Iraq stava
dando ragione alle loro critiche
all’unilateralismo Usa e nuovo
smalto al loro vecchio afflato
‘multilateralista’. L’ondata di
relativismo culturale che, sempre
come conseguenza dell’esito
iracheno, si è abbattuta sull’Europa,
arrivando a mettere in discussione
il carattere universale
della democrazia e negando perciò
che essa possa essere esportata
o imposta con la forza, ha
esaltato anzi ha reso inattaccabile
un altro punto di rilievo della
posizione cinese, quello della ‘non
interferenza’ negli affari interni dei singoli paesi. Una Cina, dunque,
più forte e più sicura di sé è
venuta a incontrare un’Europa
anch’essa per la prima volta nella
sua globalità messa alla prova
di un confronto complessivo, strategico
appunto, con un polo
geopolitico radicalmente diverso.
Il tema della ‘cooperazione
onnicomprensiva’ tra Cina e
Unione Europea è venuto maturando
negli anni, a partire dal
1998 quando Pechino e Bruxelles
avevano deciso insieme un incontro
annuale per una disamina
ispirata al dialogo dei punti di
comune accordo o disaccordo.
Gli
incontri ci sono stati.4 Non sono
serviti tanto come occasione di
decisioni, che quasi mai sono state
adottate. Piuttosto sono stati utili
a consolidare una pratica di reciproca
conoscenza, di attento
ascolto delle ragioni degli uni e
degli altri, di approccio morbido
ai temi più scottanti e controversi,
quali ad esempio il tema dei
diritti umani. Se, insomma, gli Stati
Uniti, specialmente con l’Amministrazione
Bush, erano stati
tentati dal confronto aspro e non
avevano rinunciato all’annuale
braccio di ferro in sede Onu sui
diritti umani, l’Europa proseguiva
sulla strada del dialogo. Naturalmente
questo diverso approccio
rifletteva una diversità di interessi:
nel suo rapporto con la
Cina, l’Europa non aveva da difendere,
come invece gli Stati
Uniti, prerogative geopolitiche e
non aveva da rispettare incarichi
o aspettative neo-imperiali. Ma
quegli incontri annuali correvano
il rischio di ridursi a una pura
operazione di immagine, elegante
esercitazione diplomatica, esotico
turismo politico. Così se sono
stati gli europei a varare il termine
‘piena cooperazione’ formalmente
adottata nell’incontro del
2001, sono stati Hu Jintao e Wen
Jiabao a elevarla a ‘cooperazione
strategica’ e a offrirla, oltre
che all’Unione, anche ai singoli
stati europei. E’ quanto hanno
fatto con i loro viaggi di questi
mesi. Con la visita di Wen Jiabao
la ‘partnership strategica ad ampio
spettro’ con l’Unione Europea
è stata solennemente sancita ed
è nato un reticolo di ‘cooperazioni
strategiche’ a dimensione
inter-statale. Cina e Germania
hanno deciso di varare un loro
incontro annuale per il dialogo;
per la prima volta, Cina e Belgio
hanno convenuto sulla necessità
di un confronto politico continuo
e intenso; Cina e Italia hanno costituito
- e viene presentato come
il primo caso del genere - uno
speciale comitato intergovernativo
che dovrà lavorare per un ‘salto
di qualità’ dei contatti tra i due
paesi e coordinare la loro cooperazione;
il viaggio del premier inglese
Blair in Cina annunciato per
il 2005 è stato presentato come
suggello della maggiore sostanza riconosciuta alla partnership tra Pechino e
Londra.5
2. Dominanti i temi economici
Sfrondata da una certa retorica
diplomatica tanto cara ai cinesi e
da un certo barocchismo politico,
la ‘partnership strategica’, così
delineata e così articolata, ha un
solo ben preciso significato: tra
Cina e paesi europei, tra Cina e
Unione Europea non esistono divergenze
inconciliabili o fratture
geopolitiche che possano costituire
una minaccia per la stabilità
dell’uno o dell’altro interlocutore.
Non siamo di fronte, naturalmente,
a trattati di alleanza. Piuttosto
alla definizione di codici di
comportamento, di un sistema
fatto di dialoghi, consultazioni,
scambi per assunzione di comuni
responsabilità che prevedono il
rinvio a trattative su questioni specifiche,
che, in occasione del viaggio
di Wen Jiabao, sono state di
natura squisitamente economica.
Il prevalente contenuto economico
delle nuove collaborazioni strategiche
sanziona, non senza una
certa ridondanza e un certo eccesso
di ottimismo, il riconoscimento
occidentale della potenza
e del ruolo della crescita cinese.
E’ però anche la sanzione della
debolezza politica della Unione
Europea che, almeno in questa
fase della sua costruzione, appare
solo come un partner di affari
e niente altro.
La visita del premier cinese si è
svolta prima delle elezioni europee
per il rinnovo del Parlamento
di Strasburgo. Ma il risultato della
consultazione, l’alto tasso di
astensione nei singoli paesi che
ha toccato punte altissime nei
nuovi membri, l’inattesa affermazione
di forze politiche ostili alla
dimensione europea, hanno oggettivamente
dato ragione alla
prudenza politica cinese.6 Proprio
la prevalenza dei temi dell’economia
ha del resto fugato l’accusa,
che la Cina ha paventato, di
un avvicinamento all’ Europa in
chiave anti-Usa. La guerra in Iraq
e la visione americana della lotta
al terrorismo hanno aperto una
crisi profonda nei rapporti tra i
paesi europei e gli Stati Uniti. Il
confronto con gli Usa ha
scardinato la compattezza dell’Unione
Europea, dividendola tra
paesi alleati e paesi critici di
George W. Bush; ha diviso forze
politiche, sia di destra sia di sinistra, e pubblica opinione delle
varie nazioni; ha sollecitato una
riflessione quasi da ‘scontro di civiltà’
su che cosa possa essere o
debba aspirare a essere una Europa
che si emancipi dalla
sudditanza verso gli Stati Uniti. La
Cina si è tenuta in disparte rispetto
a questa tematica che così dolorosamente
sta travagliando
l’Europa. Gli incontri di Wen
Jiabao hanno toccato il tema della
lotta al terrorismo, ma mai quello
della guerra in Iraq. Non era
questo lo scopo del suo viaggio.
In questa fase Pechino non ha affatto
intenzione e interesse a una
grande esposizione internazionale
sul fronte più propriamente politico,
che la porterebbe inevitabilmente
su posizioni anti-Usa, prospettiva
questa, almeno per il
momento, ritenuta non
auspicabile. Per di più, sul nodo
della spaccatura tra Usa e Europa,
la Cina non ha gli strumenti
politici e culturali per poter rappresentare,
agli occhi degli europei,
un polo di riferimento nell’opera
di ridefinizione della relazione
tra le due sponde dell’Atlantico.
Però è innegabile che la
‘partnership strategica’ tra Cina
ed Europa suoni come un avvertimento
agli Stati Uniti.
La Cina, come si è visto, ha scelto
il doppio binario: accordi con l’
Unione Europea e con i singoli
paesi. Ha dunque confermato una
verità nota: nutre fiducia
innanzitutto nei contatti e negli
accordi bilaterali. Ma ha anche
mostrato di non credere - solo per
il momento? - che l’Unione Europea
sia realmente un’entità solida
e compatta, capace di contare
e pesare come tale sull’arena
internazionale. E questo è un avvertimento
agli europei i quali
dovranno decidere per il prossimo
futuro se costruire i loro rapporti
con l’importante polo
geopolitico asiatico privilegiando
la dimensione sopranazionale
oppure privilegiando i singoli interessi
nazionali. Muovendosi sul
doppio binario, la Cina ha creato
una scala gerarchica tra i paesi
europei. Ha dato un peso maggiore
ai contatti con i paesi
fondatori, con Francia, Inghilterra
Germania, il famoso, e discusso,
direttorio della politica europea.
Con Varsavia, intenzionata
ad avere un ruolo molto attivo
nell’Europa allargata, e con
Bucarest, Hu Jintao ha firmato
dichiarazioni di ‘rapporti di amicizia’
e di scambi commerciali,
quasi i due fossero ancora paesi
dell’area comunista. Durante gli
incontri di Wen Jiabao sono stati
firmati 56 accordi commerciali, è
stata siglata la nascita di 27 joint ventures, sono stati definiti alcuni
protocolli di cooperazione nei
più diversi campi. Ma in questo
panorama la parte del leone è
stata fatta appunto dalla Germania,
il più importante partner europeo
della Cina.7 Alla Germania
Wen ha assegnato un particolare
riconoscimento. I due paesi
hanno siglato una ‘cooperazione
strategica globale’, mentre
le altre cooperazioni sono state
definite ‘ad ampio raggio’. Al cancelliere
Schröder il premier cinese
ha garantito l’appoggio per
l’ingresso -che appare ormai sicuro
- della Germania tra i membri
permanenti del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite.
Sono state così indebolite la già
peraltro debolissima candidatura
dell’Italia e la prospettiva, peraltro
ancora molto immatura, di
una candidatura dell’Unione Europea.
3. Tre accordi quadro
Tre accordi quadro sulle quote
tessili, sui meccanismi della concorrenza
e sulle procedure commerciali
sono serviti a
disinnescare, tra Cina e Unione
Europea, i più incandescenti motivi
di frizione tra le economie dei
due contraenti. Che si dovesse
arrivare a fissare delle regole per
rendere più trasparenti le relazioni,
era da attendersi anche alla
luce degli obblighi contratti dalla
Cina con il suo ingresso nella Organizzazione
mondiale del commercio.
Non è dunque su questo
fronte che gli inviati pechinesi
hanno dovuto prendere atto
dell’indisponibilità europea. Nella
loro agenda c’erano altre tre
questioni a metà tra la politica e
l’economia, per le quali si aspettavano
un passo in avanti che non
c’è stato: la questione di Taiwan,
la revoca del divieto di trasferire
alla Cina armi e tecnologia sofisticata,
il riconoscimento che quella
cinese è ‘una piena economia
di mercato’. Su Taiwan, in effetti,
il consenso è stato unanime da
parte dell’Unione Europea e da
parte dei singoli paesi visitati: la
Cina è una sola, quell’isola è parte
del continente. Oggi in Europa
nessuno, nemmeno il Vaticano che
ha relazioni diplomatiche con
Taipei, ritiene che si possa utilizzare
la sorte dell’isola come arma
di ricatto o di minaccia contro la
Cina. Non lo pensano nemmeno
gli Usa, almeno formalmente.
Ormai Taiwan è un problema tutto
interno all’area cinese e solo
una maggiore flessibilità di Pechino
potrebbe o potrà portare a
una soluzione del problema, nell’ambito
probabilmente di una
più elaborata e sofisticata formula
di ‘un paese, due sistemi’. Non lo
stesso successo è stato invece ottenuto da Wen Jiabao sulle altre
due questioni. L’embargo sulla
vendita di armi e alta tecnologia
venne inflitto alla Cina dalla Unione
Europea e dagli Stati Uniti come
punizione per il violento intervento
repressivo contro la protesta
studentesca della primavera del
1989. Da quella data, la Cina ha
potuto ampliare e modernizzare
il suo dispositivo militare solo grazie
alla produzione russa. La revoca
dell’embargo è stata chiesta
al presidente della Commissione
Europea e ai rappresentanti
dei singoli paesi: tutti, da Prodi
a Chirac a Schröder, hanno convenuto
che l’embargo è una misura
ormai anacronistica e che è
tempo di revocarlo. Ma nessuno
ha annunciato come imminente
e sicura una decisione. Il là probabilmente
deve venire dagli Stati
Uniti che finora non hanno mostrato
alcuna intenzione di porre
fine a questa punizione, in qualche
modo versione aggiornata
della ‘politica di contenimento’
teorizzata e seguita dall’Amministrazione
americana all’indomani
della seconda guerra mondiale.
A sostegno dell’inopportunità
della revoca si argomenta che
ancora oggi la Cina non ha fatto
i conti con la vicenda del 1989,
che resta largamente
insoddisfacente il suo impegno a
tutela dei diritti umani, nonostante
il recente inserimento di questi
ultimi nell’art.33 della costituzione.
In realtà, il divieto continua a
essere per gli Usa una via per ‘proteggere’
la sorte di Taiwan e non
incrinare i rapporti con il Giappone.
‘Togliere l’embargo significa
mettere in discussione gli equilibri
di sicurezza in un’area tra le
più volatili e instabili della zona’
hanno scritto con apprezzabile
sincerità Roger Cliff ed Evan
Medeiros, due esponenti della
Rand Corporation, una potente
lobby dell’industria militare e uno
dei think tanks della galassia
neoconservatrice.8 Anche uno degli
accordi più importanti del viaggio
di Wen, quello che ha sancito
la partecipazione cinese al progetto
europeo per il sistema di
trasmissione satellitare Galileo, è
stato letto in questa chiave. La
Cina acquisirebbe per questa via
una capacità di massima precisione
del sistema di invio (e ancora
una volta si pensa alle coste
taiwanesi) di bombe ‘intelligenti’
in grado così di sfuggire a qualsiasi
dispositivo di protezione
antimissilistica.9 Come si vede, lo
scontro sull’embargo viene utilizzato
per riproporre il vecchio tema
della ‘minaccia cinese’, che a seconda
delle fasi può assumere
una connotazione economica oppure
militare. L’Unione Europea,
anche se in parte, non si è sottratta
a questa suggestione.
Consensi ma non decisioni anche sull’altra questione molto a cuore
ai cinesi: lo status di ‘piena economia
di mercato’, che permetterebbe
alla Cina un trattamento
alla pari con le altre economie
industrializzate (e probabilmente
anche l’ingresso a pieno titolo, e
non come gentile concessione, nel
Gruppo degli 8 paesi più industrializzati).
Su questo punto Pechino
patisce indubbiamente di
una contraddizione: per esigenze
di coesione politica interna
teorizza una ‘economia socialista
di mercato’ che assegna ancora
un ruolo dominante all’intervento
pubblico e lascia sopravvivere
elementi del vecchio dirigismo. Per
altro verso, affida invece a una
sanzione esterna la spinta a modellare
il sistema economico secondo
criteri e scelte che appartengono
ai meccanismi del capitalismo.
Non è escluso che, tra le
ragioni della riluttanza della stessa
Unione Europea al pieno riconoscimento,
ci sia alla fine un giudizio
di attesa sugli sviluppi dell’economia
cinese. Accanto ai traguardi
positivi, pesano le incognite
per gli aspetti negativi che
vanno dagli squilibri nella distribuzione
del benessere ai rischi cui
sono esposti il sistema bancario e
il mondo finanziario. Insomma, i
Marco Polo cinesi in terra europea
hanno dato prova di una innegabile
abilità diplomatica, sono
stati lusingati dagli apprezzamenti
ricevuti, ma hanno anche dovuto
prendere atto che ancora
non vengono ritenuti del tutto
affidabili.
MONDO CINESE N. 119, APRILE-GIUGNO
2004
Note
1 In numerosi discorsi ufficiali,
Jiang Zemin ha ripercorso le tappe della storia millenaria della civiltà
cinese. Cfr. in particolare “President Jiang’s Speech at Harvard
University”, pronunciato il 1 novembre 1997, in occasione del viaggio negli
Stati Uniti che sanciva il disgelo tra i due paesi e il varo, come era detto nel
documento conclusivo del vertice con Bill Clinton, della ‘cooperazione
strategica costruttiva’ tra Cina e Usa. Per il testo del discorso, cfr. il
sito on line www.china embassy.org/eng.
2 Il presidente Hu Jintao ha visitato la Francia dal 25 al 27 gennaio; il viaggio
di Wen Jiabao in Germania, Belgio, Italia, Gran Bretagna e Irlanda si è svolto dal 2 al 12 maggio; Hu Jintao è partito
per Polonia, Ungheria e Romania l’8 giugno con tappa finale a Tashkent, nell’Usbekistan per l’annuale summit
della Shanghai Cooperation Organization. Sugli incontri nei vari paesi, cfr. People’s Daily
on line del 28
gennaio e poi le edizioni dal 4 al 13 maggio e dall’8 al 10 giugno; inoltre Kuang Ji , “The Golden Era of Sino- EU
Ties”, e Feng Zhongping, “Forming a Closer Bond”, in bjreview.com.cn, 27 maggio 2004, edizione on line della
Beijing Review.
3 Per i dati sulla Europa allargata cfr.
“L’utopia possibile. Dall’Europa dei sei all’Europa dei venticinque”,
Edizioni Giorni di Storia, n.25, allegato a L’Unità, 10 giugno 2004.
4 A differenza dell’Unione Europea, che fin dal 1998, aveva preparato ogni
anno un apposito documento per illustrare le linee portanti della sua politica verso la Cina, Pechino ha pubblicato
il suo primo ‘libro bianco’ sulla EU nell’ottobre del 2003. Cfr. “China’s EU
Policy Paper” sul sito on line del Ministero degli esteri www.fmprc.gov.cn.
L’ultimo incontro annuale tra Unione Europea e Cina si è svolto nell’ottobre
dello scorso anno a Pechino, durante il semestre di presidenza italiana. Nel documento conclusivo si apprezzava il
‘progresso dinamico’ della relazione tra le due parti e si sottolineava l’importanza
dei ‘dialoghi settoriali’, su questioni specifiche. Cfr. “Sixth China-EU Summit issues joint press statement”,
in www.Chinaembassy.nl/eng/ 58726.html.
Nell’aprile di questo anno, in occasione del viaggio in Cina del presidente della Commissione Europea Romano
Prodi, il presidente Hu Jintao ha dichiarato che la Cina era pronta ‘a rafforzare
la consultazione e il coordinamento con la Unione Europea sui principali temi regionali e internazionali’. Cfr.
“Chinese President stresses expansion of Sino-EU links”, in news.xinhuanet./
english/2004-04/15. Per una cronistoria dei sei incontri, cfr. il già citato libro bianco cinese.
5 Cfr. il già citato “Forming a Closer Bond”.
6 Il risultato delle europee ha mostrato un assenteismo del 54,5%, provocato
soprattutto dai paesi dell’Est entrati con l’allargamento, dove ha votato appena il 26,7 % dei cittadini.
7 Nell’incontro con il presidente della Commissione Europea Romano Prodi,
il premier Wen Jiabao ha proposto di darsi come obiettivo per il 2013 uno scambio commerciale bilaterale del valore
di 200 miliardi di dollari (per quest’anno la previsione è di 150 miliardi). Gli scambi commerciali con la
Germania, pari a 42 miliardi di dollari, rappresentano un terzo del volume di affari tra Cina ed Europa ed è previsto
il loro raddoppio entro il 2010. Gli investimenti tedeschi in Cina ammontano a 10 miliardi di dollari. La Francia
ha firmato un accordo per la vendita ai cinesi di 20 Airbus e di un sistema satellitare Alcatel. Meno esaltante il panorama
dei rapporti tra la Cina e l’Italia (appena 11 miliardi gli scambi del 2003) tanto da suggerire una battuta
di spirito a Wen Jiabao, che ha aggiunto solo all’ultimo momento la tappa italiana
al suo giro europeo. Nel seminario tra imprenditori italiani e cinesi, organizzato
a Roma dal ministero cinese per il commercio con l’estero e dal ministero italiano per le attività produttive,
Wen ha sollecitato i presenti di entrambe le parti a “seguire con più coraggio
le orme di Marco Polo”. Cfr. “Follow Marco Polo’s footprints, says Wen”, in
www.chinadaily.com.cn/ english/doc/2004-05/08.
Comunque sono state firmate con l’Italia sette intese che spaziano dalla fornitura di componenti per la produzione
di contatori elettrici a una joint venture per motocicli, da un protocollo per la ricerca comune sulla medicina
tradizionale a un accordo tra i ministri della pubblica istruzione per la realizzazione
congiunta di parchi scientifici e tecnologici. E’ stato anche prospettato un intervento italiano per il restauro
di alcuni padiglioni della Città Proibita. Sul complesso degli accordi cfr. le già citate edizioni del People’s Daily on
line.
8 Roger Cliff e Evan S. Medeiros, “Keep the Ban on Arms to China”,
International
Herald Tribune, 23 marzo 2004.
9 Steve Tsang, “Keep the Arms Embargo on China”, Far Eastern
Economic Review, 22 aprile 2004.
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