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POLITICA INTERNA

I media cinesi oggi: nuove prospettive per 
gli investimenti privati e stranieri?

di Jeremy GoldKorn
Mauro Marescialli

Nel febbraio di quest’anno, l’Agenzia Reuters1 segnalava da Pechino l’esistenza di una nuova circolare governativa, riguardante nuove prospettive per gli investitori privati, per penetrare nel mercato dei media locali. Stando alla fonte Reuters, tale circolare descriveva alcune delle direttive delineate dal governo centrale per regolare gli investimenti di società private in giornali, riviste, reti televisive, società di produzione e case editrici cinesi. Di lì a poco, il pezzo del giornalista Reuters veniva ripreso dal sito internet di Forbes Magazine2 e, il giorno successivo, dal Financial Times3 . Nel giro di una settimana, il contenuto dell’articolo, in forme più o meno diluite, compariva su innumerevoli siti internet e pubblicazioni di varia natura. Tuttavia, anche se i commenti erano concordi nel ritenere che il documento governativo rappresentava un’importantissima novità politica, un esame più attento ci rivela che la situazione complessiva non è poi tanto diversa dal passato. Infatti la circolare governativa citata dalla Reuters indicava l’esistenza di uno spiraglio legale attraverso il quale sarebbe stato possibile per mass-media di proprietà dello Stato vendere quote di partecipazione a investitori privati: “Il settore operativo dei giornali e delle pubblicazioni di Partito, delle radio e delle televisioni può essere distaccato e ristrutturato in forma d’impresa e, previa condizione che la maggioranza assoluta delle azioni rimanga sotto il controllo statale, esso potrà assorbire capitale da società private [...] Le (così formate) società in possesso dei requisiti necessari potranno essere listate in borsa”.4 In tutto ciò dove può rintracciarsi “l’importantissima novità politica” tanto sbandierata dai media internazionali? Da nessuna parte. Le direttive facevano semmai riferimento alla partecipazione di capitali di imprese locali, senza nessun evidente accenno alla medesima possibilità (alla quale molti osservatori stranieri pensavano tale direttiva potesse in qualche modo alludere) per aziende estere. In buona sostanza, le direttive non sanzionavano nulla che non fosse già esistente nella realtà cinese odierna, nella quale l’investimento privato, sia locale che straniero, nei mass-media è una realtà già legale nella misura in cui per legale s’intenda una pratica diffusa che ancora non sia stata fattivamente proibita dalle autorità centrali. Tanto per fare alcuni nomi: Bertelssman (joint venture with 21st Century Book Chain), Viacom (MTV in Guangdong province), Disney (fumetti, libri per l’infanzia), Hachette (Elle, Marie Claire), Virgin Radio (China Radio International-Hit FM), Hearst (Trends Publishing: Cosmopolitan, Esquire), IDG (Fortune, Forbes) and News Corporation (Channel V) hanno tutte investito massicciamente in Cina fornendo una serie di servizi e competenze ai loro partner mediatici cinesi. Sina.com e Sohu.com, i portali di notizie e servizi cinesi più autorevoli sono entrambe listati nel NASDAQ. Le più interessanti riviste d’intrattenimento pubblicate a Pechino e Shanghai sia in lingua cinese che inglese sono controllate quasi al 100% da imprese straniere.5 Ovviamente, esistono precise limitazioni sia in termini di distribuzione che di licenze editoriali che non permettono ad aziende straniere di avere assoluta mano libera nel pubblicare o trasmettere ciò che più gli aggrada. Il più delle volte l’accordo prevede che l’entità editoriale cinese acquisti o prenda in licenza una serie di contenuti (articoli, foto ecc.) dalla controparte straniera e che quest’ultima si ‘mimetizzi’ dietro una facciata legale tipo, ad esempio, agenzia pubblicitaria. La realtà è che comunque molti tra i più grandi gruppi mediatici mondiali - assieme ad un esercito di piccole entità indipendenti straniere - sono ‘de facto’ profondamente coinvolte nei mass-media cinesi. E il numero continua ad aumentare in maniera costante. Nondimeno è evidente che c’è ancora molta strada da percorrere per raggiungere l’obiettivo di un mercato totalmente aperto. Ogni impresa, locale e straniera, coinvolta nel mercato dei massmedia cinese deve ancora fare i conti con una serie di entità statali in grado d’interferire in qualsiasi momento con le loro operazioni. Tali entità corrispondono alle seguenti:

L’Amministrazione Statale di Radio, Film e TV – ASRFT6
 

Questo è l’ente che controlla ciò che si vede e si sente sulle lunghezze d’onda e via etere in Cina, inclusi cinema e teatri. L’ ASRFT è stato posto, dal 1998, alle dirette dipendenze del Consiglio di Stato, e risponde direttamente del suo operato a quello che in anni recenti è stato ribattezzato, nella traduzione ufficiale inglese, “Department of publicity” ma che in cinese rimane sempre con il vecchio nome, Xuanchuan bu, o “dipartimento della propaganda”. 7 L’ASRFT opera uno stretto controllo su tutte le emittenti televisive e radiofoniche cinesi. La gestione dei cinema sarà il primo tipo di attività mediatica cui l’ASRFT lascerà accesso ad investimento straniero, anche se i film che verranno proiettati nelle sale saranno ancora supervisionati da vicino da essa. Partecipazioni al controllo di TV e radio cinesi da parte di entità straniere costituisce ancora uno scenario pressoché irrealizzabile. 

L’Amministrazione Generale della Stampa e dell’Editoria – AGSE8  

L’AGSE è l’ente che supervisiona libri, riviste e quotidiani. Uno dei ruoli fondamentali di tale ente consiste nel rilasciare le licenze di pubblicazione o guonei kanhao per i suddetti media. Senza un kanhao, è impossibile immettere legalmente sul mercato un qualsiasi tipo di pubblicazione. A rendere la situazione più complessa contribuisce il fatto che i kanhao esistono in numero limitato e sono dati in gestione a imprese statali: una mossa strategica che permette all’AGSE di avere uno stretto controllo sulle pubblicazioni, evitandone la proliferazione selvaggia. Per potersi inserire nel mercato editoriale locale le imprese straniere devono giocoforza cooptare a suon di quattrini un kanhao, sborsando cifre d’affitto mensili che possono variare da qualche decina a qualche centinaia di migliaia di euro al mese. All’interno di un quadro così delineato, l’impresa statale cinese che gestisce il kanhao cooptato è anche quella che opera direttamente la censura dei contenuti della pubblicazione. Questo sistema ha funzionato a meraviglia soprattutto nel settore delle riviste patinate, dove l’investimento straniero continua ininterrotto da circa dieci anni come nel caso di Cosmopolitan (gruppo Trends) ed Elle (Hachette). Per i quotidiani il discorso è ovviamente assai più complicato. Con la loro diffusione di massa e una evidente necessità di riportare ‘hard news’ d’interesse più generale, i quotidiani rappresentano una fonte costante di notizie che il governo centrale non può esimersi dal controllare in modo ferreo. Gruppi editoriali e d’investitori di Hong Kong in eccellenti rapporti con le autorità governative cinesi hanno tentato a più riprese di farsi strada in questo settore utilizzando il suddetto metodo di cooptazione di un kanhao. Nonostante gli enormi sforzi finanziari e di PR, fino ad oggi, hanno tutte fallito. 

Le Poste Cinesi e il “secondo canale” 9  

L’organizzazione statale delle Poste Cinesi controlla la distribuzione dei periodici e dei quotidiani in tutti i principali chioschi di giornalai della nazione e gestisce inoltre il monopolio degli abbonamenti. L’elefantiaca inefficienza distributiva delle Poste ha negli ultimi anni stimolato la nascita e lo sviluppo di un numero crescente di imprese di distribuzione private (il cosiddetto er qudao, secondo canale o canale alternativo), che agiscono principalmente ad un livello locale utilizzando spesso metodi di controllo del territorio che fanno leva pesantemente sulla rete delle guanxi locali. Ultimamente, le autorità governative cinesi hanno iniziato a lanciare dei significativi segnali di disponibilità verso la possibilità di un’imminente apertura del mercato della distribuzione anche ad aziende straniere. Nell’agosto 2003 sono state infatti approvate una serie di direttive centrali riguardanti la distribuzione della stampa: per adeguarsi alle norme del WTO anche la Cina è quindi obbligata ad aprirsi agli investimenti stranieri, e conseguentemente ad operare radicali trasformazioni anche nel settore della distribuzione, che potrà essere gestito anche da imprese private, e straniere: la conseguente perdita delle sovvenzioni statali a molti giornali e riviste, la revisione del meccanismo degli abbonamenti, un tempo obbligati per periodici e fogli di partito e di organismi locali, ha prodotto in questi mesi un drastico ridimensionamento nelle testate, mettendo al primo posto la competitività e la concorrenza.10  

Ministero dell’Industria dell’Informazione – MII11

Il MII è stato creato nel 1998, e riunisce le competenze che erano del Ministero delle poste e telecomunicazioni, del Ministero dell’Industria elettronica, del Ministero per la radio, il cinema e la televisione, della Società per l’industria aerospaziale di Cina, della Società per l’aviazione civile di Cina, tutti organismi che vengono, in un certo senso, mantenuti con il rango di Uffici statali, o Agenzie. Ciò serve a favorire una più facile e rapida gestione del settore dell’informazione, della comunicazione e dello spettacolo, ma soprattutto delle nuove tecnologie. Tale struttura controlla Internet e altri tipi di piattaforme mediatiche che includono, in alcuni casi, le TV via cavo. Ente statale di recente costituzione, il MII fu avviato in concomitanza dell’esplosione mondiale del fenomeno Internet per permettere dapprima a investitori stranieri di riversare milionate di dollari in centinaia di siti dalla dubbia utilità e funzione e poi dichiarare dall’oggi al domani che le imprese straniere non avevano più il permesso di gestire siti di contenuti indirizzati al pubblico cinese. Nonostante l’operato del MII, Internet rimane a tutt’oggi il veicolo mediatico meno controllato della Cina, per l’ovvia difficoltà - comune alla maggioranza delle nazioni mondiali - nel regolarne lo sconfinato territorio operativo. L’MII si confronta quotidianamente con contraddizioni intrinseche al mercato Internet locale degne di un indovinello Zen: come si potrebbe infatti giustificare il fatto che Sina.com e Sohu.com - le fonti di notizie on-line più utilizzate dalla maggioranza degli utenti urbani cinesi - siano infatti presenti sulla borsa di New York? In questo settore, Yahoo! rappresenta il principale esponente straniero presente sul mercato locale. La sua sopravvivenza in Cina rappresenta una fonte di speranza per molti investitori stranieri interessati al mercato internet cinese. Nondimeno, Yahoo! continua ad incontrare delle difficoltà, come di recente rivelato in via confidenziale da un suo rappresentante agli autori di questo articolo: “Quando capita che un articolo o una notizia pubblicata in rete sia mal digerita dalle autorità, un uccellino piglia il telefono e chiama Sina o Sohu per avvertirli del problema e fare in modo che il pezzo in causa sia immediatamente rimosso dai siti. Nel caso di Yahoo, l’unico avvertimento che si riceve è quello recapitato direttamente dagli ufficiali in uniforme che ci bussano alla porta...” Per chiudere il quadro, altri enti statali che hanno un’importante voce in capitolo nel settore dei mass-media cinesi sono: l’Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato, il Ministero della Cultura e l’Amministrazione Statale dell’Industria e del Commercio,12 oltre - ovviamente - all’onnipresente e potentissimo “Dipartimento della Propaganda”. 

Investire o non investire? 

Come è facile dedurre dal quadro appena descritto, la decisione di entrare nel mercato dei mass-media cinesi non va di certo presa a cuor leggero. Allora, a questo punto, ne vale forse la pena? La risposta non può essere che affermativa ma, ovviamente, a certe condizioni. Grandi multinazionali mediatiche come News Corporation (Mr. Murdoch) con risorse finanziarie illimitate e un occhio di riguardo verso investimenti a lungo termine hanno tutte le ragioni possibili per introdursi e rimanere in questo mercato. Tuttavia, ‘lungo termine’ nel caso dei mass-media cinesi sta a significare ‘lungo’ sul serio. Nonostante il WTO, chi vuole investire in questo settore deve armarsi dapprima di una potente e duratura dose di pazienza e convincersi che ci sarà da spendere quattrini per molto, molto tempo prima di poter assaporare il dolce aroma del “breakeven” prima e del profitto poi. Allo stesso tempo, per investitori di calibro minore e in grado di offrire competenze e servizi di tipo più specialistico in settori quali distribuzione, vendita pubblicitaria, produzione e consulenza editoriale esistono in Cina una serie di “aree grigie” non dichiaratamente illegali in cui è possibile agire e prosperare muovendosi con la dovuta cautela e l’imprescindibile scorta di pazienza: condizione necessaria al successo di ogni operazione commerciale in questa nazione.

 

 

MONDO CINESE N. 119, APRILE-GIUGNO 2004

 

Note

1 Jonathan Ansfield, “China to let private investors take media stakes”, 10 Febbraio, 2004, Agenzia Reuters.  
2
Forbes.com, 10 Febbraio 2004, lancio d’agenzia che riprendeva lo stesso titolo e contenuto dell’articolo di Jonathan Ansfield.
3 Richard Mc Gregor, “China to open media outlets to greater private investment”, Financial Times, 11 Febbraio 2004.
4 Si veda la nota 1.
5 La serie di riviste in lingua inglese That’s diffuse a Pechino, Shanghai e Canton, City Weekend, anch’essa distribuita a Pechino e Shanghai, e in ultimo Le, la versione cinese della rinomata rivista inglese Time Out.
6 ASRFT: Amministrazione Statale di Radio, Film e TV (Guojia guangbo dianying dianshi zongju). 
7 Il nome in cinese del Dipartimento della Propaganda è rimasto invariato (Xuanchuan bu), tuttavia dal 1998 la nuova versione ufficiale del suo nome in inglese non è più ‘Propaganda Department’ bensì ‘Publicity Department’.
8 AGSE: Amministrazione Generale della Stampa e dell’Editoria (Xinwen chuban ju).
9 Poste Cinesi (Zhongguo youzheng), ‘secondo canale’ (er qudao).
10 Nailene Chou West, ‘Sensitive topic of media reform on politburo agenda’, South China Morning Post, 14 Agosto 2003.
11 MII: Ministero dell’Industria dell’Informazione (xinxi chanye bu), fondato nel 1998.
12 Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato (guowuyuan xinxi bangongshi), Ministero della Cultura (Wenhua bu), Amministrazione Statale dell’Industria e del Commercio (Guojia gongshang xingzheng guanliju).

 

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