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ECONOMIA E DIRITTO

La "legge sulla legislazione ed il problema delle fonti nel diritto cinese

di Federico Roberto Antonelli

L’originalità e la complessità del sistema giuridico della Repubblica Popolare Cinese, frutto della tormentata convivenza tra teoria del diritto di derivazione sovietica, tradizione confuciana e concezione occidentale ‘borghese’, hanno sempre reso difficoltosa una individuazione del sistema delle fonti del diritto1

Nel caso della Cina non si possono, infatti, prendere in esame solo le leggi e gli organi dello stato, senza tenere nella giusta considerazione le politiche e le direttive del Partito; quelle che sono definite ‘fonti indirette del diritto’.2 In riferimento al sistema delle fonti, dalla fondazione della Repubblica Popolare ad oggi, è possibile individuare, pur con qualche semplificazione, tre diverse fasi o filoni di pensiero. Un primo filone, che politicamente fa riferimento a personaggi come Liu Shaoqi e Deng Xiaoping, corrisponde alle tesi di coloro che hanno inteso trapiantare in Cina, seppur con i necessari adattamenti, un sistema di fonti derivato dalla teoria sovietica di ‘legalità socialista’, che è alla base delle carte costituzionali del 19493 , 1954 e 1982. Un secondo filone, che ha fatto riferimento principalmente a Mao Zedong e a tutta la cosiddetta ‘corrente radicale’ del Partito, ha teorizzato il primato della direzione politica rivoluzionaria su ogni altro tipo di fonte, compresa la legge formale statuale. Il riferimento documentale di tale teoria, che ha prevalso tra il 1958 e il 1978, è la Costituzione del 1975 ed in parte anche quella del 1978, oltreché, naturalmente, i documenti ufficiali del PCC4

E’ poi possibile individuare un terzo filone, rappresentato dal sistema giuridico attuale. Le trasformazioni del tessuto socio-economico, il venire meno, dopo la caduta del muro di Berlino, di un riferimento ideologico legittimante, ha fatto sì che, anche in assenza di radicali cambiamenti giuridici formali (la Costituzione in vigore è sempre quella del 1982), le stesse norme vengano oggi interpretate secondo categorie giuridiche totalmente differenti; la stessa norma giuridica che veniva, fino a ieri, interpretata secondo categorie giuridiche proprie di un ordinamento socialista, viene oggi interpretata, applicata e commentata, riferendosi ad un orizzonte culturale e giuridico che fa prevalentemente riferimento al diritto occidentale. La costruzione, o ricostruzione, di un sistema giuridico di legalità socialista, fondato sul primato della legge sulla politica e sulla separazione tra funzione guida del Partito e apparato dello stato diverrà, dal 1978 in poi, una priorità per la nuova classe dirigente del paese5

Ristabilire l’ordine nella logica del principio di legalità socialista, voleva innanzitutto dire che la legge, posta al di sopra delle scelte politiche, tornasse a essere strumento di garanzia per tutte le componenti del Partito e, di conseguenza, per tutti i cittadini. Oltre a queste motivazioni d’ordine interno, il nuovo corso di modernizzazione e d’apertura del paese consigliava alla Cina di adottare rapidamente un corpus di leggi in ambito economicocommerciale, totalmente assenti dal 1949, che potessero favorire l’afflusso d’investimenti e di tecnologia dall’estero e reintegrare la Cina nella comunità internazionale. Con la morte di Deng Xiaoping e l’avvento al potere della cosiddetta ‘terza generazione’ del Partito, che ha guidato la Cina negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra fredda, si è accelerato il processo di costruzione della rule of law, con una distinzione ulteriore del ruolo del Partito da quello dello stato. È così che la legge e lo stato assumono, nel corso degli anni ’90, un ruolo sempre più importante rispetto alla direzione politico- ideologica del Partito. 

La ‘corsa alla codificazione’, avvenuta negli anni ’90, ha tuttavia creato molta incertezza e confusione nel sistema delle fonti, dal momento che le riforme economiche degli anni ‘80 e ‘90 hanno creato un numero crescente di soggetti che producono diritto; una concorrenza di una pluralità di fonti normative che né la Costituzione, né altre disposizioni provvedevano a disciplinare. In particolare, la concorrenza tra norme emanate dallo stato centrale e norme locali, o tra leggi generali e leggi speciali, come nel caso del diritto societario, faceva aumentare i casi di gravi conflitti tra atti normativi. Inoltre, l’istituzione di ‘zone economiche speciali’ di varia natura e la nascita di commissioni governative, simili alle nostre authority, competenti in alcuni specifici settori economici (borsa, proprietà intellettuale, ecc.), ha creato ulteriore incertezza sulla gerarchia e sul conflitto di competenza tra le fonti6 . Rimaneva poi il problema delle disposizioni interne all’amministrazione pubblica, non pubblicate, i cosiddetti neibu, la cui collocazione all’interno del sistema delle fonti non risultava disciplinata. 

Se ‘la linea politica del partito’ e ‘la legge’ hanno costituito le due principali fonti del diritto nella Cina Popolare, ciò non significa che siano le uniche fonti del diritto cinese. L’adozione di istituti informali nell’amministrazione della giustizia ha consentito la permanenza di fonti consuetudinarie; che una società quasi prevalentemente agricola come la Cina ha sempre mantenuto7 . Anche la fonte giurisprudenziale, estromessa dalle fonti formali del diritto dopo il 1949, sta acquisendo negli ultimissimi anni una nuova importante funzione, ancorché non ufficialmente riconosciuta. In particolare, in mancanza di un codice civile, nelle nuove branche del diritto come la concorrenza e la proprietà intellettuale, la Corte Suprema si è ritagliata un ruolo sempre più importante, anche in considerazione del fatto che le sentenze dei Tribunali sono ora pubblicate e commentate in modo sistematico dalla dottrina. E’ in questo quadro che, nel marzo del 2000, è stata emanata la Legge sulla legislazione (Lifa fa) che, in accordo con i principi enunciati dalla Costituzione del 1982, ma anche alla luce delle più recenti innovazioni introdotte nella realtà istituzionale cinese, stabilisce, per la prima volta, la gerarchia e la competenza delle fonti scritte del diritto, contribuendo, almeno sul piano formale, a mettere ordine in questa materia. 

La Legge sulla legislazione e la sua applicazione 

Nonostante che a partire dall’entrata in vigore della Costituzione del 1982, per effetto di un processo di codificazione sempre più accelerato, il diritto positivo abbia assunto un ruolo centrale nel sistema delle fonti, relegando le politiche del Partito e gli atti amministrativi ad un ruolo subordinato, l’ordinamento cinese ha lasciato a lungo non chiarito il problema del sistema delle fonti e della loro gerarchia. In particolare, per quanto riguarda il problema di cosa possa essere considerato fonte di diritto, il testo costituzionale tace, preoccupandosi solo di regolare il procedimento d’emanazione delle leggi e la gerarchia delle principali fonti di diritto scritto, lasciando quindi aperto il problema del conflitto tra le leggi. 

I Principi generali di diritto civile (minfa tongze), adottati nel 1986, hanno rappresentato, in assenza di un codice civile, una prima sommaria enunciazione dei principi generali del diritto civile della Cina socialista. Resterà tuttavia deluso chi vorrà trovare in questo testo una disposizione analoga a quella dell’art. 1 delle ‘preleggi’ della Repubblica italiana. L’unico riferimento al sistema delle fonti non fa che rendere ancora più incerto un quadro che il testo costituzionale non aveva chiarito. L’art. 6 recita, infatti, che “le attività civili devono essere conformi alla legge e, ove non esista normativa, devono seguire la politica dello stato (guojia zhengce)”8 .

a) La Costituzione 

Nel sistema giuridico attuale, la Costituzione costituisce senza dubbio il vertice del sistema formale delle fonti del diritto. Come stabilito dall’art. 5, la Costituzione si pone al vertice delle fonti legislative (“tutte le leggi, le norme amministrative e i regolamenti a carattere locale non devono essere in contrasto con la Costituzione”), come anche di tutti i tipi di fonti indirette, come testimoniato dal secondo comma dello stesso articolo che recita: “Tutti gli organi statali e le forze armate, ogni partito [compreso quello comunista] e organizzazione sociale, ogni impresa ed ogni istituzione devono conformarsi alla Costituzione e alle leggi. … Nessuna organizzazione o singolo può trasgredire la Costituzione o le leggi”9 . Ancora più esplicito è l’ultimo periodo che conclude il lungo Preambolo: Questa Costituzione sancisce in forma legale i risultati della lotta di tutte le nazionalità del popolo cinese, definisce un sistema base ed i compiti fondamentali dello Stato. Essa rappresenta la legge fondamentale dello Stato e riveste la suprema autorità legale. Il popolo cinese di tutte le nazionalità, tutti gli organi dello stato e le forze armate, ogni partito politico ed organizzazione sociale, ogni impresa ed ogni servizio pubblico devono considerare la Costituzione come una norma fondamentale di condotta ed hanno il dovere di difenderne la dignità e garantirne l’applicazione

La Costituzione risulta dunque chiara nel prevedere non solo che la stessa si debba considerare al vertice delle fonti legislative ma anche che non ci sia altra fonte che possa porsi al di sopra, o al di fuori, della Costituzione stessa. In particolare, sia l’art. 5 che il passaggio del Preambolo sopra menzionato, stabiliscono che ogni altra eventuale fonte del diritto diversa dalla legge debba comunque conformarsi al dettato della Costituzione. Tra queste altre fonti vanno menzionate, per il particolare ruolo che ricoprono o hanno ricoperto tra le fonti del diritto, le norme d’autogoverno delle minoranze etniche (“tutte le nazionalità”), la Commissione militare centrale (“le forze armate”), il sindacato (“ogni … organizzazione sociale”) ma soprattutto il PCC (“ogni partito politico”). Che la Costituzione sia al disopra delle altre leggi è anche testimoniato dalla maggioranza qualificata che occorre per emendarla: l’art. 64 della Costituzione prevede infatti che essa “può essere emendata su proposta del Comitato permanente dell’Assemblea popolare nazionale … con voto maggioritario di oltre due terzi di tutti i deputati dell’assemblea”. Dopo aver stabilito che la legge è la fonte primaria dell’ordinamento, e che la Costituzione si pone al vertice di questo sistema come legge fondamentale, resta da stabilire come si pongono gerarchicamente gli altri tipi di fonti normative. A tal riguardo, se la Costituzione del 1982 già delineava alcuni di questi rapporti, occorre attendere l’emanazione della Legge sulla legislazione del 2000 per avere una disciplina sistematica della gerarchia e della competenza delle fonti normative. 

b) Leggi fondamentali e leggi ordinarie 

Pur rimanendo ancora aperto, in assenza di un vero codice civile, il problema del ruolo degli altri tipi di fonte, il 15 marzo 2000, è stata adottata dalla III sessione della IX Assemblea Nazionale del Popolo la Legge sulla legislazione che chiarisce, per la prima volta, la gerarchia, la competenza, le modalità d’emanazione e il controllo di legittimità delle fonti normative di ogni ordine e grado. Essendo stato adottato dall’assemblea plenaria dell’ANP, tale provvedimento, proprio in considerazione di quanto stabilisce la stessa Lifa fa, è da considerarsi una ‘legge fondamentale’, quasi a carattere costituzionale, ovvero sopra ordinata alle ‘leggi ordinarie’ emanate dal Comitato Permanente. La legge, composta da 94 articoli, è strutturata in sei Capitoli così suddivisi: Principi generali, Leggi, Regolamenti amministrativi, Decreti locali e decreti e norme delle autorità autonome, Ambito di applicazione e controllo di legittimità, Norme varie. Nei Principi generali sono stabiliti una serie di principi e di riferimenti ad altri tipi di fonti rispetto ai quali la legge non deve confliggere, stabilendo indirettamente una serie di fonti che si devono ritenere gerarchicamente superiori alle leggi. L’art. 3 recita: Il processo di legislazione deve aderire ai principi fondamentali della Costituzione, deve essere incentrato sullo sviluppo economico, deve aderire alla via socialista, alla dittatura del popolo, alla leadership del Partito comunista cinese e aderire al marxismoleninismo, al pensiero di Mao Zedong, alla teoria di Deng Xiaoping e aderire alla politica della apertura verso il resto del mondo

Nel loro complesso tali principi possono, a mio avviso, essere considerati come i principi fondamentali dell’ordinamento cinese. Tuttavia, la sovrabbondante presenza di teorie politiche, in palese contraddizione tra loro, e la ‘fragilità’ di principi quali “la politica d’apertura verso il resto del mondo”, troppo condizionati da situazioni contingenti, fa sì che, ancora una volta, siano la Costituzione e il Partito, almeno finché quest’ultimo avrà la forza di condizionare il contenuto della stessa, a costituire i ‘principi fondamentali dell’ordinamento cinese’. Una disposizione che rappresenta allo stesso tempo una limitazione al processo di codificazione, ma anche un fortissimo segnale di rottura con tutta la tradizione conosciuta dalla Cina, è l’art. 6 che stabilisce che “il processo di legislazione deve partire dalle circostanze attuali e deve stabilire, in modo scientifico e ragionevole, i diritti e doveri di cittadini, persone legali, ed altre organizzazioni, nonché i poteri e le responsabilità delle istituzioni pubbliche”. Il senso di un disposto di questo tipo si comprende solo se si tiene conto del fatto che, nella Cina comunista ma anche in quella imperiale, il diritto positivo è stato sempre considerato un obiettivo programmatico ideale a cui tendere piuttosto che una disposizione precettiva a cui conformarsi alla lettera. 

Il significato dell’art. 6 è dunque quello di tentare di evitare quelle ‘distorsioni’ del processo legislativo che avevano creato leggi che, vuoi per l’alto contenuto ideologico, vuoi perché non rispondenti alla reale situazione socio-economica del paese, non potevano trovare un’effettiva applicazione; si veniva così a creare una legislazione formale, con nessuna o scarsissima corrispondenza con quella sostanziale. Nel momento in cui si è posto l’obiettivo di instaurare la cosiddetta rule of law, il legislatore cinese ha voluto che il contenuto della norma giuridica fosse in sintonia con le ‘circostanze attuali’, perché potesse, almeno in via teorica, trovare applicazione. Come già ricordato, le leggi possono essere emanate sia dall’ANP sia dal suo Comitato Permanente. Vi sono tuttavia delle leggi, definite ‘fondamentali’, la cui competenza normativa è esclusiva dell’ANP. L’art. 7 stabilisce che l’ANP emana ed emenda il codice penale, il codice civile, le leggi organiche e le altre leggi fondamentali. Il Comitato Permanente emana ed emenda leggi che non siano di competenza dell’ANP. 

Il Comitato Permanente può anche emendare parzialmente le leggi d’esclusiva competenza dell’ANP, quando questa non è in sessione, a condizione di non contravvenire ai principi fondamentali della legge. A tal proposito è forse utile anticipare che il controllo di costituzionalità è posto proprio nel Comitato Permanente (art. 42). L’art. 8 stabilisce, anche qui per la prima volta, le materie che possono essere regolate solo tramite norme primarie. Si tratta principalmente di materie che si riferiscono alla struttura organizzativa dello stato (per esempio, i tribunali), ai diritti fondamentali del cittadino, alle norme che riguardano il sistema economico (ad esempio, le disposizioni fiscali o la creazione di zone amministrative speciali a base etnica od economica). È previsto inoltre che, a certe condizioni, gli organi legislativi possano emanare una legge delega all’organo esecutivo, il Consiglio di Stato (Guowuyuan), nelle materie stabilite dall’art. 8, ad eccezione delle materie che interessano i diritti fondamentali del cittadino e in materia giudiziaria. 

Nel complesso, quanto previsto dalla Legge sulla legislazione aumenta la potestà normativa del Comitato Permanente rispetto a ciò che è stabilito nella Costituzione del 1982, che a sua volta già prevedeva un ruolo legislativo più ampio per il Comitato Permanente rispetto ai testi costituzionali precedenti, e segnatamente a quello del 1954. Il fatto che il Comitato Permanente10 , abbia aumentato il suo peso politico, sia rispetto all’ANP sia rispetto al Consiglio di Stato, rappresenta un altro importante passo nel senso della costruzione di uno ‘stato di diritto’. I Capitoli II e III (Leggi e Regolamenti amministrativi) disciplinano il processo di emanazione delle leggi, rispettivamente dell’ANP e del Comitato Permanente; mi soffermerò solo su alcuni aspetti particolarmente pertinenti all’analisi del sistema delle fonti. Innanzitutto, gli artt.12-13 definiscono i soggetti che possono presentare progetti di legge all’ANP: questi sono il Consiglio di Stato, come già previsto dall’art. 89 della Costituzione, ma anche la Commissione militare centrale, la Corte Suprema e la Procura Suprema, che invece la Costituzione non prevedeva potessero avere iniziativa. 

L’art. 24 prevede che gli stessi organi possano presentare progetti anche al Comitato Permanente. Il paragrafo 4 del Capitolo II (Interpretazione della legge) definisce i meccanismi di controllo di costituzionalità delle leggi e dell’interpretazione autentica delle stesse; potere che l’art. 42 ripone, come già anticipato, nel Comitato Permanente. Una richiesta di interpretazione autentica della legge può essere fatta dal Consiglio di Stato, dalla Commissione militare centrale, dalla Corte e Procuratura Suprema, dalle commissioni parlamentari del Comitato Permanente, nonché dai Comitati Permanenti delle assemblee del popolo a livello locale. L’art. 47 stabilisce che le interpretazioni autentiche della legge hanno lo stesso valore della legge. La Lifa fa regola anche il meccanismo di pubblicazione e pubblicità delle leggi, che l’art. 52 prevede venga fatta sia mediante pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del Comitato Permanente (Changwu weiyuanhui gongbao) sia tramite pubblicazione in un quotidiano a ‘circolazione nazionale’. La versione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale verrà considerata come la versione ufficiale. Tale norma risulta di un’importanza fondamentale per l’ordinamento cinese, in quanto per la prima volta (e cioè solo nel 2000), si viene a prevedere l’obbligo di pubblicazione delle leggi, e, come si dirà più avanti, anche degli atti normativi secondari. 

c) I regolamenti amministrativi 

Ad un gradino inferiore alle leggi (costituzionali, fondamentali o ordinarie che siano), in modo analogo a quel che è previsto nella maggior parte degli ordinamenti occidentali, vengono a posizionarsi come fonti normative secondarie, i regolamenti amministrativi emanati dal Consiglio di Stato, definito dall’art. 85 della Costituzione come “supremo organo esecutivo dello stato”11 . L’art. 56 della Legge sulla legislazione prevede che “il Consiglio di Stato emani regolamenti amministrativi in accordo con la Costituzione e le leggi nazionali”. La competenza ad emanare norme regolamentari è prevista in due casi: (a) qualora una legge nazionale richieda l’emanazione di regolamenti attuativi; (b) nelle materie per le quali l’art. 89 della Costituzione stabilisce esservi una competenza regolamentare del governo. Analogamente a quanto previsto dall’art. 52 per le leggi, si prevede l’obbligo di pubblicazione, che dovrà avvenire in questo caso sulla Gazzetta Ufficiale del Consiglio di Stato (Guowuyuan gongbao). Manca cioè un’unica sede di pubblicazione di tutti gli atti normativi, continuando a creare situazioni di confusione ed incertezza per chi voglia conoscere lo stato del diritto in una data materia. Tale difficoltà, a cui gli operatori economici stranieri sono stati da sempre assai sensibili, è stata oggetto di discussione anche in sede di negoziato WTO. A tal proposito, la Cina si è impegnata a raccogliere in un’unica pubblicazione ufficiale tutti gli atti normativi riguardanti materie di competenza della WTO12  

d) Leggi locali, regolamenti delle autonomie e regolamenti speciali
 

Il Capitolo IV della Legge sulla legislazione disciplina due importanti fonti del diritto che hanno acquisito nel processo di modernizzazione del paese competenze legislative sempre più estese. Il moltiplicarsi delle fonti e l’assenza di una disciplina che ponesse in rapporto gerarchico questa moltitudine di atti (che assumono spesso diverse denominazioni: decreti, regolamenti, regolamenti provvisori, opinioni, decisioni, comunicati, ecc.) rendeva ancora più confusa una situazione d’incertezza che concerneva la normativa primaria. In particolare, il conflitto tra norme locali e norme statali centrali ha sempre più spesso provocato gravi conflitti tra poteri dello stato, soprattutto tra organi centrali con sede a Pechino e organi regionali o municipali13 . La sovrapposizione di norme emanate da diversi organismi dello stato, in assenza di chiare norme che ne stabilissero la gerarchia, contribuiva in modo significativo ad una rappresentazione del diritto cinese come un diritto dove la certezza del diritto e la trasparenza degli atti normativi risultava essere uno dei punti di maggiore problematicità, anche e soprattutto per gli operatori economici stranieri che hanno cominciato ad investire nel ‘paese di mezzo’. Tra i più importanti meriti della Legge sulla legislazione vi è dunque quella di avere chiarito per la prima volta la posizione nel sistema delle fonti delle norme locali, degli atti e regolamenti di specifici ministeri o Authority. 

Il IV Capitolo si divide in due sezioni distinte: nella prima vengono disciplinate le leggi locali (difangxing falü), i regolamenti delle autonomie (zizhi tiaoli) e i decreti speciali (danxing tiaoli); la seconda sezione definisce i ‘regolamenti’ (guizhang). L’art. 63 stabilisce che le Assemblee popolari e i Comitati Permanenti delle province, delle regioni autonome e delle municipalità poste direttamente sotto il controllo del governo centrale possono emanare leggi locali il cui contenuto non sia in contrasto con la Costituzione, le leggi nazionali e i regolamenti del governo. Il secondo comma prevede che anche le Assemblee popolari delle maggiori città e i loro Comitati Permanenti possano emanare leggi locali, ma queste non devono essere in contrasto né con le norme di livello nazionale, né con leggi provinciali. Inoltre, tali norme potranno entrare in vigore solo dopo che siano state approvate dal Comitato Permanente a livello provinciale, che assume quindi, analogamente al suo omologo a livello centrale, la funzione di organo di controllo di conformità delle leggi locali. 

L’art. 66 disciplina la potestà normativa degli organi di autogoverno delle zone ad autonomia etnica, secondo quanto già previsto dalla sezione VI capitolo III della Costituzione. Gli atti normativi emanati dalle Assemblee popolari delle regioni autonome avranno efficacia solo dopo essere stati approvati dal Comitato Permanente dell’ANP, mentre quelli emanati dalle prefetture autonome (zizhizhou) e dai distretti autonomi (zizhixian) dovranno essere approvati dal Comitato Permanente a livello provinciale. È importante notare che l’art. 66 prevede espressamente che il contenuto di una norma da applicare in una zona abitata da minoranze etniche (shaoshu minzu) possa discostarsi da una legge nazionale o da un regolamento amministrativo, ad eccezione di norme che violino la Costituzione o leggi e regolamenti appositamente emanati dal governo centrale in materie d’autogoverno delle zone abitate da minoranze. Un caso significativo in questo senso sono le disposizioni in materia di diritto di famiglia, che nelle zone abitate a maggioranza da popolazioni non cinesi (cioè non hanzu) possono trovare una disciplina che, discostandosi dalle normative nazionali, tenga conto delle costumanze e delle situazioni socio- economiche locali: ne è un esempio la diversa applicazione, nelle aree abitate da minoranze, della legge sulla pianificazione delle nascite, ovvero ‘del figlio unico’, sancita addirittura da una norma costituzionale (art. 25). Pur continuando a sottoporre ogni atto degli organi politicoamministrativi autonomi ad uno stretto controllo d’organi superiori, che la legge chiarisca in dettaglio lo spazio entro cui la potestà delle autonomie può operare, è un fatto comunque significativo, soprattutto per una maggiore incisività e trasparenza nella difesa dei diritti delle minoranze etniche. Quanto al principio di trasparenza, è da seganlare che, anche per tutti gli atti normativi locali, la legge prevede modalità di pubblicazioni obbligatorie (art. 70). 

La sezione II del Capitolo IV disciplina le norme amministrative d’organismi nazionali e i regolamenti amministrativi emanati dai governi provinciali e locali. Per la prima categoria di soggetti si devono intendere gli atti emanati dai ministeri del governo centrale (bumen), dalle commissioni (weiyuanhui), dalla Banca centrale cinese (Zhongguo renmin yinhang), dagli organismi di controllo (shenji) e da ogni altro organismo dotato di potere regolamentare posto sotto il controllo del Consiglio di Stato. Tali norme sono gerarchicamente subordinate a tutti i tipi di leggi, regolamenti ed altri tipi di atti (fagui, jueding, mingli) del governo centrale14 ; esse trovano inoltre un preciso limite di competenza ratio materiae. In caso di competenze concorrenti sarà il Consiglio di Stato che si occuperà di coordinare i vari organismi, con la possibilità di emanare regolamenti amministrativi congiunti. Infine, come per il governo centrale, anche gli organi esecutivi a livello locale (di provincia, regione autonoma, municipalità sotto il diretto controllo del governo nazionale o delle maggiori città) possono emanare regolamenti attuativi allo scopo di implementare leggi emanate dagli organi legislativi di pari livello. La Gazzetta Ufficiale del Consiglio di Stato e la Gazzetta Ufficiale del Governo del popolo (Renmin Zhengfu Gongbao), cioè del l’organo esecutivo a livello locale, sono rispettivamente responsabili della pubblicazione dei regolamenti ministeriali e delle authority e dei regolamenti del governo locale (art. 77). 

e) Gerarchia delle fonti e conflitto tra norme 

Il Capitolo V chiarisce ulteriormente la gerarchia delle fonti scritte e il problema del conflitto tra le norme. L’art. 78 stabilisce che la Costituzione è superiore ad ogni altro atto normativo. L’art. 79 prevede che le leggi nazionali siano superiori ai regolamenti amministrativi e alle leggi locali, mentre i regolamenti amministrativi del governo sono superiori a leggi e regolamenti locali. L’art. 80 stabilisce che una legge locale sia gerarchicamente superiore ad un regolamento emanato da un governo di pari od inferiore livello. E le norme emanate dal governo provinciale o della regione autonoma sono da considerarsi superiori a quelle emanate dal governo delle maggiori città poste sotto la loro giurisdizione. L’art. 81 provvede a chiarire la gerarchia delle fonti in due aspetti molto importanti: (a) nel caso che un atto emanato dagli organi di una zona ad amministrazione autonoma si ponga in contrasto con una legge nazionale, un regolamento amministrativo o una legge locale, l’atto dell’organo autonomo prevarrà limitatamente a detta area; (b) le norme emanate dagli organismi di governo delle zone economiche speciali prevalgono, in dette zone, sulle leggi nazionali, sui regolamenti amministrativi e sulle leggi locali. 

L’art. 82 stabilisce invece che, in caso di conflitto tra norme emanate da diversi ministeri o tra norme emanate da un ministero e da un governo locale, esse avranno la stessa autorità legale ed ognuna prevarrà nel proprio ambito di applicazione; lasciando dunque ancora un certo margine d’incertezza per potenziali conflitti tra atti amministrativi secondari. Più in generale, tra legge generale e legge speciale e tra legge anteriore e posteriore si prevede che, nel caso di norme emanate da un organismo di pari livello, la legge speciale prevarrà su quella generale, e quella posteriore prevarrà su quella anteriore. Nel caso si verifichi un conflitto tra legge speciale anteriore e legge generale posteriore e tale conflitto non possa essere desunto dal testo della nuova legge, sarà il Comitato Permanente a emanare una interpretazione della norma15 ; mentre la competenza spetterà al governo in caso di analoghi conflitti tra regolamenti amministrativi (art. 85). La legge provvede anche a disciplinare in dettaglio eventuali conflitti tra atti normativi locali (art. 86). Infine, degna di essere rilevata è l’ambiguità del disposto dell’art. 84: se da una parte si prevede il principio, ‘rivoluzionario’ per il diritto cinese, che la legge non dispone che per l’avvenire, dall’altra suona sinistro che al secondo comma sia previsto che, in casi eccezionali, la legge possa avere forza retroattiva, se ciò serva a meglio proteggere diritti o interessi di cittadini e persone giuridiche, ma anche di organizzazioni (leggi PCC).

 

MONDO CINESE N. 119, APRILE-GIUGNO 2004

Note

1 “L’individuazione delle fonti del diritto civile è uno dei più importanti e complessi problemi del diritto cinese contemporaneo. Innanzitutto perché, mancando una grande tradizione giuridica in questo campo, si è posta poca attenzione alla dottrina sulla produzione delle fonti del diritto” (R. Bertinelli, Verso lo stato di diritto in Cina, Giuffrè, Milano 1989, p. 21). “Date queste premesse, e tenuto conto della particolarità del caso cinese, una corretta individuazione delle fonti del diritto e più in generale del sistema giuridico è operazione che comporta senza dubbio il rischio di un evidente avventurismo teorico per i gravi limiti soggettivi e oggettivi in cui ci si trova ad operare” (C. Donati, Stato e costituzione in Cina, Mazzotta, Milano 1977, pp. 10-11). Per una più generale riflessione sui caratteri del sistema giuridico attuale, cfr. L. Moccia, “Il sistema giuridico cinese: caratteri tradizionali e lineamenti attuali”, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile LIV, 4, 2000, pp.1251-81.  
2 Così ad esempio, “se la Costituzione è carta della legalità socialista, lo Statuto del PCC è carta della legittimità rivoluzionaria, e la lettura della Costituzione non può essere fatta in contrapposizione con quella dello Statuto” (C. Donati, op.cit., p.11).  
3 Ci si riferisce al ‘Programma Comune’, che ebbe funzione di Costituzione provvisoria fino al 1954.  
4 Si veda in particolare il nuovo Statuto del PCC approvato nel corso del IX Congresso nell’aprile 1969, parzialmente riprodotto in Tsien Tche-hao, La République Populaire de Chine, Librairie générale de droit et de jurisprudence, Paris 1970, p. 93.  
5 A questo riguardo, lo stesso Deng Xiaoping, in uno dei suoi più noti discorsi ebbe a dire nel 1978 che “In order to safeguard people’s democracy, the legal system must be strengthened. Democracy needs to be institutionalised and legalised so that such a system and such laws would not change merely because of a change of leadership or a change in the leaders’ views and attention. The present problem is that the laws are incomplete; many laws have not yet been enacted. Leaders’ words are often taken as ‘law’, and if one disagrees with what the leaders say, it is called ‘unlawful’. And if the leaders change their words, the ‘law’ changes accordingly” (citato in A. HY Chen, An Introduction to the Legal System of the People’s Republic of China, Butterworths Asia, Hong Kong-Singapore-Malaysia 1998, p. 33).  
6 Si veda R. Bertinelli, “Norme sulla compilazione dei documenti ufficiali e sulla pubblicazione delle raccolte di leggi e regolamenti”, in Mondo cinese, n. 78, 1992, pp.16-19.   
7 “I cinesi - soprattutto i contadini che costituiscono una percentuale dell’80% della popolazione - ancora osservano i Li e il sistema di ZhongFa ha una forte influenza sulla vita sociale” (Zhang Lihong, “Consuetudini cinesi e codificazione del Diritto Civile Cinese”, in Assocorce News IX/1, 1998, p.45).  
8 R. Bertinelli, Verso lo stato di diritto in Cina, op. cit., p. 87  
9 Per una traduzione in italiano della Costituzione del 1982, cfr. P. Biscaretti di Ruffia (a cura di), Costituzioni straniere contemporanee, vol. II: Le costituzioni di sette stati di recente ristrutturazione, Giuffrè, Milano 1996.  
10 Il Comitato Permanente, composto da un centinaio di membri, è l’organo più assimilabile alla struttura dei parlamenti occidentali.  
11 Sull’attuale struttura della pubblica amministrazione, cfr. A. Lavagnino, “La riforma della pubblica amministrazione nella Cina del nuovo millennio”, in Conoscere la Cina, a cura di L. Lanciotti, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 2000, pp. 95-112.  
12 Su questo tema cfr. R. Cavalieri, L’adesione della Cina alla WTO. Implicazioni giuridiche, Argo, Lecce 2003, pp. 26-30.  
13 Un recente caso giudiziario, verificatosi nella provincia dello Henan, nel quale un giudice, applicando il principio stabilito dalla Lifa fa circa la gerarchia delle fonti, ha direttamente deciso di disapplicare la norma locale invocata da una delle parti per applicare la norma nazionale, senza cioè rinviare la questione del conflitto al Comitato Permanente (come stabilito dalla stessa legge), ha riproposto un vivace dibattito, sia nel mondo scientifico che nell’opinione pubblica, sulla necessità di istituire un organo di ‘controllo costituzionale’ indipendente dal potere legislativo. Su questo caso e sul dibattito in corso, vedi l’articolo apparso su China Daily del 24 novembre 2003. L’episodio riportato ripropone altresì la questione dello scarto esistenete in Cina tra law in the book e law in action.  
14 Per una trattazione e classificazione dei diversi atti regolamentari cinesi, cfr. R. Bertinelli, “Norme sulla compilazione dei documenti ufficiali…”, op. cit., pp. 7-21.  
15 È questo ad esempio il caso del conflitto che si è manifestato tra le leggi speciali sulle società ad investimento estero, emanate nel corso degli anni ’80, e la successiva legge generale sulle società di capitali del 1993. Su questo argomento cfr. Liu Xiuwen, “La nuova Legge sulle Società e i suoi rapporti con la normativa sulle imprese a capitale straniero”, in Profili emergenti del sistema giuridico cinese, a cura di L. Moccia, Philos, Roma 1999, pp. 245- 51.

 

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