L’originalità e la complessità
del sistema giuridico della Repubblica
Popolare Cinese,
frutto della tormentata convivenza
tra teoria del diritto di derivazione
sovietica, tradizione
confuciana e concezione occidentale
‘borghese’, hanno sempre
reso difficoltosa una individuazione
del sistema delle fonti del
diritto1 .
Nel caso della Cina non si possono,
infatti, prendere in esame solo
le leggi e gli organi dello stato,
senza tenere nella giusta considerazione
le politiche e le direttive
del Partito; quelle che sono definite
‘fonti indirette del diritto’.2
In riferimento al sistema delle fonti,
dalla fondazione della Repubblica
Popolare ad oggi, è possibile
individuare, pur con qualche
semplificazione, tre diverse fasi o
filoni di pensiero. Un primo filone,
che politicamente fa riferimento
a personaggi come Liu
Shaoqi e Deng Xiaoping, corrisponde
alle tesi di coloro che hanno
inteso trapiantare in Cina,
seppur con i necessari adattamenti,
un sistema di fonti derivato
dalla teoria sovietica di ‘legalità
socialista’, che è alla base delle
carte costituzionali del 19493 ,
1954 e 1982. Un secondo filone,
che ha fatto riferimento principalmente
a Mao Zedong e a tutta la
cosiddetta ‘corrente radicale’ del
Partito, ha teorizzato il primato
della direzione politica rivoluzionaria
su ogni altro tipo di fonte,
compresa la legge formale
statuale. Il riferimento documentale
di tale teoria, che ha prevalso
tra il 1958 e il 1978, è la Costituzione
del 1975 ed in parte
anche quella del 1978, oltreché,
naturalmente, i documenti ufficiali
del PCC4 .
E’ poi possibile individuare un terzo
filone, rappresentato dal sistema
giuridico attuale. Le trasformazioni
del tessuto socio-economico,
il venire meno, dopo la caduta
del muro di Berlino, di un
riferimento ideologico legittimante,
ha fatto sì che, anche in assenza
di radicali cambiamenti
giuridici formali (la Costituzione
in vigore è sempre quella del
1982), le stesse norme vengano
oggi interpretate secondo categorie
giuridiche totalmente differenti;
la stessa norma giuridica che
veniva, fino a ieri, interpretata
secondo categorie giuridiche proprie
di un ordinamento socialista,
viene oggi interpretata, applicata
e commentata, riferendosi ad
un orizzonte culturale e giuridico
che fa prevalentemente riferimento
al diritto occidentale.
La costruzione, o ricostruzione, di
un sistema giuridico di legalità
socialista, fondato sul primato
della legge sulla politica e sulla
separazione tra funzione guida
del Partito e apparato dello stato
diverrà, dal 1978 in poi, una
priorità per la nuova classe dirigente
del paese5 .
Ristabilire l’ordine nella logica del
principio di legalità socialista, voleva
innanzitutto dire che la legge,
posta al di sopra delle scelte
politiche, tornasse a essere strumento
di garanzia per tutte le
componenti del Partito e, di conseguenza,
per tutti i cittadini. Oltre
a queste motivazioni d’ordine
interno, il nuovo corso di
modernizzazione e d’apertura del
paese consigliava alla Cina di
adottare rapidamente un corpus
di leggi in ambito economicocommerciale,
totalmente assenti
dal 1949, che potessero favorire
l’afflusso d’investimenti e di tecnologia
dall’estero e reintegrare
la Cina nella comunità internazionale.
Con la morte di Deng
Xiaoping e l’avvento al potere
della cosiddetta ‘terza generazione’
del Partito, che ha guidato la
Cina negli anni immediatamente
successivi alla fine della guerra
fredda, si è accelerato il processo
di costruzione della rule of law,
con una distinzione ulteriore del
ruolo del Partito da quello dello
stato. È così che la legge e lo stato
assumono, nel corso degli anni
’90, un ruolo sempre più importante
rispetto alla direzione politico-
ideologica del Partito.
La ‘corsa alla codificazione’, avvenuta
negli anni ’90, ha tuttavia
creato molta incertezza e confusione
nel sistema delle fonti, dal
momento che le riforme economiche
degli anni ‘80 e ‘90 hanno
creato un numero crescente di
soggetti che producono diritto;
una concorrenza di una pluralità
di fonti normative che né la Costituzione,
né altre disposizioni
provvedevano a disciplinare. In
particolare, la concorrenza tra
norme emanate dallo stato centrale
e norme locali, o tra leggi
generali e leggi speciali, come nel
caso del diritto societario, faceva
aumentare i casi di gravi conflitti
tra atti normativi. Inoltre, l’istituzione
di ‘zone economiche speciali’ di varia natura e la nascita
di commissioni governative, simili
alle nostre authority, competenti
in alcuni specifici settori economici
(borsa, proprietà intellettuale,
ecc.), ha creato ulteriore incertezza
sulla gerarchia e sul conflitto
di competenza tra le fonti6 .
Rimaneva poi il problema delle
disposizioni interne all’amministrazione
pubblica, non pubblicate,
i cosiddetti neibu, la cui collocazione
all’interno del sistema
delle fonti non risultava disciplinata.
Se ‘la linea politica del partito’ e
‘la legge’ hanno costituito le due
principali fonti del diritto nella
Cina Popolare, ciò non significa
che siano le uniche fonti del diritto
cinese. L’adozione di istituti informali
nell’amministrazione della
giustizia ha consentito la permanenza
di fonti consuetudinarie;
che una società quasi prevalentemente
agricola come la Cina
ha sempre mantenuto7 . Anche la
fonte giurisprudenziale,
estromessa dalle fonti formali del
diritto dopo il 1949, sta acquisendo
negli ultimissimi anni una
nuova importante funzione,
ancorché non ufficialmente riconosciuta.
In particolare, in mancanza
di un codice civile, nelle
nuove branche del diritto come
la concorrenza e la proprietà intellettuale,
la Corte Suprema si è
ritagliata un ruolo sempre più
importante, anche in considerazione
del fatto che le sentenze dei
Tribunali sono ora pubblicate e
commentate in modo sistematico
dalla dottrina. E’ in questo quadro
che, nel marzo del 2000, è
stata emanata la Legge sulla legislazione
(Lifa fa) che, in accordo
con i principi enunciati dalla
Costituzione del 1982, ma anche
alla luce delle più recenti innovazioni
introdotte nella realtà istituzionale
cinese, stabilisce, per la
prima volta, la gerarchia e la
competenza delle fonti scritte del
diritto, contribuendo, almeno sul
piano formale, a mettere ordine
in questa materia.
La Legge sulla legislazione e
la sua applicazione
Nonostante che a partire dall’entrata
in vigore della Costituzione
del 1982, per effetto di un processo
di codificazione sempre più
accelerato, il diritto positivo abbia
assunto un ruolo centrale nel
sistema delle fonti, relegando le
politiche del Partito e gli atti amministrativi
ad un ruolo subordinato,
l’ordinamento cinese ha lasciato
a lungo non chiarito il problema
del sistema delle fonti e
della loro gerarchia. In particolare, per quanto riguarda il problema
di cosa possa essere considerato
fonte di diritto, il testo costituzionale
tace, preoccupandosi
solo di regolare il procedimento
d’emanazione delle leggi e la
gerarchia delle principali fonti di
diritto scritto, lasciando quindi
aperto il problema del conflitto
tra le leggi.
I Principi generali di diritto civile (minfa tongze), adottati nel 1986,
hanno rappresentato, in assenza
di un codice civile, una prima sommaria
enunciazione dei principi
generali del diritto civile della
Cina socialista. Resterà tuttavia
deluso chi vorrà trovare in questo
testo una disposizione analoga
a quella dell’art. 1 delle
‘preleggi’ della Repubblica italiana.
L’unico riferimento al sistema
delle fonti non fa che rendere
ancora più incerto un quadro che
il testo costituzionale non aveva
chiarito. L’art. 6 recita, infatti, che
“le attività civili devono essere
conformi alla legge e, ove non
esista normativa, devono seguire
la politica dello stato (guojia zhengce)”8 .
a) La Costituzione
Nel sistema giuridico attuale, la
Costituzione costituisce senza dubbio
il vertice del sistema formale
delle fonti del diritto. Come stabilito
dall’art. 5, la Costituzione
si pone al vertice delle fonti legislative
(“tutte le leggi, le norme
amministrative e i regolamenti a
carattere locale non devono essere
in contrasto con la Costituzione”),
come anche di tutti i tipi
di fonti indirette, come testimoniato
dal secondo comma dello
stesso articolo che recita: “Tutti gli
organi statali e le forze armate,
ogni partito [compreso quello comunista]
e organizzazione sociale,
ogni impresa ed ogni istituzione
devono conformarsi alla Costituzione
e alle leggi. … Nessuna
organizzazione o singolo può
trasgredire la Costituzione o le
leggi”9 . Ancora più esplicito è l’ultimo
periodo che conclude il lungo
Preambolo: Questa Costituzione
sancisce in forma legale i risultati
della lotta di tutte le nazionalità
del popolo cinese, definisce un
sistema base ed i compiti fondamentali
dello Stato. Essa rappresenta
la legge fondamentale dello Stato
e riveste la suprema autorità legale.
Il popolo cinese di tutte le
nazionalità, tutti gli organi dello
stato e le forze armate, ogni partito
politico ed organizzazione sociale,
ogni impresa ed ogni servizio
pubblico devono considerare la
Costituzione come una norma fondamentale
di condotta ed hanno
il dovere di difenderne la dignità e
garantirne l’applicazione.
La Costituzione risulta dunque
chiara nel prevedere non solo che
la stessa si debba considerare al
vertice delle fonti legislative ma
anche che non ci sia altra fonte
che possa porsi al di sopra, o al
di fuori, della Costituzione stessa.
In particolare, sia l’art. 5 che
il passaggio del Preambolo sopra
menzionato, stabiliscono che ogni
altra eventuale fonte del diritto
diversa dalla legge debba comunque
conformarsi al dettato della
Costituzione. Tra queste altre fonti
vanno menzionate, per il particolare
ruolo che ricoprono o hanno
ricoperto tra le fonti del diritto,
le norme d’autogoverno delle
minoranze etniche (“tutte le nazionalità”),
la Commissione militare
centrale (“le forze armate”),
il sindacato (“ogni … organizzazione
sociale”) ma soprattutto il
PCC (“ogni partito politico”).
Che la Costituzione sia al disopra
delle altre leggi è anche testimoniato
dalla maggioranza
qualificata che occorre per emendarla:
l’art. 64 della Costituzione
prevede infatti che essa “può essere
emendata su proposta del
Comitato permanente dell’Assemblea
popolare nazionale … con
voto maggioritario di oltre due
terzi di tutti i deputati dell’assemblea”.
Dopo aver stabilito che la
legge è la fonte primaria dell’ordinamento,
e che la Costituzione
si pone al vertice di questo sistema
come legge fondamentale,
resta da stabilire come si pongono
gerarchicamente gli altri tipi
di fonti normative. A tal riguardo,
se la Costituzione del 1982
già delineava alcuni di questi rapporti,
occorre attendere l’emanazione
della Legge sulla legislazione
del 2000 per avere una disciplina
sistematica della gerarchia
e della competenza delle fonti
normative.
b) Leggi fondamentali e leggi
ordinarie
Pur rimanendo ancora aperto, in
assenza di un vero codice civile, il
problema del ruolo degli altri tipi
di fonte, il 15 marzo 2000, è stata
adottata dalla III sessione della
IX Assemblea Nazionale del
Popolo la Legge sulla legislazione
che chiarisce, per la prima volta,
la gerarchia, la competenza, le
modalità d’emanazione e il controllo
di legittimità delle fonti
normative di ogni ordine e grado.
Essendo stato adottato dall’assemblea
plenaria dell’ANP, tale
provvedimento, proprio in considerazione
di quanto stabilisce la
stessa Lifa fa, è da considerarsi
una ‘legge fondamentale’, quasi
a carattere costituzionale, ovvero
sopra ordinata alle ‘leggi ordinarie’
emanate dal Comitato Permanente.
La legge, composta da 94 articoli,
è strutturata in sei Capitoli così
suddivisi: Principi generali, Leggi,
Regolamenti amministrativi, Decreti
locali e decreti e norme delle
autorità autonome, Ambito di
applicazione e controllo di legittimità,
Norme varie. Nei Principi
generali sono stabiliti una serie
di principi e di riferimenti ad altri
tipi di fonti rispetto ai quali la legge
non deve confliggere, stabilendo
indirettamente una serie di
fonti che si devono ritenere gerarchicamente
superiori alle leggi.
L’art. 3 recita: Il processo di legislazione
deve aderire ai principi
fondamentali della Costituzione,
deve essere incentrato sullo sviluppo
economico, deve aderire alla via
socialista, alla dittatura del popolo,
alla leadership del Partito comunista
cinese e aderire al marxismoleninismo,
al pensiero di Mao
Zedong, alla teoria di Deng
Xiaoping e aderire alla politica
della apertura verso il resto del mondo.
Nel loro complesso tali principi
possono, a mio avviso, essere considerati
come i principi fondamentali
dell’ordinamento cinese. Tuttavia,
la sovrabbondante presenza
di teorie politiche, in palese
contraddizione tra loro, e la ‘fragilità’
di principi quali “la politica
d’apertura verso il resto del
mondo”, troppo condizionati da
situazioni contingenti, fa sì che,
ancora una volta, siano la Costituzione
e il Partito, almeno finché
quest’ultimo avrà la forza di
condizionare il contenuto della
stessa, a costituire i ‘principi fondamentali
dell’ordinamento cinese’.
Una disposizione che rappresenta
allo stesso tempo una limitazione
al processo di codificazione,
ma anche un fortissimo segnale
di rottura con tutta la tradizione
conosciuta dalla Cina, è l’art. 6
che stabilisce che “il processo di
legislazione deve partire dalle circostanze
attuali e deve stabilire,
in modo scientifico e ragionevole,
i diritti e doveri di cittadini,
persone legali, ed altre organizzazioni,
nonché i poteri e le responsabilità
delle istituzioni pubbliche”.
Il senso di un disposto di
questo tipo si comprende solo se
si tiene conto del fatto che, nella
Cina comunista ma anche in quella
imperiale, il diritto positivo è
stato sempre considerato un
obiettivo programmatico ideale a
cui tendere piuttosto che una disposizione
precettiva a cui conformarsi alla lettera.
Il significato
dell’art. 6 è dunque quello di tentare
di evitare quelle ‘distorsioni’
del processo legislativo che avevano
creato leggi che, vuoi per
l’alto contenuto ideologico, vuoi
perché non rispondenti alla reale
situazione socio-economica del
paese, non potevano trovare
un’effettiva applicazione; si veniva
così a creare una legislazione
formale, con nessuna o
scarsissima corrispondenza con
quella sostanziale. Nel momento
in cui si è posto l’obiettivo di instaurare
la cosiddetta rule of law,
il legislatore cinese ha voluto che
il contenuto della norma giuridica
fosse in sintonia con le ‘circostanze
attuali’, perché potesse,
almeno in via teorica, trovare
applicazione.
Come già ricordato, le leggi possono
essere emanate sia dall’ANP
sia dal suo Comitato Permanente.
Vi sono tuttavia delle leggi,
definite ‘fondamentali’, la cui
competenza normativa è esclusiva
dell’ANP. L’art. 7 stabilisce che
l’ANP emana ed emenda il codice
penale, il codice civile, le leggi organiche
e le altre leggi fondamentali.
Il Comitato Permanente emana
ed emenda leggi che non siano
di competenza dell’ANP.
Il Comitato Permanente può anche
emendare parzialmente le
leggi d’esclusiva competenza
dell’ANP, quando questa non è in
sessione, a condizione di non contravvenire
ai principi fondamentali
della legge. A tal proposito è
forse utile anticipare che il controllo
di costituzionalità è posto
proprio nel Comitato Permanente
(art. 42). L’art. 8 stabilisce, anche
qui per la prima volta, le
materie che possono essere regolate
solo tramite norme primarie.
Si tratta principalmente di materie
che si riferiscono alla struttura
organizzativa dello stato (per
esempio, i tribunali), ai diritti fondamentali
del cittadino, alle norme
che riguardano il sistema economico
(ad esempio, le disposizioni
fiscali o la creazione di zone
amministrative speciali a base etnica
od economica). È previsto
inoltre che, a certe condizioni, gli
organi legislativi possano emanare
una legge delega all’organo esecutivo,
il Consiglio di Stato (Guowuyuan), nelle materie stabilite
dall’art. 8, ad eccezione delle
materie che interessano i diritti
fondamentali del cittadino e in
materia giudiziaria.
Nel complesso, quanto previsto
dalla Legge sulla legislazione aumenta
la potestà normativa del
Comitato Permanente rispetto a
ciò che è stabilito nella Costituzione
del 1982, che a sua volta
già prevedeva un ruolo legislativo
più ampio per il Comitato Permanente
rispetto ai testi costituzionali
precedenti, e
segnatamente a quello del 1954.
Il fatto che il Comitato Permanente10 ,
abbia aumentato il suo peso
politico, sia rispetto all’ANP sia
rispetto al Consiglio di Stato, rappresenta
un altro importante passo
nel senso della costruzione di
uno ‘stato di diritto’.
I Capitoli II e III (Leggi e Regolamenti
amministrativi) disciplinano
il processo di emanazione delle
leggi, rispettivamente dell’ANP e
del Comitato Permanente; mi
soffermerò solo su alcuni aspetti
particolarmente pertinenti all’analisi
del sistema delle fonti.
Innanzitutto, gli artt.12-13 definiscono
i soggetti che possono
presentare progetti di legge
all’ANP: questi sono il Consiglio
di Stato, come già previsto
dall’art. 89 della Costituzione, ma
anche la Commissione militare
centrale, la Corte Suprema e la
Procura Suprema, che invece la
Costituzione non prevedeva potessero
avere iniziativa.
L’art. 24
prevede che gli stessi organi possano
presentare progetti anche al
Comitato Permanente. Il paragrafo
4 del Capitolo II (Interpretazione
della legge) definisce i meccanismi
di controllo di costituzionalità
delle leggi e dell’interpretazione
autentica delle stesse;
potere che l’art. 42 ripone, come
già anticipato, nel Comitato Permanente.
Una richiesta di interpretazione
autentica della legge
può essere fatta dal Consiglio di
Stato, dalla Commissione militare
centrale, dalla Corte e
Procuratura Suprema, dalle commissioni
parlamentari del Comitato
Permanente, nonché dai Comitati
Permanenti delle assemblee
del popolo a livello locale. L’art.
47 stabilisce che le interpretazioni
autentiche della legge hanno
lo stesso valore della legge.
La Lifa fa regola anche il meccanismo
di pubblicazione e pubblicità
delle leggi, che l’art. 52 prevede
venga fatta sia mediante
pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale
del Comitato Permanente (Changwu weiyuanhui gongbao)
sia tramite pubblicazione in un
quotidiano a ‘circolazione nazionale’.
La versione pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale verrà considerata
come la versione ufficiale.
Tale norma risulta di un’importanza
fondamentale per l’ordinamento
cinese, in quanto per la prima
volta (e cioè solo nel 2000), si viene
a prevedere l’obbligo di pubblicazione
delle leggi, e, come si
dirà più avanti, anche degli atti
normativi secondari.
c) I regolamenti amministrativi
Ad un gradino inferiore alle leggi
(costituzionali, fondamentali o
ordinarie che siano), in modo
analogo a quel che è previsto nella
maggior parte degli ordinamenti
occidentali, vengono a posizionarsi
come fonti normative secondarie,
i regolamenti amministrativi
emanati dal Consiglio di Stato,
definito dall’art. 85 della Costituzione
come “supremo organo
esecutivo dello stato”11 . L’art.
56 della Legge sulla legislazione
prevede che “il Consiglio di Stato
emani regolamenti amministrativi
in accordo con la Costituzione
e le leggi nazionali”. La competenza
ad emanare norme regolamentari
è prevista in due casi: (a)
qualora una legge nazionale richieda
l’emanazione di regolamenti
attuativi; (b) nelle materie
per le quali l’art. 89 della Costituzione
stabilisce esservi una competenza
regolamentare del governo.
Analogamente a quanto previsto
dall’art. 52 per le leggi, si
prevede l’obbligo di pubblicazione,
che dovrà avvenire in questo
caso sulla Gazzetta Ufficiale del
Consiglio di Stato (Guowuyuan
gongbao). Manca cioè un’unica
sede di pubblicazione di tutti gli
atti normativi, continuando a creare
situazioni di confusione ed
incertezza per chi voglia conoscere
lo stato del diritto in una data
materia. Tale difficoltà, a cui gli
operatori economici stranieri sono
stati da sempre assai sensibili, è
stata oggetto di discussione anche
in sede di negoziato WTO. A
tal proposito, la Cina si è impegnata
a raccogliere in un’unica
pubblicazione ufficiale tutti gli atti
normativi riguardanti materie di
competenza della WTO12
d) Leggi locali, regolamenti
delle autonomie e regolamenti
speciali
Il Capitolo IV della Legge sulla legislazione
disciplina due importanti
fonti del diritto che hanno
acquisito nel processo di
modernizzazione del paese competenze
legislative sempre più
estese. Il moltiplicarsi delle fonti
e l’assenza di una disciplina che
ponesse in rapporto gerarchico
questa moltitudine di atti (che assumono
spesso diverse denominazioni:
decreti, regolamenti, regolamenti
provvisori, opinioni, decisioni,
comunicati, ecc.) rendeva
ancora più confusa una situazione
d’incertezza che concerneva la
normativa primaria. In particolare,
il conflitto tra norme locali e
norme statali centrali ha sempre
più spesso provocato gravi conflitti
tra poteri dello stato, soprattutto
tra organi centrali con sede
a Pechino e organi regionali o
municipali13 . La sovrapposizione
di norme emanate da diversi organismi
dello stato, in assenza di
chiare norme che ne stabilissero
la gerarchia, contribuiva in modo
significativo ad una rappresentazione
del diritto cinese come un
diritto dove la certezza del diritto
e la trasparenza degli atti
normativi risultava essere uno dei
punti di maggiore problematicità,
anche e soprattutto per gli operatori
economici stranieri che hanno
cominciato ad investire nel ‘paese
di mezzo’. Tra i più importanti
meriti della Legge sulla legislazione
vi è dunque quella di avere
chiarito per la prima volta la
posizione nel sistema delle fonti
delle norme locali, degli atti e regolamenti
di specifici ministeri o
Authority.
Il IV Capitolo si divide in due sezioni
distinte: nella prima vengono
disciplinate le leggi locali (difangxing falü), i regolamenti
delle autonomie (zizhi tiaoli) e i
decreti speciali (danxing tiaoli); la
seconda sezione definisce i ‘regolamenti’ (guizhang). L’art. 63 stabilisce
che le Assemblee popolari
e i Comitati Permanenti delle province,
delle regioni autonome e
delle municipalità poste direttamente
sotto il controllo del governo
centrale possono emanare
leggi locali il cui contenuto non
sia in contrasto con la Costituzione,
le leggi nazionali e i regolamenti
del governo. Il secondo
comma prevede che anche le Assemblee
popolari delle maggiori
città e i loro Comitati Permanenti
possano emanare leggi locali, ma
queste non devono essere in contrasto
né con le norme di livello
nazionale, né con leggi provinciali.
Inoltre, tali norme potranno
entrare in vigore solo dopo che
siano state approvate dal Comitato
Permanente a livello provinciale,
che assume quindi, analogamente
al suo omologo a livello
centrale, la funzione di organo di
controllo di conformità delle leggi
locali.
L’art. 66 disciplina la potestà normativa
degli organi di
autogoverno delle zone ad autonomia
etnica, secondo quanto
già previsto dalla sezione VI capitolo
III della Costituzione. Gli atti
normativi emanati dalle Assemblee
popolari delle regioni autonome
avranno efficacia solo dopo
essere stati approvati dal Comitato
Permanente dell’ANP, mentre
quelli emanati dalle prefetture
autonome (zizhizhou) e dai distretti
autonomi (zizhixian) dovranno essere approvati dal Comitato
Permanente a livello provinciale.
È importante notare che
l’art. 66 prevede espressamente
che il contenuto di una norma da
applicare in una zona abitata da
minoranze etniche (shaoshu minzu) possa discostarsi da una
legge nazionale o da un regolamento
amministrativo, ad eccezione
di norme che violino la Costituzione
o leggi e regolamenti
appositamente emanati dal governo
centrale in materie
d’autogoverno delle zone abitate
da minoranze. Un caso significativo
in questo senso sono le disposizioni
in materia di diritto di
famiglia, che nelle zone abitate a
maggioranza da popolazioni non
cinesi (cioè non hanzu) possono
trovare una disciplina che,
discostandosi dalle normative nazionali,
tenga conto delle
costumanze e delle situazioni socio-
economiche locali: ne è un
esempio la diversa applicazione,
nelle aree abitate da minoranze,
della legge sulla pianificazione
delle nascite, ovvero ‘del figlio
unico’, sancita addirittura da una
norma costituzionale (art. 25).
Pur continuando a sottoporre
ogni atto degli organi politicoamministrativi
autonomi ad uno
stretto controllo d’organi superiori,
che la legge chiarisca in dettaglio
lo spazio entro cui la potestà
delle autonomie può operare, è
un fatto comunque significativo,
soprattutto per una maggiore
incisività e trasparenza nella difesa
dei diritti delle minoranze
etniche. Quanto al principio di
trasparenza, è da seganlare che,
anche per tutti gli atti normativi
locali, la legge prevede modalità
di pubblicazioni obbligatorie (art.
70).
La sezione II del Capitolo IV disciplina
le norme amministrative
d’organismi nazionali e i regolamenti
amministrativi emanati dai
governi provinciali e locali. Per la
prima categoria di soggetti si devono
intendere gli atti emanati dai
ministeri del governo centrale (bumen), dalle commissioni (weiyuanhui), dalla Banca centrale
cinese (Zhongguo renmin yinhang), dagli organismi di controllo (shenji) e da ogni altro organismo
dotato di potere regolamentare
posto sotto il controllo
del Consiglio di Stato. Tali norme
sono gerarchicamente subordinate
a tutti i tipi di leggi, regolamenti
ed altri tipi di atti (fagui,
jueding, mingli) del governo centrale14 ;
esse trovano inoltre un
preciso limite di competenza ratio
materiae. In caso di competenze
concorrenti sarà il Consiglio di
Stato che si occuperà di coordinare i vari organismi, con la possibilità
di emanare regolamenti
amministrativi congiunti. Infine,
come per il governo centrale, anche
gli organi esecutivi a livello
locale (di provincia, regione autonoma,
municipalità sotto il diretto
controllo del governo nazionale
o delle maggiori città) possono
emanare regolamenti attuativi
allo scopo di implementare
leggi emanate dagli organi legislativi
di pari livello.
La Gazzetta Ufficiale del Consiglio
di Stato e la Gazzetta Ufficiale
del Governo del popolo (Renmin Zhengfu Gongbao), cioè
del l’organo esecutivo a livello
locale, sono rispettivamente responsabili
della pubblicazione dei
regolamenti ministeriali e delle
authority e dei regolamenti del
governo locale (art. 77).
e) Gerarchia delle fonti e conflitto
tra norme
Il Capitolo V chiarisce ulteriormente
la gerarchia delle fonti
scritte e il problema del conflitto
tra le norme. L’art. 78 stabilisce
che la Costituzione è superiore ad
ogni altro atto normativo. L’art.
79 prevede che le leggi nazionali
siano superiori ai regolamenti
amministrativi e alle leggi locali,
mentre i regolamenti amministrativi
del governo sono superiori a
leggi e regolamenti locali. L’art.
80 stabilisce che una legge locale
sia gerarchicamente superiore ad
un regolamento emanato da un
governo di pari od inferiore livello.
E le norme emanate dal governo
provinciale o della regione
autonoma sono da considerarsi
superiori a quelle emanate dal
governo delle maggiori città poste
sotto la loro giurisdizione.
L’art. 81 provvede a chiarire la
gerarchia delle fonti in due aspetti
molto importanti: (a) nel caso che
un atto emanato dagli organi di
una zona ad amministrazione
autonoma si ponga in contrasto
con una legge nazionale, un regolamento
amministrativo o una
legge locale, l’atto dell’organo
autonomo prevarrà limitatamente
a detta area; (b) le norme emanate
dagli organismi di governo
delle zone economiche speciali
prevalgono, in dette zone, sulle
leggi nazionali, sui regolamenti
amministrativi e sulle leggi locali.
L’art. 82 stabilisce invece che, in
caso di conflitto tra norme emanate
da diversi ministeri o tra norme
emanate da un ministero e da
un governo locale, esse avranno
la stessa autorità legale ed
ognuna prevarrà nel proprio ambito
di applicazione; lasciando
dunque ancora un certo margine
d’incertezza per potenziali conflitti
tra atti amministrativi secondari.
Più in generale, tra legge generale
e legge speciale e tra legge
anteriore e posteriore si prevede
che, nel caso di norme emanate
da un organismo di pari livello,
la legge speciale prevarrà su quella
generale, e quella posteriore
prevarrà su quella anteriore. Nel
caso si verifichi un conflitto tra
legge speciale anteriore e legge
generale posteriore e tale conflitto
non possa essere desunto dal
testo della nuova legge, sarà il
Comitato Permanente a emanare
una interpretazione della norma15 ;
mentre la competenza spetterà
al governo in caso di analoghi
conflitti tra regolamenti amministrativi
(art. 85). La legge
provvede anche a disciplinare in
dettaglio eventuali conflitti tra atti
normativi locali (art. 86).
Infine, degna di essere rilevata è
l’ambiguità del disposto dell’art.
84: se da una parte si prevede il
principio, ‘rivoluzionario’ per il
diritto cinese, che la legge non
dispone che per l’avvenire, dall’altra
suona sinistro che al secondo
comma sia previsto che, in casi
eccezionali, la legge possa avere
forza retroattiva, se ciò serva a
meglio proteggere diritti o interessi
di cittadini e persone giuridiche,
ma anche di organizzazioni
(leggi PCC).
MONDO CINESE N. 119, APRILE-GIUGNO
2004