1. Origini e storia dell'immigrazione cinese a Milano
La maggior parte (circa il 60-70%1 ) dei cittadini della Repubblica Popolare Cinese residenti a Milano proviene da piccoli villaggi rurali attorno alla cittadina di Yuhu, nel distretto di Wencheng, nella provincia dello Zhejiang. In misura minore (3040%, ibidem) sono presenti anche immigrati originari dei distretti limitrofi di Qingtian, Rui'an e Wenzhou-Ouhai. Qingtian e Wenzhou-Ouhai sono i distretti di origine del nucleo storico dell'immigrazione cinese in Italia, insediatosi a Milano nel corso degli anni venti. Una piccola percentuale - probabilmente meno del 10%2 - di cittadini cinesi residenti in provincia di Milano è invece il portato di due flussi migratori diversi. II primo interessa migranti provenienti dal circondario della città di Sanming, nel Fujian centrale, mentre il secondo vede coinvolti migranti originari del Nordest cinese, in particolare provenienti dalla provincia del Liaoning. Mentre nel caso dell'immigrazione fujianese si ha a che fare con un flusso migratorio dalle caratteristiche sostanzialmente analoghe a quelle dell'emigrazione dallo Zhejiang, rispetto all'immigrazione dal Nordest della Cina è ancora presto per capire se ci si trovi di fronte all'avvio di nuove catene migratorie, e dunque al consolidamento di un nuovo fenomeno migratorio, oppure ad un semplice colpo di coda internazionale, a carattere episodico, del disagio sociale diffuso nella Cina settentrionale3 . L'immigrazione dallo Zhejiang meridionale è invece saldamente radicata in Europa e in Italia4 . A Milano le prime presenze di cinesi dello Zhejiang, prevalentemente provenienti dal distretto di Qingtian, risalgono agli anni venti, quando alcuni giovani uomini cinesi giunsero in città dalla Francia in cerca di nuovi sbocchi per le proprie attività di commercianti ambulanti. Negli anni successivi alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese i flussi migratori dallo Zhejiang meridionale si affievolirono notevolmente: la Cina di Mao divenne virtualmente un paese chiuso, al punto che per molti cinesi parenti di emigranti divenne difficile anche solo mantenere contatti epistolari con i loro congiunti all'estero. Fu soltanto con l'avvio della nuova politica di "riforma e apertura" (gaige kaifang) inaugurata da Deng Xiaoping a partire dal 1979, che le catene migratorie ripresero vigore, inaugurando una nuova fase nelle migrazioni dalla Repubblica Popolare Cinese verso altri paesi.
Gli effetti della liberalizzazione economica e della ripresa dell'emigrazione contribuirono significativamente al rapido sviluppo dei maggiori centri della zona d'origine degli emigranti dello Zhejiang, in particolare della città di Wenzhou. Per gli abitanti dei piccoli qiaoxiang, i "villaggi degli emigranti", lontani dall'occhio del ciclone del rinnovamento economico, l'emigrazione divenne nuovamente un'opzione praticabile e valida per supplire alla locale carenza di opportunità di rapida ascesa socioeconomica, per quanto tale opzione rimanesse appannaggio pressoché esclusivo degli appartenenti a gruppi familiari con parenti all'estero disposti ad assumersi buona parte degli alti costi dell'impresa. Per questo motivo l'emigrazione dallo Zhejiang non si è mai trasformata in un esodo generalizzato: qui non si ha a che fare con "profughi economici" in senso stretto, bensì con persone che operano le proprie scelte nel quadro di strategie familiari di gestione del rischio e di miglioramento del proprio status socioeconomico. Come è stato evidenziato recentemente dal sociologo Li Minhuang5 , il riavvio dell'emigrazione dall'entroterra di Wenzhou è soprattutto il risultato della presenza di famiglie con parenti all'estero in un contesto contraddistinto da forte sviluppo economico, dove si riscontri un elevato grado di "deprivazione relativa" (xiangdui shiluo). Secondo tale prospettiva teorica, proposta negli anni ottanta dall'economista Oded Stark6 , le famiglie che mandano i propri membri all'estero non lo fanno soltanto per aumentare i propri redditi in termini assoluti, ma soprattutto per incrementarli in termini relativi rispetto a qualche altro gruppo di riferimento, dunque non in base alle proprie oggettive condizioni di povertà economica, quanto piuttosto in base alla percezione di sentirsi penalizzato dalle nuove dinamiche di distribuzione del reddito innescate dallo sviluppo economico. Per i cinesi residenti nei qiaoxiang dell'entroterra di Wenzhou il gruppo di riferimento erano, e sono tuttora, le famiglie che andavano rapidamente migliorando le proprie condizioni economiche nell'area cittadina di Wenzhou, ed il ricorso all'emigrazione venne reso possibile dall'innesco di fenomeni di catena migratoria avviati una volta che in tali villaggi la gente riprese ad emigrare secondo un pattern "parente chiama parente". Nel corso degli anni novanta acquistò slancio soprattutto l'immigrazione dalla Repubblica Popolare Cinese verso i paesi dell'Europa meridionale (Italia, Spagna e Portogallo), alimentata dagli specifici fattori di attrazione sviluppatisi a partire dal decennio precedente: l'avvio di "sanatorie" dell'immigrazione irregolare (in Italia negli anni 1986, 1990, 1995, 1998 e 2002), mentre nel contempo andavano irrigidendosi le procedure di regolarizzazione nei paesi meta dei flussi più consistenti fino agli ultimi anni ottanta (Francia e Olanda); il consolidamento di economie di nicchia all'interno di enclave socioeconomiche "etniche" e la possibilità di raccordare tali economie con la domanda di lavoro a bassa qualificazione espressa da mercati del lavoro fortemente segmentati7 ; la persistenza di un'ampia economia sommersa. In Italia, l'inserimento economico degli immigrati cinesi si è sviluppato in questo periodo soprattutto secondo due direttrici fondamentali: l'espansione della ristorazione cinese nelle maggiori città del Nord e del Centro Italia ed il progressivo radicamento delle imprese contoterziste cinesi nelle aree ad economia diffusa (sviluppo particolarmente importante nei distretti industriali dei tessile e della maglieria, a Prato-Empoli, a Carpi-Modena-Reggio Emilia, e negli ultimi cinque anni anche a Napoli-San Giuseppe Vesuviano).
2. Lo sviluppo demografico recente dell'immigrazione cinese a Milano
Oggi a Milano vive e lavora il 20% circa di tutti i cinesi presenti in Italia. Nel Comune di Milano, dove sono ormai presenti da almeno tre generazioni, i cinesi contano 10.919 residenti al 31.12.2002 e rappresentano la terza popolazione straniera per numerosità, dopo filippini ed egiziani, mentre a livello provinciale, con un totale complessivo di 12.476 residenti al 31.12.2001 (ultimo dato disponibile), sono la quarta, dopo filippini, egiziani e marocchini. Dati i tassi di incremento relativamente più contenuti delle presenze egiziane e marocchine nel contesto milanese rispetto alle due maggiori popolazioni immigrate asiatiche, nel giro dei prossimi cinque anni cinesi e filippini potrebbero contendersi il primato della minoranza di origine straniera più numerosa in città. Nella decade che va dal 1990 al 2000 la popolazione cinese nel Comune di Milano è più che quadruplicata, passando dai 1.867 residenti del 1990 agli 8.656 del 2000.
La popolazione cinese di Milano è in assoluto una delle popolazioni immigrate più equilibrate per quanto riguarda il rapporto maschi/femmine: la componente femminile si mantiene stabilmente attorno al 46-47%. II fatto che la componente minorile (i residenti nella fascia d'età 0-17 anni sono pari a 3.090 persone al 31.12.2002) superi il 28%, la percentuale più elevata rispetto a tutte le altre popolazioni immigrate di Milano, è un'ulteriore testimonianza di come la collettività immigrata cinese sia costituita in massima parte da famiglie. I ricongiungimenti familiari e la natalità incidono notevolmente sull'incremento complessivo della popolazione che si registra ogni anno, tanto che nel quinquennio 1997-2001 si sono registrati tassi di crescita assai elevati proprio nelle fasce d'età 1-4 anni e 10-19 anni (i figli), nonché 25-34 anni (i genitori). La classe d'età per la quale si è registrata la maggiore variazione positiva (+ 17%) rispetto al 1997 è in ogni caso quella dei 35-39 anni, che è solo in parte spiegabile con i ricongiungimenti: verosimilmente questo incremento è dovuto anche all'afflusso di parenti di secondo grado dalla Cina e da altri paesi europei successivamente alla sanatoria del 1998. Va ricordato che le pratiche di regolarizzazione presentate nel corso della sanatoria 2002 non sono ancora state portate a termine, e che una volta completato tale processo si registrerà un nuovo "boom" delle iscrizioni in anagrafe, come del resto è accaduto in seguito alle sanatorie precedenti. II fatto che un residente cinese su quattro sia un minore, e che uno su sette sia un minore in età scolare, dice molto sul potenziale di integrazione socioculturale della collettività cinese in città: per i giovani scolarizzati in Italia l'abbattimento delle barriere linguistiche e culturali è infatti uno sviluppo naturale e pressoché certo. La popolazione minorile in età scolare mostra peraltro tassi d'incremento mediamente superiori, seppure di poco, a quelli d'incremento della popolazione cinese residente complessiva, e ciò lascia supporre che, anche solo in virtù della crescita demografica all'interno della classe d'età 5-14 anni, la popolazione cinese "integrata" tenda ad aumentare più rapidamente di quanto non aumenti la popolazione cinese immigrata totale.
3. Carriera migratoria e strategie di mobilità socioeconomica dei cinesi di Milano
La carriera migratoria ideale di un immigrato cinese dello Zhejiang meridionale tende a conformarsi al tipico modello di mobilità economica e sociale per tappe progressive (da dipendente di un'impresa familiare cinese a titolare di una propria piccola impresa familiare, a proprietario di numerose imprese gestite da propri parenti) che ne struttura le aspettative e la progettualità. Questa "carriera migratoria tipo" si è tradotta in concreta strategia di inserimento economico nel corso degli anni ottanta ed i primi anni novanta, mentre ha conosciuto una crisi ed un processo di ridefinizione significativi negli ultimi cinque-sei anni. Fino alla metà degli anni novanta, infatti, sia gli immigrati entrati irregolarmente, sia quelli giunti in Italia con un ricongiungimento familiare, una volta a Milano venivano generalmente inseriti nell'impresa gestita dai parenti o amici che avevano pagato per il passaggio clandestino in Italia o che si erano industriati per rendere possibile il ricongiungimento. Costoro si facevano in sostanza carico delle prime necessità dei nuovi venuti, procurando loro vitto, alloggio e lavoro. Per ripagare il proprio debito, coloro che erano entrati illegalmente avrebbero lavorato gratuitamente per i propri sponsor fino all'estinzione dello stesso, operazione che in genere era possibile completare nell'arco di due o tre anni al massimo. A partire dalla seconda metà degli anni novanta, tuttavia, provvedere in modo completo alle esigenze di primo inserimento dei nuovi arrivati è divenuto sempre più difficile. La saturazione delle tradizionali economie di nicchia a gestione "etnica" (ristorazione e confezioni in conto terzi) ha costretto infatti molti di loro a cercare un impiego spesso precario e mal pagato, quasi sempre irregolare, presso altri datori di lavoro, cinesi o italiani. Se il datore di lavoro è cinese, e in particolare quando quest'ultimo non è un parente, il lavoratore appena arrivato lavora in nero fino all'avvio di una nuova sanatoria. Per avviare le proprie pratiche di regolarizzazione il lavoratore versa al proprio datore di lavoro una somma che, stando alle testimonianze raccolte, varia tra i 1.500 e i 3.500 euro. A quel punto il datore di lavoro avvia una pratica di assunzione regolare emettendo busta paga, ma richiedendo ai lavoratore di farsi carico completamente di tutti i contributi fiscali. In ogni caso, per molti imprenditori cinesi impiegare irregolarmente forza lavoro cinese, specie se clandestina, è un rischio notevole, acuito dall'intensificazione dei controlli da parte delle forze dell'ordine. Ciò si traduce in una relativa chiusura del mercato di lavoro "etnico" per i nuovi arrivati rispetto al passato: presso le agenzie informali di incontro tra domanda e offerta di lavoro che operano nel quartiere Sarpi (come il Club Zhejiang di via Messina) si offrono sempre meno opportunità per chi è qui da poco e si trova tuttora sprovvisto di documenti in regola, tanto che a queste persone restano solo i lavori meno qualificati e più precari. Di conseguenza, negli ultimi anni è cresciuto il numero di immigrati clandestini che trovano impiego presso esercizi italiani (nelle cucine di locali e ristoranti, all'interno di piccole fabbriche, in imprese edili e di pulizie, ecc.). Per i nuovi arrivati questi impieghi precari, duri e malpagati - tipicamente si tratta di lavorare come lavapiatti, nel caso degli uomini, o come sarta occasionalmente aggregata a questo o quel laboratorio, nel caso delle donne - dilatano a dismisura una fase di primo inserimento che fino a dieci anni fa era considerata soltanto una premessa di breve durata al radicamento nel tessuto produttivo locale.
Nel corso dei primi anni della sua permanenza in Italia, in cui gli imperativi fondamentali sono l'estinzione del debito contratto per emigrare e la ricerca di un'opportunità di regolarizzazione, l'immigrato cinese occupato in un'impresa gestita da connazionali idealmente tenta di apprendere tutto il possibile sul funzionamento dell'impresa, cercando di acquistare posizioni all'interno della sua gerarchia interna (passare da lavapiatti a aiutocuoco, nel caso del ristorante, o dal ruolo di lavorante generico a quello di addetto alle lavorazioni più fini nel caso del laboratorio), con l'obiettivo di accrescere il proprio capitale umano in termini di esperienza, sapere professionale, conoscenze culturali e linguistiche di base. Una volta estinto il debito e divenuto un percettore di reddito reale, l'immigrato utilizzerà tali risorse sia per coprire i costi dell'eventuale regolarizzazione, sia per finanziare la creazione di capitale sociale, prestando denaro ad amici e parenti che ne abbiano necessità. La rete delle guanxi (le relazioni privilegiate di reciprocità che costituiscono la trama del tessuto sociale
cinese8 ) così procurate gli permetterà, in seguito, di poter contare sulla riscossione dei crediti maturati nel momento in cui riterrà opportuno mettersi in proprio. Chi è deciso a mettersi in proprio, una volta individuato il tipo di impresa in cui investire, potrà attingere a tale rete per procurarsi rapidamente un capitale in contanti con cui finanziare almeno in parte il proprio progetto. Per quanto piccola l'impresa e per quanto ridotto il suo giro d'affari, essa rappresenta comunque agli occhi del neo-imprenditore il primo passo di un percorso che, grazie a una solida rete di guanxi, un po' di abilità e una buona dose di fortuna, potrà permettere alla sua famiglia di incrementare il proprio reddito e garantire al singolo di consolidare quello status di laoban ("padrone", in cinese) che rappresenta tuttora la meta precipua dell'esperienza migratoria per gli immigrati dello Zhejiang meridionale.
Nella seconda metà degli anni novanta, quel processo tradizionale di integrazione sociale che negli anni ottanta permetteva di cominciare come dipendenti di un proprio parente, ripagare il proprio debito nel giro di un paio d'anni, accumulare risorse materiali e sociali sufficienti per mettersi in proprio e in meno di cinque anni ritrovarsi titolari di una piccola attività, per molti immigrati cinesi ha finito dunque con l'avvitarsi su se stesso. In particolare per coloro che stentano a uscire dall'ambito economico ristretto e sempre più penalizzante della subfornitura, le alternative percorribili sono sostanzialmente quattro: spostarsi in un contesto economico più favorevole per la propria tipologia d'impresa (ad esempio le aree ad economia diffusa del centro e sud Italia, in Emilia, Toscana e Campania); investire in tipologie d'impresa diverse, assumendosi forti rischi; posticipare ulteriormente l'accesso al lavoro autonomo e optare per un periodo più o meno lungo di lavoro subordinato alle dipendenze di italiani, cinesi o altri stranieri; "tener duro" fino al raggiungimento della maturità dei propri figli, confidando nel loro capitale umano per poter rinnovare la propria impresa e migliorare la propria condizione.
4. L'evoluzione recente dell'enclave socioeconomica cinese a Milano
L'imprenditoria "etnica" cinese ha conosciuto quattro importanti nuovi sviluppi nel corso degli ultimi anni novanta e dei primi anni duemila:
- la crisi della lavorazione in conto-terzi nel campo del tessile e dell'abbigliamento;
- il boom dei servizi "etnici": supermercati, videonoleggi, barbieri e parrucchieri (abusivi), fotografi, gioiellerie, ambulatori (clandestini) e farmacisti, librerie, agenzie immobiliari, agenzie di viaggio, società finanziarie, phone-shop, trattorie e locali di svago (bar, club, discoteche) prevalentemente rivolti ad una clientela cinese; - la proliferazione dei negozi di commercio all'ingrosso che riforniscono gli ambulanti (cinesi e non);
- l'espansione, nell'ambito della ristorazione, di locali rivolti ad una clientela prevalentemente cinese o costituita da altri stranieri e la nascita di imprese "mimetiche": bar, pizzerie, rosticcerie italiane gestite da cinesi e rivolte ad una clientela multietnica, ma senza alcuna specifica connotazione cinese. Il principale datore di lavoro della popolazione cinese a Milano resta tuttora l'imprenditoria cinese e, come si evince in base ai dati riportati nella tabella seguente, tale imprenditoria è ancora in massima parte costituita da imprese legate alle tradizionali nicchie economiche iscritte nell'enclave socioeconomica cinese: laboratori di manifattura in conto terzi e ristorazione. Tuttavia, tanto questi settori quanto i settori emergenti, come il commercio all'ingrosso e al dettaglio, hanno conosciuto negli ultimi sei anni importanti mutamenti.
Il settore della lavorazione in conto terzi è oggi quello in cui le prospettive di sviluppo appaiono meno rosee: la contrazione accusata dalla produzione del settore tessile negli ultimi anni, specie nell'area milanese (dove il maggiore distretto tessile di riferimento è quello dell'Asse Sempione, nel Gallaratese), ha colpito duramente l'arcipelago dei laboratori. Le condizioni di vita e di lavoro delle famiglie attive in questo settore attualmente sono pessime. La necessità di trovare immobili adatti ad essere trasformati in laboratorio li spinge verso zone della città a bassa qualità residenziale, dove il costo del laboratorio stesso impedisce di prendere in considerazione l'affitto di un'ulteriore abitazione dove poter risiedere dignitosamente. Da un lato, il mercato privato dell'affitto esclude categoricamente i cinesi (e molti altri immigrati), a meno che non si tratti di affittare fabbriche dismesse, vecchie botteghe o scantinati. Dall'altro, il costo aggiuntivo di un'abitazione risulta proibitivo alla maggior parte delle famiglie, oberate dai debiti e dalla penuria di commesse. La scarsità delle risorse disponibili e la necessità di abbattere l'incidenza dell'affitto dei locali ha spinto molte famiglie a "consorziarsi": ad una famiglia in grado di procacciare le commesse se ne stringono attorno altre che non hanno da offrire altro che il proprio lavoro a buon mercato. Ciascun gruppo familiare costituisce formalmente una ditta individuale a sé stante, ma di fatto questo tipo di organizzazione del lavoro permette al laboratorio di rendersi disponibile per commesse ingenti da sbrigare in tempi strettissimi. È un sistema che assicura una certa competitività, ma è anche estremamente vulnerabile alle oscillazioni del mercato. Quando le commesse scarseggiano, i primi a pagare sono gli ultimi arrivati, ai quali la famiglia "procacciatrice" non distribuisce più lavoro. Ad essere coinvolte in questo tipo di imprese sono soprattutto famiglie in cui il capofamiglia lavora come dipendente di qualche altra ditta cinese o italiana: il lavoro consorziato viene dunque visto soprattutto come un modo per rendere produttiva la presenza della moglie e dei figli, che possono così contribuire al reddito familiare.
II settore dei servizi etnici è quello dove si concentra oggi la maggiore innovatività e che conserva tuttora buone prospettive di sviluppo. È stata proprio l'espansione di questo tipo di attività a donare, per la prima volta, una connotazione etnica visibile al quartiere Canonica-Sarpi, tradizionale "quartiere cinese" di Milano nel quale, però, la forte presenza cinese è rimasta a lungo in sordina, intuibile dal brusio delle macchine per cucire che si diffondeva dalle piccole botteghe con la vetrina oscurata disseminate nelle vie secondarie del quartiere. Ora molte di queste botteghe sono state riconvertite in negozi di vario genere, e alcune vie cominciano ad esibire una "cinesità" palese: via Messina, via Rosmini, via Giordano Bruno, via Bramante, via Lomazzo sono forse quelle in cui il fenomeno risulta più evidente. L'apertura dei primi servizi rivolti al soddisfacimento dei bisogni essenziali delle famiglie cinesi che vivono a Milano - cibo (ristoranti, bar, club, supermercati rivolti in primo luogo ad una clientela cinese), articoli ricreativi e di svago (libri, video, videogiochi) - ha innescato una reazione a catena: una volta creato un polo di servizi che, nel giro di pochi anni, si sarebbe confermato un punto di riferimento fondamentale per tutti i milanesi non solo di Milano, ma di tutta la Lombardia, il quartiere è divenuto inevitabilmente il luogo d'elezione per qualsiasi attività che si prefigga come target primario i cinesi. Nel quartiere si sono diffuse, più che in qualsiasi altra zona della città, anche le attività che, a partire dal 1998, hanno rappresentato la principale via di fuga dal laboratorio in conto terzi: i negozi di rivendita all'ingrosso di articoli da smerciare nei mercati (pihuodian, in cinese). Se i loro primi clienti furono gli ambulanti cinesi (abusivi e non), nel giro di un paio d'anni quegli stessi negozi - poco più di semplici magazzini con banco di rivendita, in realtà - sono divenuti importanti punti di riferimento per tutto il mondo della vendita ambulante milanese: oggi vi si riforniscono, oltre ai cinesi, anche numerosi ambulanti senegalesi, marocchini, bangladeshi, srilankesi, pakistani e italiani. II successo dei servizi etnici rivolti a cinesi e ad altri stranieri ha subito suscitato fenomeni di emulazione anche in altri quartieri di Milano a forte residenzialità cinese e straniera in generale, in particolare nel quartiere di via Padova - viale Monza. Infine, uno sviluppo nuovo e degno di nota è quello che ha caratterizzato la ristorazione, settore in cui si sono moltiplicati i locali destinati in particolare al soddisfacimento delle esigenze gastronomiche, di socialità e di ricreazione della popolazione cinese di Milano. Da un lato sono aumentate le trattorie che offrono piatti tipici della cucina dello Zhejiang meridionale, assai diversa da quella prevalente nei ristoranti rivolti alla clientela italiana, dall'altro sono nati locali con funzioni di "rappresentanza", spaziosi e sontuosamente arredati, adatti a fornire uno sfondo dignitoso a banchetti di nozze e cene di lavoro. Nelle vie più frequentate da cinesi dediti allo shopping nel weekend e il lunedì (giorno di chiusura dei ristoranti) sono sorti anche numerosi bar, club e sale giochi che sono il punto di riferimento per lo svago e la socialità soprattutto dei cinesi adulti. Altrettanto significativa è la comparsa di numerose imprese "mimetiche": locali che offrono beni e servizi tipici della ristorazione italiana (bar, pizzerie, rosticcerie) o rivolte ai consumi culinari di altre minoranze immigrate (in particolare quella peruviana), gestite da cinesi che parlano italiano o spagnolo e scarsamente connotate da caratteri identitari cinesi. Rientrano in questa categoria bar di quartiere frequentati soprattutto da pensionati italiani o da giovani immigrati di varia provenienza, rosticcerie e pizzerie in cui nulla, dalle pietanze al menù, fa supporre che la gestione e la cucina sia di completo appannaggio di immigrati cinesi. Sono cinesi anche buona parte dei gestori dei locali che offrono cucina giapponese, spesso in società con italiani o altri stranieri. Dagli ultimi lavori sul campo effettuati emerge anche come proprio in queste nuove imprese nell'ambito della ristorazione si realizzino sempre più spesso significative sinergie tra imprenditori cinesi e italiani, a testimonianza ulteriore di come, in questo particolare settore, la parziale fuoriuscita dalla struttura di opportunità tipica dell'enclave etnica si riveli sempre più spesso, per l'imprenditore cinese, un fattore determinante per il successo delle proprie ambizioni imprenditoriali.
TABELLA 1 -CITTADINI RESIDENTI E NUOVI NATI CINESI
NEL COMUNE DI MILANO:
SERIE STORICA 1984-2002
ANNO |
CINESI RESIDENTI |
VARIAZIONE % |
NUOVI NATI ISCRITTI IN
ANAGRAFE |
% SUL TOTALE DEI RESIDENTI |
VAR. % |
1984 |
500 |
- |
12 |
2,4 |
- |
1985 |
531 |
6,2 |
14 |
2,6 |
16,7 |
1986 |
577 |
8,7 |
17 |
2,9 |
21,4 |
1987 |
1055 |
82,8 |
35 |
3,3 |
105,9 |
1988 |
1490 |
41,2 |
33 |
2,2 |
-5,7 |
1989 |
1573 |
5,6 1984-1990 |
32 |
2,0 |
-3,0 |
1990 |
1867 |
18,7 273,4 |
52 |
2,8 |
62,5 |
1991 |
2437 |
30,5 |
54 |
2,2 |
3,8 |
1992 |
2793 |
14,6 |
85 |
3,0 |
57,4 |
1993 |
3055 |
9,4 |
83 |
2,7 |
-2,4 |
1994 |
3260 |
6,7 |
71 |
2,2 |
-14,5 |
1995 |
3548 |
8,8 |
115 |
3,2 |
62,0 |
1996 |
3853 |
8,6 |
183 |
4,7 |
59,1 |
1997 |
4915 |
27,6 |
143 |
2,9 |
-21,9 |
1998 |
6931 |
41,0 |
213 |
3,1 |
49,0 |
1999 |
7494 |
8,1 1990-2000 |
196 |
2,6 |
-8,0 |
2000 |
8656 |
15,5 363,6 |
266 |
3,1 |
35,7 |
2001 |
10271 |
18,7 |
256 |
2,5 |
-3,8 |
2002 |
10919 |
6,3 1984-2002 |
333 |
3,0 |
30,1 |
|
|
2083,8 |
|
|
|
Fonte: Anagrafe Comunale/Ufficio statistica del Comune di Milano
Tabella 2 Imprese cinesi iscritte alla Camera
di Commercio di Milano: anni 1995,1999,2002
Settori di attività |
valore asso-
luto |
1995 % |
% cumu-
labile |
valore asso-
luto |
1999 % |
% cumu-
labile |
valore asso-
luto |
2002 % |
% cumu-
labile |
Laboratori/confezioni di abbigliamento |
166 |
28,0 |
28 |
347 |
32,7 |
32,7 |
769 |
26,3 |
26,3 |
Ristorazione |
143 |
24,2 |
52,2 |
278 |
26,2 |
58,9 |
777 |
26,6 |
52,9 |
Commercio al detaglio |
27 |
4,6 |
56,7 |
60 |
5,7 |
64,6 |
601 |
20,5 |
73,4 |
Laboratori/produzione di borse in
pelle, tela, plastica |
162 |
27,4 |
84,1 |
211 |
19,9 |
84,5 |
238 |
8,1 |
81,5 |
Commercio all'ingrosso |
26 |
4,4 |
88,5 |
90 |
8,5 |
93,0 |
266 |
9,1 |
90,6 |
altro |
68 |
11,5 |
100,0 |
74 |
7,0 |
100,0 |
275 |
9,4 |
100,0 |
di cui: attività immobiliari |
n.d. |
|
|
n.d. |
|
|
23 |
0,8 |
|
costruzioni |
n.d. |
|
|
n.d. |
|
|
15 |
0,5 |
|
trasporti/attività ausiliarie del trasporto |
n.d. |
|
|
n.d. |
|
|
14 |
0,5 |
|
informatica/internet point |
n.d. |
|
|
n.d. |
|
|
10 |
0,3 |
|
stampa/tipografia |
n.d. |
|
|
n.d. |
|
|
6 |
0,2 |
|
Totale |
592 |
100,0 |
|
1060 |
100,0 |
|
2926 |
100,0 |
|
Fonte 1995: elaborazioni Synergia su dati infocamere relativi alle imprese individuali e alle società di persone con titolare cinese iscritte come attive alla C.C.I.A.A. di Milano al 31.12.1995. Fonte 1999: elaborazioni Synergia su dati infocamere relativi alle imprese individuali e alle società di persone con titolare cinese o soci cinesi iscritte come attive alla C.C.I.A.A. di Milano al 31.3.1999. Fonte 2002: elaborazioni Area Ricerca Formaper su dati infocamere al 31.12.2002.
N.B. Nelle elaborazioni effettuate dall'Area Ricerca Formaper si sono conteggiati tutti gli imprenditori cinesi titolari di imprese o soci all'interno di società di capitali, di persone e cooperative, incrociando tale dato con quello della forma giuridica e del settore d'attività delle imprese. Ciò porta a contare la stessa persona più volte qualora il medesimo imprenditore fosse titolare di, o partecipi a, più società. Per questo motivo i dati presentati rappresentano una sovrastima del numero effettivo di imprenditori cinesi. Inoltre, i dati fanno riferimento a tutte le imprese iscritte presso la C.C.I.A.A. di Milano al 31.12.2002, non soltanto a quelle attive. Per questo motivo quest'ultima tabella va considerata soltanto indicativa dell'incidenza percentuale dei diversi settori d'attività e della propensione all'imprenditorialità degli immigrati cinesi in tali settori.
MONDO CINESE N. 117, MAGGIO-AGOSTO 2004
Note
1 Cfr. Cologna D., Farina P, (1997), "Dove si infrangono le onde dell'oceano ci sono cinesi d'oltremare", in Farina P, Cologna D., Lanzani A., Breveglieri L., Cina a Milano.
Famiglie, ambienti e lavori della popolazione cinese a Milano, Milano, Abitare Segesta, pp. 17-57; Cologna D. (a cura di), (2002), La Cina sotto casa. Convivenza e conflitti tra cinesi e italiani in due quartieri di Milano, Milano, Franco Angeli.
2 I dati raccolti nel corso delle ricerche coordinate da chi scrive nel 2001 e nel 2002 indicano un'incidenza percentuale delle persone originarie del Fujian e del Dongbei nell'ordine dell'1,5-2%, ma tale incidenza è probabilmente maggiore in altri contesti italiani, in particolar modo quello toscano. Cfr. Cologna, 2002, cit.; Cologna D., Breveglieri L., (a cura di), (2003), I figli dell'immigrazione. Ricerca sull'integrazione dei giovani immigrati a Milano, Milano, Franco Angeli; Cologna D. (a cura di), (2003),
Asia a Milano. Famiglie, ambienti e lavori delle popolazioni asiatiche a
Milano, Milano, Abitare Segesta; Colombo M., Marcetti C., Omodeo M., Solimano N. (1995),
Wenzhou-Firenze. Identità, imprese e modalità di insediamento dei cinesi in
Toscana, Firenze, Angelo Pontecorboli Editore; Ceccagno A., (2003), Migranti a Prato. II distretto tessile
multietnico, Milano, Franco Angeli.
3 Per maggiori informazioni su questi due flussi migratori di più recente formazione, cfr. Ceccagno, 2003, cit.; Cologna, 2003, cit..
4 Cfr. Benton G., Pieke EN. (a cura di), (1998),
The Chinese in Europe, London, Macmillan; Farina et al., 1997, cit.; Campani G., Carchedi F, Tassinari A.(a cura di), (1997),
L'immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli; Ceccagno A., (1998),
Cinesi d'Italia, Milano, Manifestolibri; Nyíri P. (1999), New Chinese Migrants in Europe. The Case of the Chinese Community in
Hungary, London, Macmillan.
5 Li Minhuang, (1999), [pubblicazione in lingua cinese] `Xiangdui shiluo' yu 'liansuo xiaoying': guanyu dangdai Wenzhou diqu chuguo yimin chaode fenxi yu sikao" ("'Privazione relativa' e 'catena migratoria': elementi di analisi e di riflessione in merito al flusso migratorio dal territorio di Wenzhou verso l'estero"), in
Shehuixue Yanjiu, N. 5/1999, pp. 83-93.
6 Cfr. Stark O., Taylor J.E. (1989), "Relative deprivation and international migration ",
Demography, Voi. 26, N. 1, pp. 1-14.
7 Sui concetti di "mercato segmentato", "economie di nicchia" e "enclave socioeconomica etnica", cfr. Piore M., (1979),
Birds of Passage. Migrant Labour and Industrial Societies, New York, Cambridge University Press.; Portes A., Bach R.L., (1985),
Latin Journey: Cuban and Mexican Immigrants in the United States, University of California Press, Berkeley-Los Angeles; Zhou M., (1992),
Chinatown. The Socioeconomic Potential of an Urban Enclave, Philadelphia, Tempie University Press.
8 cfr. Yang M.M., (1994), Gifts, Favour and Banquets: the Art of Social Relationships in
China, lthaca, Cornell University Press.
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