ISulle colline fiorentine, ai piedi di Fiesole, nella bella villa rinascimentale oggi sede del centro studi della CISL, si è svolto, dal 14 al 16 novembre, il Terzo congresso della Società Italiana delle Storiche. Convegno che quest'anno è stato particolarmente ricco, perché ha voluto ospitare non solo contributi delle socie, ma anche di numerose studiose provenienti da diverse istituzioni nazionali e internazionali. L'intento è stato di dar vita ad un appuntamento che fosse occasione di confronto, di analisi, di riflessione sullo stato dei lavori del gender study in Italia e all'estero. Nelle tre giornate dense di interventi, tavole rotonde, seminari e workshop, studiose di diverse discipline si sono confrontate su temi comuni, ricerche e metodologie, fonti, materiale d'archivio, tessendo un lungo racconto di biografie individuali, memorie collettive, di momenti storici o di percorsi politici, di opere letterarie o dibattiti culturali, di trasformazioni sociali o cambiamenti economici, con cui ripercorrere le tappe principali della storia di genere.
Un convegno dove per la prima volta sono state rappresentate aree distanti, geograficamente e culturalmente, come l'Asia centrale, meridionale e la Cina; culture, storie, identità di genere queste non affrontate abitualmente dalle studiose della Società Italiana delle storiche e dagli studi femminili in Italia. Due panel, quindi, inseriti nel più ampio scenario di storia femminile, che hanno completato quella mappa, geografica e storica, solitamente tratteggiata in modo dettagliato in appuntamenti di questo tipo. Due panel, occasione di dialogo tra discipline diverse su temi comuni, non solo su l'identità, o le identità femminili letterario, sociale, politico e culturale, nel loro definirsi diacronico e sincronico, ma quello dell'identità femminile, e un confronto condotto da ottiche diverse all'interno degli stessi panel.
I due panel asiatici sono, infatti, stati animati da studiose di diverse discipline che hanno fornito chiavi di lettura peculiari di complessi e duraturi processi storici e soggettivi. Nel caso del panel sull'Asia centrale e meridionale, le realtà geografiche e storiche assai distanti e distinte (Pakistan, Bangladesh, India musulmana, Iran e Afghanistan) sono state tenute insieme dal filo conduttore di un'identità islamica che tiene uniti contesti nazionali assai diversi. Daniela Bredi ha sinteticamente e sapientemente ripercorso l'affermazione di un'identità nazionale, quella dei musulmani d'India, durante il XIX e XX secolo, sottolineando il costante richiamo ad un'affermazione di un'identità femminile che, con il tempo, ne ha assunto il ruolo di principale custode (processi non dissimili da quelli verificatisi in Cina alla fine della dinastia Qing). Di altro tipo è stato il percorso segnato da Enrica Giordano che ha, invece, interpretato la condizione legale e giuridica delle donne in Iran, attraverso l'analisi di testi di diritto civile e penale, alla luce del loro evolversi diacronico, dalla rivoluzione islamica all'inizio del '900 al tramonto del XX secolo. Anna Vanzan ci ha riportato, invece, a questioni legate alla nostra più vicina contemporaneità, tracciando a grandi linee la condizione della donna nell'Afghanistan della guerra civile, e soffermandosi in particolare modo sul dinamismo e sulle attività dell'associazionismo femminile, quello delle donne Hazara nello specifico, nell'attuale realtà dell'Afghanistan postbellico.
Anche all'interno del panel sulla condizione femminile nella Repubblica popolare cinese, cui ho partecipato come discussant, le specificità e le competenze delle quattro relatrici hanno permesso un confronto complessivo. La scelta della coordinatrice, Maria Clara Donato, infatti, è stata di limitare il campo dell'indagine ai recenti anni di storia cinese, non attraverso un divenire diacronico bensì attraverso l'esame di alcune questioni cruciali della realtà del paese. Le trasformazioni sociali, economiche, culturali scaturite dalla politica di apertura, lanciata da Deng Xiaoping alla fine degli anni Settanta, hanno provocato, e continuano a innescare, conflitti e contraddizioni anche all'interno delle esistenze femminili. I quattro interventi hanno tentato di fornire alcune chiavi di lettura atte ad interpretare una realtà complessa e in continua trasformazione, come quella cinese. La Donato ha inaugurato la sessione con un intervento dal titolo, Dal maoismo al
post-denghismo: profili di identità femminili, in cui ha tracciato, per un pubblico non specialista, le tappe storiche e politiche dei traguardi raggiunti dalla donna cinese sotto la guida del partito comunista. Processi storici, abitudini di vita, direttive politiche, riforme economiche e opere letterarie sono stati gli strumenti con cui la Donato ha esaminato e discusso, in una rilettura, soggettiva e originale, la pluralità di 'fisionomie femminili' nella loro definizione di identità e di alterità all'interno dell'attuale discorso nazionale.
II campo d'indagine si è poi spostato su una delle questioni più attuali e dibattute della Cina contemporanea: il sistema giuridico e la sua attuazione. Marina Timoteo, nel suo intervento Donne e diritti nella Cina
post-maoista, ha analizzato le recenti normative su diritto di famiglia e diritti delle donne (nel 1992 fu varata la "Legge per la tutela dei diritti e degli interessi delle donne") sottolineando come le peculiarità, e contraddizioni, del sistema legale cinese, causino tutt'oggi delle idiosincrasie tra principi legali e prassi quotidiana, tra modernità e tradizione, tra sistema giuridico e sistema familiare, eredità questa di un passato ancora presente. II ruolo di tutela e di gestione di una quotidianità individuale svolto dalle vecchie danwei, è passato nelle mani della famiglia che ha riassunto il suo ruolo di detentrice di un'autorità privilegiata, anche in materia di diritto e di tutele, relegando così lo stato di diritto ad una sfera formale più che individuale. II prezzo pagato dalle donne, all'interno della famiglia e della società, è ancora molto alto.
E di prezzo pagato, anche se da un'ottica completamente diversa, si è parlato anche nell'intervento di Patrizia Farina, Politica demografica e sua applicazione: i costi pagati dalle donne. Patrizia Farina ha affrontato, con grande competenza, un altro aspetto fondamentale della realtà cinese, la questione demografica e la politica del figlio unico. In un bilancio dei risultati raggiunti, attraverso una lettura critica di dati e statistiche, la Farina ha sottolineato non solo i pericoli e i danni di una pianificazione demografica di questo tipo, ma anche, e soprattutto, i sacrifici che la donna cinese, e non solo lei, è stata costretta a fare, e che dovrà fare, in termini di autodeterminazione, e di affermazione della propria individualità soggettiva. Una politica che ha scardinato, leso, il ruolo della donna, sia quello di madre, di moglie o di donna.
Ha concluso la giornata l'intervento di Alessandra Aresu, la quale, nel suo intervento Genere, differenze di genere ed educazione sessuale nella Repubblica popolare cinese, ha presentato materiale di recente pubblicazione, utilizzato dalle autorità ufficiali per le campagne informative, nelle scuole e nelle università, per informare, 'educare', i giovani in materia di rapporti
pre-matrimoniali, sessualità e amore. Nella lettura fornita dall'Aresu sembra si vogliano recuperare un patrimonio tradizionale che vede la donna detentrice di 'moralità' e valori etici da contrapporre ai rapidi cambiamenti nei costumi sociali e sessuali dei giovani cinesi, lettura che, a mio dire, però, non è così lineare.
Gli interventi si sono conclusi a tarda sera, limitando, purtroppo, il dibattito che sarebbe potuto scaturire da analisi e riflessioni così ricche di sollecitazioni, l'auspicio è che in futuro si assista ancora ad 'intrusioni' e confronti di questo tipo.
MONDO CINESE N. 117, MAGGIO-AGOSTO
2004