RAPPORTI
Gao Xingjian, la scelta della solitudine e della "marginalità"
di Lina Tamburrino
Quando è apparso in italiano La montagna dell'anima1, l'attenzione dei critici si è concentrata sulla biografia di Gao Xingjian, l'autore al quale nel 2000 è andato il riconoscimento del premio Nobel per la letteratura: una biografia segnata anzi devastata dal controverso rapporto con il potere, dal sospetto e dalla repressione che ha toccato la sua punta massima con la rivoluzione culturale. Questo secondo romanzo autobiografico II libro di un uomo solo, nella traduzione efficace e limpida di Alessandra C. Lavagnino, offre ora un'affascinante e inedita occasione di seguire dal di dentro il procedere della sofferenza e del deperimento esistenziale del protagonista2. Il libro è di lettura molto impegnativa: è corposo; ha una struttura interamente giocata su due scansioni temporali e stilistiche, con la seconda persona, il 'tu', che descrive il presente e la terza persona, il 'lui', che rivive il passato; ha un approccio per niente tradizionale e del tutto inatteso nel ricostruire la rivoluzione culturale. Nel racconto, passato e presente, ricordi della lontana vita cinese e scavo quasi psicanalitico nelle emozioni e nelle ossessioni del presente si alternano in due linguaggi letterari diversi. II linguaggio dei ricordi è come appartato, pianeggiante, spoglio, qualche volta incolore. II linguaggio dell'oggi ha la sinuosità e l'inventiva di un testo letterario scritto seguendo canoni occidentali. Ma grazie all'accurata traduzione, il lettore non trova noia o pesantezza nell'incrocio di questo doppio registro letterario. Gao ha lasciato la Cina nel 1987 scegliendo nel 1988 di vivere a Parigi e acquisendo la cittadinanza francese nel 1998. Nella maggioranza dei casi l'esilio è costato ai politici e agli intellettuali cinesi una perdita secca di radici, di senso, di ispirazione. Per Gao non é stato così. Gli anni dell'abbandono del suolo natio non hanno affatto spento o ridotto la sua capacità creativa. AI contrario. Ma il rapporto con il passato è stato da lui vissuto in maniera radicalmente differente da come lo hanno vissuto gli scrittori che negli scorsi decenni si sono cimentati in Cina con le proprie esperienze di vittime della rivoluzione culturale3. Di questi autori abbiamo letto il grido di dolore e di orrore contro le angherie, le ingiustizie e la violenza anche mortale prodotte da quell'universo concentrazionario. La denuncia è così diventata il codice interpretativo esaustivo delle modalità esistenziali di almeno due generazioni di autori, non sempre sfuggiti al rischio dello stereotipo dei vittimismo. Gao invece è stato in grado di rielaborare in maniera possente la sua esperienza passata, inserendola in una robusta struttura letteraria e travasandola in questa autobiografia di uomo solo: una esperienza dolorosa, che è però la 'sua' esperienza, qualcosa dunque che ha contribuito a formarlo così come è oggi, qualcosa che l'autore - il 'tu' e il 'lui'- non intende allontanare da sé, anzi vuole proteggere, mantenere, anche se il risultato è una profonda, irrimediabile solitudine. Una esperienza infine che Gao ha usato come un grimaldello per accedere alla sensibilità e alla attenzione dell'Occidente. Anche attraverso il sesso. Con un risultato per lui deludente. Le donne che il 'tu' narrante incontra nel suo errare per città europee o in Australia, e dalle quali è attratto, secondo lo stereotipo della donna occidentale alimentato fuori dall'occidente, sono capricciosamente instabili e insoddisfatte. Con loro non c'è possibilità di intesa; anche il sesso non è soddisfazione e gioia - pur se di breve durata; è l'incontro di due distrazioni, quella delle donne, annoiate dalla storia personale dell'amante e quella dell'amante, perso in elucubrazioni forse troppo intellettualistiche. Tutto allora si riduce a un puro gioco di esplorazione del corpo, di contatto fisico, in qualche momento al limite della pornografia. Ci sono pagine di questa parte del romanzo che probabilmente meno procureranno emozioni a un lettore occidentale per un certo preziosismo artificioso nella trama di parole che si viene costruendo tra l'autore e le sue interlocutrici. II libro sfata la 'vulgata' secondo la quale la rivoluzione culturale è stato un universo concentrazionario bigotto e sessuofobico, senza sesso. Che ci fosse sesso - che molto spesso era però solo stupro - ce lo avevano raccontato già altri scrittori cinesi, da Mang Ke a Feng Jicai a Dai Sijie, un sesso di pura sopravvivenza, occasionale nella sua più intima essenza. Nella vita dell’‘uomo solo' il sesso è continuamente presente; è possibile farlo; le donne sono intraprendenti; il protagonista ha una impegnativa relazione con una donna sposata a un uomo importante, conosce ragazze, delle quali spesso non sa neppure il nome, le frequenta fugacemente. C'è una ingordigia reciproca, ma senza soddisfazione. II corpo delle donne si offre, ma è di ghiaccio, paralizzato dalla paura, la paura di essere scoperte e quindi costrette a affrontare le conseguenze di regole e vincoli terribilmente sessuofobici. II corpo dell'uomo è pieno di desiderio, ma anche esso paralizzato dall'abisso tra questa ricerca sessuale di breve durata e il peso dei rischi e dei fantasmi della propria esistenza. Per avere un ruolo da eroe coraggioso che lo protegga dalla violenza, dall'arbitrio, dalla insensatezza, dalla incertezza anarchica e capricciosa, il 'lui' ha escogitato uno stratagemma: ha messo su con pochi compagni e amici un piccolo gruppo di guardie rosse e di rivoluzionari radicali. Una volta ottenuto, il riconoscimento 'ufficiale' dell'autenticità rivoluzionaria avrebbe agito come formidabile arma di difesa, di protezione, di reazione contro la prepotenza degli altri gruppi di guardie rosse o contro l'arbitrio delle istituzioni ufficiali continuamente e in modo scoordinato impegnate nella verifica dei tassi di radicalismo e di lealtà alla rivoluzione. II 'lui' ha dunque architettato una 'finzione salvifica'; ha messo quella che Gao definisce 'una maschera' ma non è stato il solo. Altri hanno fatto lo stesso quando per proteggersi hanno cambiato il proprio nome o hanno corretto la propria biografia cancellando avvenimenti, modificando la scansione temporale della propria vita. Ma se per salvare l'esistenza si finge la nascita di un nuovo gruppo di guardie rosse o un certo nome piuttosto di un altro, come escludere che l'universo delle 'finzioni' e delle 'mascherature' possa allargarsi all'infinito, che altri gruppi 'finti' possano nascere, che la stessa rivoluzione culturale possa essere una enorme maschera? E se così fosse, non sarebbe terribile correre pericoli tremendi, rischiare la vita per quelle che sono solo delle 'finzioni'? E poi che cosa corrompe le coscienze più della menzogna senza la quale è impossibile sopravvivere? È stato questo il guasto tra i più profondi prodotti dalla rivoluzione culturale. E sembra di capire che sia questo il fantasma che tormenta Gao e contro il quale non servono gli esorcismi del sesso, la paura è più forte di tutto, anche dei sentimenti e la moglie infatti abbandona il 'lui' raggiunto nel villaggio dove è stato spedito come insegnante. II tumultuoso fiume dei ricordi, dell'ieri e dell'oggi, si acquieta alla fine - come si è già detto - in una solitudine irrimediabile, impossibile da scalfire. Ieri e oggi, il protagonista non ha amici, gli altri sono ombre che passano per un momento, larve dalle quali non ci può aspettare niente. Ma Gao non ha paura di questa solitudine; lontano ormai dalla Cina, il 'tu' di oggi la vive come il segno di una indipendenza e di una libertà totali, come la fine di ogni forma di subordinazione al partito, alle ideologie, alle mascherature, al marxismo e a tutti gli altri 'ismi', come un segno di autenticità e di riappacificazione con se stesso. Non solo di questo si tratta, però. Durante la rivoluzione culturale tutti avevano una parte assegnata e un ruolo da svolgere; si era costretti a essere sempre molto visibili sul palcoscenico della vita e della lotta politica. Oggi Gao preferisce qualificarsi come 'un osservatore che vive ai margini della società', libero da ogni rischio di 'manipolazione'4. La sua è la definitiva dichiarazione di morte di ogni forma di 'impegno' dell'intellettuale, una categoria che aveva sostanziato la politica culturale di Mao Zedong e autorizzato le violenze della rivoluzione culturale. Una categoria del resto che ha fatto il suo tempo anche nella cultura europea (e non solo di sinistra). Ma nel mondo occidentale nessun intellettuale accetterebbe mai di svolgere un ruolo di 'osservatore ai margini'. Peccato dunque che dopo la assegnazione del Nobel per la letteratura non ci sia stato nei punti alti della cultura europea, negli Stati Uniti, a Hong Kong, un dibattito profondo sulla produzione letteraria di Gao Xingjian, sulle ragioni più diverse che hanno portato nelle varie parti del mondo a una divaricazione profonda tra società sempre più disarticolate e l'opera degli intellettuali. O forse questo dibattito c'è stato, ma con scarsa pubblicità.
MONDO CINESE N. 116, LUGLIO-SETTEMBRE 2003
Note
1 Gao Xingjian, La montagna dell'anima, traduzione di Mirella Fratamico, Rizzoli, Milano, giugno 2002, 4 edizioni. 2 Gao Xingjian, Il Libro di un uomo solo, traduzione di Alessandra C. Lavagnino, Rizzoli, Milano, maggio 2003. Nel settembre del 2001, Lavagnino aveva già tradotto, sempre di Gao Xingiian e sempre per Rizzoli, il libro di racconti Una canna da pesca per mio nonno. Sui temi della rivoluzione culturale c'è da segnalare anche l'uscita, nel maggio scorso e ancora presso la Rizzoli, del libro di Deng Rong, figlia di Deng Xiaoping dal titolo Deng Xiaoping e la rivoluzione culturale (traduzione di Yuan Huaqing). Nel testo viene ripercorsa la vicenda della famiglia Deng dalle prime fasi, nel maggio del 1966, della rivoluzione culturale alla riabilitazione definitiva del leader nel luglio del 1977 con il reintegro in tutti i suoi incarichi politici e di governo. 3 Tra gli anni ottanta e i primissimi anni novanta si è sviluppata in Cina la cosiddetta 'letteratura della ferita', testimonianze degli intellettuali che erano stati presi di mira, inviati nelle campagne, rinchiusi in carcere. Molte di queste opere sono state tradotte fuori Cina. Alcune anche in Italia, come i romanzi di Acheng, uno scrittore che aveva scelto la via dell'esilio ma che da qualche anno è rientrato nel suo paese. Tra le numerose opere tradotte in inglese, segnaliamo Feng Jicai, Voices from the Whirlwind, Pantheon Books, New York 1991. 4 Gao Xingjian, Il libro di un uomo solo, op.cit., p.173.
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