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INDICE>MONDO CINESE>IL SISTEMA FISCALE CINESE: CARATTERISTICHE E LINEE EVOLUTIVE

ECONOMIA E DIRITTO

Il sistema fiscale cinese: caratteristiche e linee evolutive

di Giovanna Costa

1. Introduzione

Sebbene l'attuale sistema fiscale cinese sia il prodotto del susseguirsi di riforme attuate a partire dai primi anni ottanta, non appare esagerato affermare che la tassazione in Cina é vecchia quasi quanto la Cina stessa: tracce di un'imposta sulla terra risalgono, infatti, al sedicesimo secolo avanti Cristo.
Dopo la fondazione della Repubblica Popolare, tra i primi atti della nuova leadership vi fu quello di istituire, nel novembre 1949, una Conferenza Nazionale per la Tassazione. Tale istituzione formulò i dodici articoli delle c.d. Disposizioni Principali per l'Implementazione dell'Amministrazione Fiscale Nazionale.
Nella fase iniziale la struttura fiscale ruotava attorno a quattro importanti imposte: le imposte industriali e commerciali (denominazione che racchiudeva in sé un numero di imposte indirette, accise, licenze varie e l'imposta sugli affari), i dazi doganali, l'imposta sull'agricoltura e la tassa sul sale.
Sebbene la teoria prevalente considerasse inutile il sistema fiscale in un paese a matrice socialista e spingesse verso una drastica semplificazione dello stesso, tale semplificazione fu più apparente che reale: lo dimostra l'ideazione dell'imposta consolidata industriale e commerciale il cui funzionamento si basava su un numero vastissimo di categorie, sottocategorie e aliquote1. La tassazione divenne strumento di indirizzo economico: l'imposta sul reddito industriale e commerciale fu l'unica imposta sui profitti economici e, con gli emendamenti del 1963, gravò in maniera consistente sulle attività private allo scopo di scoraggiarle; mentre le imprese statali rimanevano fuori dalla sfera d'azione del tributo.
Questo il quadro che si presentava al volgere degli anni settanta, un quadro che spinse un commentatore ad affermare nel 1979 che il sistema fiscale cinese, in sostanza, non era mutato negli ultimi vent'anni.2
Ciò che era mutato, invece, era il contesto economico e, con esso, il ruolo che avrebbe giocato il sistema fiscale della nazione.
Com'è noto, con la politica delle "Quattro Modernizzazioni" e la fine della rivoluzione culturale, un nuovo set di manovre economiche fu adottato dal Governo cinese nell'intenzione di introdurre le forze di mercato nell'economia e di ridurre la pianificazione centralizzata. La nuova politica si mosse in due direzioni: aprire l'economia al mondo esterno e riformare il sistema economico nazionale. Tale strategia politica era un richiamo alle imprese straniere, invitate ad investire in Cina portando con sé capitali, competenze e tecnologie. Fiscalmente tale evento ebbe due risvolti: da un lato la necessità che tali imprese contribuissero alle finanze cinesi pagando le imposte, dall'altro lato che il regime fiscale destinato alle imprese estere fosse sostanzialmente differenziato dalla disciplina domestica soggetta al piano economico. I cambiamenti radicali degli anni ottanta ebbero come minimo comune denominatore la stabilizzazione di un sistema fiscale sempre più efficiente ed adatto alle nuove esigenze dell'economia. Fu ripensata l'imposta commerciale ed industriale, fu introdotta un'imposta sui redditi delle persone fisiche e furono proclamate le prime leggi sulla tassazione dei redditi applicabili alle joint venture sino-estere e alle altre realtà straniere che operavano in Cina. Uno speciale regime fu studiato per le imprese estere collocate in determinate aree3. La Cina concluse inoltre molteplici trattati bilaterali per evitare le doppie imposizioni e per prevenire l'evasione fiscale.
In questo periodo si registrarono, altresì, i maggiori cambiamenti nell'ambito della tassazione delle imprese statali. Dal 1983, fu posta nuova enfasi al problema della riforma del settore statale, con il passaggio dal sistema di trattenimento del profitto4 ad un sistema di tassazione vero e proprio. Ma è tra il 1991 ed il 1994 che il governo cinese si rende artefice di un'imponente riforma fiscale.
Tale riforma ha rappresentato un passo importantissimo all'interno di quel fenomeno di "ricentralizzazione selettiva"5 di cui si fece portavoce Zhu Rongii nella prima metà degli anni novanta6. Instaurando una sorta di federalismo fiscale (fen shui zhi), la leadership ha perseguito lo scopo di razionalizzare il controllo sulle uscite finanziarie a tutti i livelli in linea con la divisione dei poteri amministrativi tra enti centrali e locali7. La nuova modalità di tassazione prevede che le imposte siano divise nelle tre categorie di imposte centrali, locali e condivise; la riscossione e l'amministrazione delle stesse è affidata ad un sistema a doppio binario di agenzie centrali e locali. Tale sistema ha sostituito il vecchio metodo di divisione del gettito tra governo centrale e autorità locali che si basava sulla negoziazione annuale delle risorse fiscali. L'implementazione del federalismo fiscale ha positivamente mutato le modalità di ripartizione del gettito e ha cambiato le interrelazioni tra centro e periferia: il fatto che molte imposte sono raccolte e ridistribuite dal centro alle periferie, ha aumentato fortemente la dipendenza delle province dal governo centrale. Ad oggi, però, sussistono ancora problemi connessi al potere decisionale delle province che spesso, pur rimanendo nella sfera di azione delle imposte di loro competenza, non hanno sufficienti possibilità di manovra. A queste problematiche si collega quindi un universo di gabelle parallele di tipo informale e non autorizzato le quali, in certe province, diventano le principali voci delle risorse "fiscali" locali.
Infine, la riforma degli anni novanta si distingue per essere stata una tappa decisiva nel processo di progressiva eliminazione delle differenze che "separano" cinesi e stranieri, operazione, quest'ultima, che condurrà nel breve termine ad una semplificazione del sistema fiscale del Paese asiatico avvicinandolo ai più moderni apparati tributari. In particolare, questa riforma ha provveduto a ridurre in modo sostanziale il numero delle imposte cinesi, portandolo da 36 a 18 (eliminando, inter alia, l'imposta industriale e commerciale che si aggiungeva alle imposte sui redditi ed ai dazi doganali); ha introdotto un'imposta unica sul valore aggiunto, di moderna concezione e che, insieme all'imposta sugli affari e all'imposta sui consumi, compone il quadro dell'imposizione indiretta. Infine, dal lato dell'imposizione sul reddito, il quadro attuale sottopone ad un'unica disciplina omogenea la tassazione delle persone fisiche cinesi e degli stranieri, mentre l'imposta sul reddito delle società, che virtualmente8 si traduce nell'applicazione della medesima aliquota del 33%, valida su tutto il territorio nazionale e per tutte le tipologie di impresa, rimane disciplinata da due strumenti normativi che regolamentano con differenti disposizioni le imprese a capitale estero e le strutture di nazionalità cinese.
Tuttavia, nonostante il sistema appena delineato appaia coerente, le tendenze riformiste in atto da diversi anni devono, oggi più di ieri, trovare un'implementazione ottimale. Le raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, di cui la Cina è membro dal 2001, impongono l'attuazione di una politica fiscale razionale ed ispirata ad esigenze di chiarezza e di creazione di un competitivo tax playing field.
Alle esigenze internazionali si affiancano pressioni interne legate al tessuto sociale e alla distribuzione del reddito, per cui la macchina fiscale deve divenire strumento di welfare improving.
Anche per questo la prossima riforma, nell'agenda della nuova leadership politica scaturita dal Congresso del dicembre scorso, non potrà concretizzarsi in un'operazione isolata ma dovrà coordinarsi con altre riforme, come quelle, urgenti, del settore bancario e creditizio e del sistema pensionistico.

2. Principi impositivi dell'attuale ordinamento

Per meglio comprendere la direzione verso cui evolve il sistema fiscale cinese, si ritiene opportuno delinearne, senza pretese di esaustività, la struttura attuale, che deriva dall'impronta data in occasione della sopra citata riforma del 19949.
La potestà tributaria, si collega, prima facie, al territorio nazionale e all'appartenenza a questo per il tramite della cittadinanza: la Costituzione Cinese stabilisce, all'articolo 56, che "È dovere dei cittadini pagare le imposte in conformità con le disposizioni di legge”10.
Con il progressivo maturare del diritto, il legislatore fiscale cinese ha elaborato l'idea, comune negli Stati occidentali11, che l'appartenenza allo Stato debba essere intesa in senso politico-economico, prima che territoriale.
Tra i principi alla luce dei quali fondare la propria pretesa impositiva, la Cina adotta quindi il principio della residenza, tassando i residenti (jumin), siano esse persone fisiche o persone giuridiche, sui redditi prodotti ovunque nel mondo e i non residenti sui redditi prodotti all'interno del territorio della Repubblica Popolare Cinese.
La residenza ha, quindi, la funzione di determinare se l'obbligo di pagare le imposte da parte di un soggetto debba calcolarsi su base mondiale, in parallelo al trattamento riservato ai propri cittadini e alle imprese di nazionalità cinese, o su base territoriale.
Le regole alla base del calcolo dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (ge ren suo de shui) sono contenute in un'unica legge valida sia per i cittadini cinesi sia per coloro i quali risiedono in Cina12. Essa prevede le norme volte ad individuare i presupposti in presenza dei quali il soggetto è residente e la definizione casistica del reddito imponibile. Esso è diviso in dieci categorie, alcune assoggettate, in applicazione della tassazione separata, ad imposta di tipo progressivo13, altre ad imposta di tipo proporzionale (come avviene per il reddito da capitale, il reddito da compensi per prestazioni individuali, i redditi occasionali su cui si applica una ritenuta del 20%).
A differenza di quanto accade per le persone fisiche, la cui disciplina è contenuta in un'unica legge applicabile sia ai cittadini cinesi che agli stranieri, la disciplina fiscale per enti e società è raccolta in due diversi "contenitori" normativi: la legge che regola l'imposta sul reddito di imprese con investimenti esteri ed imprese estere14 (wai san touzi qiye waiquo qiye shui) e la legge sull'imposta applicata al reddito delle imprese "nazionali"15 (Zhongguo qiye shui).
Le imprese nazionali (statali, collettive e private) pagano le imposte sui redditi su base mondiale e sono sottoposte ad una tassazione del 33%, di cui il 30% di competenza del governo centrale, ed il 3% di competenza delle autorità locali.
La medesima aliquota trova applicazione nei confronti dei soggetti esteri che operano in Cina, ma le disposizioni si differenziano ulteriormente a seconda che essi risiedano o meno sul territorio16.
Occorre a tal proposito rilevare che, ai sensi dell'articolo 41 dei Principi di Diritto Civile, le joint ventures sino-estere, le imprese cooperative sino-estere e le imprese a capitale esclusivamente estero sono persone giuridiche di diritto cinese. II combinato disposto del citato articolo 41 e dell'articolo 3 della legge sull'imposizione sul reddito delle imprese a capitale straniero e delle imprese estere, consente di definire le suddette entità come soggetti fiscalmente residenti in Cina e quindi ivi tassati sui redditi ovunque prodotti nel mondo. Tuttavia, tale trattamento che, nell'ampliarne la base imponibile, parrebbe oneroso per le imprese a capitale straniero, è temperato dal fatto che, per tali soggetti, l'aliquota dell'imposta, pari al 33%, non trova rigorosa applicazione. La legislazione cinese prevede infatti numerose ipotesi in cui le imprese con investimenti esteri possono godere di agevolazioni fiscali che riducono l'onere impositivo fino al 15%. A ciò si aggiungano le esenzioni applicate alla sfera dell'imposizione indiretta e dei dazi doganali17. Per quanto da alcuni anni l'eliminazione di questa discriminazione positiva delle imprese con investimenti esteri sia al centro del dibattito sui progetti di riforma fiscale in Cina, non è facile prevedere con esattezza quando tale parificazione avrà luogo. Tuttavia il confronto dottrinario in corso consente di individuare le aree che saranno investite dai principali cambiamenti (si veda paragrafo 3).
Anche il comparto dell'imposizione indiretta sarà soggetto a modifiche. Ad oggi esso ricomprende l'imposta sul valore aggiunto (zheng zhi shui), l'imposta sugli affari (shangye shui) e l'imposta sui consumi (xiaofei shui). L'imposta sul valore aggiunto è applicata alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi che hanno luogo in Cina. L'aliquota ordinaria dell'imposta è 17%, tranne per alcune operazioni soggette ad un'aliquota ridotta del 13%. La caratteristica principale dell'IVA in Cina è che essa si configura come un'imposta sul valore aggiunto di tipo reddito lordo, perché non è ammessa la detrazione dell'imposta pagata sui beni d'investimento. Tra le proposte di riforma, vi è quella di eliminare tale indetraibilità che sortisce l'effetto di scoraggiare gli investimenti in fixed assets.
Infine, l'imposta sugli affari si applica, con differenti aliquote, a determinati tipi di servizi e cessioni (servizi bancari, assicurativi, costruzioni, servizi culturali e di intrattenimento, cessione di diritti di proprietà intellettuale, vendita di beni immobili), mentre l'imposta sui consumi si applica alla produzione e all'importazione di determinate categorie di beni con aliquote che variano tra il 3% ed il 45% del prezzo della merce.

3. Il futuro del sistema impositivo cinese tra globalizzazione e competizione fiscale

Appare innegabile come gli ultimi anni abbiano visto una produzione normativa che ha avuto il merito di aver dotato di organicità svariate norme legislative e di aver creato un quadro in cui i principi generali di diritto sempre meno vengono confusi e sopraffatti da estranei elementi politici, sociali o di opportunità. Non vi è dubbio, infatti, che la riforma attuata in questi ultimi anni abbia cambiato notevolmente e positivamente i connotati del sistema fiscale cinese. Le iniziative legislative ed amministrative finora realizzate hanno rappresentato un notevole sforzo per il riordinamento di quello che era un dedalico ginepraio normativo e per l'adeguamento della pubblica amministrazione e delle procedure impositive, consentendo alla Repubblica Popolare Cinese di godere anche di un certo grado di competitività fiscale.
De iure condendo, non è inopportuno affermare che la maturazione dell'ordinamento tributario cinese dipenderà fortemente dall'interpolazione delle scelte di politica fiscale con i dettami dell'Organizzazione Mondiale del Commercio e con le decisioni del governo volte all'implementazione di altre urgenti riforme18.
Per quanto riguarda l'imposizione diretta sul reddito delle persone giuridiche, è ormai imminente il ripensamento del binomio normativo relativo alla disciplina sulle società.
Spinte interne e pressioni esterne conducono verso tale unificazione: da un lato, infatti, il diritto cinese in generale cede, nella sua pratica applicazione, di fronte alle incalzanti esigenze del progresso e si rinnova, usu ac vetustate, nei suoi principi ed in tutte le sue dimensioni, in particolar modo in quella commerciale e, di riflesso, in quella fiscale. La componente esogena è invece rappresentata dall'impatto delle regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio sul sistema fiscale. Tali regole, sebbene orientate principalmente verso le imposte indirette e la politica dei dazi, influenzano nella loro portata anche la normativa sull'imposizione diretta che deve rispondere ad esigenze di certezza e chiarezza del diritto e non deve operare discriminazioni19. In tal senso, è verosimile che l'unificazione della normativa andrà di pari passo al processo di abbattimento dei trattamenti più favorevoli riservati alle imprese con investimenti esteri. Simile evoluzione si perfezionerà con l'applicazione di un'aliquota reale unica per tutte le imprese, nazionali e straniere, qualunque sia l'oggetto sociale. Tale aliquota unica, secondo alcuni esperti prospettata pari al 25%20, non osterà la definizione di un programma di incentivi agli investimenti esteri. Le agevolazioni, tuttavia, non saranno dispensate a pioggia, e, soprattutto, non avranno la forma di esenzioni o riduzioni d'imposta, essendo queste ultime causa di distorsioni nell'allocazione delle risorse e dei capitali21. Piuttosto è prevedibile l'introduzione di un programma chiaro di politica agevolativa composto da deduzioni fiscali per spese in ricerca e sviluppo e per l'innovazione tecnologica, credito d'imposta/deduzioni per progetti ritenuti di cruciale importanza per lo sviluppo economico del Paese, cui fa da sfondo una maggiore efficienza dell'Amministrazione finanziaria specialmente nell'erogazione dei rimborsi e nell'effettuazione di controlli contro l'evasione. II quadro appena delineato è un tassello assai significativo della nuova dimensione fiscale che vede il progressivo sostituirsi del modello "low rate, little relief, broad base and stringent administration" alla datata ispirazione "high rate, much relief, narrow base and slack administration"22. La riforma dell'imposizione diretta in Cina dovrà quindi seguire la strada della certezza23, definendo un quadro normativo coerente ed eliminando le discriminazioni dovute all'uso spropositato dello strumento delle c.d. tax holidays. Sul fronte dell'imposizione indiretta la strada da battere sarà quella dell'ulteriore modernizzazione dell'IVA, consentendo la detrazione dei beni d'investimento. Ad oggi, come s'è detto, l'imposta sul valore aggiunto cinese è un'imposta di tipo reddito lordo, nel senso che non ammette la detrazione dei beni d'investimento. L'impossibilità di detrarre tali beni è in evidente contrasto con la politica di stimolo agli investimenti che la Cina intende continuare a perseguire. Diventa forte, dunque, l'esigenza di modificare il funzionamento operativo di questo tributo, che garantisce il maggior gettito in Cina, ma che penalizza fortemente le imprese, soprattutto quelle di grandi dimensioni. L'alleggerimento dell'onere fiscale in capo alle imprese consentirà la transazione da un'imposta sul valore aggiunto di tipo producer-based ad una che grava principalmente sul consumo24. Di conseguenza, e in una visione più ampia, la riforma del sistema fiscale in generale dovrà coordinarsi con la volontà di implementare una più equa distribuzione del reddito attraverso una politica salariale mirata e lo sviluppo della dimensione del welfare state.
II rilevante sviluppo che continua a caratterizzare la Cina e che è il frutto di un cambiamento di politica in atto dagli anni '80, produce, parallelamente alla modernizzazione e alla partecipazione all'arena competitiva internazionale, forti squilibri sociali e crescita ineguale. Nonostante tale squilibrio sia un valore trainante in quanto rappresenta l'opportunità di migliorare il proprio stato economico, ciò avviene a scapito di quelle aree geografiche o di quelle categorie di individui che rimangono estranei allo sviluppo, anzi ne subiscono gli effetti devastanti.
II rapporto presentato da Jiang Zemin al sedicesimo Congresso del Partito Comunista25 sottolinea come uno dei requisiti indispensabili alla realizzazione del programma di riforme siano la stabilità sociale e il perseguimento di uno sviluppo sostenibile.
È pacifico che tali requisiti dovranno passare anche attraverso un sistema fiscale in grado di svolgere appieno il proprio ruolo di strumento macroeconomico. Già il decimo piano quinquennale (2001-2005) aveva sottolineato come la finanza pubblica e, a monte di essa, il sistema fiscale, si dovessero adattare alle nuove esigenze dell'economia socialista di libero mercato26.
Questa considerazione ha molteplici implicazioni: la tassazione non è solo una forma di reperimento delle risorse ma è un valido strumento di controllo macroscopico dell'economia e di promozione di un quanto più possibile sano sviluppo. Una corretta politica fiscale, dunque, deve accompagnare il fenomeno dell'internazionalizzazione e deve stimolare la nascita delle garanzie sociali ad oggi insufficienti in Cina: il costo della rete di welfare grava sul PIL in percentuali variabili e, se in Italia raggiunge il 45%, in Cina non raggiunge il 20%27 .
Non è questa la sede per soffermarsi sulle modalità di implementazione di una rete di protezione sociale in Cina ma è sicuro che la futura riforma fiscale non dovrà costituire un processo isolato ma dovrà connettersi ad altre riforme28, all'insegna di una virtuosa cross fertilization. Solo sfruttando le sinergie con altri contesti economici, quali il settore finanziario e creditizio e affiancando alle valutazioni di opportunità economica considerazioni di avanzamento sociale, la politica fiscale potrà procedere su direttive corrette, di progressiva e reale modernizzazione.
  

 

MONDO CINESE N. 116, LUGLIO-SETTEMBRE 2003

Note

1 Si vedano le Regulations and detailed rules for the consolidated industrial and commercial tax of the People's Republic of China, adottate dal Comitato permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo I'11 settembre 1958. 
2 A. Ting, Preliminary Notes on Taxation in the People's Republic of China, in Boston College World Law Journal, 1980 n. 71, vol. 1, p. 72.
3 Sull'evoluzione della politica fiscale nei confronti degli investimenti esteri si veda Lingguang Bao, China's tax policy toward enterprises with foreign investment: a comprehensive appraisal, in Intertax, vol. 31, issue 2, 2003, pp.66 e ss.
4 II sistema di trattenimento del profitto è stato la prima, in ordine di tempo, delle strategie provate per aumentare la produttività delle aziende statali e avanzare sul cammino delle riforme. Essenzialmente, consisteva nel diritto concesso alle imprese statali di trattenere ed utilizzare una parte dei loro profitti - che potevano essere utilizzati per nuovi investimenti, per bonus ai lavoratori o in fondi di riserva, anche a scopo di welfare. Questo tipo di accordo era negoziato da ogni azienda, anno per anno, con l'autorità politica di riferimento (centrale, provinciale o cittadina a seconda dei casi). II sistema è stato poi attuato in una grande varietà di schemi. II principale era quello della ritenzione dei profitti progressiva, che garantiva allo stato una quota fissa, mentre la restante parte (spesso in crescita di anno in anno) rimaneva nelle mani delle imprese statali. Altre possibilità erano quelle della ritenzione fissa dei profitti da parte delle aziende statali, o, ancora - che sarà l'opzione poi seguita più avanti - un sistema di imposizione fiscale, che tassava le imprese ad aliquota prefissata. La più rilevante novità di quest'ultimo sistema è che le aziende non contrattavano caso per caso la quota di profitti da corrispondere, ma pagavano in base ad un'aliquota uguale per tutte e indipendentemente dai profitti realizzati, con grande beneficio per l'erario. Si veda S. Paladini, Le SOE: Prospettive e possibili sviluppi dopo il 15° congresso del CCP, in Quaderni ISESAO, 1/1999, Università Bocconi - Milano. 
5 Nell'espressione usata da Zheng Yongnian, Consolidamento politico: gli insegnamenti di vent'anni di riforme in Cina, in questa rivista, n. 113, ottobre - dicembre 2002, pp. 47 e ss.  
6 Sulle modalità di implementazione della riforma si veda Decision by the Ministry of Finance Concerning the Implementation of the Separate Taxes System Fiscal Regime, 5 giugno 1992, in The Chinese Economy, vol. 31, n. 3, maggio-giugno 1998, pp. 64-96. Importanti considerazioni sulla necessità di riformare il sistema fiscale inoltre nel report di Hu Angang e Wang Shaoguang, Strenghten the Leading Role of the Centrai Government in the Transition to the Market: A Reasearch Report on China's State Capacity pubblicato nella traduzione inglese in Chinese Economic Studies, vol.28, numeri 3 e 4. 
7 Si veda Fiscal management and economic reform in the People's Republic of China, pubblicato per I'Asian Development Bank da Oxford University Press, 1995, pp.81 e ss.
8 Come si dirà più avanti, la previsione di incentivi fiscali agli investimenti esteri riduce notevolmente il carico impositivo sui soggetti che decidono di operare sul territorio della Repubblica Popolare Cinese. 
9 Per un quadro sintetico e, al contempo, completo dell'attuale ordinamento tributario si rinvia a Jinyan Li, Tax Implications of doing business in China, in Canadian Tax Review, 1995, n. 43, pp. 75 e ss. e alla copiosa bibliografia citata dall'Autore nelle note.
10 II carattere precettivo della norma si esplicita nel dovere che grava sul cittadino cinese di pagare le imposte in base a quanto la legge dispone e trova conferma nella collocazione che il legislatore ha assegnato alla disposizione nel testo costituzionale. Infatti, l'articolo 56 è inserito nel capitolo lI, intitolato ai Fondamentali Diritti e Doveri dei Cittadini. In esso sono rinvenibili, seppur in forma molto sfumata, i tratti del principio di legalità, laddove si fa espresso rimando alle disposizioni di legge in tema di tassazione, delineando il postulato che fonte del tributo è la legge. Si veda C. Lavagna, Costituzione e socialismo, II Mulino, Bologna, 1977, pp. 40 e ss.; C. Schmitt, La tirannia dei valori, in Rassegna di diritto pubblico, 1979, pp. 16-28. 
11 Cfr. J. M. Querealt, La potestà tributaria, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, I, 2, pp. 691 e ss., Milano; G. Marino, La residenza, CEDAM, Padova, 1999, passim
12 The Individual Income Tax Law of the PRC promulgata dall'Assemblea Nazionale del Popolo il 10 settembre 1980 ed emendata il 31 ottobre 1993, in vigore dal 1 gennaio 1994; le relative regole di implementazione sono state emanate dal Consiglio degli Affari di Stato il 29 gennaio 1994. 
13 È il caso del reddito da lavoro dipendente, sottoposto ad un ventaglio di aliquote che va dal 5% al 45%, o del reddito d'impresa con aliquote dal 5% al 35%. 
14 The Income Tax Law of the People's Republic of China Concerning Enterpriseses with Foreign Investment and Foreign Enterprises, promulgata dall'Assemblea Nazionale del Popolo il 9 aprile 1991. II testo è disponibile in The Foreign Related Tax Laws and Regulations of PRC, IBFD, aggiornato 1994.  
15 Ci si riferisce alle Interim Regulations of the People Republic's of China on Enterprise Income Tax, promulgate il 14 dicembre 1994. La normativa precedente a quella varata con la riforma fiscale del gennaio 1994, distingueva numerose tipologie di imprese nazionali le quali erano soggette a differenti regimi fiscali.
A partire dal gennaio 1994 è abolito il trattamento differenziato per categoria di impresa e tutte le imprese nazionali vengono assoggettate alla disciplina contenuta nelle Interim Regulations of the People Republic's of China on Enterprise Income Tax. 
16 La nozione di ufficio principale, così come specificata all'articolo 5 delle Regulations della legge sull'imposizione sul reddito delle imprese con investimenti stranieri e delle imprese estere, riconduce il concetto di residenza alla presenza sul territorio di un ufficio direttivo da intendersi come il centro da cui promanano il potere di controllo e le linee guida del management e separa quei soggetti (residenti) sottoposti all'imposizione sui redditi prodotti ovunque nel mondo, dai non residenti sottoposti a tassazione solo sui redditi prodotti nel territorio dello Stato o in forma di redditi finanziari che ricevono dalla Cina o, nel caso dispongano di una sede fissa d'affari, sui redditi ad essa imputabili. 
17 Cfr. Lingguang Bao, op. cit., p. 68. 
18 Per un'analisi delle principali direttive verso cui sta muovendo la Cina a seguito dell'ingresso nel WTO, si veda Lixin Rao, Trend analysis of tax system in the first year after China's WTO Accession, in Intertax, 2003, vol. 31, 44.  
19 Può dirsi che con il WTO, sia pure in una prospettiva limitata agli aspetti fiscali legati al commercio internazionale, risultano affermate tre proibizioni: discriminatory taxation, protective taxation, fiscal subsidies. Così A. Uckmar, Aspetti fiscali nelle regole della Organizzazione Mondiale del Commercio, in Corso di diritto tributario internazionale, diretto da V. Uckmar, CEDAM, 2002, 1098. 
20 Si veda l'analisi condotta da Fook Hong, Tax changes in China impending upon entry into WTO, in Bulletin for international fiscal documentation, 2002, p. 563. 
21 Cfr. R. A. Musgrave, Coordination of taxes ori capital income in developing countries, World Bank Discussion Paper DRD 286, Worid Bank, Washington, 1986; OECD, Investment incentives and disincentives: effects on international direct investment, Paris, 1989. 
22 Cfr. Lingguang Bao, Current situations in tax burden and future tax reform in China, in Intertax, vol. 31, 2003, 168.
23 La certezza fiscale è un elemento fondamentale in un ordinamento tributario. Un sistema fiscale mutevole, in cui si susseguono interventi una tantum, crea incertezza permanente e possibilità di politiche fiscali caratterizzate da inconsistenza intertemporanea (time inconsistency). Questo aspetto è legato alla letteratura sul optimal value of waiting specialmente discussa da Avinash Dixit. Si veda A. Dixit, Investment and hysteries, in Journal of economic perspectives, voi. 6, n. 1, pp. 107-132.
24 Si vedano Liu Ping, Value Added Tax reform around the corner, in China Economic News, n. 19, 1998; Yang Ping - Jin Wanjun, Ideas on the perfection of China's Value Added Tax, in Vat Monitor, 2002, pp. 107 e ss.; Yang Bin, China's VAT: Difficulties further reform and proposed solutions, in Tax Notes International, 2000, p. 2183.
25 II rapporto di Jiang Zemin "Costruire una società benestante in maniera completamente nuova e creare una nuova fase nella costruzione del socialismo dalle caratteristiche cinesi" presentato al sedicesimo congresso del Partito Comunista, I'8 novembre 2002, è interamente consultabile in www.english.peopledaily.com.cn. 
26 Si veda più approfonditamente Lingguang Bao, Current situations in tax burden and future tax reform in China, in Intertax, vol. 31, issue 4, 2003, pp. 168 e ss.
27 Fonte OCSE, si veda www.oecd.org/infobycountry.
28 Come è sottolineato, attraverso evidenze macroeconomiche, da Dingqing Xu, Income tax reform and its impact in China, in China's tax reform options (Selected papers presented at the international symposium on reform of the chinese tax system), University of Western Ontario, aug. 1996), World Scientific, Singapore, 1998, pp. 175 e ss.

 

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