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DOSSIER SARS

L’economia cinese ai tempi della Sars

di Romeo Orlandi

1. II tempo come risorsa

L’impatto della Sars sull’economia cinese e sugli scambi con l’Italia dipende da 2 fattori principali: la sua durata nel tempo e le aspettative che genera nei mercati internazionali.
L’epidemia della polmonite atipica ha tolto alla Cina un elemento fondamentale della sua capacità di programmazione: il tempo. I leader cinesi offrono le prove migliori del loro acume quando lavorano senza l’assillo delle decisioni. La possibilità di pianificare consente di rispettare uno dei capisaldi della cultura cinese: è lo scorrere del tempo che determina gli avvenimenti, piuttosto che questi ultimi a marcarlo. Anche gli straordinari cambiamenti - economici e di costume - degli ultimi 25 anni sono apparsi fatidici, come se appartenessero all’ordine naturale delle cose. È evidente che la mancanza di tempo, l’imprevisto, l’instabilità sono i nemici principali di ogni programmazione; al contrario, il Paese ha registrato dal 1978 una crescita spettacolare senza che il sistema abbia vacillato. Nella sua spietatezza, la polmonite atipica ha messo a nudo le contraddizioni che solo la parte più attenta della critica economica aveva rilevato1 . Sono dunque venuti al pettine alcuni nodi che lo scintillio dei numeri aveva tenuto nascosti.

Il primo riguarda la natura della crescita cinese, troppo spesso giudicata soltanto con il metro quantitativo. II Pil è aumentato ininterrottamente, dalle riforme di Deng, ad una media superiore all’8% annuo. La costanza è stata più importante dei valore annuale. Si tratta di un risultato ovviamente sconosciuto alle economie industrializzate ma anche a quelle in transizione o in via di sviluppo. La Cina vanta ora la sesta economia mondiale, avendo superato l’Italia nel 2001. La ricchezza prodotta ha prodotto cambiamenti inimmaginabili: è aumentato l’accesso ai consumi, si è affermata una nuova classe media, il paese si è affrancato da ricorrenti crisi alimentari ed ha visto crescere il proprio ruolo sullo scacchiere politico internazionale. Inoltre ha garantito stabilità. II governo ha così potuto procedere a dolorose ristrutturazioni di un antiquato apparato industriale, cercando di circoscriverne le inevitabili conseguenze sull’ordine sociale. I nuovi ricchi sono aumentati ed i vecchi poveri hanno potuto migliorare il loro standard di vita. La forbice economica si è allargata, spostandosi comunque verso l’alto per tutti.
Non sono stati invece dissipati i dubbi sulla solidità strutturale del paese. I maggiori quesiti che gli analisti pongono riguardano l’affidabilità del sistema bancario e finanziario, l’applicazione sistematica del "governo della legge"2 , il rispetto della proprietà intellettuale ed in generale una differente "etica da lavoro" con un rispetto non occasionale delle regole del business internazionale. La soluzione di questi problemi - i veri nodi economici del Paese - non ammette scorciatoie. Da questo punto di vista, avendo escluso da tempo la palingenesi di una soluzione ideologica, la Cina si è già uniformata agli altri Paesi. L’economia è diventata importante quanto la politica e l’azione del governo incide quanto le direttive del partito. La Sars è dunque un nemico imprevisto e globale, che danneggia i conti e l’immagine del paese. La sua origine e la sua diffusione sono argomenti ancora non chiariti ma è innegabile che nella percezione collettiva essa faccia riflettere sulle condizioni di lavoro, sull’igiene del paese, sul ruolo assunto dalla Cina nell’economia mondiale3 . Essa è destinata a diventare "l’opificio del mondo", un immenso capannone industriale dove si produce tutto per tutti a prezzi sempre più bassi4 . Un luogo dove la disponibilità della tecnologia si combina con una forza lavoro inesauribile, economica e disciplinata; un Paese tuttavia che rischia una crescita principalmente quantitativa, un tipico caso descritto dalla letteratura economica come crescita senza sviluppo.

La seconda contraddizione evidenziata dalla Sars è stata la grande differenza economica tra città e campagna. Nelle zone agricole (che in Cina iniziano dalle periferie delle città) il reddito disponibile pro capite annuo è di 298 Usd. Nei centri urbani l’analogo valore è 3 volte superiore, con punte di 4.000 Usd a Canton e Shenzen e di 3.500 a Shanghai5 . I numeri riflettono le differenze tra le città ormai assimilabili alle altre grandi metropoli asiatiche e le campagne dove le condizioni sociali sono ancora espressione del passato. Anche lì la Cina non è più un paese povero, almeno secondo i criteri generalmente utilizzati: è basso il numero di indigenti, vi sono poche malattie endemiche, l’alfabetizzazione è diffusa, non ci sono pericoli di carestie. È tuttavia un paese arretrato, con un’economia poco monetizzata, un’agricoltura non meccanizzata, ma soprattutto con una moderna mentalità industriale che stenta ad affermarsi tra i pilastri della tradizione cinese.

Le trincee ed i posti di blocco che i contadini hanno eretto contro i presunti untori da Pechino vanno al di là dell’ostruzione materiale. Rappresentano l’antagonismo tra chi ha contribuito allo sviluppo economico ma ne ha intercettato vantaggi solo marginali e chi vede invece aperte molte più strade al successo dalle recenti politiche economiche. Segnala l’inquietudine di chi è costretto a scegliere tra un’agricoltura di sopravvivenza e l’arruolamento nella moltitudine di immigrati cittadini. Più in generale è il contrasto tra le città e le zone più ricche del paese che sono entrate nel circuito della globalizzazione e le campagne che ad esso hanno contribuito restandone tuttavia ai margini. Va considerato infine l’annoso problema dell’attendibilità delle statistiche cinesi. La polmonite atipica ha confermato l’uso "creativo"6 delle rilevazioni ed ha riproposto i dubbi che accompagnano ogni comunicato governativo in proposito.7 Le manipolazioni e le omissioni relative alla Sars sono state percepite come una testimonianza dell’uso non scientifico - ed indirizzato verso fini prettamente politici - delle rilevazioni statistiche. AI di là della perdita di credibilità che il paese potrà forse registrare, va rilevato che l’insufficienza dell’informazione ha confermato che questo tipo di problemi sorgono non tanto per motivi di segretezza quanto di esperienza. Le rilevazioni statistiche più elaborate sono il risultato di una società industriale, abituata a rilevare il tempo ed a comprimerlo più che a rispettarlo. La dimestichezza con i numeri, l’acquisizione di una mentalità matematica, sono qualità che richiedono tempi lunghi per affermarsi, soprattutto in un paese come la Cina che soltanto da pochi anni ha iniziato a dotarsi di criteri di rilevazione non artigianali.

2. Costi ed opportunità

Entrambi dipendono dalla percezione dell’epidemia nella comunità d’affari. II sistema economico internazionale, soprattutto per il suo aspetto finanziario, si basa sulle aspettative. Almeno nel breve periodo le ripercussioni perla Cina saranno negative; in una prospettiva meno contingente potrebbero registrarsi scenari più rassicuranti o addirittura di rilancio.

I settori colpiti direttamente sono stati i trasporti, il turismo e le vendite al dettaglio.8 Sono stati primi a risentire dell’ondata emozionale a seguito dello scoppio dell’epidemia. Appartengono alla cronaca le immagini degli aeroporti deserti, degli shopping center vuoti, delle città senza traffico, delle scuole sigillate. Un impatto più grave è stato meno visibile: la sospensione degli ordini, il blocco della produzione, la chiusura delle fabbriche. Alla fine dei primi quattro mesi dell’anno il risultato economico della Cina è tuttavia ancora largamente soddisfacente. L’indicatore economico più importante - la crescita del Pil - mostra un robusto incremento rispetto allo stesso periodo del 2002. Nel suo discorso conclusivo di fronte all’Assemblea Nazionale del Popolo lo scorso marzo, l’ex premier Zhu Rongji aveva fissato l’obiettivo di crescita al 7%. Era stata una stima prudente, il livello minimo indispensabile per continuare la politica di riforme. Nei primi 3 mesi il risultato raggiunto è stato invece del 9,9%, un aumento della ricchezza prodotta che non aveva conosciuto tali spettacolari vertici negli ultimi 6 anni. Dopo lo scoppio dell’epidemia le stime sono state riviste, ma è indubbio che quanto accumulato nel primo trimestre ridurrà l’impatto economico della Sars. Ad aprile i primi segnali negativi sono apparsi ed il Pii ha rallentato la sua crescita. Nel primo quadrimestre è aumentato dell’8,9% e la Banca Mondiale ha rivisto le sue previsioni, riducendone l’incremento annuo dal 7,5 al 7%. A Pechino, che contribuisce da sola al 3% del Pil nazionale, la crescita ad aprile è stata del 12%: è un segnale di quanto sia vibrante l’economia della capitale che rimanderà ai prossimi mesi la rilevazione dell’impatto della Sars9 .

Le 2 componenti del Pil che riguardano i rapporti con l’estero, gli investimenti e gli scambi commerciali, hanno rilevato andamenti analoghi: robusti incrementi nel primo trimestre sono stati per ora soltanto scalfiti dai primi effetti della Sars. La Cina nel 2002 è stata la maggiore destinazione di investimenti internazionali, conquistando la prima posizione che da molti anni apparteneva agli Stati Uniti. II valore monetario degli investimenti effettivamente realizzati (una cifra ovviamente minore rispetto a quelli impegnati e che avranno luogo negli anni a seguire) ha raggiunto l’impressionante record di 52,7 miliardi di dollari10 . La tendenza è continuata nel primo trimestre del 2003, quando la Cina ha registrato un aumento del 57% degli FDI (Foreign Direct Investment). Nonostante il rallentamento di aprile (+37,2%) la crescita nel primo quadrimestre ha raggiunto lo spettacolare valore dei 51 %11 .

Anche gli scambi commerciali sono cresciuti a livelli inaspettatamente alti. Nel primo trimestre l’incremento dell’import-export è stato del 42,4% ed il ridotto ritmo di crescita di aprile ha condotto il valore quadrimestrale a cifre di assoluto riguardo (+46,8 per le importazioni; +33,5 per le esportazioni)12 .
Se la Cina riuscirà, come sembra avviarsi a fare secondo le ultime rilevazioni, a debellare o limitare l’epidemia, i suoi contraccolpi economici saranno assorbiti dal sistema. Quest’ultimo ha risorse sufficienti per considerare relativamente marginali le perdite finora subite. La forte espansione del primo trimestre consentirà un recupero meno affannoso. Soprattutto il peso economico del paese sullo scacchiere internazionale indurrà la comunità d’affari ad un ripresa forse lenta ma inevitabile di relazioni a pieno regime con la Cina. II suo ruolo produttivo per le aziende multinazionali che hanno delocalizzato gli impianti è ormai insostituibile. Inoltre le aspettative che il Paese genera come mercato emergente continueranno ad essere talmente promettenti da far superare esitazioni temporanee da parte degli operatori internazionali.

Laddove invece l’epidemia continuasse, il suo pericolo si trasformerebbe da transitorio ad endemico. Riemergerebbero allora i dubbi sulla consistenza dell’impianto economico del paese e verrebbe messa in discussione la sua capacità di gestire situazioni complesse. II semplice controllo della forza lavoro e dei mezzi di informazione si rivelerebbe uno strumento insufficiente se non nocivo per le esigenze di una moderna società industriale avviata ad essere un attore a pieno titolo della globalizzazione. Sarebbe allora possibile non procrastinare la soluzione dei problemi che gli analisti economici rilevano come i più impellenti per la Cina: la creazione di una cornice legale certa, l’affermarsi di una maggiore trasparenza del sistema bancario, la costruzione di un sistema di rilevazione più credibile, l’omologazione, in sintesi, del paese alle regole della comunità economica internazionale.

3. Le relazioni economiche con l’Italia

È convinzione comune che le relazioni commerciali tra i due Paesi siano soddisfacenti, mentre il livello degli investimenti in Cina presenta notevoli margini di miglioramento. L’Italia è il 4° partner commerciale dell’UE, ma detiene la seconda posizione, dietro l’inattaccabile Germania, per quanto riguarda le esportazioni. Si tratta di un’affermazione di assoluto rilievo, riconquistata negli ultimi 2 anni ai danni del Regno Unito e della Francia. È la conferma di un ruolo più confacente alle caratteristiche del sistema produttivo italiano che si è presentato tradizionalmente in sintonia con le necessità della Cina. Quest’ultima ha avuto e continua ad avere bisogno di importare tecnologia avanzata che le consenta una modernizzazione rapida e redditizia del proprio sistema industriale. La meccanica strumentale italiana - di gran lunga la maggioranza nella composizione merceologica dell’export si conferma capace di fornire prodotti di qualità e prezzi validi ed è in grado di fronteggiare la concorrenza di altri paesi industrializzati. È una conferma della vitalità delle piccole e medie aziende italiane, le cui caratteristiche più riconosciute - la versatilità, l’innovazione, l’elasticità nella produzione - hanno prevalso sulle difficoltà intrinseche del mercato cinese.

Se da un lato tuttavia la composizione societaria si è rivelata vincente nelle esportazioni, la stessa caratteristica è alla base di un ridotto flusso di investimenti. Ciò è dovuto sia alla precedenza che le controparti cinesi offrono alle grandi multinazionali, sia ad un’eccessiva prudenza da parte delle aziende italiane. Nel 2002 l’Italia ha investito in Cina 180 mln Usd, pari allo 0,34% del totale. A partire dall’apertura economica del 1978, il valore complessivo degli investimenti italiani ha superato i 2.300 mln Usd, equivalenti allo 0,5% circa del totale recepito dalla Cina ed all’1% di quanto investito dall’Italia all’estero. Di tale valore, circa ¾ provengono dai grandi gruppi nazionali.

La Sars non ha sostanzialmente intaccato questo andamento e queste valutazioni. Ha comunque messo in evidenza tre aspetti delle relazioni economiche tra i due paesi che potrebbero confermarsi preoccupanti. II primo riguarda l’andamento delle esportazioni italiane. Esse sono cresciute nel primo quadrimestre 2003 del 32%. Si tratta di una cifra di assoluto valore, anche se inferiore all’incremento registrato nei confronti del resto del mondo (46,8%). Ciò significa che nonostante l’Italia continui ad esportare verso la Cina quantità sempre più grandi di merci, essa perde quote di mercato. Dalle prime rilevazioni del 2003 emerge che i beneficiari dell’incessante flusso di merci importate sono stati i paesi asiatici.

Va inoltre rilevato il fenomeno opposto per le esportazioni cinesi in Italia. Esse aumentano del 42% rispetto ad un analogo valore del 33,5 nei confronti del mondo. L’Italia dunque diviene più importante per l’export del paese asiatico. È un fenomeno da mettere in relazione alla differenziazione delle merci cinesi, non soltanto di basso valore aggiunto e costo unitario, ma anche di crescenti contenuto tecnologico ed affidabilità. Sempre più frequentemente il "made in China" diviene concorrente di produzioni nazionali od europee. II risultato finale denota un forte deficit commerciale per I’Italia13 .

È infine prevedibile che le esportazioni verso la Cina saranno rallentate o mantenute in relazione alla loro origine. I tradizionali flussi commerciali sono causati dalle consuete attività di marketing; essi hanno bisogno di contatti che si esplicano con fiere, missioni, visite aziendali. Nella misura in cui queste attività hanno rallentato a causa della Sars, il contraccolpo sarà inevitabile14 .

Laddove invece le esportazioni siano consequenziali agli investimenti produttivi, non dovrebbero temere effetti negativi dallo scoppio dell’epidemia. Gli investimenti trainano le esportazioni perché le joint venture e le imprese a capitale interamente straniero acquistano semilavorati, parti e componenti che hanno origine nel paese dell’investitore, ma sono destinati alla trasformazione in Cina. Le merci in arrivo si innestano nel processo produttivo: non hanno sostituti in Cina e sono indispensabili per elevare la qualità finale dei prodotti. Se è comprensibile che il timore abbia bloccato i viaggi verso la Cina, è inimmaginabile pensare che la sua economia si arresti. Essa è ormai pienamente inserita nel circuito mondiale e nessun paese può ragionevolmente negligere il gigante asiatico. La Sars dunque, indipendentemente dal suo impatto sull’economia, ha reso ineludibile la necessità di un radicamento produttivo in Cina. Esso mette al riparo da situazioni contingenti legate alla volatilità degli scambi commerciali. Gli investimenti sono più resistenti agli episodi di cronaca perché assecondano un processo storico già avviato: l’industrializzazione di un paese agricolo, la sua apertura al mondo, il suo ingresso ingombrante nella scena internazionale.

TABELLA N.1  Cina.Investimenti stranieri con capitale utilizzato 1998-2003 esclusi i prestiti

Posizione 2002

Paese/territorio

1998 1999 2000 2001 2002

gen/apr
2003

Var.%
gen/apr
2003/2002
  Totale - di cui 45,6 40,4 40,71 46,85 52,74 17,82 51,03
1 Hong Kong 18,5 16,4 15,50 16,71 17,86    
2 Virgin Islands 4,0 2,7 3,83 5,04 6,12    
3 U.S.A. 3,9 4,2 4,38 4,43 5,42    
4 Giappone 3,4 3,0 2,92 4,35 4,19    
5 Taiwan 2,9 2,6 2,30 2,98 3,97    
6 Corea del Sud 1,8 1,3 1,49 2,15 2,72    
7 Singapore 3,4 2,6 2,17 2,14 2,34    
8 Cayman Islands 0,3 0,4 0,62 1,06 1,18    
9 Germania 0,7 1,4 1,04 1,21 0,93    
10 Gran Bretagna 1,2 1,1 1,16 1,05 0,90    
11 West Samoa 0,1 0,2 0,27 0,50 0,88    
12 Canada 0,3 0,3 0,28 0,44 0,59    
13 Francia 0,3 0,9 0,85 0,53 0,58    
14 Olanda 0,7 ,05 0,79 0,78 0,57    
15 Mauritius 0,1 0,2 0,26 0,30 0,48    
16 Macao 0,4 0,3 0,35 0,32 0,47    
17 Australia 0,3 0,3 0,30 0,34 0,38    
18 Malaysia 0,3 0,2 0,20 0,26 0,37    
19 Italia 0,3 0,2 0,21 0,22 0,18    

Fonte:China Statistical Yearbook 1998-2003, China Monthly Statistics April 2003.Elaborazione dati ICE Pechino

TABELLA N.2  Importazioni 2001-2003 dell Cina. Principali Paesi fornitori
Posiz.
Gen/Apr
2003
Paese/territorio 2001
anno
2002
anno
% totale
anno
gen/apr
2003
VAR%
gen/apr
2003/2002
Totale - di cui 243,6 295,2 100 121,92 46,8
1 Giappone 42,8 53,4 18,1 22,30 48,6
2 Taiwan 27,3 38,0 12,8 14,29 32,0
3 Corea del Sud 23,4 28,5 9,6 12,55 58,1
4 U.S.A. 26,2 27,2 9,2 11,10 36,9
5 Germania 13,7 16,4 5,5 6,99 46,7
6 Malaysia 6,2 9,2 3,1 3,93 54,6
7 Hohg Kong 9,4 10,7 3,6 3,51 12,3
8 Singapore 5,1 7,1 2,4 3,04 62,4
9 Russia 8,0 8,4 2,8 3,04 18,6
10 Tailandia 4,7 5,6 1,8 2,69 70,6
11 Australia 5,4 5,8 1,9 2,18 26,6
12 Francia 4,1 4,2 1,4 1,70 29,1
13 Italia 3,8 4,3 1,5 1,65 32,0
14 Indonesia 3,9 4,5 1,5 1,57 21,9
15 Canada 4,0 3,6 1,2 1,40 17,9
16 Regno Unito 3,5 3,3 1,1 1,08 -7,2

Fonte:China Monthly Statistics April 2003.Elaborazione dati ICE Pechino

TABELLA N.3  Esportazioni 2001-2003 della Cina. Principali Paesi di Destinazione
Posiz.
Gen/Apr
2003
Paese/territorio 2001
anno
2002
anno
% totale
anno
gen/apr
2003
VAR%
gen/apr
2003/2002
  Totale - di cui 266,9 325,6 100 122,02 33,5
1 U.S.A 54,3 69,9 21,4 25,16 34,9
2 Hong Kong 46,5 58,4 17,9 20,97 28,2
3 Giappone 45,1 48,4 14,8 17,98 23,7
4 Corea del Sud 12,5 15,4 4,7 5,69 26,9
5 Germania 9,8 11,3 3,4 4,97 56,1
6 Olanda 7,3 9,1 2,7 3,68 40,8
7 Regno Unito 5,8 8,1 2,4 2,79 22,5
8 Taiwan 5,0 6,5 1,9 2,63 45,9
9 Singapore 5,8 6,9 2,1 2,40 20,6
10 Italia 4,0 4,8 1,4 2,08 42,0

Fonte: China Monthly Statistics April 2003.Elaborazione dati ICE Pechino

MONDO CINESE N. 115, APRILE-GIUGNO 2003


Note

1  La letteratura economica sta interpretando variamente le contraddizioni dello sviluppo della Cina. Un’analisi completa, misurata ed altamente autorevole è quella presente nelle pubblicazioni di Nicholas Lardy, Senior Researcher della Brooking Institution di Washington. Più critico appare il documentato libro The China Dream. The quest far the last great untapped market on earth, di Joe Studwell (Atlantic Monthly Press Books, 2002). Molta fortuna ha avuto The Coming Collapse of China di Gordon Chang, che tuttavia non unisce alla forza polemica una linearità di argomentazioni. Sugli aspetti critici del moderno sviluppo economico cinese si vedano anche i contributi dello scrivente ai numeri 108, 109 e 112 di Mondo Cinese.
2  L’insistenza dei governanti sul "rule of the law" non è propagandistica; essa riflette una consolidata diffidenza verso questo approccio che peraltro si conferma fonte di contrasti nelle transazioni internazionali.
3  La Provincia del Guangdong, dove è nata l’epidemia, è quella dove sono maggiormente concentrati gli investimenti stranieri e che dà origine da sola il 40% dell’interscambio commerciale della Cina.
4  Un argomento interessante (che per la sua vastità dovrà essere sviluppato a parte) che sta riscuotendo l’attenzione degli studiosi è la concorrenza che la Cina esercita non solo nei confronti dei paesi industrializzati ma anche di quelli asiatici in via di sviluppo. Verso questi ultimi la Cina è temibile per la sua capacità di "esportare deflazione", cioè di produrre le stesse merci a prezzi sempre più bassi.
5  China Statistic Yearbook, 2002. II reddito pro capite in Cina, prima delle imposte personali, è stato nel 2002 di 978 Usd annui. Tale valore non tiene conto delle correzioni spesso apportate dalla Banca Mondiale e relative al potere d’acquisto (PPP, Parity Purchasing Power). Laddove questa correzione venisse presa in considerazione la Cina risulterebbe più ricca rispetto ad altri paesi con costo della vita più alto e le campagne cinesi lo sarebbero in relazione alle città.
6  L’aggettivo è stato utilizzato da The Economist nel numero del 20 maggio 2003.
7  II problema non è nuovo, anche se da pochi anni registra attenzione da parte delle autorità cinesi. Queste ultime, conscie della inverosimiglianza di alcune statistiche, hanno intrapreso misure rigorose contro la "statistical corruption" ("Crackdown due on false statistics", China Daily 15.4.2002. Quando la credibilità dei dati può influenzare l’intera azione governativa la reazione è invece decisamente ostile. È il caso della forte polemica avviata contro il prof. Thomas Rawsky. In due documenti pubblicati nel 2001 il docente dell’Università di Pittsburgh contestava la validità delle rilevazioni ufficiali ("lacks the capacity to collect data outside normal information channel"). Attraverso un elaborato sistema di calcolo (che comprende il consumo di energia, la crescita dei trasporti civili, quella della produzione industriale e l’incremento della spesa al consumo pro capite), il prof. Rawsky è giunto alla conclusione che il tasso di crescita del Pil nel 2001 è stato compreso tra il 3 ed il 4%, circa la metà del 7,3% dichiarato ufficialmente. Le risposte ufficiali sono state rigide nella difesa del loro operato. Si vedano al riguardo: "How cooked are the books?", (The Economist, 16.3.2002), "China’s Gdp statistica are credible" (Beijing Review, 4.7.2002), "China forging ahead" (Far East Economic Review, 10.10.2002), "China’s growth unassailable", (China Daily 14.10.2002).
8  Secondo una recente analisi dell’International Labor Organization (v. CNN.com.business del 16.5.2003) si perderanno, a causa della Sars, 5 milioni di posti di lavoro nel settore del turismo nel mondo, principalmente in Asia.
9  Per le cifre riportate si vedano: "How big a dent in the economy?" (The Economist, 17.5.2003) e "Sara will not stop growth of China’s economy" (People’s Daily, 20.5.2003). Per una valutazione dell’impatto socio economico della Sars, si veda: "Sars shakes complacent mood of China" (New York Times, 13.5.2003).
10  Cfr. tabella n.1. I valori dei Paesi per i primi 4 mesi del 2003 non sono ancora disponibili.
11  Si vedano la tabella 1 e "Sara dents FDI growth in april", Far East Economic Review, 22.5.2003.
12  Si vedano le tabelle 2 e 3.
13  Esistono forti discrepanze nelle rilevazioni dell’interscambio commerciale italo-cinese tra I’Istat ed il China Statistic Bureau (le cui fonti sono quelle usate in questo articolo). Secondo quest’ultimo, solo dal 1998, la Cina registra un attivo commerciale rispetto all’Italia. Esso risulterebbe pari a 0,5 miliardi di Usci, mentre per I’Istat è circa 8 volte superiore.
14Secondo il citato articolo di The Economist (19.5.2003): "At Guangzhou’s annual trade fair held last month, the value of contracts signed was less than a quarter of last year’s $17 billion".

 

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