Lo scorso mese di aprile Enrica Collotti Pischel è morta dopo una lunga e dolorosa malattia contro la quale si è battuta con una lucidità persino imbarazzante. Ricordarla non è un compito facile perché per molti è stata nello stesso tempo la studiosa, l’insegnante, la maestra, l’amica, ed è difficile condensare in poche righe il modo in cui ha saputo essere tutto questo.
Enrica non amava essere definita sinologa, preferiva essere considerata una storica dell’Asia e, in effetti, ha scritto parole importanti sulla Cina; ma la sua vastissima produzione scientifica ha riguardato anche altri paesi del continente e il continente nel suo insieme. II fatto che sia stata capace di muoversi con sapienza in ambiti politici, sociali e culturali molto differenti testimonia le sue qualità straordinarie e la vastità delle sue conoscenze e ciò è tanto più ricco di significato oggi che la specializzazione - per un tema o un paese - è così accentuata.
Le sue riflessioni, le interpretazioni delle vicende storiche e politiche dell’Asia, e della Cina in particolare, diventavano i materiali delle sue lezioni a Scienze politiche, affollate di studenti incantati dai collegamenti inaspettati che sapeva generare fra mondi apparentemente così distanti come, ad esempio, quelli asiatico ed europeo.
D’altronde, l’insegnamento per Enrica era una vera passione che esercitava in aula, o raccogliendo fragoline di bosco e preparando jiaozi nella casa della sua amata Serrada, perché credeva davvero che il sapere fosse il mezzo più efficace di affermazione personale e soprattutto lo strumento per ridurre le disparità sociali. Nella sua passione politica per la Cina maoista c’è molto di questa convinzione e lo si può ben comprendere nel frequente richiamo ai temi dell’accesso alla scuola, ai destini degli intellettuali, alle condizioni delle donne, per le quali era certa che istruzione e lavoro fossero le armi più opportune per migliorare le condizioni di vita.
Questa convinzione può forse spiegare la sua instancabile opera di divulgazione della cultura asiatica. Per Enrica non faceva molta differenza parlare a un convegno, in sezioni di partito o di associazioni, nei locali degli oratori, per poche o molte persone. A lei interessava comunicare ciò che sapeva e, finché le sue forze glielo hanno consentito, ha accettato senza indugi gli inviti che provenivano dal mondo del volontariato e dell’associazionismo per i quali nutriva grande stima.
Questo suo modo di concepire la vita si è anche tradotto in uno straordinario rapporto con gli studenti che hanno avuto la fortuna di conoscerla. In università la porta di Enrica era sempre aperta e la sua disponibilità era massima: aveva trasferito dall’ambito delle idee alla pratica quotidiana i principi di giustizia e di uguaglianza in cui credeva.
I suoi studenti non sono mai stati solo tali; Enrica si rapportava a loro considerandoli come "biografie", cercando di comprendere di ciascuno la storia personale per indurli a dare il massimo secondo le proprie capacità e stimolandoli a credere nelle proprie risorse e provare a dare anche di più. Per questo gli studenti le hanno voluto bene e per questo, nel ricordarla come studiosa di indiscusse capacità, non si potrà dimenticare anche il suo straordinario stile di vita, forse l’eredità più difficile da onorare fra i suoi allievi e fra i molti altri che l’hanno amata.
PATRIZIA FARINA
Nel pomeriggio di venerdì 11 aprile è venuta a mancare Enrica Collotti Pischel. II male che l’ha portata alla morte l’aveva colpita otto anni fa. In tutto quel periodo Enrica aveva continuato a comportarsi con il suo solito dinamismo e con un’energia che persone assai più giovani le invidiavano. Ancora pochi mesi fa, quando avevo avuto occasione di collaborare con lei in quanto commissario di un concorso per un posto di ricercatore all’Università di Milano, avevo potuto constatare, ancora una volta, come, nonostante l’evidente debolezza fisica generata dal progredire della malattia, Enrica mantenesse un’energia, una capacità lavorativa e una lucidità intellettuale invidiabili e, certamente, assai superiori alla media. Accanto a tutto questo, c’era un certo disincantato realismo. Enrica si rendeva conto di essere vicina alla fine, ma rivendicava come una vittoria personale la capacità di aver condotto con successo la sua lunga lotta contro il cancro, una lotta che, appunto, come lei stessa mi confidò in quell’occasione, le aveva dato otto anni di vita. Otto anni - posso aggiungere, per conoscenza diretta - in cui Enrica era riuscita a condurre una vita sostanzialmente normale e straordinariamente produttiva in campo scientifico e come "imprenditrice culturale". Discepola di Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel è stata una delle voci più innovative e una delle studiose più prolifiche nel campo dell’asiatistica italiana. Alla Cina ha dedicato le sue maggiori energie di studiosa e di divulgatrice, studiandone il difficile percorso fino alla riconquista dell’autonomia e dell’unità nazionale. Ha pubblicato i documenti della lotta politica degli anni ‘50 e ‘60; ha analizzato lo scontro che portò alla rottura con l’Unione Sovietica; ha descritto la delusione per la repressione dell’89 in piazza Tian’anmen.
Sebbene i suoi contributi riguardino soprattutto il campo della sinologia, in momenti diversi nell’arco della sua lunga carriera (soprattutto all’inizio di essa), ha dedicato alcuni scritti brevi anche alla storia dell’India contemporanea. Come Borsa, infatti - e unica fra gli allievi di Borsa e, più in generale, fra gli asiatisti italiani - Enrica aveva la capacità di spaziare sulla storia moderna e contemporanea di tutti i maggiori paesi asiatici. In particolare, da quando era succeduta al compianto Beonio Brocchieri come leader di un gruppo di asiatisti impegnati nel corso degli anni in una successione di progetti di ricerca "di rilevante interesse nazionale" (un gruppo originariamente raccoltosi per iniziativa di Giorgio Borsa), Enrica aveva sempre riservato un congruo spazio allo studio non solo della Cina ma anche del Giappone, del Sud-est asiatico e del subcontinente indiano. È stata questa sua politica culturale che, negli ultimi anni, ha permesso il completamento di una serie di ricerche condotte anche da altri studiosi - fra cui chi scrive - ed il concretarsi di tali ricerche in numerose di pubblicazioni, non solo sulla Cina ma sul resto dell’Asia.
Oltre che alla perdita sul piano personale - sentita da molti di noi -, la scomparsa di Enrica rappresenta il venir meno di un punto di riferimento importante nel campo dell’asiatistica italiana. È per questo che la sua morte - come quella di altri maestri recentemente scomparsi - ci lascia tutti più poveri sia a livello personale, sia come studiosi.
MICHELGUGLIELMO TORRI
MONDO CINESE N. 115, APRILE-GIUGNO
2003