Collettività, comunità, masse e loro comportamenti. È stato questo il progetto della seconda edizione di "FotoGrafia - Festival Internazionale di Roma", che dall’8 maggio al 22 giugno ha proposto circa cinquanta mostre di fotografia sparse un po’ ovunque nella capitale.
Otto autori, sei cinesi e due occidentali, sono stati accolti alla galleria "L’Officina - Arte al Borghetto": con un totale di 114 fotografie ed un video, il progetto ha voluto raccontare la Cina contemporanea, attraverso il comportamento di diverse collettività. La mostra ha fornito anche un aggiornamento rispetto alle più recenti attività artistiche: in questi ultimi anni Xu Zhen e un gruppo di giovanissimi artisti residenti a Shanghai hanno contribuito, attraverso un lavoro costante, a creare una base espressiva fortemente tecnologica a cui fanno riferimento molti artisti.
Mescolando la tradizione alla sperimentazione, con una tecnica manuale che permette di sviluppare e stampare tutto il negativo creando delle efficaci panoramiche, Xing Danwen ha realizzato a Pechino nelle estati del 1999 e del 2000 un lavoro fotografico dal titolo "Scrolls A". In esso, con una selezione di tre scrolIs, tipico supporto della tradizionale pittura cinese, l’autore ci mostra con un profondo bianconero la vita dei pechinesi che si riuniscono lungo le rive del lago Houhai, nel pieno centro di Pechino a due passi dalla Città Proibita e dalla grande piazza Tian’anmen, dove ancora si possono percorrere i pochi vicoli rimasti della vecchia struttura urbana e ammirare i portoni delle poche case tradizionali sopravvissute.
Anche il lavoro di Tie Ying, che solo dal 1999 ha deciso di dedicarsi alla fotografia, ci parla di un luogo di incontro per i cinesi. Ci propone una raccolta di fotografie bianconero scattate sulla grande piazza pechinese che simbolicamente rappresenta il cuore della Cina. La Cina contemporanea, le città cinesi di media grandezza, rappresentano le quinte del lavoro realizzato negli anni compresi tra il 1986 e il 2002 da Han Lei che, con l’espressione fotografica tipica del reportage, ci mostra una interessante documentazione della vita di coloro che cercano di sfruttare al meglio le economie che si sviluppano attorno alla rete ferroviaria. Fotografo malinconico con le sue immagini bianconero, spesso riprese durante l’inverno con tempo nuvoloso, trasmette un’atmosfera statica dove, nonostante i grandi cambiamenti in atto nel Paese, tutto sembra permanere sospeso e immobile. Questo lavoro di Han ci sembra ancora più interessante se si pensa alla sua natura di reportage, alla comunicazione diretta che esso rimanda nel documentare quella tipologia sociale in contrapposizione alla natura obliqua della comunicazione tipica dei cinesi che preferiscono usare metodi meno diretti.
In occidente il reportage è senza dubbio un mezzo d’espressione e di documentazione ormai da anni ben sperimentato e proposto nelle sue molteplici forme. La mostra fa comunicare i due linguaggi, quello cinese e quello occidentale, esponendo, pur in uno spazio limitato, accanto a sei fotografi cinesi, anche due occidentali.
II lavoro del fotografo francese Bertrand Meunier è un lavoro di ricerca cominciato nel 1997 e ancora non concluso. Dalle zone industriali più remote ai villaggi che saranno ingoiati dalla "modernizzazione", dalle frontiere del nord alle grandi metropoli, Meunier è attento ai cambiamenti, vicino alla gente che incontra e cerca di svelare quel tipo di realtà per poter evocare dell’altro ancora: non cerca di descrivere il mondo in cui viaggia, ma piuttosto cerca di vivere dall’interno la realtà che attraversa con l’obiettivo di creare delle immagini che sappiano trasmetterci le emozioni che lui stesso ha vissuto e che ci portino ad interrogarci su quelle stesse situazioni.
Rhodri Jones, fotografo di origine gallese, appartenente a quella che lui stesso definisce "una minoranza culturale", ha mostrato un particolare interesse per le minoranze nazionali, che vivono nelle province del Gansu, del Qinghai, del Xingiiang e dello Yunnan. Di esse Jones con rigoroso bianconero cerca di cogliere ciò che è rimasto della tradizione e ci presenta un quadro interessante della vita quotidiana di queste collettività sconosciute ai più1 .
Chiudono la rassegna due autori cinesi che ci propongono lavori fotografici basati sulla documentazione di performance. Quello di Zhang Dali, autore tipicamente metropolitano, è un’opera basata sulla documentazione di una performance che ha un obiettivo preciso: documentare la fase di realizzazione di un calco in gesso fatto su una testa di un cinese abitante delle periferie di Pechino. Tra la primavera del 2001 e il maggio 2002, Zhang ha realizzato cento teste in resina che documentano il reale aspetto dei cinesi della nostra epoca.
Anche l’opera di Gao Zhen e Gao Qiang (i Gao Brothers) è un lavoro fotografico che documenta una performance, l’invito rivolto a circa centocinquanta volontari cinesi tra loro sconosciuti di scegliere casualmente una persona da abbracciare per circa quindici minuti, in luoghi e condizioni diverse. Dal punto di vista propriamente fotografico, il risultato dell’azione generata da un abbraccio collettivo richiama a quella forma artistica legata alla "scultura vivente". Questo enorme pannello di dodici metri per quattro, formato da quarantotto fotografie quadrate di lato un metro, ci mostra una fotografia astratta, una scomposizione della realtà che esprime un profondo senso di utopia. Interessante è notare come le persone coinvolte scelgano di abbracciare persone dello stesso sesso: tale scelta non è certo indice di inclinazioni omosessuali, ma piuttosto di un comportamento sociale fortemente influenzato da un certo moralismo di stampo tradizionale, che ancora frena le manifestazioni d’affetto in pubblico.
MONDO CINESE N. 115, APRILE-GIUGNO
2003