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RAPPORTI

CHINART (Roma, 15 febbraio-27 aprile 2003)

di Valentina Casacchia

Nei nuovi spazi di MACRO1 all’ex mattatoio di Testaccio, storico quartiere romano divenuto oggi di tendenza, è stata organizzata l’esposizione collettiva CHINART, una panoramica sull’arte contemporanea cinese. Ventidue gli artisti, per un totale di trentacinque opere dislocate in uno solo dei due capannoni dell’ex mattatoio. La versione romana si presenta leggermente ridotta rispetto a quella del Museo Küppersmülhe Sammlung Grothe di Duisburg, prima tappa europea di questo progetto curato da Walter Smerling in collaborazione con la Central Academy of Fine Arts di Pechino.

AI centro del piazzale antistante il capannone un gigantesco dinosauro rosso lacca in gabbia made in China (lo annuncia il tagliandino attaccato ...avremmo forse potuto avere dubbi?)2 , firmato Sui Jianguo, accoglie il visitatore ignaro. Entrando, sulla sinistra, le donne di Feng Zhengiie, China No. 4 e China No. 16, confessano non senza ironia l’atteggiamento di chi assolve al ruolo tradizionale di donna-modella per compiacere chi guarda, svelando inaspettatamente un’avveniristica sensualità androgina lontana dalla tradizione.

Diversi artisti ripropongono la figura umana nei suoi vari aspetti e momenti, ma la svuotano dei consueti contenuti, ne sviano l’accademico senso immediato, la rivedono e la correggono in una moderna luce di contrasti.

Così per esempio vediamo una macchia di sangue disturbare le immobili e belle figure di Zhang Xiaogang in Green Army Uniform, Baby Soldier of the Navy e Baby Soldier of the Army, suggerendo inquietanti presagi non privi di malinconia. O le minuscole figurine di Zeng Hao in May 6, 2001, 10:00 am, March 4, 2001, Xiao Li is going out, July 21, 2000, noon aggirarsi in un deserto di anonimato nel quale ci sfuggono i legami che esse hanno con le poche cose che le circondano. È il titolo a fornire una possibile traccia di identità, mettendo in relazione i gesti rappresentati, apparentemente comuni e insignificanti, con delle date precise, con un hic et nunc che ne annulla la routine cui farebbero pensare.

Non mancano influenze pop nelle sequenze coloratissime dell’esordiente (in Europa) Chen Yu, nelle quali la serialità di una rigida posa viene messa in discussione da sottili, smorfiosi ammiccamenti, e nelle fotografie di Wang Qingsong risultato finale di allestimenti scenografici dal chiaro messaggio provocatorio nei confronti di condizioni sociali ed economiche.

Potrebbe esserci una traccia politica anche nell’opera del più famoso Hai Bo (già presente in qualità di organizzatore di una delle sezioni del citato Festival di Fotografia di Pingyao) i cui lavori fotografici qui presentati, pongono un confronto tra due stadi esistenziali: un passato e un presente uniti solo dalla identica posizione in cui i soggetti sono ritratti. Sta a noi riflettere sull’immaginaria ellissi prodotta dall’artista, nella quale i destini prevedibili di un’epoca hanno poi cambiato rotta producendo effetti diversi, e comprendere come quel confronto divenga un contrasto lucido e inquietante. In They Nr. 3 la fotografia iniziale ci mette di fronte cinque giovani soldati in divisa dell’Esercito popolare cinese e un indizio temporale, la data: ‘74-10-3. Nella successiva le sedie sono vuote, è rimasto un solo uomo invecchiato. L’assenza si configura come presenza di significato, lasciando che un’ombra di arte concettuale emerga da queste opere.

Richiamano posizioni concettuali anche le installazioni di Wei Guangqing che individua un nuovo e personale modo di riprodurre i grandi problemi della società moderna: la contraccezione, l’AIDS, la droga, la guerra. Classifica in cassettine apribili i simboli associati a ciascun tema (i preservativi, le siringhe, I’ecstasy, i soldatini) fornendo così una specie di originale, pratico, consultabile dossier della sua/nostra epoca.

Quattro i video in mostra, rispettivamente My Sun di Wang Gongxin, suggestivo alternarsi di suoni e immagini sullo sfondo di una campagna semi bruciata nella quale lavora un esercito di contadine formate da una stessa vecchia donna; The Gooey Gentleman di Zhou Xiaohu divertente commistione di body art e animazione; Floating Rock di Zhang Wang dove una roccia di alluminio viene abbandonata in mare e ripresa da lontano nel suo galleggiare ritmico; e Broken Again di Song Dong nel quale un uomo compie il gesto di rompere quello che sembrava un vetro in mezzo alla strada e invece si svela uno schermo a sua volta proiettante un video. II tutto ci viene proposto ad alta velocità in rewind dopo una lunga attesa davanti lo schermo senza segnale.

Di sapore espressionista il lavoro di Zhang Jiangiang. II suo Fettle è solo uno dei nove pannelli che costituiscono l’opera completa qui purtroppo presentata parzialmente. La tela ha un colore livido e inquietante vagamente repellente. Dallo sfondo emerge la smorfia sinistra di un volto ferito e bendato. Accanto, lo stesso colore, un rosa macchiato di rosso costituisce la pelle dei Globe: mappamondi sfigurati da bruciature e deformazioni.

AI tema dell’attesa sono dedicate le due grandi tele di Chen Wenbo dal titolo Someday No. 1 e Someday No. 2 dove in un’apocalittica atmosfera celeste si confonde una sigla numerica, un probabile avvertimento, un codice segreto che se notato allarma, spiazza, mette in agitazione. L’opera si esplica in questo processo di sottile shock.

La figura del bambino sembra avere un ruolo dominante in molte di queste opere. Diventa oggetto di culto nei pupazzi in fibra di vetro di Jiang Jie intitolati Be; provocatorio piccolo leader nei quadri di Tang Zhigang, impressionante moltitudine nei dipinti di Zhang Linhai.

II panorama delineato si presenta allo spettatore in un allestimento invitante e curioso, introducendolo in un mondo se non del tutto nuovo, ugualmente affascinante e promettente.

Unica nota negativa il catalogo unicamente in tedesco (se si esclude la breve presentazione iniziale in italiano), senza la versione inglese, un non eccellente passaporto per chi di arte contemporanea, soprattutto cinese, non s’intende molto.
Catalogo: Smerling W., Fang Di’an (a cura di), Chinart, Bonn, 2002, 158 pagine.

MONDO CINESE N. 114, GENNAIO-MARZO 2003


Note

1 Museo d’arte contemporanea di Roma.
2  II medesimo che figurava all’ingresso dell’esposizione parigina citata più in alto da A.L.

 

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