II 20 Settembre 2002 si è inaugurata nella città di Pingyao la seconda edizione del
Pingyao International Photography Festival. La cerimonia d’apertura si è consumata secondo il migliore protocollo della tradizione cinese: archi colorati che sovrastavano suonatori in costume d’epoca Ming, guerrieri guarniti di elmi e lance rigorosamente allineati lungo un tappeto rosso intriso di pioggia e fango... La coreografia é stata realizzata appena fuori le mura di Pingyao, l’unica città cinese di cui resta intatta l’imponente cinta muraria, che attualmente è compresa nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO1 . Dentro le mura la città è stata recentemente restaurata, ma, nonostante le decine di negozietti di antiquariato lungo la strada principale della torre del mercato e la quantità di turisti cinesi che affollano le sue vie, l’ordine geometrico della classica città han impera e conserva il suo fascino. La cultura che si respira percorrendo le vie dell’antica città, entrando nei templi e soggiornando nelle tradizionali dimore (gran parte degli alberghi all’interno delle mura sono vecchie case riadattate), è stata, senza dubbio, alla base della scelta di Pingyao come sede del festival. II supporto di validi sponsor sia stranieri (Alcatel, L’Oréal Cina, l’Ambasciata di Francia in Cina) che cinesi (la provincia dello Shanxi, le città di Jinzhong e dì Pingyao, il giornale cinese
Renmin sheying bao (Fotografia del popolo) ha permesso di riunire in diciassette luoghi espositivi un buon numero di mostre. La possibilità di vedere tanti lavori di fotografi cinesi e di poter incontrarne gli autori, la presenza di molti professionisti occidentali provenienti per la maggior parte dall’Europa e dagli USA, l’atmosfera d’altri tempi emanata dalla città di Pingyao e dai suoi abitanti, hanno reso molto piacevole ed interessante un festival che ha anche subito non pochi problemi organizzativi.
II fatto che dopo la prima edizione, organizzata nel settembre del 2001, ne sia stata organizzata, nel settembre 2002, una seconda, che ha avuto ampia risonanza anche sulla stampa internazionale, soprattutto sui giornali francesi come
Le Monde (28 settembre 2002), Libération (30 settembre 2002), o
L’Humanité (8 ottobre 2002), può costituire un concreto presupposto per trasformare in futuro l’evento di Pingyao in un appuntamento annuale fisso. Di grande rilievo soprattutto se si pensa all’evoluzione dell’uso della fotografia in Cina.
Ripercorriamone allora, almeno brevemente, le tappe più salienti: ricorderemo quindi che, mentre in occidente l’arte spesso raffinata della fotografia ottocentesca aveva subito, all’inizio del ‘900, una vera rivoluzione quando si diffuse la riproduzione meccanica delle fotografie, in Cina ancora non si lavorava in questa direzione. In quel periodo, in occidente erano già presenti le riviste illustrate che, una volta perfezionato il sistema di stampa, avevano cominciato a pubblicare fotografie a livello popolare, mentre quelle cosiddette di pregio continuavano ad usare vecchie tecniche, attribuendo al ‘nuovo’ procedimento una perdita di qualità a fronte della quantità. I ‘fotografi artisti’, legati all’uso di macchine fotografiche a grande formato a lastra, si concentrarono ben presto su procedimenti ancor più raffinati che li portarono in una direzione sempre più pittorica. Altri fotografi, più curiosi verso l’innovazione, continuarono a lavorare per promuovere la diffusione della fotografia e le loro speranze si realizzarono con l’incremento delle riviste di massa che, insieme all’arrivo di rullini e delle macchine fotografiche a basso costo, diedero l’avvio alla nuova disciplina del fotogiornalismo2 , che introdusse un nuovo modo di osservare e diffondere la realtà, o i fatti che si verificano nella realtà.
In ambito cinese, impossibile non menzionare il lavoro di una coppia di grandi fotografi, legati sia nella vita privata sia nel lavoro: Xu Xiaobin, oggi energico ottantottenne e Hou Po, vigorosa settantottenne, che con le loro fotografie hanno documentato il diario della storia del partito comunista cinese. Scorrendo le tante fotografie scattate dalla solida coppia, la fotografia che colpisce maggiormente è sicuramente quella di Xu Xiaobin - siamo nel 1938 - nella vecchia città di Yan’an, il luogo sacro della rivoluzione cinese: un controluce intenso dove la silhouette di un soldato dell’armata, eretta a guardia delle imponenti e antiche mura della città, è disegnata contro un cielo immenso. La luce è ambigua, non sembra essere né al crepuscolo né all’alba, ma in ogni caso osservando quella fotografia sembra evidente l’imminenza della vittoria. La semplicità con la quale Xu Xiaobin descrive quegli anni di lavoro ci rimanda ad un’altra epoca: "II mio lavoro era fotografare. Qualsiasi grande o piccolo evento fosse in corso io ero presente con la mia macchina fotografica, ma questo accadde non perché io fossi un grande fotografo, ma semplicemente perché io possedevo una macchina fotografica, una vera rarità in quel periodo3 ..."
Così, anche al Festival di Pingyao non poteva mancare una articolata esposizione di fotografia storica nella sezione fotogiornalismo cinese, la cui direzione artistica è stata affidata a Si Sushi direttore generale del Festival. Un consistente numero di fotografie ha presentato il bel lavoro di Sha Fei sulla Cina degli anni ‘30-‘50: immagini bianco nero un po’ sgranate sulla guerra russo-giapponese, la lunga marcia, la vita quotidiana dei contadini e delle classi sociali più elevate che forniscono un quadro piuttosto completo e molto interessante della società cinese dell’epoca.
Osservare questo tipo di fotografie è sempre un’esperienza forte, mossa soprattutto dal fatto che questi lavori fotografici non hanno avuto ampia diffusione in occidente, e dunque noi occidentali abbiamo per lo più visto fotografie storiche della Cina scattate da autori occidentali, e quindi siamo stati abituati a vedere la Cina attraverso uno sguardo occidentale. Varrà la pena ricordare che le prime immagini che arrivarono dalla Cina furono realizzate proprio da un italiano: il veneziano Felice Beato, uno tra i primi occidentali a svolgere la professione di reporter in quel Paese. Già nel 1860 Beato si era recato ad Hong Kong dove cominciò a documentare i preparativi per la Seconda Guerra dell’Oppio. Successivamente si trasferì a Canton dove si imbarcò con militari inglesi per raggiungere Dagu, il luogo della battaglia di cui resta la prima documentazione fotografica di quel conflitto4 .
Appare quindi pienamente comprensibile la titubanza espressa da Marc Riboud, grande fotografo francese5 , quando, agli inizi degli anni ‘90, gli venne proposto di esporre a Pechino una personale sulla Cina. Riboud racconta che quando gli domandarono di raccogliere in una mostra le fotografie più significative dei suoi lunghi anni di lavoro sulla Cina, la sua prima reazione fu di rifiuto: "Come può uno straniero, un ‘naso lungo’, avere l’audacia di mostrare la Cina ai cinesi? Soprattutto ai cinesi di oggi per i quali la nostalgia non è tra le prime delle loro preoccupazioni! Cosa possono raccontare le mie vecchie fotografie a coloro che non pensano altro che all’oggi e al domani?". Riboud accettò di partecipare all’avventura solo in seguito all’insistenza di artisti cinesi di prestigio internazionale come Zhang Yimou e Gong Li che lo convinsero dicendogli: "Noi conosciamo gli anni compresi tra il 1950 e il 1980 solo attraverso la fotografia di propaganda. Le giovani generazioni ignorano tutto della vita quotidiana di quel periodo. Ne hanno solo un’immagine deformata". Così nel 1996 nacque la mostra "Quarant’anni di Fotografia in Cina" alla galleria di Arte Moderna di Pechino. Una grande e bella esposizione che ha raccontato attraverso gli occhi di Riboud la vita quotidiana della Cina dal 1957 al 1993: un viaggio nel tempo che ha fatto rivivere, soprattutto ai cinesi che avevano vissuto quel periodo storico, molti ricordi e
sensazioni6 . Tutto ciò ben rappresenta uno dei ruoli che la fotografia gioca, quello della memoria dello sguardo: "Il ricordo di una certa immagine non è che il rimpianto di un certo istante"7
Dalla fine degli anni ‘80 la fotografia, intesa come arte del fotografare cioè come espressione, si è evoluta molto rapidamente seguendo le diverse tendenze artistiche che si sono successivamente affermate in altri settori culturali. L’arte sperimentale attuale ha ereditato lo spirito radicale e la ricerca di espressione individuale che hanno seguito la Rivoluzione Culturale. Le implacabili lotte intestine e gli slogan ideologici di quel periodo fanno ormai parte della leggenda cinese: alla fine del maoismo molti erano i problemi aperti che richiedevano soluzioni immediate ed il livello del trauma psicologico diffuso su tutta la popolazione era profondo. Ritroviamo tutti questi elementi nella produzione artistica della fine degli anni ‘70, che hanno visto il gruppo Xingxing (stelle) come protagonista della scena artistica. II gruppo era costituito principalmente da artisti amatori che si opponevano al divieto di festeggiare la festa Nazionale Cinese a Pechino: seguendo un’ispirazione di tipo occidentale, adottarono un approccio decisamente modernista convinti che l’arte dovesse avere prima di ogni cosa una vocazione politico/sociale. Manifestando per le strade in difesa della loro causa, il gruppo "Stelle" è diventato senza dubbio il capo-fila dell’avanguardia artistica cinese8 , e ha giocato un ruolo determinante non solo nel mondo della produzione artistica, favorendo lo sviluppo di altri movimenti: accenneremo soltanto alla cosiddetta "Letteratura delle cicatrici" nel settore della letteratura, alla "Quarta Generazione" in campo cinematografico e al gruppo fotografico "Aprile" in quello della fotografia concettuale. Gli appartenenti a quest’ultimo gruppo si ponevano l’obiettivo di porgere maggiore attenzione alla realtà sociale, e oggi si può sicuramente affermare che è proprio con quel movimento che la fotografia contemporanea cinese ha cominciato a formarsi e a crescere con una coscienza autonoma rispetto ad altre discipline9 .
Alla fotografia contemporanea che fa riferimento all’espressione concettuale il Festival di Pingyao ha dato ampio spazio, dedicandovi una intera sezione. Il curatore, Gao Bo, fotografo ben conosciuto anche in Italia in quanto ha esposto il suo lavoro in occasione della Biennale Internazionale Giovani di Torino del 2000’10 , è stato anche il direttore artistico della parte del festival dedicata ai fotografi cinesi le cui opere sono state tutte esposte nel Cotonificio
(Mianzhi chang), un’ex area industriale vicino all’ingresso ovest della città i cui operai sono stati riassunti per l’occasione come guardiani dello spazio espositivo.
Inoltrandoci nelle sale abbiamo trovato lavori piuttosto interessanti come quello del fotografo Wang Qingsong, anch’egli già presente a Torino nel 2000"11 , che, con la sua definizione di socialismo a caratteristiche cinesi "un cambiamento in un anno, un grande cambiamento in tre anni, una non identificabile trasformazione in cinque anni", ha esposto una colonna di militari all’assalto di una collina sulla quale trionfa il logo di McDonald, e il trittico "passato, presente, futuro" che ironicamente immortala i gloriosi monumenti dell’armata rossa o del proletariato trionfante, dove un piccolo "nuovo" borghese cinese fa fare pipì al proprio cane (in Cina la nuova moda è quella di possedere cani da salotto).
Abbiamo trovato il bel lavoro di Liu Zheng: grandi formati bianco nero sulla Cina di oggi che propongono immagini di opulenti uomini d’affari stranieri e ritratti di minatori cinesi dell’area di Datong (capitale dell’industria del carbone in Cina).
E ancora sono da segnalare le fotografie di Hai Bo, che ha esposto il suo lavoro sulle famiglie cinesi, rappresentate da una parte durante il periodo della rivoluzione culturale e dall’altra ai nostri giorni, già esposto in Italia alla Biennale di Venezia del 2001.
E ancora, il lavoro di Xin Danwen che crea degli scroll a partire da un unico intero negativo bianco nero. II risultato è una panoramica di immagini sulla vita quotidiana pechinese.
II giovane artista e curatore Shu Yan, sotto l’egida di Gao Bo, ha curato due tra gli spazi più interessanti dell’ex Fabbrica tessile. Qui troviamo l’ironico lavoro di Fen Weidong che ha esposto una sagoma di una ragazza in gonna corta che cammina su un’invisibile salita fino a mostrare, ammiccando maliziosamente, un paio di mutandine a quadretti bianchi e rossi; e il lavoro di Zhang Dali dal titolo "Dialogo": formato a colori stretto e lungo, che in secondo piano immortala il più alto grattacielo dell’Asia, il Jinmao di Shanghai (dal 54esimo piano in alto diventa, per 33 piani, il Grand Hyatt Hotel) ed in primo piano un muro in distruzione dove l’artista ha disegnato, con bomboletta spray, il suo noto profilo.
Uno tra i più importanti obiettivi del Festival di Pingyao è stato sicuramente l’incontro tra la fotografia occidentale e quella cinese che, lontano dalla vigile capitale, si è potuta esporre con maggiore libertà. Ma, nonostante le buone intenzioni di dialogo, le distanze sono poi state rigorosamente mantenute: infatti la manifestazione è stata rigidamente divisa anche come sedi espositive: le opere degli artisti occidentali erano riunite negli spazi della Compagnia di prodotti locali (Tuchang gongsi) una vasta area industriale un tempo dedicata alla produzione di manufatti locali, vicino alla porta nord della città; i fotografi cinesi, quelli più legati all’espressione concettuale, figuravano tutti esposti nell’ampio spazio del Cotonificio; mentre i fotografi cinesi che lavorano nel settore del fotogiornalismo erano sparsi un po’ ovunque tra templi e dimore.
Anche questa occasione permette di capire come nonostante le recenti aperture, rimanga ancora pesante il controllo ideologico sulla produzione artistica: a fronte dell’ampia sezione di fotografia concettuale cinese, dove comunque ben due autori sono stati censurati12 , la sezione del fotogiornalismo appare ancora povera di temi sociali. Secondo il classico modo indiretto di comunicare, il potere cinese può tollerare, almeno in parte, la critica obliqua, quella che passa attraverso la fotografia d’arte o i film d’autore, più difficile è accettare la comunicazione diretta che documenta i problemi sociali. Così, non è stato certo facile per il visitatore riuscire a trovare i lavori di Xu Peiwu, fotografo di Canton, che ha presentato la rapida distruzione di un intero quartiere della sua città e la migrazione dei suoi abitanti costretti a far posto alla nuova città che avanza. E bisognava entrare all’interno, dietro i cortili delle vecchie dimore, per trovare quasi nascosto il lavoro di Chen Tienliang che si interessa alle malformazioni umane dovute all’inquinamento da fluoro, ai lavoratori nelle miniere illegali, ai bambini delle campagne privati di qualsiasi forma di educazione.
Solo il lavoro di Bertrand Meunier, fotografo francese dell’agenzia "Vu" di Parigi, unico occidentale a presentare a Pingyao un lavoro sulla Cina, potrebbe essere messo a confronto con i suoi omologhi cinesi. Meunier, che con questo progetto l’anno passato ha vinto ad Arles il premio Leica, lavora dal 1997 sui grandi temi sociali della Cina producendo delle toccanti immagini bianco nero dense di contrasti e di significati.
A Pingyao la sezione del fotogiornalismo cinese si è svolta soprattutto nei templi e nelle dimore, spazi espositivi pieni di antico fascino dove statue di Buddha e severi guardiani del tempio hanno visto anche lavori sul corpo nudo di donna, come se la censura avesse deciso di non interessarsi più a questa materia: accesi cibacrome di donne distese su pietre con ai piedi acqua corrente sfumata e come sottofondo ripide montagne rocciose. Nell’ampia sezione "nudi" è da segnalare il lavoro che ha esposto Emi Shi che considera il suo corpo come una opera d’arte e si auto-fotografa mettendo in evidenza le sue generose forme. Infine durante il festival sono stati consegnati due premi: il premio Alcatel per il libro di fotografia cinese, vinto da Wang Fuchun con il libro "Chinese on the train", ed il premio L’Oréal per la fotografia contemporanea cinese, vinto da Liu Zheng.
Tra i fotografi stranieri da segnalare: il lavoro del newyorkese Jeff Jacobson dal titolo "You are here?" che con colori sobri propone un’interessante scomposizione della realtà tramite l’uso di riflessi e di visioni sovrapposte; il bel lavoro della spagnola Cristina Garcia Rodero che con rigoroso bianco nero disegna con intelligente ironia la parte cupa della realtà spagnola; l’unico italiano presente Uliano Lucas che espone l’Italia degli anni sessanta, una documentazione storica in bianco nero dei costumi dell’epoca e dell’immigrazione dal sud al nord dell’Italia.
Dolorès Marat, Sharah Moon, Yann Morvan, Marc Riboud, Patrick Zachmann i fotografi francesi che hanno esposto insieme a Bertrand Meunier a Pingyao. La presenza francese è stata compatta: i maggiori sponsor della manifestazione sono state società francesi che hanno fatto da motore trainante per altri sponsor permettendo di quadruplicare il budget dell’anno scorso (circa 500.000 euro). Questo era uno degli obiettivi della Francia che ha organizzato per il 2003 l’anno della Cina in Francia. Alain Julien, direttore artistico della parte francese, fornisce le cifre della manifestazione: 250 giornalisti, 1.280 accreditamenti, 2.000 visitatori professionisti, 12.000 visitatori durante la settimana del festival (20-27 settembre). L’ingresso così compatto di curatori e autori occidentali, l’affluenza di molti attenti e curiosi visitatori, fanno sperare che tale manifestazione si ripeta contribuendo ad allargare il dialogo ormai in atto tra le culture del mondo.
Catalogo: Shen Weichen (a cura di), 2002 Pingyao guoji sheyiing dazhan, Sheying jinping ji, Shanxi renmin
chubanshe, Taiyuan, 2002, 157 pagine.
MONDO CINESE N. 114, GENNAIO-MARZO
2003
Note
1 Le mura furono costruite tra I’827 e il 728 a.C. e ampliate nel 1370 durante la dinastia Ming . Cfr. A.A.V.V.,
Lao fangzi (Shanxi minju), Shanghai 1995, pp.38-45.
2 Cfr. Bernard B., Century, Phaidon, Parigi, 2002, p.7
3 Photographers, Mao’s Private Photographers: Xu Xiaobin and Huo
Po, Taipei, 2000.
4 Cfr. Lanciotti L. "Agli albori della Fotografia Occidentale in Cina", in AA.VV.
Atti del convegno "L’arte Fotografica e Cinematografica in Cina", Roma 2001, pp. 11-19.
5 Membro dal 1953 della storica agenzia MAGNUM di Parigi fondata nel 1947 da Robert Capo, Henry Cartier-Bresson, George Rodger e David Seymour.
6 Marc Riboud, Quarante ans de Photographie en
Chine, Beijing, 1996, p. 10. Varrà la pena ricordare, a questo proposito, la rivista Lao zhaopian (Vecchie foto) che, proprio a partire dal 1996, pubblica regolarmente testimonianze fotografiche e letterarie del passato più o meno recente. Cfr. Greselin E, "Vecchie fotografie come stimolo e pretesto per una letteratura della memoria", nel cit. Atti del convegno
"L’arte Fotografica e Cinematografica in Cina", Roma 2001, pp. 21-37.
7 Marcel Proust, Du cóté de chez Swann, Parigi, 1913. Nell’ultimo paragrafo del libro, Proust scrive: "I luoghi che abbiamo conosciuti non appartengono solo al mondo dello spazio, nel quale li situiamo per maggior facilità. Essi non sono che uno spicchio sottile fra le impressioni contigue che costituivano la nostra vita di allora; il ricordo d’una certa immagine non è che il rimpianto di un certo istante; e le case, le strade, i viali, sono fuggitivi, ahimè, come gli anni."
8 Chang Tsong-zung, "La longue marche vers I’occident", in
Paris Pékin, Chinese Century, Parigi 2001, p.15.
9 Shu Yang, " New Photography " in China’s New
Photography, Pingyao 2002, p.140.
10 Cfr. BIG Torino 2000, Biennale arte
emergente, Edizioni Lindau, Torino 2000, p.128.
11 Ivi, , p. 100. Wang Qingsong espone anche nelle mostre di Milano e di Roma, di cui si tratta più oltre.
12 L’autrice Chen Lingyang ha potuto esporre solo due fotografie della serie "12 Flowers Month" composta appunto da 12 fotografie colore. L’autore Cui Xiuwen non ha potuto esporre nessuna fotografia del suo lavoro "Chengcheng and Beibei": una serie provocatoria di ritratti di bambini nudi.
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