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EDITORIALE

Governare la Cina: 
problemi e prospettive dopo il XVI Congresso del PCC

di Guido Samarani

Il sedicesimo Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese (PCC) si è tenuto a Pechino dall'8 al 14 novembre 2002, con un ritardo di alcune settimane rispetto alle previsioni originarie1. Sono stati suggeriti motivi diversi per spiegare tale ritardo, tra i quali le difficoltà nella composizione della nuova leadership ed esigenze di politica internazionale. Non va tuttavia dimenticato al riguardo un elemento importante, che merita di essere particolarmente evidenziato: la questione dell'ammissione al partito degli imprenditori e dei nuovi strati sociali produttivi, e una potenziale opposizione a tale decisione che si sarebbe consolidata in alcuni settori del PCC. A tale proposito, la Monthly Review ha pubblicato nel mese di maggio di quest'anno la traduzione inglese di una lettera (la "Lettera dei quattordici", dal numero dei firmatari) che sarebbe stata inviata, per l'appunto, da 14 membri del partito2 al Comitato Centrale (CC) criticando una simile ipotesi. La lettera sarebbe stata seguita da una seconda missiva, più lunga ed articolata della prima, indirizzata sempre al CC da alcuni dei 14 firmatari3

La stampa italiana (ma non solo quella italiana) ha in molti casi enfatizzato - anche con titoli ad effetto - due temi centrali affrontati nel corso del congresso: il forte rinnovamento del gruppo dirigente e, come si è già accennato, la formale apertura del partito agli imprenditori e più in generale ai nuovi strati sociali produttivi, il cui ruolo è andato affermandosi nel corso degli ultimi due decenni.

Così, ad esempio, La Repubblica ha sottolineato l'entrata in scena a Pechino del "capitalismo rosso" e l'arrivo al potere di una nuova generazione definita "la dinastia degli ingegneri", mentre Il Sole 24 0re ha messo in rilievo l'emergere del nuovo Segretario generale del PCC, Hu Jintao, definito "il nuovo 're' della Cina".4

A sua volta, Minxin Pei ha sottolineato l'emergere di una leadership rinnovata e più giovane che dovrà farsi carico di una situazione dipinta a tinte estremamente fosche, mentre David Murphy, della Far Eastern Economic Review, ha parlato di "modello in crisi" e del tema delle nuove povertà che sono emerse nel corso del processo di riforma, indicando tale problema come centrale per la nuova dirigenza cinese5.

E' evidente che i temi del rinnovamento del gruppo dirigente e dell'apertura del partito ai "capitalisti rossi" sono stati centrali nel corso dell'assise: tanta enfasi su tali aspetti appare dunque comprensibile, anche alla luce dei criteri specifici che guidano di norma le scelte degli organi di informazione.

Tuttavia, se dovessi indicare un tema di fondo che possa emblematicamente evidenziare il vero tema di fondo ai quali i delegati al congresso si sono trovati di fronte - e al quale la nuova leadership dovrà cercare di dare una risposta -, direi che è quello del governo della Cina o, per meglio dire, della governance, cioè della capacità e autorità di governo e di direzione ma anche di dominio da parte del PCC. Tony Saich, uno dei più autorevoli studiosi del PCC, ha evidenziato acutamente in un suo recente lavoro come con il termine di governance si intenda andare oltre al mero problema del funzionamento delle istituzioni di governo e degli organismi amministrativi, e si tenda piuttosto a guardare alla questione dei rapporti tra comunità, società, e singolo individuo da una parte e stato dall'altra, al problema della affidabilità e trasparenza della politica, al tema della responsabilità e credibilità del potere nei confronti del cittadino.6

La strategica importanza del sedicesimo congresso7 è ampiamente analizzata e discussa, sotto vari punti di vista, in questo numero di Mondo Cinese, a testimonianza di una forte sensibilità e costante attenzione per quanto avviene nella Cina d'oggi.

Nelle pagine che seguono ci si soffermerà in generale su alcune questioni di fondo che sono state, a mio modo di vedere, al centro dei lavori dell'assise del PCC, facendo riferimento in particolare al rapporto presentato al congresso dal Segretario generale uscente, Jiang Zemin, allo Statuto - emendato - del partito, e alle motivazioni ufficiali rese note circa le modifiche allo Statuto stesso.

Altri temi di rilievo (formulazione delle "tre rappresentatività", partito e intellettuali, caratteristiche del nuovo gruppo dirigente, ecc.) saranno discusse più in dettaglio nei saggi che seguono. 

Per quanto riguarda invece altri problemi politici, economici e sociali, nonché relativi alla politica estera, mi auguro che essi siano sicuramente oggetto di specifica attenzione nei prossimi numeri della rivista, anche in coincidenza con la prossima sessione annuale dell'Assemblea Nazionale Popolare prevista per la primavera del 2003.

Sviluppo e riforme economico-sociali e riforma del sistema politico-istituzionale

Il rapporto presentato al sedicesimo congresso dal Segretario generale uscente, Jiang Zemin, offre vari spunti di riflessione sul tema8.

Va da sé che il rapporto va letto con attenzione ma anche con cautela, tenendo in particolare conto del forte aspetto retorico in esso presente. Tuttavia, la disgiuntura tra pratica e retorica politica e tra realtà sociale e immagine ideale che il potere ha - e cerca di trasmettere - della società stessa, è un fenomeno comune a tutti i sistemi politici. E' indispensabile dunque cercare di tenere conto di due aspetti: quello fattuale, rappresentativo della realtà concreta, e quello ideale, che rappresenta le aspirazioni di chi governa. Anche se in misura diversa da sistemi politici più aperti e pluralistici, ciò è vero anche in un sistema autoritario quale quello cinese, in quanto anche in una realtà a partito unico9 sussistono differenze e divaricazioni significative tra livello centrale e locale e tra direttive formulate e applicazione pratica delle stesse.

Il rapporto presenta un bilancio assai positivo degli ultimi 13 anni e assume significativamente come punto di partenza per tale bilancio il quarto plenum del Comitato Centrale (CC) eletto al tredicesimo congresso, tenutosi il 23-24 giugno del 198910

Non mancano tuttavia precisi e forti riferimenti ai problemi: si sottolinea come nel corso dei 13 anni trascorsi il cammino sia stato tortuoso e segnato da un notevole travaglio politico, da rischi e problemi superati ma anche da difficoltà nel conseguimento degli obiettivi, e da eventi internazionali imprevisti. In particolare, vengono sottolineati problemi quali: la lenta crescita dei redditi dei contadini e alcune fasce di residenti urbani, l'aumento dei senza lavoro, la precarietà dell'ordine pubblico in certe aree.

Al centro del lavoro futuro sono posti, in chiara continuità con la strategia generale degli anni Novanta: lo sviluppo economico (indicato come "problema fondamentale"), la stabilità, le riforme e l'apertura verso l'esterno, la costruzione di una civiltà sia materiale che spirituale in cui si combinino ruolo e funzione della legge e della virtù, nonchè rafforzamento e sviluppo della cultura nazionale e assorbimento di risultati conseguiti da altre culture. 

Gli emendamenti allo Statuto11 approvati (in particolare, il paragrafo 7 del "Programma generale") chiariscono altresì come uno degli obiettivi principali da conseguire in futuro sia di "portare il livello del Prodotto interno lordo al livello dei paesi a moderato sviluppo" e di "realizzare una modernizzazione sostanziale in occasione del centenario della RPC [ossia nel 2049]". Viene inoltre riaffermato il principio secondo cui la fase primaria del socialismo in cui la Cina si trova è destinata a perdurare a lungo, ed è ribadito il ruolo dominante della proprietà pubblica dei mezzi di produzione, attorno alla quale ruota un insieme di forme diverse di proprietà.

Al paragrafo 9 dello stesso "Programma generale" viene poi inserito l'obiettivo strategico di ringiovanire il paese attraverso la scienza e l'educazione e di promuovere uno sviluppo sostenibile.

Il nesso patriottismo-socialismo viene visto come lo strumento per accrescere la coesione della nazione cinese, di cui la consolidata politica di "un paese e due sistemi", già sperimentata nel caso di Hong Kong e Macao e applicabile - quantomeno in teoria - anche a Taiwan, rappresenta un chiaro corollario. 

Infine, i cardini della politica estera cinese sono indicati in pochi ma chiari concetti: sicurezza e sovranità nazionali, pace ed indipendenza.

E' questo decalogo di princìpi12 che viene offerto al partito come bussola per guidare il paese in futuro nella edificazione di un "socialismo dalle caratteristiche cinesi".

Il tema dell'assetto e delle riforme politiche, e del suo legame con lo sviluppo e le riforme economico-sociali, viene affrontato con particolare attenzione nella parte seconda e quinta del rapporto di Jiang Zemin.

La chiave per lo sviluppo e le riforme economiche - si sostiene nel rapporto - sta nel rafforzamento e nella crescita della democrazia socialista. Ma in che modo la democrazia socialista può essere rafforzata e, soprattutto, che cosa si intende per democrazia socialista? 

La risposta ricalca a grandi linee l'approccio tradizionale ed ortodosso che è prevalso in Cina nell'ultimo decennio, lontano quindi dalle aperture, pur caute e graduali, che avevano in parte ispirato il XIII Congresso del 1987. 

In quella fase, infatti, era stata prospettata, soprattutto dall'allora Segretario generale del PCC, Zhao Ziyang, l'esigenza di affrontare anche, nell'ambito del processo di riforma, alcuni nodi relativi al ruolo ed alla struttura di un partito che era nato - e si era successivamente sviluppato - secondo specifici modelli organizzativi legati al modello leninista e all'esperienza concreta della rivoluzione cinese e dell'edificazione del socialismo in un paese arretrato. Tale ruolo e struttura erano quindi visti come inadatti alle esigenze di un'economia più decentrata e influenzata dal mercato. Inoltre, veniva anche ipotizzato un limitato pluralismo, sia nel senso di offrire una maggiore autonomia a (e di riflesso acquisire una maggiore partecipazione da) intellettuali ed esperti nel processo di definizione e di decisione politiche, sia nel senso di prevedere la possibilità che nuovi gruppi sociali partecipassero alla formulazione e applicazione delle riforme.

Naturalmente, tali ipotesi erano strettamente collegate alla riaffermazione della guida del partito e al mantenimento della sua capacità di leadership in una fase di profondi mutamenti.

Già nel corso del XV Congresso del 1997 il tema delle riforme politiche era stato affrontato negando sostanzialmente ogni ipotesi di pluralismo e di importazione di "modelli occidentali" in Cina; inoltre, la risposta all'emergere di nuovi spazi e domande sociali e di nuove idee e convinzioni eterogenee (e anche eterodosse) era sostanzialmente affidata a strumenti quali la cooperazione con i "partiti democratici", il rafforzamento dell'assetto legale e il consolidamento del programma di elezione nei villaggi13.

Così, nel corso degli anni Novanta sono stati rafforzati gli strumenti tradizionali di controllo e avviata un'opera di ricostruzione e di rafforzamento delle organizzazioni di base del partito; allo stesso tempo, sono state attivate e proposte campagne ideologiche che miravano a consolidare ed estendere la base sociale del partito stesso, quali quella delle "tre rappresentatività" e, prima ancora, quella delle "tre enfasi"14.

Oggi, lo sviluppo della democrazia socialista viene visto, in sostanziale continuità con le tendenze affermatesi nell'ultimo decennio, nella combinazione tra "guida del partito" e "governo del paese attraverso la legge", garantendo in tal modo che "il popolo possa essere effettivamente padrone del paese". In quest'ambito, il PCC è chiamato ad assumere un ruolo centrale attraverso un'opera "di guida e di sostegno nei confronti del popolo chiamato ad agire in quanto padrone del paese e di mobilitazione e organizzazione su ampia scala del popolo stesso nella gestione degli affari dello stato ….".

Lo sviluppo della democrazia socialista - si afferma ancora nel rapporto - passa altresì attraverso la riforma e il miglioramento dello stile di lavoro del partito. Qui, il ruolo dominante del PCC emerge con estrema chiarezza e senza ambiguità: "Il partito esercita la direzione sullo stato e sulla società formulando i princìpi e le politiche più importanti, avanzando suggerimenti sulla legislazione, raccomandando i quadri ai fini dell'assunzione delle cariche di maggiore rilievo …". 

Il rapporto tra partito ed istituzioni appare dunque essenzialmente legato ad una visione tradizionale: il primo, infatti, coordina e supporta le seconde (assemblee popolari, sindacati, organizzazioni femminili e giovanili, e altre organizzazioni di massa) nell'esercizio delle loro funzioni e prerogative.

Sviluppo e innovazione 

L'obiettivo del rafforzamento e dell'adeguamento del ruolo teorico del partito nelle nuove condizioni storiche è chiaramente percepibile attraverso la formulazione della nuova ideologia15 delle "tre rappresentatività", inserita ora all'interno del "Programma generale" dello Statuto del partito. 

Essa viene infatti indicata come "continuazione e sviluppo del Marxismo-Leninismo, del Pensiero di Mao Zedong e della Teoria di Deng Xiaoping" e i membri del partito sono chiamati a studiarla con attenzione (artt, 3, 31 e 34 dello Statuto). Nel "Programma generale" si sottolinea altresì come l'ideologia delle "tre rappresentatività" sia il frutto di una riflessione approfondita, condotta all'interno del partito negli ultimi 13 anni16, su "cosa sia il socialismo, come vada edificato e su quale tipo di partito costruire e come portare avanti tale opera di costruzione, accumulando nuove, preziose esperienze nella conduzione dello stato e del partito".

L'elaborazione e definizione di tale ideologia risulta dunque strettamente legata alla figura di Jiang Zemin e alla sua opera di direzione del partito negli ultimi 13 anni: un esplicito riconoscimento del lavoro svolto nel momento in cui Jiang lascia la carica di Segretario generale e - come si è già sottolineato - la sanzione del suo contributo allo sviluppo del patrimonio teorico comunista in Cina.

Mantenere il passo con i tempi, rafforzare il carattere progressivo del partito e innovazione sono tre termini che ricorrono con forza all'interno del rapporto. 

In particolare, l'innovazione è concepita come una forza motrice inesauribile al fine della prosperità di un paese e la vitalità di un partito. Essa non è meramente limitata agli aspetti pratici e scientifico-tecnologici; al contrario, l'"innovazione teorica" - basata ovviamente sulla pratica - viene chiamata a prefigurare ed anticipare lo sviluppo e le trasformazioni sociali, mettendo in campo nuove idee non solo nei settori della scienza e tecnologia ma anche in quelli della cultura e delle istituzioni.

L'innovazione - si afferma - non conosce limiti, soprattutto se si accompagna ad un processo di emancipazione degli animi e alla capacità di mantenere il passo con i tempi: in tal modo, essa consentirà "a noi di superare i nostri predecessori e alle generazioni future di fare meglio di noi".
L'innovazione, infine, tocca anche l'ambito della teoria marxista, la quale va rafforzata creativamente, pur nella riaffermazione della centralità dei princìpi base, attraverso "l'aggiunta di nuove parti teoriche".

Partito e società

Il rapporto di Jiang Zemin sottolinea con enfasi come la stabilità sociale sia uno dei requisiti indispensabili al fine del successo del programma di riforme e sviluppo.

L'onere sostanziale di garantire un clima sociale favorevole e di fornire adeguate risposte alla società viene affidato essenzialmente al lavoro del partito e degli organi giudiziari e di pubblica sicurezza.

Il primo è semplicemente stimolato ad aiutare con entusiasmo il popolo nel risolvere i problemi quotidiani, soprattutto attraverso "l'organizzazione di indagini e studi, il rafforzamento del lavoro ideologico e politico, e l'uso di ogni strumento disponibile - economico, amministrativo e giuridico - in modo da gestire adeguatamente le contraddizioni in seno al popolo". 

Gli organi giudiziari (tribunali, procure) e di pubblica sicurezza sono invece sollecitati ad un compito assai più gravoso: repressione delle attività criminali, vigilanza su e punizione dei crimini perpetrati dalle bande criminali, eliminazione dei mali sociali in modo da garantire la sicurezza delle persone. All'interno del binomio punizione-prevenzione, l'enfasi è posta sulla seconda.

La complessa e delicata questione della corruzione è vista come vitale ma appare di fatto separata dall'analisi generale sui problemi sociali ed è presentata essenzialmente come un problema politico "interno" al partito.

Il tema della corruzione è infatti esplicitamente menzionato al punto dieci del succitato decalogo di princìpi17 e, soprattutto, discusso con sufficiente ampiezza nella decima e ultima parte del rapporto ("Rafforzare e migliorare l'edificazione del partito").

La prevenzione della e la lotta contro la corruzione sono indicati come "un grande obiettivo politico": solo se si sarà capaci di portare a compimento in modo positivo tale obiettivo - si afferma - sarà possibile preservare solidi legami tra partito e popolo, ed evitare il pericolo che "il partito possa perdere la propria posizione dominante o avviarsi eventualmente verso l'autodistruzione". I comitati di partito ai vari livelli sono chiamati dunque ad affrontare con urgenza la lotta contro la corruzione con la consapevolezza che si tratta di una lotta di lunga lena: una lotta che, tra l'altro, si sviluppa all'interno di una fase storica particolarmente complessa, caratterizzata dall'apertura della Cina al mondo esterno e dallo sviluppo di un'economia socialista di mercato, ma anche dal fatto che il partito ha ormai accumulato una relativamente lunga esperienza di governo.

Un'altra parte significativa delle modifiche dello Statuto riguarda l'ampia revisione del primo paragrafo del "Programma generale", che si collega in parte con quanto detto sopra a proposito della ideologia delle "tre rappresentatività". 

Il nuovo testo indica ora che il PCC rappresenta l'avanguardia "sia della classe operaia sia del popolo e della nazione cinese"; esso incarna inoltre "le tendenze allo sviluppo delle forze produttive avanzate, l'orientamento della cultura avanzata e gli interessi fondamentali della stragrande maggioranza del popolo della Cina". 

L'obiettivo centrale che viene perseguito è quindi di cercare di salvaguardare la solidità dei legami sociali e di classe tradizionali del partito (classe operaia) nel momento in cui si mira ad allargarne le basi sociali a forze e gruppi originariamente estranei o, addirittura, collocati a suo tempo tra i "nemici di classe". 

L'importanza e la delicatezza del lavoro sociale di base si riflette anche, non a caso, nell'ampio spazio dedicato alla revisione ed integrazione degli articoli dello Statuto relativi alle organizzazioni di base del partito (vedi capitolo quinto, articoli 29, 30, 31 e 32). 

In particolare, l'articolo 31 è stato riscritto nel senso di ampliare l'orizzonte sociale dal quale bisognerà trarre le nuove leve da immettere nel partito: infatti, l'originale formulazione che indicava tra gli obiettivi primari il reclutamento di "operai, contadini e intellettuali segnalatisi sul fronte della produzione e del lavoro" è stata modificata allargandola a "coloro che sono attivi sul fronte della produzione e del lavoro e ai giovani". 

Inoltre, alla luce della crescente importanza che sono andate assumendo in Cina le istituzioni economiche non pubbliche, l'articolo 32 è stato riscritto nel senso di rafforzare il lavoro e l'azione del partito in tale ambito. La nuova formulazione prevede infatti che le organizzazioni di base del PCC debbano guidare le imprese e le altre istituzioni economiche non pubbliche nell'osservare le leggi e le regole dello stato, garantendo nel contempo l'indispensabile opera di supervisione; inoltre, esse sono tenute ad esercitare la leadership sui sindacati e sulle altre organizzazioni di massa che operano all'interno di tali istituzioni. 

Viene infine riaffermato come fondamentale il rafforzamento e miglioramento dell'attività e dell'efficienza delle istituzioni di base (villaggi, quartieri urbani, congressi dei lavoratori nelle imprese, ecc).

Il futuro della Cina: alcune note conclusive

Jean-Luc Domenach, autorevole studioso ed esperto della realtà cinese contemporanea, nel suo ultimo lavoro - intitolato significativamente "Dove va la Cina? - si interroga sul futuro di quel grande paese18. La sua analisi è, come sempre, attenta e documentata e le sue risposte assai articolate : tuttavia, ciò che mi pare traspare dalla lettura del volume è una sfiducia di fondo o, per meglio dire, un intrecciarsi di dati e fatti positivi da una parte, e di problemi e pericoli incombenti dall'altra, il cui sbocco conclusivo porta a ritenere di fatto questi ultimi come prevalenti e preponderanti. 

Tali posizioni e preoccupazioni sono piuttosto diffuse tra studiosi ed esperti del mondo sinico: esse si sono in particolare accentuate dopo la crisi del 1989 quando era convinzione diffusa, soprattutto negli anni immediatamente successivi ai tragici eventi di Tian'anmen, che la Cina non sarebbe stata in grado di reggere a lungo la sfida della "modernizzazione" e dell'apertura all'Occidente. Di conseguenza, il futuro della Cina era visto con profondo pessimismo, quasi in attesa di quella profonda fase di involuzione e di crisi che, si ipotizzava, avrebbe prematuramente interrotto la complessa e difficile fase di transizione avviata a partire dalla fine degli anni Settanta.

Sarebbe impossibile e sciocco negare che la Cina ha di fronte grossi problemi e che vive oggi - e vivrà certamente nel prossimo futuro - forti contraddizioni che potrebbero anche lacerarne o addirittura metterne in pericolo il tessuto unitario. Tuttavia, questa è solo una delle ipotesi in campo e non necessariamente quella più probabile: sicuramente, è quella meno auspicabile, in quanto in assenza di alternative concrete di governo essa potrebbe portare il paese verso esiti imprevedibili e anche drammatici, originando una potenziale e pericolosa instabilità non solo sul piano interno ma anche su quello regionale ed internazionale.

La classe dirigente cinese è oggi, come non mai, di fronte ad un problema centrale: come, con quali strategie, con quali strumenti proseguire nella strada dello sviluppo e della crescita offrendo allo stesso tempo adeguate risposte alle nuove domande, ai nuovi bisogni, alle nuove esigenze che sono maturate - e inevitabilmente matureranno sempre più - nel seno della società cinese. 

In quest'ambito, è evidente che uno dei temi cruciali futuri non potrà non essere quello che definirei della "rappresentatività" politica, morale e ideale del popolo cinese: un tema che richiede e richiederà nuove riflessioni, ipotesi e sperimentazioni e che, soprattutto, rappresenta una sfida ineludibile per la classe dirigente cinese, oggi e in futuro. 

È certamente vero che le risposte a tale questione cruciale non sembrano oggi essere "al passo con i tempi", per prendere a prestito un'espressione che ricorre nel rapporto di Jiang Zenmin; e che il XVI Congresso non ha offerto, in linea con le tendenze dell'ultimo decennio, novità rilevanti per quanto riguarda l'assetto del sistema politico e il rapporto tra questo e le istituzioni, la società, e più in generale la pluralità di voci e di idee caratteristiche di una realtà che si misura sempre più con i fasti ma anche con i dilemmi della "modernità".

Tuttavia, anche su questo piano mi pare che qualcosa di concreto sia cambiato in questi ultimi decenni: è stato infatti confinato in un angolo, anche se forse non è del tutto scomparso, uno scomodo ed ambiguo intermediario tra potere e cittadini, che definirei come il "nemico". Mi riferisco evidentemente a quei "nemici" interni (controrivoluzione, sovversione) ed esterni (accerchiamento, isolamento) che sono stati tante volte in passato chiamati in causa, a proposito ma anche a sproposito, per giustificare strategie e scelte, carenze ed errori, e che hanno fatto aggiungere anche pagine buie e tragiche alla storia della Cina degli ultimi cinquant'anni.
Ora, poco o nulla sembra restare di questo scomodo ed ambiguo intermediario. 

Forse è poca cosa, ma penso che ciò rappresenti comunque un indubbio passo in avanti verso un sistema caratterizzato da una maggiore visibilità e trasparenza: un sistema in cui le capacità e le responsabilità di chi governa possano essere percepite e valutate in modo più semplice e diretto da quelli che il nuovo Statuto del PCC definisce inequivocabilmente come "i padroni del paese".

MONDO CINESE N. 113, OTTOBRE-DICEMBRE 2002

Note

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