Liu Xiaobo (n.1955), saggista e critico letterario, ha preso parte attivamente al movimento dell'89 e, subito arrestato, è stato poi rilasciato un anno e mezzo più tardi. Successivamente è stato condannato a tre anni di "rieducazione attraverso il lavoro" a causa della pubblicazione di un saggio fortemente critico nei confronti del partito comunista, apparso sul
Mingbao di Hong Kong il 10 ottobre 19961.
Al contrario di quanti nell'89 ritenevano possibile una riforma del partito dall'interno, la posizione di Liu è, invece, di aperta rottura e contrapposizione al regime. Le sue critiche vanno ben oltre la denuncia del totalitarismo e della corruzione per attaccare i principi stessi su cui si basa il sistema socialista. Oltre che della linea attuale del partito, Liu è fortemente critico anche nei confronti di quella attuata durante i primi anni di edificazione della Repubblica popolare; una politica valutata, invece, complessivamente in maniera positiva dai più, per aver ridato dignità al paese e aver risollevato le condizioni sociali e economiche della maggior parte della popolazione.
Inoltre Liu ritiene che il modello totalitario e autocratico instaurato dal partito abbia antiche e profonde radici storiche nella filosofia politica e nella cultura tradizionale cinese2. Il suo è un attacco molto duro contro la
Weltanschauung della cultura tradizionale, rivalutata, invece, negli anni scorsi dagli studi di pensatori come Li Zehou, con il quale Liu è stato in accesa polemica3.
Il difficile assorbimento in Cina dei principi della democrazia moderna sarebbe da ricercare nella tradizione confuciana fortemente elitaria, in base alla quale solo gli uomini "moralmente superiori" sarebbero adatti alle responsabilità di governo. Liu ritiene che anche molti oppositori del regime non hanno ben compreso i principi della democrazia occidentale, da lui intesa non solo come partecipazione popolare, ma soprattutto come pluralismo e libertà di espressione4. In effetti Liu è stato profondamente influenzato dalle idee occidentali in campo sia filosofico che artistico; e in uno scritto che trae spunto da un viaggio a New York nella primavera '89, è lui stesso ad ammettere di aver effettuato, in una prima fase della sua formazione, "un'idealizzazione acritica della cultura occidentale"5.
Nel saggio che di seguito pubblichiamo, con il tono diretto che lo contraddistingue, Liu effettua un'analisi molto dura dei diversi orientamenti politici all'interno del mondo intellettuale nella Cina degli anni '90. Il suo giudizio è molto severo soprattutto nei confronti di quegli intellettuali che appoggiano il regime e di quei studiosi-burocrati che collaborano attivamente con esso, identificati come appartenenti alla cosiddetta "corrente dominante", cioè all'entourage di Jiang Zemin. La sua analisi è accompagnata da una vena personale di forte pessimismo e disincanto, che è forse da collegarsi direttamente alle amare esperienze della sua formazione adolescenziale e al senso di tradimento politico vissuto in seguito alla rivoluzione culturale.
Se il suo giudizio nei confronti delle posizioni assunte dalla maggior parte degli intellettuali negli anni '80 non è completamente negativo, egli ritiene invece che dopo il massacro dell'89 quasi tutti gli intellettuali sarebbero al servizio del potere e appoggerebbero il nascente nazionalismo, un fenomeno da Liu giudicato con molta severità come "oppio dello spirito". Il nuovo nazionalismo in chiave anti-occidentale non sarebbe innovativo e propulsivo per la rivalutazione di una nuova identità cinese, ma al contrario non eliminerebbe l'antica sottomissione ideologica e politica nei confronti dell'occidente. Inoltre, gli slogan nazionalisti supporterebbero il teorema in base al quale un paese forte ha bisogno di un'economia forte e di stabilità politica da raggiungere ad ogni costo, annullando ogni forma di giustizia e equità sociale e calpestando i diritti fondamentali dell'individuo. Per quanto riguarda le riforme economiche in atto, appare chiaro come Liu sia contrario alla politica di privatizzazione dall'alto e, invece, favorevole all'introduzione dei meccanismi della libera concorrenza e a una reale tutela della proprietà privata.
Data la posizione critica nei confronti del nazionalismo e delle misure attuate in campo economico, la sua voce risulta alquanto discordante e rimane molto isolata all'interno del mondo intellettuale odierno. E' stato, infatti, accusato di eccessivo individualismo per aver espresso le proprie opinioni unicamente a titolo personale e senza il supporto di altri studiosi.
Liu mette al centro della sua analisi, oltre i problemi della società, soprattutto quelli dell'individuo e di se stesso in quanto tale: in tal modo il sociale è da lui percepito non tanto come collettività in sé, ma piuttosto come proiezione e dilatazione dell'io. In ciò la sua posizione potrebbe essere collocata in una prospettiva forse diversa rispetto a quella tipica dell'intellettuale cinese, erede del movimento del 4 maggio, ma pur sempre influenzato in parte dalla tradizione confuciana, sebbene in aperto dissenso con il potere.