POLITICA INTERNA
Verso il XVI congresso: è ipotizzabile il superamento della "politica di libertà religiosa" in Cina?
di P. Angelo e S. Lazzarotto, PIME
Il trattamento riservato alle religioni nella Cina comunista è considerato da molti studiosi occidentali uno degli elementi discriminanti per giudicare il grado di democrazia effettiva di quel Paese. Anche durante la lunga preparazione al sedicesimo Congresso del Partito Comunista non sono mancate occasioni per sottolineare la centralità del tema della libertà di religione1. Esso rappresenta infatti uno specchio significativo per capire in che direzione si sta evolvendo la società cinese. Il ritardo con cui è stato annunciato che il congresso inizierà l'8 novembre indica, a detta di molti osservatori, che grossi problemi rimangono irrisolti. L'annuncio fatto a fine agosto dall'agenzia ufficiale Xinhua non conteneva alcuna indicazione sull'agenda dell'importante assise, limitandosi a promettere "strategiche direttive per la crescita complessiva della riforma della Cina e il suo impegno di modernizzazione socialista, come pure per il progresso del grande progetto di crescita del partito nel nuovo secolo"2. Questa rassegna, che non pretende di fare previsioni o dare risposte definitive, si propone di riscrivere il tema religioso in una prospettiva globale, mostrandone la normalità e al tempo stesso la peculiarità. Della fase preparatoria del congresso vengono qui messi in evidenza alcuni aspetti che apparentemente non riguardano la religione, ma che ci sembrano importanti per un auspicato ripensamento della "politica di libertà religiosa" perseguita fin qui dal PCC. Tra i punti controversi c'è la posizione ideologica e pratica del presidente Jiang Zemin e specialmente la profonda svolta che egli appare determinato ad operare nel PCC con la nuova dottrina della cosiddetta "Triplice Rappresentanza" che sta provocando reazioni opposte anche all'interno del partito. Durante l'ultimo anno, a Jiang, che detiene le tre posizioni chiave di presidente della Repubblica, di segretario del partito e di coordinatore della commissione militare, non sono mancate occasioni per rafforzare il proprio prestigio e la propria posizione di leader rappresentativo del paese. In politica estera, il peso della Cina risulta rafforzato, specialmente per il ruolo trainante della sua economia nell'area asiatica e del Pacifico. Inoltre, c'è stato un importante riavvicinamento con gli Stati Uniti, che ha portato significativi vantaggi anche alla Cina. Così l'adesione alla lotta contro il terrorismo internazionale sembra offrire un alibi alla repressione delle tendenze indipendentiste degli Uigur. Un significativo sviluppo di questo nuovo clima si è avuto a fine luglio, quando è stato annunciato che Washington e Pechino riprenderanno la discussione e la collaborazione su vari temi controversi, come il contenimento dell'emigrazione clandestina dalla Cina e la stessa questione dei diritti umani. Secondo il Ministro degli esteri cinese questi colloqui, interrotti dopo l'incidente della collisione con l'aereo spia americano in aprile 2001, riprenderanno già entro l'anno3. Il ritardato inizio del congresso del partito porta un vantaggio non piccolo a Jiang Zemin per il fatto che egli può così presentarsi nella pienezza delle sue prerogative al Forum per la Cooperazione dell'Area Asiatica e del Pacifico che si terrà in Messico a fine ottobre. Ad assicurargli un'importante copertura mediatica è intervenuto anche l'invito rivoltogli da George W. Bush a visitarlo nel suo esclusivo ranch del Texas immediatamente prima del Forum4. Nella realtà della vita cinese, Jiang si è trovato a gestire un periodo di radicali cambiamenti economici. Ma nella pesante macchina del partito, che pure può vantare una crescita di quasi sei milioni dal 1997, superando i 66 milioni di membri di cui il 22 per cento sotto i 35 anni e il 52,5 per cento con studi superiori5, non c'è stato finora alcun adeguato ripensamento ideologico e organizzativo. Alla domanda: "Che senso ha il partito comunista per la Cina di oggi", non manca chi ha il coraggio, anche tra i fedelissimi, di confessare che esso non conta più nulla sul piano ideale e che si sostiene forse soltanto come garanzia di stabilità. Alla fine di giugno scorso, varie agenzie straniere pubblicavano a Hong Kong e a Taiwan un messaggio di Bao Tong, già membro del Comitato centrale del partito e braccio destro di Zhao Ziyang, che dopo il 1989 passò sette anni in carcere. Insistendo sull'urgenza di profonde riforme politiche, Bao Tong lamentava che i successori di Mao si sono limitati finora a riformare l'economia, senza allentare il controllo politico sul paese6. Pesanti accuse sono state formulate anche personalmente contro Jiang Zemin, considerato responsabile di alcune delle peggiori situazioni registrate nella storia del partito, come l'enorme divario nella distribuzione della ricchezza e la disastrosa corruzione7. E' convinzione diffusa che per rispondere alla crescente crisi di identità occorre trovare nuovi principi e politiche capaci di ridefinirne il futuro in una società pluralistica, sempre più condizionata dal mercato8. Si tratta di un dibattito molto sentito dato che tocca questioni di fondo, ma non è ancora possibile discuterne pubblicamente in Cina9. Nel discorso commemorativo dell'80° anniversario del Partito Comunista Cinese, il 1 luglio 2001, Jiang Zemin insistette sul fatto che una "avanzata cultura socialista" deve basarsi su un crescente sviluppo morale. A seguito di tale sollecitazione, il Comitato centrale ha elaborato un documento" per favorire un'educazione etica dei cittadini", e i media ufficiali propongono spesso comportamenti e modelli di matrice confuciana10. Il presidente Jiang tiene a sottolineare anche che la Cina, nell'attuale straordinario impegno a costruire un modello specificamente cinese di socialismo, ha bisogno di scienziati che sappiano approfondire la filosofia e le scienze sociali, per elevare gli ideali e gli standard morali del pubblico e migliorarne la base culturale e la conoscenza scientifica11. Ma il bisogno di andare più in profondità è imperativo. Jiang Zemin, che aspira ad assicurarsi un posto tra i grandi condottieri della Cina dopo Mao Zedong e Deng Xiaoping, insiste così nell'attribuire al partito la responsabilità di rappresentare non più soltanto i lavoratori, ma anche le "forze produttive più avanzate, la cultura cinese più avanzata e gli interessi fondamentali della maggioranza". E' la svolta conosciuta come la dottrina della "Triplice Rappresentanza", che dovrebbe portare all'ammissione nel PCC anche di esponenti delle forze imprenditoriali. Non fa meraviglia che non pochi tra gli emergenti nuovi operatori economici aspirino ad essere ammessi nel partito, che detiene e condiziona tutte le leve del potere. Per ovviare al pericolo che questi aspiranti siano attratti verso il partito più dai vantaggi che l'iscrizione può assicurare che dalla condivisione di motivazioni ideali, si sta lavorando ad uno schema pilota nelle province del Guangdong, Zhejiang e Hubei. Gli applicanti devono risultare buoni contribuenti nel pagare le tasse, essere ben conosciuti e attivi anche per impegni caritativi, avere elevati standard morali e identificarsi nella costituzione del partito12. Ma si calcola che circa il 25 per cento degli imprenditori di Shenzhen siano già divenuti membri del partito, e non è detto che per tutti siano state garantite quelle qualità morali13. E d'altra parte, sono molti gli esponenti del partito che si sono dati al business nel settore privato. Il Quotidiano del Popolo e tutti i media del paese hanno intrapreso durante l'estate una campagna in favore della dottrina di Jiang, che secondo gli analisti dovrebbe prevalere nel congresso. Da parte sua, parlando il 31 maggio scorso alla Scuola centrale del partito, Jiang propose "quattro novità": "nuove dinamiche" da introdurre nel partito per rispondere ad una "nuova missione", in una "nuova situazione", all'interno di una "nuova fase di sviluppo". Oltre a riaffermare la teoria del patriarca Deng, egli propugnava la validità della "Triplice Rappresentanza", il bisogno di stretta disciplina per i membri del partito, un riformato stile di governo e di partito e un rinnovato lavoro organizzativo. I media ufficiali diedero inizialmente una versione ridotta dell'intervento, evitando specialmente il termine "nuove dinamiche" (xindongli) per indicare che imprenditori e classi lavoratrici possono coesistere nel partito. Un gruppo di lavoro incaricato di preparare il rapporto per il congresso dovrebbe ridefinire questi rapporti14. Non sarà un compito facile, dovendosi confrontare con i fondamenti stessi del marxismo15. Secondo il prof. Shang Dewen, esperto di economia dell'Università di Pechino, le teorie di Deng e di Jiang hanno in realtà abbandonato il marxismo avvicinandosi alle teorie social-democratiche: "L'economia socialista di mercato è de facto una economia capitalista; le proteste degli operai lasciati senza lavoro dalle imprese di stato in Cina sono peggiori di quelle dei paesi capitalisti, perché il capitalismo cinese non ha ancora elaborato un sistema di sicurezza sociale capace di salvaguardare i bisogni degli operai"16. Anche secondo attenti osservatori stranieri, questo sviluppo aprirebbe finalmente le porte alla democratizzazione e al primo pacifico passaggio di potere della Cina comunista17. Se la teoria della "Triplice Rappresentanza" sarà accettata dal congresso, essa costituirà "il primo passo per le tanto attese riforme politiche radicali, alle quali però non si può procedere direttamente"18. Si profila quindi uno scenario di potenziali aperture verso un regime più democratico, il quale però rimane frenato da condizionamenti insiti nel sistema stesso che non può essere scardinato repentinamente, pena la destabilizzazione sociale da tutti temuta. L'ingresso nel WTO, l'impegno preso per i Giochi Olimpici del 2008, l'esigenza di governare al meglio la irregolare crescita economica, rendono irreversibile il cammino verso una liberalizzazione del regime. Ma in Cina oggi la grande incognita, oltre al tempo richiesto per le trasformazioni necessarie, è la capacità di rendere credibile questa volontà di cambiamento. Si sa che corruzione, clientelismo, sfruttamento del potere per interessi privati sono mali comuni anche ai regimi cosiddetti democratici. Ma nella Repubblica Popolare Cinese queste piaghe hanno una matrice istituzionale. E questo spiega la frustrazione di chi sottolinea il peso di troppe ingiustizie tuttora tollerate dal regime, che pure afferma di voler opporsi alla corruzione e rinnovare le strutture. E' doveroso tuttavia riconoscere che molti passi sono stati fatti per adeguare la legislazione e la prassi amministrativa cinese alle esigenze di una società che intende privilegiare il diritto, svincolandolo dagli interessi di chi detiene il potere. Un recente documento della Corte Suprema di Pechino contrasta l'interferenza politica, rinforzando l'autonomia dei giudici notoriamente accusati di essere succubi di ufficiali governativi o di esponenti del partito19. Un'altra direttiva emessa dalla Suprema Corte riguarda le procedure per proteggere i privati cittadini o gli enti non pubblici che intendano muovere causa contro strutture governative20. Questo argomento dell'indipendenza dei giudici ha costituito il tema principale del recente seminario promosso da Mary Robinson nella sua settima e ultima visita in Cina come Alto Commissario dell'ONU per i Diritti Umani. All'apertura, la signora Robinson non ha esitato ad esprimere pubblicamente la sua preoccupazione per la situazione generale dei Diritti umani in Cina, citando specifici casi di detenzione ingiustificata di leaders sindacali e di attivisti per la democrazia, di restrizioni nell'utilizzo di Internet, di repressione del dissenso tra le minoranze musulmane nel Xinjiang, di duro trattamento riservato agli aderenti al Falun Gong, di crescente numero di esecuzioni capitali e di buddhisti tibetani imprigionati21. Alla fine comunque la Robinson si è detta fiduciosa per l'attenzione riservatale da parte cinese (fu ricevuta anche dal vice-premier Qian Qichen), e ha affermato che nell'insieme la situazione dei diritti umani è migliorata negli ultimi anni. E' quanto va ripetendo il governo cinese, di fronte alle critiche della comunità internazionale che riecheggiano ogni anno alle Nazioni Unite, sottolineando i continui progressi fatti e ricordando la difficoltà oggettiva di governare un miliardo e trecento milioni di persone in una fase di epocali trasformazioni di ogni genere. E' in questo contesto che va ricondotto il problema della libertà religiosa. Non ci sarebbe bisogno di alcuna campagna specifica in favore del rispetto della libertà religiosa dove fosse riconosciuto e rispettato il valore universale e fondamentale dei diritti propri della persona umana. In Cina le premesse da cui si parte sono diverse, per cui è facile cadere nell'equivoco. Già nella millenaria tradizione delle dinastie che si sono succedute, i cosiddetti diritti umani erano considerati in realtà come una concessione fatta dallo stato ai cittadini, ed erano quindi condizionati dalle esigenze e interessi di una efficiente amministrazione del potere. Il Partito comunista cinese sorto nel 1921 sull'onda della Rivoluzione sovietica ha fatto propria la visione marxista che considera la religione una sovrastruttura nata dallo sfruttamento del proletariato. La convinzione di possedere le leggi scientifiche e definitive capaci di spiegare i rapporti sociali ha fatto dell'assioma marxiano sulla religione come oppio del popolo un dogma indiscusso per decenni. Quando nel 1927 Mao Zedong scriveva che, come erano stati i contadini a costruire statue e templi agli dei, così sarebbero stati i contadini a distruggerle, era convinto che fosse sufficiente per le forze rivoluzionarie favorire il riscatto del proletariato per accelerare l'eliminazione anche dell'alienazione religiosa. Dopo il 1949, la complessità dei rapporti internazionali indusse i dirigenti cinesi a includere nella costituzione anche la clausola, mutuata dalla ex Unione Sovietica, del rispetto della "libertà di credere o non credere in una religione". Ma la sua applicazione si è sempre scontrata con le convinzioni profonde dei dirigenti, che consideravano le credenze religiose una sorta di "deformazione mentale" a malapena tollerabile, come dimostrano le contraddizioni della politica applicata nei primi due decenni della RPC. Visto in questa luce, l'affondo estremista portato contro tutte le religioni nel decennio della Rivoluzione culturale, per eliminarle una volta per sempre dalla nuova Cina socialista, appare più che logico. Superato quel decennio di pazzia collettiva, Deng Xiaoping, che pure credente non era, non poté che ritornare al riconoscimento del diritto alla libertà di credere o non credere. Ma restavano tutte le precedenti contraddizioni, su cui i teorici dell'ideologia continuarono a riflettere. Ne uscirono nel 1982 degli orientamenti elaborati dal Comitato centrale e conosciuti come Documento n. 1922. Nel frattempo, una decina di regolamenti sono stati elaborati a livello di municipalità o di provincia per rispondere ad esigenze di "gestione" concreta delle libertà che lo stato concede ai credenti nella pratica delle rispettive religioni. Ma le direttive del Documento n. 19 rimangono la base speculativa e pratica della politica religiosa in Cina. Ne fa fede uno studio del Direttore dell'Ufficio per gli affari religiosi in seno al Consiglio di stato, Ye Xiaowen, che non esita ad affermare: "Noi attuiamo l'educazione delle masse, in particolare dell'ampia massa dei giovani, nel quadro della concezione scientifica del mondo propria del materialismo dialettico e storico compreso l'ateismo"23. Come si può continuare a "gestire" la libertà religiosa partendo dalla tradizionale diffidenza e ostilità nei confronti della religione? Eppure è quanto avviene ancora oggi nella pubblica amministrazione cinese. In un recente incontro con i responsabili dei comitati di partito nelle università, il Ministro dell'educazione Chen Zhili ha raccomandato di intensificare la vigilanza contro l'infiltrazione di atteggiamenti liberali occidentali e il diffondersi della religione tra gli studenti. Il ministro ha chiesto specificamente alle organizzazioni di partito di scoraggiare gli studenti dal partecipare ad attività religiose, servizi domenicali, incontri di gruppo ecc. Questa presa di posizione tradisce senza dubbio la diffusa preoccupazione per la perdita di interesse che i giovani intellettuali mostrano per il partito. Ma il fatto che non ci si limiti a condannare gruppi già dichiarati ostili, come il Falun Gong, non può non destare preoccupazione; oltre tutto, come faceva notare un operatore del settore, la raccomandazione del Ministro riferita a tutti gli studenti e non soltanto ai membri del partito va contro la costituzione24. Quanto a Jiang Zemin, è difficile conoscere la sua visione e comprensione personale del fatto religioso. Se si considerano i suoi pronunciamenti passati vengono in evidenza specialmente la sua insistenza sulla necessità di gestire bene la "amministrazione" e quindi il controllo sulle attività religiose, e più recentemente la richiesta che le religioni si adeguino al sistema socialista. Notevole curiosità aveva suscitato la Conferenza nazionale di tre giorni svoltasi a Pechino a metà dicembre 2001 con la partecipazione del presidente stesso e di tutti i sette membri del Politbureau, di cui un editoriale del Quotidiano del Popolo sottolineava l'importanza affermando: "Così comincia una nuova fase nell'attività religiosa della Cina"25. Purtroppo, i media ufficiali ne hanno fornito solo scarne informazioni, sottolineando prevalentemente aspetti già noti. Nel suo discorso programmatico, Jiang avrebbe riaffermato la necessità che gli organi governativi impegnati nel settore continuino a gestire con fermezza il "lavoro religioso", e ribadito che ai membri del partito è richiesta la professione di ateismo. Ma, pur ammettendo di non comprendere la religione, egli avrebbe riconosciuto che in Cina la religione ha profonde radici storiche e avrebbe affermato che "chiedere alle religioni di adattarsi al socialismo non significa chiedere ad operatori e credenti nelle religioni di rinunciare alla loro fede. Al contrario, noi chiediamo loro di abbracciare il nostro sistema socialista, di seguire le leggi e le norme del paese... e di contribuire all'unità etnica e nazionale"26. Cosa questo possa comportare non è molto chiaro. Sia in occasione del Summit di Shanghai che della visita a Pechino, i media internazionali diedero rilievo all'iniziativa di George W. Bush di fare esplicito riferimento alla questione religiosa nei suoi interventi pubblici e nei colloqui con Jiang, non nascondendo il proprio personale impegno di fede. Jiang Zemin ha saputo stare al gioco e gli scambi sul quel tema si sono mantenuti in un clima disteso e pragmatico27. Nel giugno scorso Jiang ha fatto visita allo storico tempio buddista di Bailin nel Henan, trattenendovisi per oltre due ore. Egli ha confidato ai monaci che, pur essendo ateo, egli aveva nel 1957 praticato per tre mesi la meditazione profonda in un monastero buddista, recuperandovi la salute in un momento di crisi. Jiang raccomandava ai monaci di aiutare la gioventù cinese a riscoprire la pratica religiosa, per contrastare "l'invasione dei culti perniciosi". Mostrando una copia del classico buddista "Sutra del diamante" che portava con sé, Jiang confidò loro che lo leggeva regolarmente, aggiungendo che leggeva anche Bibbia e Corano28. Jiang ebbe occasione di pronunciarsi sull'argomento anche quando fece visita ai nuovi uffici dell'Amministrazione statale degli affari religiosi lo scorso mese di maggio. Secondo Wang Zuoan, vice direttore generale dell'Amministrazione, Jiang avrebbe affermato: "La nostra politica religiosa sarà sempre più aperta. Il tema della religione si identifica con quello dei diritti umani. Noi incoraggiamo la religione e siamo contro le sette come il Falun Gong". Il governo deve guardare in faccia la realtà, perché - come ha riconosciuto anche Jiang - "mentre classe e paese possono essere aboliti, la religione sopravvivrà"29. Questo sembrerebbe indicare che Jiang pensa ora di cooptare la collaborazione delle cinque religioni ufficialmente riconosciute per opporsi più efficacemente al diffondersi di movimenti a sfondo religioso, classificati dall'apparato come "sette perniciose", che risultano sfide pericolose all'ortodossia ideologica. Ma siamo sempre nell'ottica di una "gestione", anche se più liberale, delle attività religiose, di cui il partito e lo stato si considerano padroni o almeno legittimi custodi e protettori. A questo punto è lecito chiedersi dove può portare la nuova linea politica della Triplice Rappresentanza, propugnata dal presidente Jiang. Può questa teoria che fa leva sugli orientamenti delle nuove forze produttive emergenti nel paese, sulle esigenze di una cultura cinese più avanzata e sugli interessi fondamentali della maggioranza, giustificare un ripensamento anche per la politica religiosa nella società cinese di domani? E' difficile pensare che l'interesse religioso abbia grande rilevanza per la maggior parte della emergente generazione di imprenditori economici. Per questo ha destato interesse un lungo studio apparso a metà dicembre 2001 a firma Pan Yue sul Quotidiano della Speciale Zona Economica di Shenzhen, intitolato "Quale deve essere il nostro punto di vista sulla religione? La visione marxista al proposito deve andare al passo coi tempi" (Womem ying you zenyang zongjiaoguan? Lun Makesizhuyi zongjiaoguan bixu yu shiji jinbu), e riprodotto poi dal giornale Huaxia Shibao di Pechino. Pan Yue, vice-direttore dell'Ufficio statale per la Riforma strutturale, vi propugnava l'urgenza di rivedere il tradizionale punto di vista marxista sul valore della religione, in considerazione del fatto che "per i cittadini ordinari la religione è una questione filosofica, piuttosto che politica"30. Tale inconsueto intervento, pubblicato in concomitanza con il convegno nazionale dei funzionari incaricati della "gestione" delle attività religiose, poteva apparire una chiara provocazione dell'ala liberale del partito, oppure un ballon d'essai concordato per verificare la sensibilità dell'apparato. Ma il discorso fu bloccato sul nascere, e il grande pubblico è rimasto escluso da un dibattito che pure interessa una vasta base della società cinese31. Fortunatamente, va crescendo un proficuo dialogo a livello accademico, che può aver delle ripercussioni anche sulla classe dirigente. Nell'ultimo decennio, grazie a inchieste e ricerche di attenti studiosi, si è fatta strada la convinzione che nello studio della religione vanno privilegiati i fenomeni sociali, cioè l'esperienza della gente, per capirne l'impatto anche nella nuova economia di mercato. Finora lo studio del fenomeno religioso, pur incoraggiato in Cina, è sempre stato gelosamente gestito dagli ideologi del partito, con deduzioni teoriche dai dogmi indiscussi del sistema. Lo scorso anno in una conferenza nazionale gli studiosi del settore espressero l'auspicio che alla ricerca possano partecipare anche esperti provenienti dagli stessi ambienti religiosi. Ultimamente è venuto a sorpresa l'annuncio da parte del Quotidiano del Popolo che la diocesi cattolica di Pechino ha potuto costituire un Istituto di Studi su Cristianesimo e Cultura: "Studiosi cinesi e cattolici studieranno assieme le relazioni fra il cattolicesimo e la cultura cinese"32. Privilegiando il settore della storia, l'ambizioso programma del nuovo Istituto si ferma al 1800, ma è già una buona premessa. Infatti è nella storia che gli ideologi del regime hanno finora creduto di dimostrare che la religione nasce dallo sfruttamento di una classe sull'altra. E' nota la crisi intervenuta con la Chiesa cattolica a causa dei Martiri Cinesi, che Papa Giovanni Paolo II elevò alla venerazione dei cattolici con la solenne canonizzazione il 1° ottobre 2000. Da allora ogni tentativo di dialogo risultò bloccato. Lo scorso anno, lo stesso Giovanni Paolo II nel messaggio a ricordo di P. Matteo Ricci, aprì uno spiraglio, riconoscendo che "l'azione dei membri della Chiesa in Cina non è stata sempre esente da errori... In alcuni periodi della storia moderna, una certa 'protezione' da parte di potenze europee non poche volte... ebbe ripercussioni negative per la Cina". Convinto che la verità storica deve essere ricercata con serenità ed imparzialità in modo esaustivo, il Papa aggiungeva: "Posso assicurare che la Santa Sede è sempre pronta ad offrire la propria disponibilità e collaborazione in questo lavoro di ricerca". Nell'impossibilità di prevedere un cambiamento di prospettiva a breve termine nella comprensione che i dirigenti cinesi hanno della religione, c'è da augurarsi che un sereno e imparziale confronto su specifiche situazioni storiche aiuti a superare pregiudizi legati alla stretta visione feudale che ha prevalso finora in Cina. Questo avvicinerebbe in qualche modo la Cina all'esperienza che è maturata in gran parte dei paesi occidentali. Nelle parole di Giovanni Paolo II, il discorso religioso deve acquistare un respiro universale, per contribuire al bene dell'umanità intera: "Non è un mistero per nessuno che la S. Sede, a nome dell'intera Chiesa cattolica e, credo, a vantaggio di tutta l'umanità, auspica l'apertura di uno spazio di dialogo con le autorità della Repubblica Popolare Cinese, in cui, superate le incomprensioni del passato, si possa lavorare insieme per il bene del popolo cinese e per la pace nel mondo"33. Sono due concezioni ancora molto divergenti sul valore della religione, che il 16° congresso del PCC non riuscirà a colmare. Ma gli orientamenti pratici che prenderà avranno comunque delle ripercussioni importanti sul futuro della "politica di libertà religiosa" in Cina. Da parte sua, il Papa tiene a ribadire: "La Chiesa cattolica non chiede alla Cina e alle sue autorità politiche nessun privilegio, ma unicamente di poter riprendere il dialogo". Anche a congresso concluso, occorreranno tempi lunghi perché le decisioni che vi saranno prese siano assorbite dal tessuto del partito e siano tradotte in prassi sociale, aiutando a far maturare una più realistica politica in campo religioso.
Note
1Lo scorso febbraio, poco prima della visita del Presidente Bush a Pechino, furono pubblicati a Washington sette documenti governativi cinesi che testimoniano le procedure poliziesche adottate per sopprimere certi gruppi religiosi cristiani (specialmente protestanti) recentemente dichiarati "sette perniciose". I documenti e l'analisi che ne fa il "Freedom House Center" possono essere consultati in : http://www.freedomhouse.org/religion/.
2South China Morning Post (SCMP), 26/8/02.
3Associated Press, 31/7/01.
4SCMP, 2/8/02.
5Xinhua, 2/9/02.
6"Il PCC controlla il governo, le forze armate e il parlamento, controlla le corti di giustizia e le prigioni, controlla le banche, i mercati e tutta la terra. Inoltre controlla cosa la gente può ascoltare o cantare, quali films può vedere, quali libri e giornali possono essere pubblicati e quali siti informatici debbano essere chiusi…": Agence France Press, 25/6/02.
7L'accusa fu pubblicata su un recente numero della rivista "Strategy and Management" di Pechino: SCMP, 21/8/02. E' stato scritto anche che migliaia di membri del partito erano pronti a presentare le dimissioni per il primo luglio scorso per protestare contro l'ipotesi di accettare nel partito imprenditori economici, proposta considerata una "resa alla classe capitalista". SCMP, 7/8/02.
8E' significativo che da qualche tempo vari istituti anche dei più esclusivi del partito moltiplichino gli inviti ad esperti stranieri di politica per discutere di questi problemi, e che numerosi ricercatori del PCC siano mandati in USA e Europa per studiare i partiti socialdemocratici e vedere come i vecchi partiti comunisti hanno affrontato la transizione verso la democrazia (SCMP, 2/5/02). A fine agosto, c'erano alla Kennedy School of Government dell'Università di Harvard ben 57 alti funzionari cinesi a livello di amministrazioni provinciali e cittadine per completare un corso di 11 settimane sul "buon governo": SCMP, 26/8/2002. Anche Chris Patten, pesantemente vituperato quando era governatore di Hong Kong, fu invitato a parlare alla Scuola centrale del partito nel corso di una visita come Commissario dell'Unione Europea per le relazioni esterne: SCMP, 4-5 maggio 02.
9Non sorprende che il numero del 15 giugno 2002 della rivista Economist, che conteneva otto articoli sulla necessità di una riforma politica come complemento della transizione al vertice, sia stato bandito dalla distribuzione in Cina: SCMP, 22/6/02.
10In troppi casi, lamentano, si contraddice l'istruzione lasciataci da Confucio oltre 2000 anni fa: "L'uomo benevolo ama gli altri". Viene citata la riflessione di un giovane, secondo il quale se ognuno seguisse la regola di Confucio di non fare agli altri ciò che non vuole per sé, tutti si sacrificherebbero un po' ma tutti ne avrebbero beneficio: Agenzia Xinhua, 6/12/01.
11Lo ha detto durante una visita all'Accademia Cinese di Scienze Sociali: People's Daily Online, 17/7/02.
12SCMP, 20/8/02. Interessante il caso di Zhang Jiangbo, che in 13 anni è riuscito a costituire nella fiorente città costiera di Ningbo una ditta di vestiti alla moda, il "Peacebird Group", del valore di 350 milioni di RMB che vanta 1500 impiegati. Lo scorso anno la città di Ningbo aveva indicato l'imprenditore Zhang come "lavoratore modello", pensando probabilmente che questo gli avrebbe facilitato l'ammissione al partito: SCMP, 2/9/02.
13SCMP, 26/1/02.
14SCMP, 1/6/02. I lavoratori e contadini potrebbero essere presentati come "lavoratori fondamentali" (ji chu lao dong) e gli imprenditori vi sarebbero accostati come "lavoratori manageriali" (guan li lao dong), mentre tutte e tre le categorie sarebbero qualificate come "lavoratori di carriera" (zhi ye lao dong): SCMP, 30/7/02; SCMP, 31/7/02; SCMP 15/8/02.
15In agosto è stata chiusa una piccola ma influente rivista marxista, intitolata "Ricerca della Verità", diretta da Yu Quanyu, che rappresentava le posizioni più di sinistra del partito e che contrastava apertamente le aperture di Jiang: New York Times, 16/8/02.
16SCMP, 8/5/02.
17La Stampa, 2/9/02. Francesco Sisci nel suo reportage "Cina, - la terza rivoluzione", non esita ad affermare che la teoria di Jiang "è ben più radicale del denghismo passato e apre le porte a una riforma della politica", in quanto "colpisce il cuore del vecchio marxismo-leninismo, secondo cui il partito deve rappresentare il proletariato e i suoi interessi". Jasper Becker riporta il giudizio di un analista di Pechino secondo cui "a quanto risulta, se vogliono conservare il potere, il partito dovrà sacrificare il marxismo e il comunismo": SCMP, 26/1/02. C'è chi pensa addirittura che il PCC potrebbe un giorno cambiare nome: Reuters, 18/9/02.
18La Stampa, cit.: Secondo Sisci, le ragioni della lentezza con cui si possono attendere i cambiamenti stanno nel fatto che "l'organizzazione dello Stato cinese è modellata sul partito, che è una chiesa con la sua teologia e i suoi santi. Se si vuole uscire da questa chiesa senza rompere con il passato e mantenendo la stabilità politica, occorre farlo con le procedure e i riti della chiesa".
19SCMP, 30/7/02: il documento pubblicato sul Legal Daily il 29/7/02, richiede tra l'altro che tutti i giudici superino gli esami nazionali di qualificazione e che provengano dall'ambiente giudiziario.
20SCMP, 27/7/02: il regolamento, che entra in vigore il primo ottobre 2002, acquista particolare importanza col crescente numero di imprese anche straniere che l'accesso al WTO sta richiamando in Cina.
21SCMP, 20/8/02.
22Apparve sulla rivista ideologica del partito Bandiera Rossa il 16 giugno 1982; per una traduzione inglese, cf. Religion in the People's Republic of China (London), Documentation n. 9, Oct. 1982. Dettagliati commenti, a firma del sottoscritto, sono stati pubblicati su Missiology (Scottale, USA), XI, n.3, July 1983 e Nuova Umanità (Roma), VI, n. 34-35, luglio-ottobre 1984.
23Guang Ming Daily, 17/5/2000; cf. Il Regno (Bologna), a. XLVII, n. 905, p. 424.
24SCMP, 31/5/02.
25Quotidiano del Popolo online, 13/12/02; China Daily, 13/12/02.
26SCMP, 13/12/2001.
27Non risulta tuttavia confermata l'affermazione di Condoleeza Rice, consigliera di Bush per la sicurezza, secondo cui, a seguito di quei colloqui, Jiang avrebbe costituito un gruppo di studio sulla religione.
28SCMP, 21/6/02. Il quotidiano inglese che riporta questi particolari non accenna ad un commento sui rapporti col Vaticano, che Jiang avrebbe aggiunto parlando con i monaci di Bailin. Secondo il giornale cinese Ming Bao (20/6/02) Jiang ribadiva che la Cina deve insistere sulle proprie posizioni, aggiungendo: "ma dobbiamo anche fare dei compromessi; qualunque sia la questione, occorre fare compromessi".
29SCMP, 11/5/02.
30Una traduzione italiana dell'importante riflessione di Pan Yue si può leggere su Asia News (supplemento a Mondo e Missione), n. 8, ottobre 2002.
31In realtà, il delicato argomento non è stato ripreso da nessuna altra pubblicazione. Risulta che, rispondendo probabilmente alla reazione dei conservatori , il vertice del partito decise che articoli del tipo di quello di Pan Yue siano sottoposti a censura prima della pubblicazione: SCMP, 12/1/2002.
32People's Daily online, 6/8/02. Il vescovo Michele Fu Tieshan commentava che "questa è la prima volta che a fare queste ricerche è il clero cinese formato nella Nuova Cina, invece di studiosi stranieri". Il nuovo Istituto collaborerebbe con studiosi dell'Accademia delle Scienze Sociali, con l' Università di Pechino, l'Università del Popolo e con la Qinghua.
33Il testo integrale del messaggio si può leggere su "Asia News", n. 9, novembre 2001, pp. 25-27, che ne offre anche un puntuale commento (pp. 19-24).
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