L'influenza che la Cina ha da sempre esercitato nei confronti della penisola coreana è frutto di una complessa situazione politico-diplomatica che cercheremo brevemente di delineare nell'ambito del presente lavoro. Tale ruolo, predominante fino al 1894 e neutralizzato dalla sconfitta nella guerra sino-giapponese nel 1895, è apparso di nuovo evidente con l'intervento dell'esercito dei volontari cinesi nella Guerra di Corea (1950-1953) a fianco della Corea del Nord. Da quel momento la Cina è tornata ad essere uno degli attori principali nella questione coreana, instaurando un legame di amicizia e cooperazione con la Corea del Nord che, nonostante periodi altalenanti, continua tuttora.
Fermo su una posizione politica che riconosceva una sola Corea (quella del Nord), negli anni successivi alla Guerra di Corea il governo di Pechino non intratteneva alcuna relazione con Seoul. Una prima svolta essenziale nei rapporti tra Cina e Corea del Sud avvenne verso la fine degli anni '70, quando fra i due Paesi si instaurarono relazioni economiche indirette via Hong Kong. Per tutti gli anni '80 e l'inizio di quelli '90, comunque, il governo di Pechino, nonostante la crescita negli scambi commerciali tra Cina e Corea del Sud1, continuava a sostenere il principio della separazione tra economia e politica e a non avviare rapporti diplomatici con Seoul2.
1 - La normalizzazione con la Corea del Sud ed i primi anni '90
Il costante sviluppo dei rapporti commerciali e lo scambio di uffici rappresentativi tra la Camera del Commercio Internazionale Cinese (CCOIC) e la Compagnia Coreana per lo Sviluppo del Commercio (KOTRA) tra la fine del 1990 e l'inizio del 1991, aprirono la strada ad una eventuale normalizzazione diplomatica tra Cina e Corea del Sud. Prima di questo passo si dovevano tuttavia risolvere alcune questioni molto delicate: quelle delle relazioni tra Cina e Corea del Nord e tra Corea del Sud e Taiwan.
Per quanto concerne questa seconda questione, era evidente che l'eventuale normalizzazione tra Cina e Corea del Sud avrebbe comportato la fine di ogni rapporto diplomatico tra la quest'ultima e Taiwan: il governo della Repubblica Popolare sostiene, infatti, che esiste una sola Cina di cui Taiwan è una parte indivisibile e, per questo, non permette a nessun paese di intrattenere allo stesso tempo rapporti diplomatici sia con la Cina sia con Taiwan.
Diversi motivi spinsero il governo di Seoul ad interrompere i rapporti diplomatici con Taiwan, nonostante i legami fra i due paesi fossero stati molto stretti durante il periodo della guerra fredda, quando gli Stati Uniti avevano fatto di questi Paesi due bastioni contro la diffusione del comunismo in Asia Orientale. Terminata la guerra fredda, durante la quale la Corea del Sud, al fine di garantire la propria sicurezza nazionale e visto il confronto con la Corea del Nord, aveva costruito rapporti molto stretti con Taiwan, Seoul doveva adattarsi alla nuova situazione internazionale. Tuttavia a seguito dei cambiamenti internazionali, per Seoul la sicurezza nazionale non era più legata al contenimento delle forze comuniste, ma al mantenimento della pace e della stabilità in Asia Orientale. Diventava perciò indispensabile avere buoni rapporti con tutti i paesi della zona, prima fra tutti la Cina.
Inoltre, la Cina stava acquistando una funzione sempre più importante nella strategia sudcoreana. Dal 1971, con l'ingresso nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Pechino iniziò a svolgere un ruolo sempre più determinante per quel che concerne la pace in Asia Orientale in generale e nella penisola coreana in particolare. Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, inoltre, la Cina era rimasta l'unico alleato della Corea del Nord, tramite indispensabile nei contatti con il governo di Pyongyang. Instaurare relazioni con la Cina avrebbe potuto portare a Seoul grandi benefici per la causa della pace - e della eventuale riunificazione - della penisola.
Infine, dal punto di vista economico, nonostante l'importanza del legame con Taiwan, il valore degli scambi commerciali tra Cina e Corea del Sud aveva ormai superato quello degli scambi tra Corea del Sud e Taiwan.
Per quanto riguarda la questione dei rapporti tra Cina e Corea del Nord, il governo della Repubblica Popolare informò anticipatamente Kim Il Sung della volontà di normalizzare le proprie relazioni con il governo di Seoul, facendo il possibile per convincerlo dell'inevitabilità di tale normalizzazione e del fatto che questa avrebbe potuto recare vantaggi anche alla Corea del Nord. Il governo di Pechino non voleva che il leader nordcoreano criticasse pubblicamente la Cina di tradimento come aveva fatto nei confronti di Mosca al momento della normalizzazione tra Unione Sovietica e Corea del Sud nel settembre del 1990. Il governo di Pyongyang, in effetti, non mosse critiche verso il governo di Pechino, pur minacciando, senza alcun fondamento, di volersi ritirare dal Trattato di Sicurezza siglato da Cina e Corea del Nord nel 1961.
Il Comunicato Congiunto sulla normalizzazione delle relazioni tra Repubblica Popolare Cinese e Repubblica di Corea (Corea del Sud) fu siglato a Pechino il 24 agosto 1992 da Qian Qichen e Lee Sang-ok, rispettivamente ministri degli Esteri cinese e sudcoreano. Tale normalizzazione dei rapporti diplomatici costituì il maggiore successo della Nordpolitik sudcoreana3, oltre che il maggior colpo alla ricerca nordcoreana della legittimazione internazionale. Dal quel momento in poi la stampa cinese iniziò immediatamente a riferirsi alla Corea del Sud con il termine Hanguo e non con Nan Chaoxian, termine usato dalla fine della Guerra di Corea fino all'agosto 19924.
La normalizzazione tra Cina e Corea del Sud fu accompagnata e seguita, da parte del governo di Pechino, da una politica di sostegno verso il governo nordcoreano e dal tentativo di giungere ad una pace duratura nella penisola. I cinesi evitarono l'isolamento internazionale nordcoreano agendo attivamente in alcune questioni molto delicate quali l'ingresso delle due Coree nelle Nazioni Unite e la crisi nucleare della prima metà degli anni '90.
Quando il governo di Seoul annunciò la volontà di fare richiesta di ingresso nelle Nazioni Unite incurante dell'opposizione nordcoreana, risultò fondamentale l'intervento cinese nel convincere Kim Il Sung a cogliere tale occasione e seguire l'esempio della Corea del Sud. Se, infatti, la sola Corea del Sud fosse stata ammessa all'ONU, la Corea del Nord non avrebbe potuto avere alcuna voce nelle questioni riguardanti la penisola coreana, risultando così svantaggiata nei confronti di Seoul, mentre entrando a far parte dell'ONU, oltre ad ottenere il riconoscimento internazionale, avrebbe potuto migliorare le proprie relazioni con Stati Uniti e Giappone ed usufruire di programmi finanziari, scientifici e tecnologici sponsorizzati dalle Nazioni Unite. In una visita a Pyongyang nel maggio 1991, Li Peng annunciò a Kim Il Sung che nel caso la Corea del Sud avesse presentato domanda di ammissione all'ONU, la Cina non avrebbe posto alcun veto: Pechino non voleva causare reazioni negative nei suoi confronti da parte degli altri Paesi membri, per la maggior parte inclini ad accettare la richiesta sudcoreana5.
Nel maggio 1991 la pressione portata avanti dal governo di Seoul con la sua Nordpolitik lasciò la Corea del Nord con due sole possibilità: continuare ad osteggiare l'idea di un ingresso separato con la quasi certezza di sconfitta e di mancare quella che poteva essere la sua ultima possibilità di entrare nell'ONU; oppure adeguarsi e presentare la richiesta di entrare nelle Nazioni Unite. La dichiarazione presentata dal ministro degli Esteri nordcoreano al Consiglio di Sicurezza il 27 maggio 1991 riconosceva amaramente il dilemma in cui si trovava la Corea del Nord, affermando che "le autorità sudcoreane insistono per l'ingresso unilaterale nelle Nazioni Unite. Se ciò accade senza che noi ci adeguiamo alla loro proposta, importanti questioni riguardanti gli interessi dell'intera nazione coreana sarebbero trattati in modo pregiudizievole all'interno delle stesse Nazioni Unite, portando così a gravi conseguenze. Noi non possiamo permettere che ciò avvenga. Perciò il governo della Repubblica Democratica Popolare di Corea non ha altra alternativa se non quella di entrare a far parte delle Nazioni Unite al fine di superare le difficoltà create dalle autorità sudcoreane."6
Il 17 settembre 1991 l'Assemblea Generale dell'ONU decise di ammettere la Repubblica Democratica Popolare di Corea (Corea del Nord) e la Repubblica di Corea (Corea del Sud) rispettivamente come il 160° ed il 161° stato membro, sotto forma di una risoluzione unica.
L'ingresso nell'ONU delle due Coree fu accolto positivamente dall'ambiente internazionale, Cina compresa. Il 20 settembre il Quotidiano del Popolo affermava che tale evento "ha benefici sulla distensione e la stabilità della penisola coreana ed assume grande valore in vista dell'eventuale riunificazione pacifica."7
L'ingresso delle due Coree nell'ONU avvenne in un periodo di distensione nei rapporti tra le due parti della penisola. Il 5 settembre 1990 fu inaugurata una serie di incontri tra il Primo Ministro nordcoreano Yang Hyong-mo ed il suo collega sudcoreano Kang Yong-hun che portarono, tra il 1991 ed il 1992, alla firma di due accordi molto importanti, che non diedero tuttavia risultati concreti: il Comunicato Congiunto sulla Denuclearizzazione della Penisola e l'Accordo di Riconciliazione, Non-aggressione, Scambio e Cooperazione ("Accordo di Base").
La crisi nucleare scoppiò il 12 marzo 1993 quando Pyongyang, che si opponeva alle ispezioni di alcuni siti sospetti nel suo territorio, annunciò di volersi ritirare dal Trattato di Non-Proliferazione firmato nel 1985. La questione nucleare coreana era molto delicata per la Cina la quale da un lato si opponeva ad ogni tipo di sanzione contro la Corea del Nord e dall'altro era favorevole alla non proliferazione di armi nucleari nella penisola coreana e mostrava di volere persuadere il governo nordcoreano ad accettare le ispezioni dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (IAEA - International Atomic Energy Agency)8. Mentre continuavano a difendere gli interessi della Corea del Nord alle Nazioni Unite e all'IAEA, i cinesi sollecitavano quindi Pyongyang a cooperare con l'IAEA e proponevano incontri ad alto livello tra Stati Uniti e Corea del Nord a New York e Ginevra. Tali incontri portarono nell'ottobre del 1994 alla firma di un accordo sul nucleare definito Agreed Framework. Tale accordo soddisfò in parte le richieste di Pyongyang, che aveva trattato direttamente con Washington, che decise per questo di sospendere l'attività nel centro nucleare sospetto di Yongbyon, accettando in cambio la fornitura di due reattori ad acqua leggera, meno utilizzabili per scopi militari, e gli accordi relativi alla loro costruzione. Il governo di Pechino, soddisfatto della firma di tale accordo, affermò che "questo successo indica che il dialogo e la consultazione sono i soli modi per risolvere il problema nucleare".9 Va qui ricordato che Pechino approfittò di questa crisi per ottenere il rinnovo della clausola di nazione più favorita concessa dagli Stati Uniti, sfruttando la convinzione, sempre crescente nella comunità internazionale in generale e negli Stati Uniti in particolare, che la Cina, quale ultimo alleato e maggior sostegno economico di una Corea del Nord diplomaticamente pressoché isolata ed economicamente zoppicante, fosse sostanzialmente l'ultima strada aperta per giungere a Pyongyang.
Sempre per evitare di peggiorare la situazione nordcoreana, i cinesi alla morte del "grande leader" Kim Il Sung, nel luglio del 1994, non tardarono a riconoscere Kim Jong-il quale nuovo "leader supremo" del Paese.
2 - Dalla metà degli anni '90 ai giorni nostri
Dopo la normalizzazione i rapporti tra Cina e Corea del Sud continuarono sulla via della cooperazione in vari campi, fino a giungere all'avvio di scambi militari deciso dai Primi Ministri dei due Paesi, Li Peng e Yi Hong-gu, nel maggio del 1995.
Allo scoppio della crisi finanziaria in Asia Orientale, i due governi si accordarono sul rafforzamento della cooperazione tra istituti di ricerca per superare tale situazione. Durante uno dei loro incontri, Kim Dae-jung sostenne la scelta di Jiang Zemin a stabilizzare il valore dello yuan e a stimolare la domanda interna per mantenerne alta la crescita e contribuire così a mitigare la crisi. Nel frattempo continuava ad aumentare il valore degli scambi commerciali tra Cina e Corea del Sud, che nel 1997 superò i 24 miliardi di dollari.10
Questi ultimi dati assumono ancora maggior rilievo se confrontati con quelli riguardanti i rapporti tra Cina e Corea del Nord. Sebbene nel 1997 il valore degli scambi commerciali tra i due Paesi fosse aumentato, con 650 milioni di dollari rimaneva sempre lontanissimo da quello degli scambi Cina - Corea del Sud.11 Nonostante tali valori, l'importanza relativa della Cina per la sopravvivenza dell'economia nordcoreana risultava innegabile. La Corea del Nord intratteneva con la Cina scambi commerciali per un valore pari ad un terzo del proprio commercio estero e si basava fortemente sulla Cina per l'importazione di petrolio greggio, cereali, carbone, prodotti chimici e macchinari. Vista l'incapacità nordcoreana di pagare i propri debiti nei confronti di Pechino, i cinesi arrivarono al punto di riprogrammare o addirittura cancellare molti di questi debiti e accettarono di garantire aiuti alimentari al governo di Pyongyang, pari a 120 mila tonnellate di cereali nel 1996 e 150 mila l'anno successivo, per tentare di frenare la carestia in Corea del Nord.12
Anche dal punto di vista diplomatico era netta la differenza nei rapporti che Pechino intratteneva con le due Coree. Il 25 agosto 1997, ricordando il quinto anniversario della normalizzazione tra Cina e Corea del Sud, il Quotidiano del Popolo sottolineava tra le altre cose il gran numero di visite ufficiali di alto livello tra rappresentanti dei due paesi.13 Al contrario, in questo periodo non vi era stato alcun incontro tra massimi rappresentanti dei governi di Pechino e Pyongyang.
Una svolta fondamentale nei rapporti tra Cina e Corea del Nord fu segnata dalla visita a Pechino, dal 3 al 7 giugno 1999, di una delegazione nordcoreana guidata da Kim Young-nam: il primo incontro tra alti dirigenti dei due Paesi dopo il 1991.
Si è dovuto invece attendere fino al maggio del 2000 per registrare la prima visita - segreta - del "caro leader" nordcoreano Kim Jong-il a Pechino dal 1983. Tale visita si è svolta alla vigilia dell'incontro svoltosi a Pyongyang nel giugno del 2000 tra il Presidente sudcoreano Kim Dae-jung e il leader nordcoreano Kim Jong-il , il quale ricopre la carica di Segretario Generale del Partito dei Lavoratori Coreano (Partito Comunista Nordcoreano), ma non quella di Presidente della Repubblica Democratica Popolare di Corea, poiché tale carica è ancora ricoperta da Kim Il Sung, deceduto l'8 luglio 1994 e successivamente dichiarato Presidente del Paese per l'eternità. Si può per questo ipotizzare che siano state proprio le incertezze in vista dello storico summit a spingere il leader nordcoreano a compiere quel viaggio a Pechino atteso da ben diciassette anni e sempre rimandato.
Proprio a riguardo di un possibile viaggio di Kim Jong-il in Cina, chiare erano state le valutazioni fornite dalle fonti diplomatiche asiatiche alla vigilia della visita di Kim Young-nam nel 1999: era comune il parere che la visita di Kim Young-nam, di fatto la personalità esercitante il potere in Corea del Nord ricoprendo la funzione di Capo dello Stato (ma non Presidente), avrebbe affievolito ancora di più le possibilità di una visita di Kim Jong-il in Cina.
Motoi Tamaki, direttore esecutivo del Tokyo Modern Korea Institute, ricordò che "i dirigenti cinesi hanno ripetutamente invitato Kim Jong-il a visitare Pechino", aggiungendo che "è però chiaro che Kim Jong-il non ama la Cina e che sa anche che la Cina non lo ama. L'abolizione della carica di Presidente della Repubblica e la nomina di Kim Young-nam quale Capo di Stato nominale l'anno precedente - 1998 - aiutano a risolvere questo problema. Con la visita di quest'ultimo, infatti, la Corea del Nord riesce a normalizzare formalmente gli scambi ufficiali con la Cina."14
Le successive visite, quella informale di Kim Jong-il a Pechino tra il 15 ed il 20 gennaio 2001 e quella ufficiale del Presidente cinese Jiang Zemin a Pyongyang dal 3 al 5 settembre dello stesso anno, hanno poi riconfermato il nuovo riavvicinamento tra i due Paesi.
In questi ultimi anni, inoltre, sembra che il governo cinese abbia assunto un ruolo sempre maggiore nelle questioni riguardanti la situazione della penisola coreana partecipando, tra l'altro, ad una serie di incontri svoltisi tra il 1997 ed il 1999 tra Corea del Nord, Corea del Sud, Stati Uniti e Cina. Si deve tuttavia ricordare che tali incontri non hanno portato a nessun risultato concreto e che i cinesi non hanno saputo dare il contributo necessario per risolvere le divergenze emerse tra Corea del Nord da una parte e Corea del Sud e Stati Uniti dall'altra.
Il governo cinese si è altresì definito soddisfatto per la maggiore apertura della Corea del Nord, che negli ultimi anni ha stabilito relazioni diplomatiche con molti Paesi occidentali, tra cui l'Italia15, e per il disgelo nei rapporti tra Pyongyang e Washington che, sancito dalla visita a Washington di Jo Myong-rok, presidente della Commissione di Difesa e numero due nella gerarchia nordcoreana, e da quella del Segretario di Stato statunitense Madeleine Albright a Pyongyang, entrambe nell'ottobre del 2000, ha tuttavia subito un rallentamento con l'avvento della nuova amministrazione Bush.
3 - La Cina e la questione della riunificazione coreana
Il mutamento della politica cinese verso la penisola coreana tra la fine degli anni '70 e i giorni nostri - con il passaggio da una politica di riconoscimento di una sola Corea (quella del Nord), dettata da fattori ideologici e strategici legati alla netta divisione bipolare tipica del periodo della guerra fredda, ad una politica di riconoscimento delle due Coree, nata da una visione più pragmatica e meno idealista da parte di Pechino per quel che concerne la politica internazionale - ha influenzato la visione cinese del problema della riunificazione coreana: con la normalizzazione diplomatica tra Corea del Sud e Cina è venuto meno l'appoggio che quest'ultima offriva alla Corea del Nord quale unico governo legittimo della penisola.
Attualmente l'interesse dominante di Pechino sembra essere quello di una penisola coreana pacifica e stabile e libera da presenza militare straniera, in primo luogo statunitense. La Cina, da questo punto di vista, percepisce la riunificazione coreana con una chiara ambivalenza.
E' evidente che esistono validi motivi per cui Pechino dovrebbe, almeno in teoria, appoggiare la riunificazione coreana:
- a lungo termine, la riunificazione aiuterebbe la pace e la stabilità nella penisola e in tutto il nord-est asiatico. Ciò risulta essere fondamentale se si pensa che, nel passato, situazioni di instabilità nella penisola coreana hanno sempre avuto ripercussioni negative sulla Cina: basti citare, tanto per limitarsi ai secoli più recenti, la guerra sino-giapponese (1894-95) o la Guerra di Corea (1950-1953), oppure immaginare quali sarebbero le conseguenze per Pechino se, in un futuro che potrebbe risultare non molto lontano, a seguito del peggioramento della già critica situazione economica nordcoreana, centinaia di migliaia di persone abbandonassero la Corea del Nord per rifugiarsi in Cina;
- la riunificazione coreana potrebbe poi portare al ritiro delle forze militari statunitensi dalla Corea del Sud, essendo la divisione della penisola e l'esistenza del governo di Pyongyang la causa prima della loro presenza in territorio sudcoreano. Ciò con grande sollievo di Pechino che, dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, vede nella presenza militare statunitense in Asia - e particolarmente in Corea del Sud, vista la vicinanza geografica tra i due Paesi - il maggior pericolo alla propria sicurezza nazionale;
- una Corea unita, e probabilmente più forte, sarebbe, inoltre, una forza utile per contrastare il Giappone in Asia Orientale e costruire così una nuova struttura multipolare nella zona;
- non bisogna dimenticare, infine, che la riunificazione delle due Coree fa eco al desiderio cinese di giungere alla riunificazione con Taiwan.
Tuttavia, la Cina è fortemente incerta riguardo al futuro delle relazioni militari tra Stati Uniti e Corea del Sud, il destino politico della Corea del Nord e le conseguenze politiche ed economiche di una rapida riunificazione.
Se dal punto di vista strategico una Corea del Nord stabile e pacifica è un'indispensabile contrappeso tra Cina e Stati Uniti, dal punto di vista economico, una Corea del Sud prospera è un partner insostituibile.
La riunificazione della penisola coreana e la probabile scomparsa del regime di Kim Jong-il potrebbe forse far diminuire sensibilmente l'influenza di Pechino nella vicina penisola; eventualità assolutamente non gradita ai cinesi.
Non bisogna accantonare, inoltre, l'ipotesi che una Corea unita possa continuare l'alleanza, soprattutto militare, con gli Stati Uniti. Ora, uno degli ultimi obiettivi di Pechino è vedere la presenza statunitense, intesa prima di tutto come presenza militare, nei pressi del fiume Yalu: ciò significherebbe che la partecipazione cinese alla Guerra di Corea e gli sforzi successivi per sostenere il governo di Pyongyang alla fine si sono dimostrati inutili.
Una Corea unita, più forte economicamente e politicamente, potrebbe, inoltre, richiedere un diverso status nei rapporti con le altre potenze e, soprattutto a causa del risorgere di un mai sopito nazionalismo, avanzare richieste territoriali verso la Cina.
Proprio per questi motivi, almeno per il momento, il governo di Pechino sembra porre la stabilità della penisola coreana in un piano di politica internazionale più alto rispetto alla riunificazione.