Nulla sicuramente ricorda il giovane Li Tie, stella nascente della nazionale cinese che,
insieme ai coraggiosi e atletici compagni di squadra, lo scorso 4 giugno ha inaugurato lo sfortunato
Campionato del mondo di calcio con una netta sconfitta (2 a 0 dal Costarica), di un altro 4 giugno, quello
di 13 anni fa. Era il 1989, e proprio quella mattina i carri armati dell'Esercito Popolare di Liberazione
facevano irruzione, per la prima volta con le armi spianate, nella Piazza Tian'anmen di Pechino, per
disperdere sanguinosamente gli studenti che da più di un mese e mezzo la presidiavano: "sedare la rivolta
controrivoluzionaria" rimane sempre la formula ufficiale che le fonti governative adottano per trattare di
quello che ancora oggi resta come uno dei momenti più bui della storia della RPC, uno dei nodi cruciali che,
probabilmente, solo i prossimi mesi vedranno sciogliersi con il pensionamento di Li Peng, allora Primo
Ministro e oggi Presidente dell'Assemblea nazionale del popolo, presto dimissionario per raggiunti limiti
d'età, nella primavera del 2003. Il giovane Li Tie, e suoi compagni di squadra, dovevano avere circa una
decina d'anni allora...
E sembrano ormai rimasti in pochi, tra le centinaia di milioni di cinesi che questo 4 giugno si accalcavano
ai televisori di case, strade, piazze e quartieri gridando "jiayou"
alla loro squadra che per la prima volta
velocemente attraversava il Campionato senza purtroppo riuscire a insaccare neppure un pallone nelle reti
degli avversari1, a voler riaprire ancora una volta quella ferita dolorosa: ricordare il malaugurato
liu si
( "6.4", ovvero "quattro giugno"), una data che comunque sa di morte (si "quattro", omofono di si "morte").
Mentre poliziotti sempre più distratti continuavano, come ogni anno, a presidiare la piazza2, gruppi sempre
più sparuti di dissidenti venivano arrestati3, e ancora una volta si incrudeliva la ricerca dei trafugatori
di quei controversi documenti la cui pubblicazione in occidente col nome di Tian'anmen papers ha di recente
riaperto il dibattito sul quel lontano "liu si"4. Peggiore data il sorteggio del Campionato non poteva pescare
per l'esordio cinese nell'arena mediatica mondiale, anche se la partecipazione, pur breve e sfortunata della
squadra cinese al glorioso Campionato contribuisce molto più della chiusura di prestigiosi contratti
internazionali a inserire la Cina nel colossale affare plurimiliardario di sponsorizzazioni e pubblicità
planetarie, in una vera autentica globalizzazione dei consumi, e delle aspettative:
qiumi (tifosi) di tutto
il mondo unitevi!5
E questo Campionato ha davvero costituito la prova più evidente di quanto la Cina di oggi sia determinata a
bruciare le tappe6 per entrare a pieno titolo anche se - per questa volta - sconfitta nelle partite di calcio
tra i paesi che contano nella comunità internazionale. Ma soffermiamoci, almeno brevemente, sui principali
avvenimenti che hanno scandito questi ultimi mesi, mesi nei quali, peraltro, la Cina continua a essere la
grande assente dalla pagine della stampa internazionale (quella italiana, in particolare, sembra quasi averne
cancellato anche il nome, a parte rari "pezzi" di colore). L'intensa attività di politica internazionale che
la diplomazia cinese sta in questi mesi compiendo, infatti, entra solo di sfuggita nelle pagine dei
quotidiani, nonostante l'intenso calendario di viaggi all'estero e visite ufficiali che i leader del paese e
del partito intraprendono con un preciso scadenzario, ritmato da ormai noti equilibri di rango e di
precedenze7. Mentre Jiang Zemin ad aprile si recava in Germania, Libia, Nigeria, Tunisia, Iran8, il Premier
Zhu Rongji viaggiava in Turchia, Egitto e Kenia9. Nello stesso periodo Hu Jintao, Vicepresidente della RPC e
indicato dagli osservatori come "erede designato" alla successione di Jiang alle più alte cariche, arrivava
finalmente dopo una sosta in Malaysia e a Singapore, in terra americana per la sua prima visita ufficiale
negli Stati Uniti. Qui, al di là di tutti gli adempimenti di rito, tra colloqui ufficiali ai massimi livelli,
conferenze stampa previste e prevedibili, visite canoniche e banchetti sterminati, l'impomatato e
imperscrutabile "delfino" dell'aristocrazia post-comunista aveva finalmente modo di mostrarsi direttamente
anche alla potente lobby dei cinesi d'America, pegno e garanzia vivente per un indolore futuro passaggio di
consegne ai vertici del potere10.
Gioverà allora ricordare brevemente i tratti salienti della biografia di quello che, probabilmente, nel
prossimo autunno verrà eletto dal XVI Congresso del PCC come nuovo Segretario generale, se ancora una volta
avranno ragione i pronostici dei pochi China watchers ormai rimasti nella Hongkong post-coloniale11.
Hu Jintao, nominato nel marzo del '98 Vice presidente della RPC, membro dell' Ufficio di Segreteria e del
Comitato permanente del Politburo del PCC, nasce nella provincia dell'Anhui nel 1942, da una famiglia di
piccoli commercianti. Dal 1965 membro del PCC, inizia la sua carriera politica presso la prestigiosa Qinghua
Daxue, dove si laurea in ingegneria idraulica ("the golden boy of Qinghua network" viene definito dai
biografi), ma viene presto inviato fuori sede, durante gli anni della rivoluzione culturale, che trascorre
nella provincia del Gansu. E' negli anni '80 che la sua carriera prende vigore, grazie al patrocinio di uno
dei "grandi vecchi" della aristocrazia maoista, il "conservatore" Song Ping, che lo appoggerà fino a che Hu
ne prenderà il posto nel Politburo, (1992), come coronamento di un percorso che lo aveva visto crescere
politicamente nei ranghi della Lega delle Gioventù comunista (ne sarà Segretario nei primi anni '80) e poi
maturare come Segretario nel Guizhou, allora una delle province più povere del paese, e poi dall'88 al 92 in
Tibet, notoriamente difficile da governare, come segretario del PCC. La sua formidabile ascesa al XIV
Congresso del PCC desta la curiosità degli osservatori, che per la prima volta ne apprezzano la sicurezza, la
tranquillità e soprattutto la capacità di mantenere un basso profilo nei momenti cruciali. Dal '93 è anche
Presidente della Scuola quadri del Comitato Centrale, incarico che ne suggella la continuità ideologica con
l'ortodossia comunista. Sposato con una compagna di università, Liu Yongqing, che ormai, da protocollo, lo
accompagna nei viaggi internazionali, ha un figlio e una figlia, completamente al di fuori, per ora, dalle
cronache12. Il recente viaggio negli USA è stato quindi la prima grande occasione per farsi conoscere senza
la mediazione della potente propaganda ufficiale cinese, che mantenendone sempre riservata la figura e il
profilo, ha anche lasciato molto all'immaginazione. Ricordato come sostenitore del nazionalismo e del
patriottismo, suo è il discorso ufficiale agli studenti dopo le dimostrazioni davanti all'Ambasciata
americana di Pechino nel maggio del 199913, la sua formazione politica nei ranghi della élite del partito ne
ha affinato le capacità di sviluppare una forte retorica nazionalistica, che potrebbe costituire uno dei temi
cruciali su cui impostare la sua possibile dirigenza futura.
Una diplomazia a tutto campo, che si muove su più tavoli, ma soprattutto, attualmente, sul fronte asiatico,
dove la minaccia del separatismo con contatti terroristici nel Xinjiang fa rafforzare ulteriormente i legami
con la Russia di Putin e con le repubbliche centroasiatiche: Jiang Zemin, nei primi giorni di giugno, vola
prima ad Alma-ata per la prima Conferenza dei capi di16 paesi asiatici sulle misure per la sicurezza nella
zona14 (proprio per mostrare chiaramente quanto importante debba essere il ruolo della Cina come elemento di
stabilità nell'intricato groviglio di alleanze trasversali che si articolano nell'attuale scenario
centroasiatico15) e poi a San Pietroburgo dove firma un importante accordo "contro il terrorismo, il
separatismo, l'estremismo16" con i paesi dell'Asia ex sovietica che aderiscono alla Shanghai Cooperation
Organization (SCO). Qualche giorno prima il Quotidiano del popolo recava in prima pagina una intervista
esclusiva a Putin il quale, reduce dal vertice Nato di Roma, teneva a riaffermare a chiare lettere il
rapporto assolutamente privilegiato tra la Russia e la Cina17, un evidente riposizionamento della Russia
nello scacchiere asiatico, con lo scopo evidente di non perdere il filo diretto tra le due grandi potenze,
che non deve essere mediato da terzi.
Sempre ai primi di giugno, il ministro degli esteri Tang Jiaxuan si recava in Spagna per una importante
riunione dell'ASEM (Asia Europe Meeting) con lo scopo di adottare progetti di collaborazione multilaterale
in vari settori, dalla lotta comune al terrorismo, all'immigrazione clandestina, alla droga e alla
criminalità, fino alla protezione dell'ambiente, alle comuni politiche culturali, ai problemi del lavoro e
del welfare18.
Incresciosamente imbarazzanti sono invece diventati i rapporti più recenti con altri paesi vicini, quali il
Giappone e soprattutto la Corea del sud, a causa degli incidenti di fronte ad alcune rappresentanze
diplomatiche (Consolato giapponese a Shenyang nel maggio, e sud-coreano a Pechino a giugno) che hanno visto
coinvolte forze di sicurezza cinesi e personale diplomatico straniero in veri e propri scontri: il
contenzioso nasce da una annosa, tragica triangolazione della povertà che vede un numero sempre crescente di
esuli nordcoreani che, fuggiti in Cina dalla fame e dalla carestia ormai endemica della Corea del Nord
arrivano di nascosto a Pechino, e si rifugiano nelle sedi diplomatiche straniere chiedendo asilo politico,
per andare poi nella Corea del Sud. Le autorità cinesi che fino a qualche tempo fa avevano adottato la
pragmatica politica di ignorare ufficialmente il problema (38 nord-coreani hanno lasciato Pechino per la
Corea del Sud attraverso un paese terzo), si sono trovate ora a dover fronteggiare episodi ormai sempre meno
isolati che potrebbero mettere in crisi la tradizionale alleanza con la Corea del Nord: si calcola che
attualmente siano rifugiati nelle Ambasciate straniere (Giappone, Spagna, Canada, oltre che Corea del Sud)
non meno di 45 esuli nord coreani19, e la diplomazia cinese sta in questi giorni lavorando per non mettere
in pericolo le vantaggiose relazioni con i propri vicini, pur mantenendo salvi i propri principi.
Sul fronte interno, il partito celebra a maggio un anniversario senza dubbio meno rischioso di altri, i
sessant'anni dei "Discorsi a Yan'an sull'arte e la letteratura" di Mao Zedong, con una serie di iniziative,
mostre, convegni e interventi20, che appaiono persino sulla stampa ufficiale velati di un surreale anacronismo,
affiancati, per evidenti ragioni di "mercato", ai "discorsi di Milu" (Milu
shuohua), una rubrica sul calcio
tenuta da Bora Milutinovic, allenatore-mito della nazionale cinese, non ancora sconfitto!
Fervono intanto i lavori preparatori per il Congresso del prossimo autunno che, come si diceva, dovrà sancire
il cambiamento ai vertici della dirigenza. Ecco allora che mentre Hongkong rivela dissapori tra Zeng
Qinghong (il potente responsabile del Dipartimento organizzazione del Comitato centrale e notoriamente
"pupillo" di Jiang Zemin) e il "delfino" designato, Hu Jintao21, si fanno ormai sempre più ardite le
speculazioni sul prossimo futuro: dell'attuale Comitato Permanente del Politburo infatti rimarrebbe, oltre a
Hu Jintao, solo Li Ruihuan, nato nel '34, poiché gli altri - Jiang Zemin, Li Peng, Zhu Rongji, Li Lanqing e
Wei Jianxing - dovrebbero tutti andare in pensione. La stampa ufficiale continua a pubblicare "importanti
discorsi teorici" del Presidente, per consolidare le "tre rappresentatività" (sange
daibiao) come strumento
fondamentale e guida politica di tutto il partito22 anche, e soprattutto, nella delicata fase
precongressuale.
Vale la pena allora esaminare brevemente l'ultimo di questi interventi di Jiang Zemin23, da cui ci sembra
emergano alcuni aspetti interessanti, pur nella consueta iterazione di temi e formule: innanzitutto per
costruire in tutto il paese un diffuso benessere (xiaokang shehui "società benestante") bisogna entrare in
una "nuova fase della modernizzazione socialista". E soprattutto bisogna rendersi conto che "le tendenze al
multipolarismo e alla globalizzazione economica," le nuove tecnologie, la competizione internazionale non
lasciano alternative: "noi dobbiamo con decisione stare ben saldi in capo alla corrente dei tempi". La Cina
quindi rivendica un posto in prima fila nella competizione mondiale, accettandone in pieno le regole e le
sfide, e modificando anche in maniera fondamentale l'impianto teorico che fino ad oggi ne ha costituito le
basi. Ecco quindi che nella nuova fase del "socialismo alla cinese" all'economia di piano sempre più si
sostituirà l'economia di mercato, che alla proprietà pubblica sempre più si affiancheranno altre forme di
proprietà alle quali verrà garantito pieno sviluppo, continuando a "approfondire il processo delle riforme,
ampliare le aperture, promuovere lo sviluppo, mantenere la stabilità" (importante l'ordine di precedenza con
cui vengono scandite le formule di rito). Tutto ciò va comunque ricondotto alla guida politica del partito
comunista che ancora una volta viene riconfermato come unico organismo garante della gestione della vita
politica del paese e avanguardia teorica e pratica in un progetto di riforma politica che "mette insieme la
guida del partito, il popolo padrone, lo stato di diritto"24. Il tutto, però, va realizzato senza alcun
cedimento verso modelli occidentali: "il governo democratico" alla cinese passa solo ed esclusivamente
attraverso la guida del partito comunista, un partito che comprende tra i suoi ranghi elementi "avanzati" di
ogni ceto e professione e che, quindi, è pienamente in grado di rispondere a tutte (o quasi) le sfide che i
tempi impongono: tuttavia, la cocente eliminazione della nazionale cinese da questo Campionato mondiale di
calcio dimostra che forse qualcosa dall'occidente la Cina può e deve ancora apprendere!