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ECONOMIA E DIRITTO

L'economia cinese nel 2001: un bilancio

di Romeo Orlandi

1. Gli investimenti stranieri

Il 2001 si è rivelato un anno sufficientemente valido per l'economia della Cina. I dati fondamentali della congiuntura hanno infatti registrato miglioramenti o sostanziali tenute. Il risultato economico più importante, l'aumento del prodotto interno lordo (Pil), si è assestato su un valore del 7,4%1, con un equivalente monetario superiore a 1.150 m.di Usd2. Si tratta di cifre in linea con le aspettative3 e corroborate da altri indicatori favorevoli, ma la cui composizione segnala cambiamenti rilevanti.
Gli investimenti dall'estero, i consumi e le esportazioni hanno sostenuto la domanda globale, anche se con pesi differenti rispetto agli anni passati. I primi sono aumentati di circa il 18%4; si tratta di un dato importante dopo il declino registrato nel '98-99 e la stasi del 2000. La capacità di attrarre capitali stranieri è infatti essenziale per l'acquisizione di tecnologia innovativa, della quale la Cina è ancora largamente deficitaria, per modernizzare la struttura produttiva del paese. Nei primi 10 mesi del 2001 sono state registrate in Cina 20.549 imprese finanziate con capitale straniero5. Anche se questa cifra va probabilmente ridotta, denota comunque un preciso segnale di fiducia da parte della comunità economica e finanziaria internazionale. Non sono state estranee a questi valori le aspettative legate sia all'ingresso della Cina nel Wto che all'assegnazione a Pechino dei Giochi Olimpici del 2008 (che determinerà da sola un aumento annuo dello 0,3-0,4% del Pil6). Nei primi 9 mesi del 2001 gli investimenti dall'estero con capitale utilizzato ("actual foreign investments") sono stati pari a 32,2 m.di Usd; l'incremento sullo stesso periodo dell'anno precedente è stato del 20,7%. La Regione Speciale di Hong Kong è ancora di gran lunga il maggiore investitore in Cina. Ben note ragioni di totale affinità e di intervento consolidato hanno reso questa supremazia inattaccabile negli anni. Da Hong Kong proviene tuttora 1/3 degli investimenti, ma il suo valore assoluto ha avuto una flessione di 6 m.di Usd dal 1997. Un esame degli ultimi 5 anni fa emergere, pur tra dati spesso non univoci od opachi, una progressiva sostituzione nell'origine degli investimenti. L'importanza relativa dei paesi e dei territori più prossimi (Hong Kong, Taiwan e Singapore) è diminuita. Si registrano altresì valori marginali per i paesi del sud-est asiatico, colpiti dalla crisi finanziaria '97-99 e dai suoi trascinamenti correnti. Contemporaneamente è cresciuto l'afflusso di capitali dai paesi industrializzati e dai paradisi fiscali. E' dunque possibile intravedere una sostituzione lenta, altalenante ma definita degli investimenti della diaspora cinese con quelli della comunità finanziaria internazionale. E' verosimilmente un segnale di maturazione dell'economia della Cina, un passaggio da interventi basati su vincoli etnici o personali a valutazioni orientate ai criteri tipici del mondo degli affari. 
I consumi delle famiglie hanno confermato il positivo andamento dell'anno precedente, rilevando un aumento del 10%7. Per la seconda volta l'incremento è stato superiore a quello del Pil, nonostante le attese fossero probabilmente più ottimiste. La deflazione ha continuato la sua discesa, anche se il suo livello si è fermato al -0,6%. E' dunque ripresa la fiducia dei consumatori in attesa degli effetti delle ristrutturazioni che stanno avendo luogo nei sistemi di previdenza sociale, istruzione, sanità ed edilizia pubblica. Il rapido abbandono del welfare assistenzialista aveva infatti indotto le famiglie ad un atteggiamento di radicata prudenza, nutrita anche dall'incipiente aumento dei licenziamenti per la ristrutturazione delle aziende statali non più fonti di profitto. L'aumento dei consumi ha consentito di riconsiderare la consistenza degli investimenti pubblici, il cui mantenimento agli stessi livelli sarebbe stato possibile solo a prezzo di un alto deficit di bilancio. Il sostegno alla domanda globale ha comunque svolto un ruolo decisivo, soprattutto per le zone non costiere del paese che hanno beneficiato di una politica economica tesa a ridurre lo scarto esistente con le prospere provincie orientali. E' continuata la costruzione di infrastrutture, nel quadro di una manovra di stampo keynesiano che ha visto abbassare i tassi di interesse ed aumentare i sussidi di disoccupazione e gli stipendi ai dipendenti pubblici. L'intervento dello Stato nelle sfera economica sarà conservato e si arricchirà di una migliore attenzione all'equilibrio sociale del paese8. Mentre sempre maggiori margini di manovra verranno lasciati alle imprese private, la funzione redistributiva della ricchezza, anche attraverso una rinnovata imposizione fiscale, sarà detenuta dallo Stato. Si tratterà dunque non solo di produrre, ma soprattutto di regolare. Sarà un cambiamento lento e rischioso ma epocale per le sue implicazioni sull'intero assetto del paese. Ne sarà coinvolta in primo luogo la funzione di guida del Pcc che si è recentemente arricchita di un contributo teorico teso ad allargare la base dei propri iscritti a nuovi oggetti emergenti9.

2. L'interscambio commerciale

L'interscambio commerciale ha registrato incrementi inferiori alle previsioni, con una diminuzione in valore assoluto ad ottobre e novembre10. Nei primi 11 mesi dell'anno l'import/export ha registrato un aumento del 7,4%, decisamente minore rispetto a quello del 2000 (31,5%)11. Le ripercussioni economiche degli attacchi dell'11 settembre hanno amplificato una contrazione dei flussi commerciali già in atto e dovuta principalmente al rallentamento o alla recessione delle principali economie industrializzate. Nello stesso periodo le importazioni sono aumentate dell'8,6% (vs. 36% del 2000/1999) e le esportazioni di un valore ancora più basso (6,3 vs. 28%). L'alto tasso di cambio del Rmb ed il mancato recupero della capacità industriale dei paesi estremo orientali sono state cause aggiuntive di questo risultato modesto. La flessione della crescita delle esportazioni sembra tuttavia avere un impatto assorbibile dal sistema economico cinese. Rispetto ad altre nazioni asiatiche con maggiore propensione al commercio internazionale (in percentuale del Pil) la Cina ha infatti una prevalenza nel proprio export di merci a basso valore aggiunto, richieste soprattutto per i loro prezzi concorrenziali e non coinvolte da crisi della domanda internazionale (come ad es. Taiwan e Sud Corea per l'elettronica). Il paese può inoltre contare su un mercato interno lungi dall'essere saturato. La Cina si conferma un paese ancora relativamente poco aperto, nonostante i cambiamenti intervenuti negli ultimi 2 decenni, e nel quale la crescita del Pil è dovuta per i 9/10 alla domanda interna12. Giappone e Stati Uniti si sono confermati i 2 principali partner commerciali della Cina. La posizione nipponica tra i paesi fornitori è ancora dominante, seguita a lunga distanza da U.S.A., Taiwan, Sud Corea e Germania13.
La composizione merceologica delle importazioni vede una netta prevalenza della meccanica strumentale. Il fenomeno è immediatamente associabile alla necessità di una diffusa industrializzazione da raggiungere attraverso la tecnologia straniera. Le altre voci più importanti per l'import sono quelle riconducibili alla "new economy", intesa sia come settore autonomo che come fornitore di componenti alle altre industrie14. Gli Stati Uniti continuano ad essere il primo mercato di destinazione con una quota del 21% e precedono Hong Kong, Giappone e Sud Corea. Il saldo commerciale con gli Usa, il più alto della Cina se si esclude Hong Kong, ha superato i 23 m.di Usd15. I prodotti elettrici e meccanici rappresentano di gran lunga la porzione più consistente dell'export. Anche se si tratta sovente di prodotti con tecnologia matura, è un segnale che la Cina si sta rapidamente affrancando da una connotazione tipica dei paesi in via di sviluppo. Nel macrosettore dei beni di consumo va sottolineato il miglioramento qualitativo di prodotti del "sistema persona", spesso derivanti dalle joint venture di società multinazionali che hanno delocalizzato le basi produttive.
Le relazioni economiche tra Italia e Cina (che in questa nota vengono delineate nei soli aspetti essenziali) hanno avuto andamenti distinti per l'interscambio commerciale e gli investimenti. Il primo ha superato nei primi 11 mesi del 2001 7 m.di Usd, il valore più alto mai registrato. L'Italia è il 13^ partner commerciale della Cina, il 4^ dell'Unione Europea, dopo Germania, Regno Unito, Olanda ed appaiato alla Francia16. Con un robusto aumento del 25,5% nello stesso periodo l'Italia ha migliorato la propria posizione tra i paesi fornitori. Avendo superato il Regno Unito, l'Italia è ora il 3^ paese esportatore europeo, lontano dalla Germania ma a ridosso della Francia. Si tratta di una posizione più confacente al ruolo svolto tradizionalmente dall'Italia che per molti anni e fino al '97 era stata preceduta solamente dalla Germania. Valutazioni di segno opposto sono invece riservate al flusso degli investimenti italiani, ancora sottodimensionato rispetto alle opportunità che la Cina presenta. Tra i paesi europei l'Italia figura al 5^ posto, molto distanziata da Regno Unito, Germania, Francia ed Olanda. I dati contrastanti tra il trasferimento di merci e quello di capitali non sono compensabili: un flusso ridotto di investimenti nel lungo periodo avrà effetti deprimenti anche nel versante commerciale. La gestione della produzione consente un controllo del mercato altrimenti impossibile con le sole esportazioni. Sempre più frequentemente queste ultime sono al seguito degli investimenti produttivi. Le joint venture e le Wfoe (Wholly foreign owned enterprise) acquistano infatti semilavorati, parti e componenti prodotti che hanno origine nel paese dell'investitore, ma destinati alla trasformazione in Cina.

3. La crescita globale

Il Rmb ha mantenuto il suo valore (8,28) nei confronti del dollaro Usa, rivalutandosi di conseguenza nei confronti dell'Euro e di altre valute asiatiche. E' stata così confermata l'intenzione di non innescare svalutazioni competitive in Asia che avrebbero danneggiato le riprese economiche dei paesi limitrofi. La Cina ha inoltre incrementato le proprie riserve valutarie del 18%, raggiungendo 196 m.di Usd. Pur senza sommare la ragguardevole posizione di Hong Kong(112 m.di Usd)17, è il secondo detentore mondiale di riserve valutarie. L'azione di governo ha dunque continuato a dare i suoi frutti. Per quasi 20 anni, con l'eccezione del periodo successivo agli incidenti di Piazza Tian'an men, questa nuova politica economica ha garantito degli spettacolari tassi di crescita, un più diffuso benessere economico, un ruolo più importante nello scacchiere politico mondiale. La Cina sta migliorando il proprio assetto produttivo ed infine anche la tutela del business environment, seppure con progressioni prudenti, registra attenzioni non occasionali. In questa cornice sostanzialmente positiva non mancano aspetti controversi e non appaiono dissipati i dubbi sulla solidità strutturale del paese, soprattutto alla luce delle prossime sfide che si troverà a fronteggiare. Tale valutazione, propria della maggior parte degli analisti, non desta sorpresa. La Cina è infatti avviata da anni verso una liberalizzazione economica interna ed una politica di apertura verso l'estero strumentali ad un rapido progresso materiale del paese. La sua antiquata base industriale e l'arretratezza delle condizioni di vita della popolazione hanno suggerito, alla fine del '78, l'adozione di una politica che, mettendo da parte la supremazia ideologica, potesse liberare le forze produttive esistenti e crearne altre con l'iniezione di tecnologie occidentali.
La congiuntura internazionale sta tuttavia determinando un rallentamento dell'economia in Cina. L'aumento del Pil è stato del 7,9 % nel primo semestre e del 7,4% su base annuale; anche gli indici della produzione industriale, degli investimenti, delle esportazioni e dell'offerta di moneta hanno registrato aumenti decrescenti18. Si tratta per il paese di una situazione più preoccupante di quella derivante dalla prima crisi asiatica, le cui ripercussioni sembravano essere superate (la Cina infatti non aveva subito effetti eclatanti, unica nell'Asia Orientale insieme a Taiwan). Un rallentamento della crescita sarebbe difficilmente sopportabile per il paese19. Laddove non venisse prodotta sufficiente ricchezza, le previsioni di un cambiamento veloce ed efficace dovranno essere rimesse in discussione. Solo con un aumento costante e sostenuto di tutte le attività economiche sarà possibile rinnovare l'apparato industriale, assorbire la disoccupazione, migliorare le condizioni di vita nelle campagne, aggiungere qualità alla produzione di merci. L'ingresso del paese nel Wto, sancito nella riunione di Doha il 10 Novembre, è per la Cina decisivo per raggiungere questi obiettivi. Per gli altri paesi, nelle laboriose trattative ha prevalso la convinzione che una nazione così grande ed importante, facendo parte del consesso internazionale, possa più facilmente uniformarsi alle regole dell'economia e del business. Parallelamente alla sua crescita economica, il paese ha infatti visto emergere l'inadeguatezza della sua struttura produttiva, commerciale, finanziaria e del quadro legale che la garantisce. Non a caso i governanti pongono costantemente l'accento sul "rule of the law", nella consapevolezza che il rispetto di regole certe ed universalmente riconosciute (contratti, bilanci, debiti, apertura alla concorrenza, trasparenza) siano non solo doverose ma soprattutto funzionali al progresso del paese. E' tuttavia altrettanto forte la consapevolezza che un'apertura non misurata possa essere esiziale alla stabilità del paese. I dazi e le altre barriere proteggono industrie obsolete o nascenti: una liberalizzazione indiscriminata, che spiani cioè l'ingresso alle aziende straniere più avanzate, potrebbe impedirne la crescita e l'ammodernamento. Uno smantellamento affrettato delle protezioni del mercato comporterebbe dei costi non soltanto economici ma anche sociali difficilmente sopportabili dalla dirigenza cinese. D'altra parte quest'ultima sembra persuasa che solo attraverso una prosecuzione della riforma economica la Cina potrà compiere il necessario salto di qualità che la farà uscire dalla condizione di paese in via di sviluppo. Va in questa direzione il piano quinquennale (2001-2005) che prevede una crescita annuale del 7%, sufficiente a garantire un reddito pro capite nel 2005 superiore ai 1.100 Usd.
La ricerca di equilibrio non è nella Cina attuale un esercizio di moderazione. Segnala invece la complessità di un progetto di dimensioni impressionanti, teso a far emergere il paese da secoli di arretratezza senza fargli smarrire le sue peculiarità, l'orgoglio della propria cultura, la convinzione della propria unicità. I cambiamenti spettacolari degli ultimi 20 anni hanno, almeno fino ad ora, prodotto contraddizioni ma non lacerazioni. Un tessuto sociale forte e coeso ha potuto assorbire fenomeni altrimenti dirompenti come la ridefinizione della proprietà individuale, l'accesso ai consumi, la fine dell'isolamento, l'emergere di nuovi soggetti economici, la crescita della disoccupazione, le differenze di reddito, l'antagonismo tra città e campagne. L'economia della Cina nel 2001 si segnala dunque per la mancanza di dati clamorosi e per aver rimandato i latenti conflitti interni ed internazionali. Colpisce la sua regolarità, come se la crescita e l'armonia appartenessero all'ordine naturale delle cose. L'industria, i servizi fanno ora parte di un ambiente a loro storicamente ostile, dominato dalla burocrazia e dall'agricoltura. Le imprese straniere sono ora attratte, senza timore che il contagio possa erodere la sovranità nazionale e minacciare le tradizioni. L'economia sta trainando un cambiamento senza precedenti nella storia della Cina. La sua dignità scientifica è riconosciuta e le sue leggi vengono rispettate. Al di là delle cifre il suo compito è delineato: continuare una rivoluzione, in silenzio e senza il clangore delle armi.

Tabella n. 1
Investimenti stranieri con capitale utilizzato 1997-2001
(esclusi i prestiti)
valori in mln US$
PAESE/TERRITORIO 1997 1998 1999 2000 Gen./Set.
2000
Gen./Set.
2001
Var. %
Gen./Set.
2001/2000
Totale 52,4 45,6 40,4 40,7 26,7 32,2 20,7
Hong Kong 21,5 18,5 16,4 15,5 10,8 11,2 3,7
Virgin Island 1,7 4,0 2,7 3,8 2,6 3,8 46,2
Stati Uniti 3,5 3,9 4,2 4,4 2,5 3,4 36,0
Giappone 4,4 3,4 3,0 2,9 2,0 3,1 55,0
Taiwan 3,3 2,9 2,6 2,3 1,4 2,0 42,9
Corea del Sud 2,2 1,8 1,3 1,5 0,9 1,4 55,6
Singapore 2,6 3,4 2,6 2,2 1,4 1,3 -7,1
Germania 1,0 0,7 1,4 1,0 0,7 0,9 28,6
Isole Cayman 0,2 0,3 0,4 0,6 0,5 0,8 60,0
Gran Bretagna 1,8 1,2 1,1 1,2 0,7 0,7 0
Olanda 0,4 0,7 0,5 0,8 0,3 0,5 66,7
Francia 0,5 0,3 0,9 0,9 0,5 0,4 -20,0
Samoa Occ. 0,2 0,1 0,2 0,3 0,2 0,3 50,0
Australia 0,3 0,3 0,3 0,3 0,2 0,2 0
Canada 0,3 0,3 3,3 0,3 0,2 0,2 0
Italia 0,2 0,3 0,2 0,2 0,085 0,098 15,3

Fonte: China Statistical Yearbook, 1997-2001; China Monthly Statistics, 11/2000-2001. 
Elaborazione dati ICE Pechino

Tabella n. 2
Interscambio e saldo commerciale della Cina
(valori in milioni di US$)

  1998 1999 2000 Gen./Nov.
2000
Gen./Nov.
2001
VAR. %
Gen./Nov.
2001/2002
IMPORTAZIONI 140,4 165,7 225,1 203,7 221,2 8,6
ESPORTAZIONI 183,8 194,9 249,2 227,2 241,6 6,3
INTERSCAMBIO 323,9 360,6 474,3 430,9 462,8 7,4
SALDO 43,6 29,2 24,1 23,5 20,4  

Fonte: China Statistical Yearbook, 1997-2001; China Monthly Statistics, 11/2000-2001. 
Elaborazione dati ICE Pechino

Tabella n. 3
Interscambio tra Cina e Italia
(valori in milioni di US$)
  1997 1998 1999 2000 Gen./Nov.
2000
Gen./Nov.
2001
VAR. %
Gen./Nov.
2001/2002
IMP. IN CINA 2,45 2,28 2,69 3,08 2,73 3,43 25,53
EXP. VERSO ITALIA 2,24 2,58 2,93 3,80 3,47 3,64 4,90
INTERSCAMBIO 4,69 4,86 5,62 6,88 6,20 7,07 14,03
SALDO PER L'ITALIA 0,21 -0,30 -0,25 -0,72 -0,74 -0,21  

Fonte: World Trade Atlas, China Edition, October 2000/2001; China Monthly Statistics, 11/2000-2001. 
Elaborazione dati ICE Pechino

Note

1 Dichiarazione di Zeng Peyan, Ministro della Commissione Statale per lo Sviluppo e la Pianificazione all'Agenzia Xin Hua del 3 dic. 2001.
2 Dichiarazione di Xie Youqiao, V.D.G. della Commissione Statale per l'Economia e il Commercio al quotidiano China Daily, del 24 dic. 2001.
3 Nel suo rapporto alla 4° Sessione della IX Assemblea Nazionale del Popolo, il Primo Ministro Zhu Rongji ha previsto una crescita del 7% annuo per il periodo 2001-2005 ("Report on the outline of the 10th five-year plan for national economic and social development", Xinhua News Agency, 5.3.2001).
4 Si tratta degli actual foreign investments (si veda la tabella 1). Il dato è basato sui primi 10 mesi del 2001, secondo dati statistici del Moftec (Ministry of Foreign Trade and Economic Co-operation). Il contracted foreign investment è aumentato nello stesso periodo del 26,9%. 
5 Fonte: Moftec.
6 Fonti: China Economic News, n. 34, 3 Sett. 2001; documento dell'Ufficio Nazionale di Statistica, riportato in Beijing Review, 23 Agosto 2001. 
7 Si tratta di una ragionevole previsione, rispetto al valore pubblicato (10,1%) dalla rivista China Monthly Statistics, Ott. 2001 e da The Economist, 25 Agosto 2001 ("Persuading the reluctant spender").
8 Si veda il rapporto su "Central Economy Working Conference", pubblicato su China Daily, 30 nov. 2001
9 Si veda il cosiddetto pensiero de "le tre rappresentatività", illustrato dal Segretario Generale del Pcc e Presidente della Repubblica Jiang Zemin nell'ambito del suo discorso del 1 luglio 2001 alla celebrazione per gli 80 anni del partito. Si vedano, inoltre, a tal proposito, nel n.108 di Mondo Cinese (luglio-settembre 2001) l'editoriale di A. Lavagnino (pp.5-6) e il saggio di M. Miranda (pp.18-21).
10 Ceis (China Economy Information Service), 27 Novembre 2001 e China Custom Statistics.
11 Fonte: China Custom Statistics 1999-2001. Entrambe le percentuali sono state calcolate sugli stessi periodi degli anni precedenti.
12 Si vedano in proposito gli articoli: "Demand-Led Growth" (Far Eastern Economic Review, 19 Luglio 2001), "Growth at a Price" (Far Eastern Economic Review, 25 Ottobre 2001), "Celebration, and concern" (The Economist, 15 Dicembre 2001) .
13 Fonte: China Custom Statistics, 2001.
14 Fonte: China Custom Statistics, 2000 e 2001.
15 Fonte: China Custom Statistics, 2001. Le rilevazioni statunitensi sono molto più elevate per differenti metodi di calcolo.
16 Per completezza di informazione va segnalato, pur senza prenderlo in considerazione in questo lavoro, che l'Istat rileva valori del tutto differenti dal suo ente omologo cinese per le stesse voci. Per il 2000 l'interscambio è stato registrato uguale a 18.216 m.di Lire, con valori di 4.609 per le esportazioni e 13.606 per le importazioni. Il saldo attivo per la Cina è dunque calcolato in 8.997 m.di Lire, vs lo 0,7 m.di Usd secondo fonti cinesi.
17 I dati si riferiscono ad Ottobre 2001. La percentuale del 18% è calcolata sui dati di Dicembre 2000. Fonte: The Economist, 15 Dic. 2001.
18 Si veda "Economic index continues declining, demand slows down", in China Economic News, 24 Dic. 2001
19 Secondo Hu Angang, economista dell'Accdemia di Scienze Sociali, un aumento annuale del Pil dell'8% rappresenta per la Cina un "natural rate". In "Domand-Led Growth", cit.

 

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