A chi si fosse trovato a Pechino tra la fine del 1999 e la metà dell'anno 2000 non sarebbe di certo passata inosservata l'immensa campagna pubblicitaria messa in piedi per le vie della capitale da una moltitudine di nuovi e fiammanti siti internet. Cartelloni, poster, volantini, inserzioni e adesivi inneggianti all'ennesima .com tappezzavano in maniera uniforme la capitale cinese.
La vita notturna era spesso animata da feste organizzate per il lancio di questo o quel sito. Eventi di ogni tipo venivano sponsorizzati in massa dai wangzhan (siti Web). Innumerevoli conferenze sulla new economy erano frequentate da centinaia di giovani e dinamici CEO cinesi e stranieri, pronti a ragguagliare trepidanti platee sulle dorate prospettive del business in rete. Gli alberghi della capitale ospitavano flottiglie di venture capitalists dalla Sylicon Valley pronti ad affidare milioni di dollari a chiunque si fosse presentato loro con un bel progettino Web custodito nella ventiquattr'ore.
A poco più di un anno di distanza, il quadro della situazione è a dir poco sconcertante. Centinaia di siti hanno chiuso i battenti, altri stanno lottando disperatamente per sopravvivere, mentre altri ancora sono stati fagocitati a prezzi stracciati da Web-entità più grandi. Migliaia di persone hanno perso lavoro, una moltitudine di investitori ha perso milioni di dollari e per le strade della capitale cinese si scorgono sempre più di rado cartelloni inneggianti alle .com.
Il business che poco più di un anno fa sembrava rappresentare una miniera d'oro è imploso in modo distruttivo e impietoso, e dall'isteria si è passati alla più profonda delle sindromi depressive.
Ad esempio, Sohu.com (sorta di Yahoo cinese) era riuscita a portarsi a casa un finanziamento pari a 60 milioni di dollari e nel Luglio del 2000 era quotata sul NASDAQ a 13,125 USD ad azione. Al giorno d'oggi una stock di Sohu vale solo qualche spicciolo e l'azienda deve industriarsi quotidianamente nel tentativo di rimanere ancora a galla sul mercato azionario. Il portale E-Tang.com (48 milioni d'investimento) è alla disperata ricerca di un business plan in grado di cambiare la mesta sorte che incombe minacciosa sul suo futuro. Anche siti che godono tuttora di una relativa salute come Sina.com (68 milioni di USD investiti) e Netease.com (70 milioni di USD) assistono con malcelata preoccupazione al progressivo prosciugamento delle loro cospicue casse.
Le ragioni che hanno portato allo sgonfiamento dell'imprenditoria on-line sono molteplici. In parte risiedono nella inquietante leggerezza con cui i milioni a disposizione sono stati spesi, sostenendo ad esempio dispendiosissime campagne pubblicitarie sull'intero territorio cinese. Una certa dose di arroganza imprenditoriale, d'inesperienza e la mancanza di solide strategie atte ad assicurare un numero ragionevole di entrate oltre che di uscite hanno fatto il resto. Ma l'elemento che forse ha più contribuito all'inesorabile flop del nuovo mercato è consistito nell'adozione generalizzata di un modello di Website, quello del portale, che in teoria avrebbe dovuto accontentare i gusti di tutti ma che in pratica è risultato un'inondazione in rete di siti mastodontici virtualmente identici nel format, nelle informazioni e nei servizi offerti.
La formula "un po' di tutto per tutti" si è rivelata fondamentalmente erronea.
Indagini di mercato dimostrano che il surfista cinese medio utilizza i grandi siti solo per specifiche attività: Sohu per le ricerche in rete, Sina per le notizie, Netease per la posta elettronica, evidenziando un pressochè totale disinteresse per quanto contenuto nell'immenso dedalo degli altri canali inclusi nei portali.
Di conseguenza non è affatto sorprendente scoprire che sono proprio i siti di nicchia di piccole e medie dimensioni a riscuotere maggiore successo in Cina, rispondendo in maniera più esaustiva dei portali alle specifiche esigenze dei surfisti nazionali (22 milioni circa, secondo le statistiche fornite dalla China Internet Network Information Center). Chi vuole saperne di basket americano va a visitare il sito cinese ad esso dedicato; chi è interessato al vasellame di epoca Song troverà pane per i suoi denti nel piccolo ma esauriente sito ad esso dedicato; chi vuole chattare utilizza siti precipuamente attrezzati a fornire solo questo tipo di servizio, e via di questo passo.
"Per mettere in piedi un "sito di nicchia" bisogna avere un profonda conoscenza della nicchia in sè - afferma Tony Zhang, CEO di Chinanow.com - Ma non potendo contare su tale conoscenza, la prima ondata di investitori e fondatori di Websites in Cina si è concentrata sui portali nella convinzione che, nella loro dilagante immensità, essi avrebbero prima o poi ricoperto ogni tipo di nicchia disponibile".
Ciò puntualmente non si è verificato, e il grande balzo in avanti della new economy cinese ha, almeno per il momento, ingranato una desolante retromarcia.
2 - Cina 'on the Rocks'
Una torrida serata del Luglio 1992 ero appostato dietro la mia batteria, pestando eccitato il ritmo che il resto della mia cover band seguiva con energica precisione. Davanti a noi circa duecento studenti in festa, stipati all'interno di un ex-cinema situato a sud di Pechino. Il concerto era stato organizzato da Li Ji, un giovane e intraprendente pechinese che aveva preso in gestione il locale nell'intento di farne un ritrovo per appassionati di musica rock. D'un tratto, a metà concerto intervenne la polizia. Nonostante l'accorato tentativo di mediazione da parte di Li Ji, il mini-festival rock venne sospeso e bands e avventori furono cordialmente invitati a lasciare l'ex-cinema.
Questo avveniva più o meno dieci anni fa, quando a Pechino la musica rock era ancora da considerarsi un fenomeno sotterraneo, eccezion fatta per una manciata di gruppi e artisti che erano riusciti ad imporsi sulla ribalta locale e nazionale tra mille sforzi e difficoltà. L'uscita nel 1988 dell'album "La Nuova Lunga Marcia del Rock" a firma di Cui Jian - a tutt'oggi il rocker più conosciuto, rispettato e amato in Cina - segnò la nascita di un movimento musicale assolutamente nuovo per questo paese. Da quel momento in poi Pechino divenne il 'laboratorio' in cui un'avanguardia di giovani musicisti iniziò a produrre materiale sonico in forma rock, avventurandosi in un territorio musicale di cui conoscevano ben poco. All'epoca, l'unico accesso alla produzione rock internazionale era rappresentato dalle cassette che gli studenti stranieri sparsi nei campus universitari di Pechino copiavano per i loro amici cinesi, stimolati dal fervente desiderio di conoscere e capire lo yaogun (rock). Inoltre, fatta eccezione per gli asettici locali notturni degli hotel, nella capitale non esistevano luoghi in cui fosse possibile suonare musica rock dal vivo.
A distanza di tredici anni in Cina molto è cambiato. Pechino continua ad essere la principale fucina di nuove bands (ormai innumerevoli) e talenti (pochi); ma segnali di una alacre attività nel campo del rock arrivano anche da città come Canton, Wuhan, Chongqing e dalla sofisticata Shanghai. Tuttavia, l'aspetto più rilevante del cambiamento consiste nella diffusione di molteplici stili musicali. Dal rock al punk, dal jazz all'elettronica, dal death al rap metal, tutti i generi sono più o meno degnamente rappresentati da decine e decine di bands. La comparsa verso la metà degli anni '90 di un numero sempre maggiore di locali dedicati alla musica dal vivo, l'accesso generalizzato (grazie soprattutto alla pirateria e a Internet) ai CD stranieri, e la nascita di etichette discografiche semi-indipendenti hanno contribuito a gettare le basi per la creazione di un circuito musicale urbano variegato e dinamico, e a stimolare la crescita di un pubblico giovanile ad esso interessato. Una scena musicale alternativa all'impero sdolcinato del mando-pop dunque esiste. Nondimeno, è da verificare se tale scena avrà la capacità e il numero di talenti musicali e imprenditoriali necessari ad allargare ulteriormente la sua ancora ristretta base di consensi. Pur avendo bruciato le tappe di uno sviluppo tanto fulminante quanto stupefacente, la marcia del rock in Cina è ancora lunga.
3 - "Anarchy in the PRC?"
Tra i tanti argomenti di cultura e costume locali che continuano ogni anno ad attirare decine di giornalisti stranieri a Pechino, ce n'è uno che sembra stuzzicare in particolar modo la loro indomita curiosità. Si tratta della diffusione, da qualche anno a questa parte, della musica punk. Su riviste e giornali stranieri molto è stato scritto al proposito (o sproposito), cercando soprattutto di evidenziare le presunte connotazioni libertarie e 'anti-sistema' dei movimenti musicali più o meno underground emersi nella capitale nella seconda metà degli anni '90.
Partendo dal generico e antiquato assunto punk=ribellione, fiumi d'inchiostro occidentale sono stati versati nel tentativo di enfatizzare la valenza pseudo-antagonista dei fermenti musicali propri di una manciata di giovani cinesi attratti dalla trimurti Sex Pistols-The Clash-Ramones. Com'è mai possibile - si chiedono con compiaciuta arguzia questi giornalisti - che in un regime autocratico come la Cina esista un fenomeno del genere? I punk sono perseguitati? Sono o non sono personaggi scomodi da reprimere per il bene del socialismo alla cinese?
Tali domande tendono in genere ad implicare l'esistenza di una connessione tra chi propugna il verbo del punk e, in senso più ampio, del rock cinese con la dissidenza politica.
Per chi ha frequentato gli ambienti musicali cinesi o ne è stato parte, tali argomentazioni sono a dir poco risibili, e rientrano senza dubbio in quel tipo d'informazione ricolma di stereotipi e inesattezze a cui spesso i media occidentali ci hanno abituato parlando di questo paese.
Di certo, un approccio più sereno e disincantato verso l'argomento aiuterebbe ad inquadrare il fenomeno per quello che è, ossia il risultato di una cultura (e in alcuni casi pseudo-cultura) urbana contemporanea che si incarna in una molteplicità di movimenti espressivi e artistici comuni anche al resto del mondo.
Il problema dei media occidentali consiste esattamente nel non riconoscere aprioristicamente alla Cina l'esistenza al suo interno di questa molteplicità la quale - seppur tra difficoltà e impedimenti di varia natura - comunque esiste, e si sviluppa costantemente nelle sue diverse forme: nel punk come nel rock, nella pittura come nella fotografia.
"La tendenza dei media occidentali nel considerare i rockers cinesi come parte di una sorta di intellighenzia culturale e politica è assai bizzarra - afferma Kaiser Kuo, ex-chitarrista dei Tang Dynasty, uno dei gruppi storici della scena rock cinese - e, tranne qualche rara eccezione, non corrisponde a verità".
Stupirsi dell'esistenza del punk in Cina può essere legittimo, ma essere imprecisi e faziosi nell'informare il resto del mondo su quanto accade in questo paese non contribuisce di certo alla comprensione delle sue innumerevoli e complesse problematiche.
4 - Heavy Metal con Sorpresa
Pechino è una città davvero bizzarra. Essa infatti non manca di stupire per i suoi capricci del tutto inaspettati, soprattutto in considerazione della sua natura burocratica e indolente, più letargica e conservatrice rispetto ad altri centri della Cina.
In questo tipo di contesto va inserita a pieno titolo la mia recente esperienza da spettatore di un concerto Heavy Metal svoltosi in un nightclub della capitale.
Il locale, che per discrezione chiamerò 'La Bamba', è situato in una zona piuttosto centrale della città ed è conosciuto anche in virtù del fatto che il suo proprietario è una popstar locale di un certo calibro.
Alle 20:30 di un innocuo lunedì sera, ricevo una telefonata dal mio amico Guo che mi invita cortesemente ad assistere al concerto dei Chun-qiu, la sua nuova band metallara, in programma per le 22:00. Accetto con piacere l'invito, e dopo aver mangiato al volo un boccone mi reco presso 'La Bamba'. Com'è lecito aspettarsi ad inizio settimana, il nightclub non è particolarmente affollato. Mi siedo al tavolo con Guo e la sua fidanzata, sorseggiando una birra al ritmo sfondatimpani della band rap-metal che fa da apripista ai Chun-qiu. Di fronte a me c'è un'intera tavolata di ricconi cinesi col loro contorno di gentili accompagnatrici, orologi d'oro e borselli Luis Vuitton. Finito il rap-metal, Guo e la sua band salgono sul palco e per circa un'ora danno vita a un'esibizione di tutto rispetto. Dopo il concerto, Guo viene invitato dal padrone de 'La Bamba' a sedersi assieme all'allegra brigata dei ricconi. Nel frattempo alla comitiva si è aggiunto un personaggio misterioso che, stando ai tratti somatici, non sembra affatto cinese. Ed è proprio codesto personaggio ad avviare una lunga conversazione col mio amico. Conclusa la chiacchierata, uno stupito Guo mi informa che il tipo è nient'altro che il figlio del Presidente della Repubblica di una vasta nazione dell'Asia Centrale, e l'ha appena invitato ad esibirsi con la band nel suo paese per una serie di concerti. Davvero incredibile. Mi congratulo col mio amico per l'inaspettato exploit. La ragazza di Guo ci lascia diretta verso casa. Io opto per un'altra birretta e quattro chiacchiere con Guo. Giunto a metà boccale, noto che le cameriere sono indaffarate a chiudere le pesanti tende amaranto delle finestre che danno sulla strada. Un'occhiata all'orologio. Mezzanotte e mezza. Il locale sta per chiudere, penso. Bevo un altro sorso di birra e decido di far ritorno a casa, ma prima di lasciare definitivamente 'La Bamba' mi reco alla toilette. D'improvviso, mentre sono intento a lavarmi le mani, sento esplodere un boato di musica techno. Devo essermi sbagliato, mi dico. Forse il locale invece di chiudere si è semplicemente trasformato in discoteca. Esco dal bagno e la prima cosa che noto è il volto esterrefatto di Guo, fisso verso il palco. Mi giro lentamente, come a seguire con gli occhi la linea immaginaria del suo sguardo e, con mia somma meraviglia, scopro due splendide ed esuberanti fanciulle in biancheria intima nera di pizzo, intente in una danza sfrenata e altamente provocante. Non faccio in tempo a riprendermi dalla sorpresa che due reggiseni sono già stati fiondati via dal palco, diretti verso la platea.
Uno spogliarello in piena regola nel pieno centro della città di Pechino. La capitale austera e proibizionista.
Lo show continua senza sosta. Una per volta, le fanciulle abbandonano le luci della ribalta per mescolarsi sinuose e incandescenti al pubblico, riservando attenzioni particolari al rampollo presidenziale che, senza battere ciglio, appone dollari fruscianti all'interno della (poca) biancheria intima ancora rimasta ad adornare le loro forme flessuose.
Pechino come Las Vegas.
Mi volto verso Guo e gli chiedo se era stato messo preventivamente al corrente del fuori programma. Guo non riesce ad aprire bocca, ma è ancora in grado di scuotere la testa. Mi giro nuovamente. Sul palco è già strip-tease totale.
La techno sbiadisce. Le fanciulle si ritirano nei camerini in tutta fretta. Il pubblico lascia partire un applauso accorato. Mi scolo tutto d'un fiato il resto della birra, Guo si accende nervosamente una sigaretta.
Le cameriere riaprono le tende. Una canzoncina mando-pop ha preso il posto della techno. Tutto è come prima. 'La Bamba' è ritornato d'incanto alla sua ordinaria amministrazione di un ordinario lunedì sera.