Se i drammatici eventi che stanno sconvolgendo il mondo, a partire dai tragici attentati
terroristici dello scorso 11 settembre, riusciranno anche a produrre nuove e più sensate riflessioni in
merito a scelte strategiche che potranno coinvolgere l'intero nostro pianeta, è un auspicio che solo il
futuro potrà confermare: per quanto concerne la realtà cinese, che costituisce l'argomento della nostra
Rivista, ci sembra che proprio oggi - in un momento in cui la Cina brilla per assenza almeno sulle pagine
della stampa italiana - il serio esame e l'attenta analisi dei suoi più rilevanti aspetti potranno costituire
non solo un ulteriore tassello di conoscenza per la comunità degli studiosi e degli esperti, ma anche un
utile servizio per gli studenti, gli intellettuali e gli imprenditori che con questo Paese vogliono trattare
con maggiore competenza e apertura. Ed è perciò con questo spirito che passiamo all'esame di questi ultimi
mesi.
"China rises the flag", la Cina alza la bandiera, cosi intitolava lo International Herald Tribune
del 18 settembre l'articolo in cui il corrispondente da Pechino, John Pomfret, rivelava una ricaduta, per
certi versi quasi grottesca, della immane tragedia dell'11 settembre scorso: la maggior parte delle bandiere
americane che attualmente sventolano ovunque negli USA a testimoniare l'unità patriottica del popolo
americano viene prodotta da fabbriche cinesi, che si trovano oggi a essere sottoposte a massacranti turni
straordinari per evadere ordini milionari di bandiere a stelle e strisce di ogni foggia e
dimensione.1
Sembrerebbero così prevalere anche questa volta le spietate leggi dell'economia e del profitto sul dolore e
la compartecipazione, ma una delle operaie intervistate dal corrispondente americano ha affermato, mentre
completava una bandiera di due metri per tre: "Oggi è la cinquantesima che finisco, questo lavoro di solito
non mi piace, ma questa volta quello che faccio serve a qualcosa!" dimostrando la solidarietà e la vicinanza
del popolo cinese a quello americano2. E questo a meno di sei mesi di distanza dall'increscioso incidente
diplomatico sino-americano dello scorso aprile, in cui, in seguito ad un supposto sconfinamento nello spazio
aereo cinese di un caccia americano, un aereo cinese si inabissava in mare, urtato dal caccia statunitense,
provocando la morte del pilota. Ciò oltre a mettere in ulteriore pericolo il già delicato equilibrio tra le
due grandi potenze3, innescava una reazione popolare, da parte cinese, in cui all'esasperazione della
tradizionale notazione nazionalistica, si aggiungevano i toni accesi di un anti-americanismo rabbioso4.
La tragedia dello scorso settembre, con i terribili scenari che giorno per giorno si rivelano, impone sui
tavoli della diplomazia internazionale nuovi riposizionamenti, proprio alla luce di alleanze forti che
riescano a battere in maniera inequivocabile il terrorismo internazionale, ma soprattutto obbliga a una
mai come oggi necessaria chiarezza anche i Paesi che fino a ieri avevano convissuto in modo più o meno
ambiguo con situazioni poco chiare5. E la Cina in questo senso non ha sicuramente tardato a manifestare la
propria solidarietà all'America e al suo Presidente6, continuando poi a ribadire in maniera ferma e decisa
la propria posizione di condanna degli atti terroristici. La visita a Washington dello scorso settembre del
ministro degli esteri cinese, Tang Jiaxuan, ha costituito anche una preziosa occasione - era da tempo
programmata per concordare il calendario della prossima visita del Presidente Bush in Cina7 - per mettere
a fuoco nuove possibili forme di collaborazione bilaterale in materia, anche a livello di scambio di
informazioni. Nel rilevare che qualunque campagna antiterrorismo deve comunque essere condotta nel "rispetto
della carta delle Nazioni Unite e delle norme del diritto internazionale", il ministro cinese ha affermato
che "anche la Cina è vittima di attacchi terroristici", alludendo alle violenze nelle regioni cinesi abitate
dalle popolazioni musulmane. Come noto una piccola parte della Cina confina con l'Afghanistan e sembrano
certi, sia agli analisti cinesi che a quelli americani, i legami tra alcuni gruppi "separatisti" Uighur e
i Talebani8. E infatti, in occasione delle celebrazioni della Festa Nazionale cinese, il Primo ottobre,
sono risultati notevolmente rafforzati i presidi militari a Kashgar e in tutta la regione, dove
pattugliamenti e posti di blocco sono stati installati lungo l'autostrada che porta ai confini con
l'Afghanistan, il Pakistran il Tagikistan9. Con l'inizio dei bombardamenti anglo-americani, la posizione
ufficiale cinese si è sempre mantenuta ferma nel sostegno alle attività che combattono il terrorismo - "Le
azioni militari contro il terrorismo debbono essere mirate a specifici obbiettivi e non debbono estendersi o
coinvolgere altri Paesi, o danneggiare civili innocenti"10 - volendo il governo mantenere la propria
tradizionale posizione di "non coinvolgimento degli affari interni di altri paesi11 ".
Per quello che riguarda gli sviluppi della politica interna, numerosi sono stati gli eventi di rilievo
di questi ultimi mesi: il Primo luglio la celebrazione dell'80° anniversario della fondazione del Partito
comunista cinese, partito che conta ormai, secondo le ultime stime ufficiali, sessantaquattro milioni e
mezzo di iscritti di iscritti, trenta milioni dei quali ha meno di 45 anni12. Grandiosi i festeggiamenti,
e massicce le iniziative che la propaganda ufficiale ha messo in atto: convegni e tavole rotonde, rubriche
su quotidiani e riviste, serial televisivi storici, e spettacoli rutilanti di suoni e di colori, opere
cantate e ballate, odi, inni e panegirici…. Ma è stato il discorso ufficiale del segretario generale del
PCC Jiang Zemin13 a scatenare polemiche e dibattiti interni, e attrarre l'interesse degli osservatori
stranieri14: oltre a ripercorrere la storia di questi ultimi ottant'anni, il Segretario generale ufficializza
finalmente la nuova composizione sociale della Cina di oggi, dove alla classe operaia - alla quale egli
riconosce comunque la tradizionale "natura di avanguardia" - si affiancano ora altre figure. "A partire
dalla 'riforma e apertura' la struttura degli strati sociali in Cina ha visto nuove trasformazioni: sono
emersi creatori e tecnici in imprese tecnologiche a gestione popolare, tecnici del management in imprese a
capitale misto, imprese individuali, proprietari di imprese private, impiegati in organizzazioni di
intermediazione, liberi professionisti"…. E questi "sono uniti insieme agli operai, ai contadini, agli
intellettuali, ai quadri, ai soldati dell'Esercito popolare come costruttori della causa del socialismo con
caratteristiche cinesi"15. I classici del marxismo - egli dice - avevano analizzato e approfondito le
contraddizioni del capitalismo, ma ora, nella nuova fase del "socialismo di mercato", il benessere economico
deve essere ricercato per tutti e "non possiamo più semplicemente considerare la ricchezza e le proprietà
come criterio di avanguardia o arretratezza sul piano politico", impedire cioè a chi è ricco di entrare nel
partito. Del singolo dobbiamo invece valutare "l'atteggiamento politico-ideologico e i comportamenti pratici,
vedere da dove viene la sua ricchezza, come ne dispone e ne fa uso, e quale contributo egli voglia dare
alla causa del socialismo alla cinese attraverso il proprio lavoro"16. Insomma se e quanto "rappresenta" gli
interessi della maggioranza. In questo modo si perfeziona la riflessione ideologica di Jiang Zemin in merito
alla trasformazione del Partito comunista da "avanguardia del proletariato" - secondo la tradizione marxista
e leninista - a partito delle "tre rappresentatività", secondo la formula, coniata dallo stesso Jiang, che
diverrà nel corso dell'estate lo slogan principale sulle pagine della stampa ufficiale17, e la cui
accettazione o meno costituirà il nuovo discrimine ideologico per essere oggi un buon comunista cinese.
Accesissime saranno le polemiche che vedranno, proprio su questo tema, scontrasi accanitamente18 i
sostenitori del nuovo corso - "L'interesse della vasta maggioranza è la cosa principale", è il titolo
dell'editoriale del Quotidiano del popolo del 27 luglio - e i comunisti "conservatori", che rimangono
arroccati sulle tradizionali posizioni "di classe". Ma insieme ai "capitalisti rossi" della nuova
generazione che fanno la fila per entrare nel partito, ci sono anche migliaia di "comunisti imprenditori",
membri del partito che in questi ultimi anni (e spesso proprio grazie all'appartenenza al partito) sono
diventati imprenditori di successo, e che attendono ora una nuova legittimazione; da Hong Kong premono i
"capitalisti patriottici" che dal '97 hanno prosperato nella ex-colonia e vogliono continuare a contribuire
allo sviluppo del Paese19. I vecchi comunisti continuano a tuonare contro questa nuova apertura che essi
vedono come catastrofica per il partito e per il Paese, ma con voce sempre più flebile: ad agosto sospende
la pubblicazione la loro principale rivista teorica Zhenglide zuiqiu, (Ricerca della verità), mentre viene
data alle stampe una raccolta di 12 saggi di Jiang Zemin, significativamente intitolata A proposito delle
'Tre rappresentatività'20, e il VI Plenum del partito, che si tiene tra il 24 e il 26 settembre a Pechino,
segnerà nuovi e rimarchevoli punti a favore di Jiang Zemin e delle sue "tre rappresentatività". Il Plenum
sarà infatti dedicato esclusivamente al tema della "costruzione dello stile di lavoro del partito", ovvero
alla ridefinizione della sua immagine, e la risoluzione finale ricalcherà in gran parte il discorso di
Jiang del Primo luglio riguardo alle "tre rappresentatività"21. Un nuovo successo per il Segretario
generale, che avendo appena compiuto i fatidici settantacinque anni, dovrebbe apprestarsi ad andare in
pensione il prossimo autunno, in occasione del XVI Congresso, ma che sembra sempre più deciso a rimanere
ben saldo sulla scena politica, se non altro come il grande teorizzatore di un partito comunista che è anche
dei capitalisti, degli imprenditori, dei liberi professionisti, e di chiunque "rappresenti le istanze più
avanzate della società".
Restano ancora da menzionare altri due importanti eventi riguardanti la Cina, che in questi mesi hanno
occupato le pagine della stampa internazionale, la decisione del Comitato olimpico internazionale di
assegnare a Pechino le Olimpiadi per il 2008 (lo scorso 12 luglio a Mosca)22, e la definitiva entrata della
Cina nel WTO lo scorso 17 settembre a Ginevra. Poiché a questo tema è dedicato, più oltre, l'interessante
contributo del Direttore dell'Ufficio di rappresentanza dell'Istituto per il commercio estero a
Pechino23,
vorremmo soffermarci brevemente su Pechino e le Olimpiadi del 2008.
Secondo alcuni osservatori Pechino sarebbe riuscita a conquistarsi anche i giudici più severi non certo per
il miglioramento nella democrazia del proprio sistema - continuano gli arresti dei dissidenti, le torture, i
terribili campi di rieducazione, il traffico di organi che meticolosamente Amnesty International denuncia
alle Nazioni Unite prima della sessione primaverile della Commissione per i diritti umani di Ginevra24 - ma
per le prospettive di futuri contratti davvero più che miliardari che il giro delle Olimpiadi produrrà.
Altri invece sostengono che si è voluto dare fiducia al governo e al popolo cinese, e che saranno proprio
le nuove Olimpiadi a obbligare il governo - e soprattutto il partito - a ulteriori, sempre più massicce
concessioni, e soprattutto ad una graduale ma inesorabile effettiva apertura verso il mondo.
Naturalmente la notizia della vittoria ha scatenato nella capitale cinese un autentico giubilo popolare,
questa volta senza dubbio meno programmato e più spontaneo dei grandiosi festeggiamenti ufficiali da poco
terminati per gli ottant'anni del partito comunista!25 Fino notte fonda la gente si è riversata nelle piazze
a festeggiare una vittoria tanto fortemente cercata dal governo centrale, e a lungo preparata con cura
meticolosa26, probabilmente ancora inconsapevole dei disagi e delle difficoltà che i prossimi anni recheranno
ai pechinesi tutti: già oggi Pechino si presenta sempre più come un interminabile traforo, un mostro
sdentato smangiucchiato da miriadi di altissime gru, un gigantesco cantiere che serve ad approntare, rasando
impietosamente al suolo interi vecchi quartieri, arditi viadotti a dodici corsie; ed i taxisti ormai
pazientissimi continuano a sorseggiare rumorosamente impassibili, le loro inquietanti bibitone di tè verde,
nel cuore di interminabili ingorghi. Ma tutti stanno studiando l'inglese, anche il sindaco, e si stanno
pazientemente preparando per fare fronte nella maniera più degna alla prima vera grande invasione da parte
degli stranieri di tutto il mondo!