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Spigolature da Pechino

di Mauro Marescialli

1 - 'North-American Demeanour' wansui!

Una calda e assolata mattina del maggio scorso ero a bordo di un taxi sulla via dell'ufficio, intrappolato come di consueto in uno degli opprimenti ingorghi di Pechino. Mentre distribuivo occhiate annoiate ai mesti volti dei passeggeri inscatolati come me nelle altre vetture, la mia attenzione fu d'un tratto catturata dallo slogan stampato su un'enorme cartellone pubblicitario inneggiante ad un nuovo progetto edilizio. 
Esso recitava: "Lomond Lake Villas - North American demeanour: Rich and Strong".
Dopo sette anni trascorsi in Cina e con alle spalle una tesi di laurea incentrata sull'analisi linguistica degli slogan pubblicitari cinesi, mi ero ormai convinto di aver sviluppato un numero di anticorpi sufficienti a sopportare le finezze proposte con puntuale costanza dalla sottile 'arte della sloganistica nazionale'. Mi sbagliavo, ovviamente, e il grottesco motto promozionale delle Lomond Villas mi indusse a riconsiderare la mia pretenziosa sicumera.
In un impeto d'improvvisa espansività diretta principalmente a rompere la deprimente monotonia del tragitto in taxi, ebbi l'ardire di informare il tassista su quanto scritto sul cartellone, chiedendo nel contempo cosa ne pensasse lui del cosiddetto 'North American demeanour'. 
Non l'avessi mai fatto. Forse in parte innervosito dall'odioso ristagnare del traffico, il tassista diede il via a uno sfogo imprevisto, tirando giù una catilinaria di mezz'ora su quanto sono arroganti gli americani. Dopo aver illustrato un lungo elenco di episodi controversi tra Cina e USA, il tassista chiuse la sua tiritera con un laconico 'Wo taoyan Meiguo, yinwei tamen renwei ziji shi shijie de jingcha!' (Detesto l'America perche' si considerano la polizia del mondo!). 
Di certo, non si può ignorare il fatto che, soprattutto negli ultimi due anni, un diffuso sentimento anti-americano sia emerso tra i cinesi, in special modo all'indomani del tragico bombardamento dell'ambasciata di Belgrado. 
Recentemente, l'incidente di Hainan ha fatto di nuovo riaffiorare tale animosità nella gente e nei media nazionali in maniera evidente, espandendosi persino su internet. Lo scorso 26 Aprile, la homepage della Honker Union of China (HUC) - una delle maggiori organizzazioni di hackers cinesi - titolava: "È nostro dovere sferrare un violento contrattacco per rispondere alle provocazioni americane!". La controffensiva di cui parlava l'HUC era ovviamente di tipo cibernetico, e giungeva in risposta agli attacchi che gli hackers americani avevano attuato precedentemente, sfigurando un discreto numero di siti Internet del 'Regno di Mezzo' con scritte anti-cinesi. Le ostilità tra i corsari informatici dei due paesi avevano preso il via subito dopo la collisione tra l'EP-3 americano e il caccia cinese, e sarebbero continuate in una escalation di scaramucce on-line fino al 9 Maggio. 
Detto ciò, può essere interessante notare che, nonostante tale animosità esista soprattutto a livello ideologico, da un punto di vista pratico ad essa non ha apparentemente corrisposto un rifiuto anche parziale dei modelli e dei valori propri della cultura mainstream americana contemporanea, vieppiù assorbita e accettata dalla società urbana cinese nel suo complesso. 
Per meglio illustrare tale contraddizione vale la pena citare l'esempio di Xiao Huo, mio ottimo amico ed ex-collega di lavoro presso un sito Web - per ironia della sorte - americano. 
Xiao Huo è un giovane e prestante pechinese di buona famiglia laureatosi il mese scorso in informatica. Le ragioni per cui egli dice di detestare gli Stati Uniti non differiscono poi molto da quelle del tassista esagitato che mi accompagnava in ufficio, riassumendo la sua posizione in uno stringato ma eloquente 'Meiguoren qifu women!' (gli americani ci bistrattano!). Nondimeno, la sua aspirazione primaria - identica peraltro a quella di migliaia di altri studenti cinesi - consiste nel ricevere un'istruzione post-universitaria negli USA, e approfittare dell'occasione per ricongiungersi con la sua dolce metà, già da un anno iscritta a un MBA presso un college Texano. Lo sport preferito di Xiao Huo è il basket, ma i suoi eroi non sono quelli che animano le vicende del campionato cinese, bensì quelli dell'NBA statunitense in quanto, afferma lui, 'Zhongguo lanqiu tai ci le!' (Il basket cinese è veramente scadente!). In perfetta sintonia con le mode giovanili urbane e la sua passione sportiva, Xiao Huo indossa rigorosamente abiti e calzature di marca Reebok, Nike e New Balance. La sua musica preferita è il rock, con preferenze che variano dai Metallica, ai Guns'n'Roses, dai Rage Against the Machine ai Red Hot Chili Peppers, guarda caso tutti gruppi americani. Il rock cinese, tranne una o due eccezioni, secondo lui non fa testo perché, ancora una volta, 'Tai ci le!'. I film preferiti da Xiao Huo sono quelli d'azione, con in testa The Matrix e Die Hard, di nuovo produzioni americane. In compenso, Xiao Huo detesta Mc Donald's (Chi bu bao/Non mi sazia), ma adora Pizza Hut.
Di certo, indulgere in generalizzazioni è una pratica incauta che può spesso indurre a macroscopiche inesattezze. Tuttavia, l'esempio di Xiao Huo, di per sè affatto isolato, getta una luce grottescamente illuminante sui gusti e le aspirazioni di una fascia consistente della borghesia urbana cinese, sulla cui scia comportamentale si immettono per riflesso anche altre categorie sociali. 
Potenza ecumenica del famigerato 'North-American demeanour'.
Anche a dispetto di missili, bombe e collisioni nei cieli.

2 -Vita da cane

Baobei, wo ai ni (Baby, ti amo) non è il titolo dell'ultima canzonetta cinguettata dalle melense ugole mando-pop cinesi, tantomeno il titolo dello sceneggiato televisivo strappalacrime di turno.
Trattasi altresì del titolone stampato sulla copertina del primo numero di Chongwu Shenghuo (Pet Zone), una tra le numerose riviste cinesi dedicate alla cura degli animali domestici. Cani, gatti, conigli, uccellini, criceti e pesciolini rossi riempiono le pagine patinate del mensile, assai ricco di foto, editoriali, reportages e innumerevoli consigli sul come allevare, nutrire, viziare e persino vestire varie tipologie di bestiole domestiche. Oltre alla carta stampata, anche il web cinese mette a disposizione dei surfisti interessati una nutrita schiera di siti dedicati agli animali domestici: cliccando su www.chinapet.com o www.shapi.com l'utente può accedere ad una incredibile quantità d'informazioni utili. 
L'usanza di tenere in casa varie specie di animali e persino insetti non è nuova alla Cina. Allevare uccelli, pesciolini e grilli rappresenta invero una consolidata tradizione popolare; la vera novità è costituita dal fatto che solo di recente gatti e soprattutto cani hanno iniziato ad allietare un numero sempre maggiore di famiglie cinesi. È bene ribadire che fino alla metà degli anni novanta era pressoché impossibile notare un cinese portare a passeggio un cane. Anzi, a dire il vero, in Cina di cani in giro non c'era proprio l'ombra. Ora, messe per un attimo da parte le facili quanto prosaiche ironie sul presunto declino di alcune singolari abitudini alimentari cinesi, è indubbio che l'apparizione di cani al guinzaglio per le strade di Pechino costituisca un fenomeno, e in parte una moda, totalmente nuovi. Mantenere un cane è tutt'altro che economico. Le sole spese di registrazione dell'animale variano tra i 5000 e 1000 yuan, a seconda che si tratti rispettivamente di un cosiddetto cane di città (definiti a norma di legge quali esemplari di altezza al garrese fino ai 30 cm), o di campagna (esemplari di stazza superiore). Se a ciò si aggiungono le spese del rinnovo annuale delle registrazioni, delle vaccinazioni, del veterinario, del cibo, e dei vari accessori utili alla pulizia e alle attività ludiche dell'animale, si evince in modo chiaro che, considerato lo stipendio medio nelle aree urbane, possedere un cane costituisca una sorta di vero e proprio lusso. In quanto tale, esso è soggetto ad una serie di rigide quanto grottesche regolamentazioni. Prima di tutto, le leggi vietano che cani di altezza al garrese superiore ai 30cm possano essere allevati in città (ecco perché è praticamente impossibile veder girare per le strade di Pechino un pastore tedesco o un semplice cocker). Tali leggi prevedono inoltre che l'animale non possa essere condotto fuori di casa tra le otto del mattino e le otto di sera, che non possa dare libero sfogo ai suoi bisogni fisiologici all'aperto, e che infine gli sia vietato l'accesso ai parchi pubblici. Ad estremizzare maggiormente la condizione iper-domestica dell'animale contribuiscono anche i relativi padroni, sovente inclini a pratiche bizzarre. Ad esempio, è usanza piuttosto diffusa che dopo ogni uscita quotidiana, il cane venga puntualmente sottoposto a un bagno igienizzante. Spesso, per risparmiarsi la scocciatura del bagnetto, i padroni escono tenendosi il cane in braccio senza mai farlo scendere. Quand'anche al cane venga concesso il lusso di sganchirsi le gambette, la legge interviene a dettare che esso debba essere sempre tenuto al guinzaglio per evitare disturbo e incidenti a terzi, tendenti in genere ad entrare in uno stato di fibrillazione arteriosa acuta alla semplice vista di un cane. Infatti, anche esemplari canini di dimensioni minime sono in grado di scatenare reazioni di inusuale panico urbano che vedono spesso protagonisti genitori apprensivi pronti ad abbrancare i propri figli per sottrarli alla terrificante minaccia di un Pechinese o, ancor peggio, di un minuscolo Carlino.
"È solo una questione di tempo, - mi confida fiducioso Yang Guang, orgoglioso possessore di Weiwei, un barboncino nano - Prima o poi i pechinesi si abitueranno anche a questo, le leggi cambieranno, e io potrò finalmente acquistare un dobermann".

3 - Hamburgers e caffè

All'inizio dell'avventura commerciale di Mc Donald's a Pechino dieci anni or sono, nutrivo parecchi dubbi sulle reali possibilità di affermazione della burger-culture nel 'Regno di Mezzo'. La Cina è un paese poco propenso a lasciarsi persuadere da tentazioni culinarie estranee all'immensa, deliziosa, millenaria tradizione gastronomica locale, per altro non nuova al concetto di ristorazione veloce, infarcita com'è di una sterminata serie di prelibati spuntini assai economici reperibili a ogni angolo di strada. 
Tuttavia, in dieci anni di sfrenata attività commerciale, il buon vecchio 'Mac' si e' ritagliato una sostanziosa porzione di mercato mordi-e-fuggi, consolidando in maniera imponente la sua presenza nel territorio e sbaragliando nel contempo la pur pugnace concorrenza di altre famose catene americane come il Kentucky Fried Chicken al punto che, nella sola Pechino, operano attualmente piu' di 60 ristoranti Mc Donald's.
Per raggiungere tali risultati, Mc Donald's ha adottato una strategia di marketing già sperimentata con successo in altre nazioni: puntare con decisione sulle giovani generazioni, con riguardo particolare verso quelle in tenera età. Non è quindi casuale notare che la clientela che affolla i Mc Donald's di Pechino sia in gran parte composta da studenti in età adolescenziale e bambini puntualmente accompagnati da genitori pronti a soddisfare con rassegnata acquiescenza la capricciosa brama di Happy Meal con giochini annessi dei propri marmocchi. Per un numero non trascurabile di studenti medi pechinesi, Mc Donald's funge spesso da sala studio. Sgranocchiando patate fritte tra un'equazione e un capitolo di storia, i ragazzi trascorrono parte del pomeriggio intorno ai tavolini in plastica gialla, iniziando a svolgere i compiti assegnatigli per il giorno seguente.
Tutto ciò avviene nonostante i prezzi di un pasto da Mc Donald's siano da considerarsi non proprio economici per il consumatore medio cinese, soprattutto se minorenne. Un Happy Meal inclusivo di Big Mac, Coca e patate fritte costa 16,80 Yuan (4.200 lire). Tre baozi (ravioloni cotti al vapore ripieni di carne e verdura) e una Coca in lattina acquistati a un banchetto per strada costano tre volte meno.
L'innegabile innalzamento del livello di vita medio e del potere d'acquisto ha necessariamente contribuito a modificare le abitudini e, soprattutto, le ambizioni consumistiche di vasti strati della popolazione urbana cinese, che ha raggiunto livelli di benessere impensabili fino a quindici anni fa. Gran parte del successo registrato da catene alimentari americane come Mc Donald's, Pizza Hut e, più recentemente, Starbucks Coffee, è da addurre a questo tipo di considerazione. Tale fenomeno spiega quindi la tendenza del ceto medio urbano cinese ad assimilare e apprezzare le nuove opportunità di consumo offerte a piè sospinto dal mercato, anche quando esse possano in un primo tempo apparire distanti da tradizioni e usanze radicate e apparentemente incrollabili.
Il caso Starbucks ne rappresenta un ulteriore esempio.
Il gigante delle caffetterie di Seattle ha di fatto introdotto nel mercato locale un modello di 'cultura del Caffe' (inteso come luogo di ritrovo sociale oltre che di mero consumo) assolutamente nuovo per i cinesi, per tradizione inclini a intrattenere le proprie relazioni sociali nei ristoranti, chiacchierando tra un pollo Gong Bao e tazze di tè piuttosto che tra una brioche e un cappuccino dai prezzi proibitivi. Eppure, a poco più di due anni dall'apertura del primo Starbucks a Pechino, in città ce ne sono ora più di venti, di cui uno situato all'interno della Città Proibita. 
Ma c'è di più. 
Gli Starbucks della capitale si distinguono nell'attirare differenti tipologie di clientela: quello al China World Trade Center è frequentato dai colletti bianchi; quello nel centro commerciale Full Link attira artisti, scrittori e registi; quello al Pacific Place pullula di 'techies' provenienti dagli uffici Nokia e IBM situati nei piani superiori dell'edificio, mentre lo Starbucks di Dong Dan si riempie di semplici passanti che optano per un caffellatte durante una pausa tra una compera e l'altra. 
Spostandoci da Pechino all'elegante Shanghai la storia non cambia. Anche qui il successo di Starbucks è stato talmente fulminante che nel giro di pochi mesi sono apparse in città le immancabili imitazioni 'made in China'. 'Discovery Coffee' e soprattutto 'U-Like Coffee' hanno plagiato la formula Starbucks fin nei minimi dettagli: dal logo, all'arredamento, ai tipi di caffè e dolci messi a disposizione della clientela.
"Se chiedi a un cinese perché scelga questo tipo di caffè invece di un'altro non ti saprà dare una risposta - afferma Xiao Jiang, una giovane pechinese impiegata presso un quotidiano della capitale - Personalmente, non so che differenza passi tra una miscela italiana e una brasiliana. Noi scegliamo di consumare il caffè non per la bevanda in sè, ma per il fatto di consumarla in posto come questo, per l'atmosfera, la musica e lo stile. Tutto qui."

MONDO CINESE N. 107, APRILE 2001

 

 


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