Una "minaccia politica": così l'ha definita il Primo ministro Zhu Rongji parlando ad una
conferenza nazionale sulla criminalità che si è svolta a Pechino dal 2 al 3 aprile del 20011, esattamente
due settimane dopo che il più grave attentato in cinquant'anni di Cina comunista aveva fatto almeno 108
morti.2 La conferenza, che ha dato il via alla terza campagna anticrimine - sintetizzata nella formula
yanda (picchiare duro) - dall'inizio degli anni ottanta, si è posta come obiettivo "risultati evidenti"
entro due anni. La popolazione deve essere mobilitata: "Tutti debbono sentirsi in dovere di lanciare
l'allarme alla vista di un topo", ha detto il premier.3
"Il picco di criminalità che la Cina sta vivendo è il più lungo da 15 anni e non ci sono speranze di un
rapido miglioramento della situazione", scrive in un recentissimo articolo il settimanale
Xinwen zhoukan
(Settimanale di notizie), citando giuristi di varie università.4 Il paese, secondo la rivista, una delle più 'audaci' nel panorama mediatico cinese in continuo e rapido
mutamento, avrebbe registrato cinque "picchi" di criminalità dalla fondazione della Repubblica popolare, nel
1949. Il primo, immediatamente dopo l'arrivo al potere dei comunisti. La guerra civile, le radicali
trasformazioni, la confusione sociale e politica diedero spazio alla piccola e grande criminalità: 53.100
casi vennero indagati e risolti. Secondo la medesima fonte, dieci anni dopo, in seguito al Grande Balzo in
avanti e alla fallimentare politica di collettivizzazione forzata che provocò una carestia con 26 milioni di
morti, secondo dati ufficiali, la fame avrebbe ridotto la gente al crimine: sarebbero stati 421.000 i casi
esaminati dalle procure. Durante gli anni della Rivoluzione culturale (1966-76), la totale assenza di leggi
e regole avrebbe costituito terreno fertile per il dilagare della criminalità: nel 1973 i reati furono
535.000. Ma per numero, violenza, mezzi e generi "non ci sono paragoni", afferma la rivista, con questi
ultimi vent'anni di riforme economiche ed apertura all'estero. Già nel 1981, gli organi competenti avevano
registrato 890.000 casi.
La risposta del governo è sempre stata una sola: "picchiare duro", il che in sostanza significa ondate di
arresti, processi sommari e migliaia di condanne a morte5. Nella prima campagna anticrimine del 1983,
dice la Xinwen zhoukan, i reati in effetti diminuirono notevolmente, da un minimo del 10% ad un massimo
del 50%, nelle diverse zone. Ma fu un sollievo solo temporaneo, perché nel giro di un anno la criminalità
era tornata a fiorire.
Solo oggi per la prima volta sugli organi di informazione cinesi stanno comparendo le voci, finora solo
sussurrate, contrarie a questo susseguirsi di campagne yanda, come si rileva da un esame della stampa più
recente. "La realtà ha dimostrato che le campagne anticrimine hanno un risultato solo a breve termine",
scrive Mao Shoulong, professore dell'Università del popolo di Pechino.6
Stessa opinione esprimono Yong De e
Chen Yan, sulla rivista Shenghuo zhoukan (Vita).7 Dopo la conclusione della campagna del 1983, i reati sono
aumentati ad un ritmo annuo di 100.000, scrivono Li Wenyan e Tian Hongjiao in un libro dedicato alla
criminalità.8 Lo scorso anno sono state arrestate 653.973 persone, e il tasso di criminalità sarebbe quindi
molto più basso che in altri paesi, ma secondo il professor Cao Fang, i reati effettivi sono almeno 6 volte
superiori a quelli denunciati.9
Il lungo reportage pubblicato sulla Xinwen zhoukan cerca di dare una spiegazione all'aumento della
criminalità e arriva persino a citare Marx, anche se solo per confutarlo: "non è a causa dello sviluppo
economico, bensì per i nuovi problemi che con esso sorgono".10 La sociologa He Qinglian, che il governo
non apprezza ma tollera, nel suo libro Xiandai de xianjin11 (Le trappole contemporanee) afferma che la
Cina si trova oggi di fronte "a due gravi problemi: disoccupazione e criminalità, connessi da mille e un
legami". La disoccupazione, secondo le fonti ufficiali, è nelle sole zone urbane al di sotto del 4%. In
realtà, concordano i sociologi, sarebbe intorno al 35%. Nelle campagne il surplus di manodopera è ormai
di 120 milioni di persone e almeno altri 80 milioni già sono emigrati, su base permanente o saltuaria,
nelle città in cerca di un lavoro, che non sempre trovano. Sono una fonte inesauribile per la criminalità
che attinge a piene mani da questi "senzatetto, senza lavoro, senza istruzione". E i loro figli sono
destinati a far parte di un altro esercito di derelitti: non essendo regolarmente residenti non hanno
accesso alle scuole, crescono per le strade, e se non sono arruolati da bande criminali, lavano le
automobili, vendono rose nei ristoranti di lusso, dove si spende a testa quanto i genitori nel villaggio
di campagna guadagnerebbero in un anno. Nell'ultimo censimento, al Primo novembre 2000, il governo ha
cercato di fare uscire allo scoperto questa popolazione sommersa e ambulante, per cercare di capire quanto
vasto sia il problema. I dati relativi non sono stati ancora resi pubblici, ma è già stato deciso che lo
hukou (il certificato di residenza che da sempre lega il cinese al posto di nascita o di lavoro, dandogli
diritto a terra o casa e, un tempo, alle razioni dei vari prodotti calmierati) verrà soppresso. Cioè, gli
immigrati dalle campagne in città non dovranno più nascondersi, con il terrore di essere arrestati e
rispediti al paese d'origine, e per la prima volta nella storia della Cina moderna qualsiasi cinese potrà
decidere liberamente dove vivere e per quanto tempo, senza discriminazioni. Una vera rivoluzione. La legge
è attualmente all'esame dell'Assemblea popolare nazionale.
Se lo sviluppo economico di per sè non può essere considerato responsabile di un aumento del crimine, il
crescente divario tra ricchi e poveri, in parte lo è. Il rapporto delle entrate pro capite nelle zone
urbane e in quelle rurali era negli anni Ottanta 2,3 a 1; negli anni Novanta è passato a 3,2 a 1, con
tendenza ad un allargamento della forbice. Trenta milioni di persone si trovano in condizioni di totale
indigenza, dice il governo, e secondo gli standard internazionali oltre cento milioni vivono sotto la
soglia della povertà, fissata a un dollaro al giorno (8,25 yuan). Il dato appare ancora più impressionante
se si pensa che attualmente a Pechino, sul mercato immobiliare il costo di un metro quadrato va da 3.600
yuan (in periferia) a 10.000 o più yuan (1 yuan è pari a circa 260 lire), cioè il prezzo minimo è più alto
di quanto ha a disposizione un povero in un anno intero. E gli appartamenti si vendono.
Nel mirino della nuova campagna anticrimine inoltre, per la prima volta c'è la mafia, o società segrete
(hei shehui), risorte e prosperate nell'ultimo ventennio. Da gennaio a luglio di quest'anno le procure
hanno registrato un aumento del 38 % dei reati ad opera di 'organizzazioni di stampo mafioso', che in
alcune aree controllano strade, quartieri, interi distretti rurali. Secondo il professor Shao Daozheng,
dell'Accademia delle scienze sociali e consulente della Corte suprema, queste organizzazioni - di stampo
mafioso o propriamente mafiose - contano oggi almeno un milione di persone12 e stanno crescendo in forza
e dimensioni. Le hei shehui stanno ormai infiltrandosi nell'economia, come negli altri paesi, dice il
professore che cita il giudice Falcone: la mafia mira al controllo economico. In Cina, secondo il prof.
Shao, questa relazione è ancora in una fase iniziale, tranne nelle zone dove le organizzazioni di stampo
mafioso dominano il contrabbando (come a Xiamen, nella regione sud orientale del Fujian) dove un "re"
(capo mafia) ha gestito per anni le importazioni illegali di autovetture, acciaio, petrolio e via
dicendo. Le mafie hanno baobi (coperture) a tutti i livelli, nella polizia, nel governo e nel Partito
comunista. Un poliziotto, per tacere e chiudere un occhio, può ricevere da un minimo di 3.000
yuan, fino
a 40.000 yuan al mese. Contro uno stipendio di 800-1.000 yuan. Le mafie hanno quindi tre vie su cui
contare: la hongdao, "la strada rossa" (il potere rosso, i legami politici), la
heidao "la strada
nera"(la forza bruta), e la huangdao "la strada gialla" (il potere economico, "giallo come l'oro").
Non solo, conclude il professore, "ci sono ormai provati collegamenti con l'estero".
Le società segrete hanno una lunga tradizione in Cina - le connessioni sia con il Guomintang (Partito
nazionalista) e il Partito comunista nella prima metà del secolo sono apertamente riconosciute - ma nelle
campagne politiche immediatamente successive all'arrivo al potere dei comunisti, nel 1949, vennero
sostanzialmente eliminate. La trasformazione da banda criminale in hei
shehui, secondo gli studiosi
cinesi, è cominciata alla fine degli anni Settanta, quando con Deng Xiaoping la Cina aprì le porte
all'estero.13 Da Hong Kong, le triadi sono facilmente arrivate alle vicine Shenzhen, Canton, Foshan,
Shantou. Dal 1983 al 1989 in quest'area, in tre successive campagne di saohei (ripulire dalle società
segrete), vennero fermati 338 membri di organizzazioni mafiose, ma nel solo 1989 a Shenzhen, la prima
zona economica speciale ad essere aperta a investimenti esteri con condizioni vantaggiose, ne furono
arrestati 600.14 C'era di tutto: la 'banda dell'esercito nudo', la 'banda IQ', la 'banda della
tolleranza', la 'banda del drago verde' e quella del 'tornado', composta, quest'ultima, da ragazzini
delle scuole medie.15
Le organizzazioni mafiose controllavano, e controllano, il contrabbando, la prostituzione e il traffico di
emigranti illegali, di bambini a Hong Kong, di stupefacenti. Negli anni Novanta, c'è stato il salto di
qualità e le hei shehui "sono oggi un serio problema per la sicurezza pubblica".16 Il libro descrive il caso
esemplare di Pingyuan, nello Yunnan, nel sud ovest, una zona abitata da diverse etnie, dove la mafia locale
usava le contraddizioni etniche e religiose per fomentare disordini. "Il potere a Pingyuan era nelle mani
della mafia, dirigenti del partito comunista, del governo, esponenti religiosi divennero capimafiosi,
controllavano il contrabbando di stupefacenti e armi (con la confinante Birmania) e organizzavano le masse
ad opporsi alla legge, attaccando le sedi della polizia e del governo locale e uccidendo e ferendo numerosi
esponenti delle forze dell'ordine".17 La legge non esisteva più, la terra si vendeva e comprava a
piacimento (la terra è ancora proprietà pubblica e si affitta soltanto per un massimo di 50 anni), nessuno
pagava le tasse, le auto circolavano senza targhe, il controllo delle nascite era ignorato. La mafia fu
padrona assoluta per anni, fino a quando nel 1992, il governo provinciale dello Yunnan non decise che era
ora d'intervenire. E furono necessari tre mesi di guerra per "ottenere la grande vittoria".18
Pingyuan non è un caso speciale: in alcune zone ci sono i 'signorotti' del villaggio, della città, del
quartiere, della strada, della fabbrica, della miniera e via dicendo, "la gente osa detestare, ma non
parlare".19 Anche perchè molti dei 'signorotti' sono esponenti del governo locale o deputati.20 Il fenomeno
mafia è ancora più grave per l'attrazione che esercita sui giovani. Un esempio è la "Società del drago nero"
di Luxian (nella regione sud occidentale del Sichuan), di cui è stata data notizia nell'aprile scorso: cento
ragazzi dai 14 ai 18 anni, che nel settembre dello scorso anno hanno stretto un patto di sangue con tanto di
rito iniziatorio in un tempio buddista sulla montagna Foyan. La società era nata in risposta alle
sopraffazioni della "Banda della fenice volante". Con un rigido codice di comportamento in venti punti, che
fra l'altro proibiva droghe e stupri, la "Società del drago nero" si è macchiata di reati minori, come
rubare 10 ventilatori e 1.000 yuan. I genitori dei ragazzi non sapevano, non ci facevano caso, pensavano
che la banda fosse un gioco innocente, fino a quando non è scoppiata una rissa violenta, uno del gruppo
avversario è rimasto gravemente ferito. Nella improvvisa solerzia della campagna anticrimine, i due
capibanda - operai di 18 anni, con diploma di scuola elementare - sono stati condannati a tre anni di
rieducazione.21 Una decisione troppo severa e con conseguenze pericolose per il futuro dei giovani che
rischiano di diventare dei "nemici della società", dicono gli esperti.22
Come Zhang Jun. Un giovane dell'Anhui, una delle regioni più povere della Cina, dove i fiumi ogni anno
straripano distruggendo le abitazioni di fango ogni stagione ricostruite, che nel giro di sei anni ha
ucciso 22 persone e ferito altre 20, per rapina, per rabbia, per celia.
Il caso Zhang Jun, che ha ascoltato la sentenza della sua condanna a morte trasmessa in diretta
televisiva senza battere ciglio, senza la minima emozione, il governo voleva fosse esemplare della
determinazione a combattere il crimine. Ma uno dei giornali meglio fatti e più letti in Cina ha
rovinato tutto cercando, pur senza mettere in discussione la colpa e la punizione, di capire come e
perchè un uomo si riduca a questi livelli bestiali. Ogni uomo fa parte della società e il suo
comportamento non si è formato da solo - scriveva un fondo del Nanfang zhoumo (Finesettimana del sud)
del 19 aprile 2001 - per evitare il riprodursi di simili casi, la società deve analizzarsi a fondo". I
giornalisti sono stati inviati nel villaggio natale di Zhang Jun, nel distretto di Anxiang. La verità
scoperta, fin troppo semplice, è che Zhang Jun, come i suoi complici, veniva da una famiglia poverissima
di sette figli. Era sempre stato un violento e nel 1983, per una rissa era stato condannato a tre anni di
rieducazione. In prigione, di recente, intervistato dall'agenzia ufficiale 'Xinhua', ha detto di avere
delle ottime guardie, aggiungendo che se fosse stato così anche al campo di rieducazione "forse la mia
vita sarebbe stata diversa". Zhang Jun e gli altri della banda, "arrivano in città con sogni di ricchezze,
ma le città non possono soddisfarli tutti - ha detto al giornale un funzionario di polizia incaricato
dell'inchiesta - e le differenze tra campagne e città sono tali da renderli degli emarginati". Il primo
omicidio di Zhang Jun è stato nel 1994, quando ha ucciso un uomo in un bagno pubblico per rubargli 6.000
yuan. Nei successivi sei anni, ha contrabbandato armi, fatto rapine, si è lasciato andare ad ogni
possibile brutalità. "Evidentemente ci sono dei problemi nell'amministrazione", ha commentato un anonimo
giurista. La questione vera, conclude il professore Chen Zhonglin dell'Università di legge del Sud ovest
è che per risolvere i problemi sociali "c'è bisogno di una forza di controllo libera e imparziale". Il
direttore del Nanfang zhoumo è stato licenziato.
I cinesi da anni vivono barricati in case con porte blindate, in costante stato di allerta contro scippi,
rapine e sequestri di persone. In molti condomini ci sono guardie ai cancelli e un servizio di sicurezza
giorno e notte, sempre nel caso di edifici per stranieri. Ma i criminali cinesi non sono professionisti,
sono dei disperati e reagiscono come tali. Così spesso accade che un furto in un appartamento finisce in
un omicidio, come nel clamoroso caso di una famiglia tedesca a Wuhan - padre, madre e due figli -
sterminata a coltellate da un gruppo di contadini penetrati nella lussuosa villa, per rubare. Scoperti
hanno ucciso, infierendo con decine di colpi di coltello. La stampa riferisce ogni giorno di casi simili
in abitazioni cinesi. E anche nei villaggi, dove tutti una volta si conoscevano, oggi si tiene un cane
nel cortile, contro i "vagabondi".
Il Primo luglio, il Pcc compirà 80 anni, il partito comunista più longevo al mondo e al potere. Non ha rivali
politici - il dissenso è stato messo a tacere e, in ogni caso, non è mai riuscito a creare un'alternativa -
ma il regime si sente minacciato dai vari fattori di instabilità, ai quali non sa dare risposte. Il controllo
sociale si è indebolito e quello poliziesco si sta instaurando, ma privo delle vecchie armi ideologiche. I
valori della società povera e comunista sono svaniti, senza che siano stati sostituiti da altri. I sociologi
parlano di culto del denaro, edonismo, epicureismo. I ragazzi crescono con l'idea che chi non fa soldi sia
un fallito. La propaganda sa offrire solo obsoleti stereotipi, alieni in tutto da un mondo in continua
evoluzione. La realtà corre più velocedell'ideologia. E all'inizio dell'anno, il Pcc ha cercato aiuto nel
passato, nella tradizione: il paese deve essere governato dalla legge e dalla moralità (yifa zhiguo, yide
zhiguo), ha detto il segretario generale e capo dello stato Jiang Zemin. E Confucio, insultato e messo al
bando ai tempi di Mao Zedong quale emblema della società feudale, ha avuto l'onore della prima pagina del
Quotidiano del popolo (editoriale del 1 febbraio) accanto a Marx, Engels e Lenin. Mentre prosegue la
difficile opera di moralizzazione della Cina, criminalità e corruzione, strettamente collegate fra loro,
come dice il professor Shao Daozheng, continueranno a prosperare, indifferenti alle campagne anticrimine e
alle migliaia di condanne a morte.
MONDO CINESE N. 107, APRILE 2001