Pubblichiamo qui di seguito il testo del discorso pronunciato dal sen. Giulio Andreotti a Pechino, in occasione delle celebrazioni per il trentennale delle relazioni diplomatiche tra Italia e Repubblica Popolare, come importante documento per la storia degli avvenimenti che portarono al riconoscimento da parte italiana, avvenuto in data 5 novembre 1970.
Ho apprezzato molto, durante questi giorni di viaggio a Shanghai, Xi'an e Pechino, una frase di benvenuto ripetuta dagli ospiti cinesi: "Stimiamo particolarmente l'Italia perchè, pur appartenendo lealmente a una alleanza occidentale, ci avete riconosciuto ufficialmente tre anni prima degli Stati Uniti d'America".
Ho rilevato anche un'altra affermazione lusinghiera soprattutto per me: "Non dimentichiamo che il Presidente del Consiglio Andreotti ruppe nel 1991 l'embargo delle visite ufficiali decretato dalla NATO e venne a trovarci, ospite del nostro Primo Ministro Li Peng".
Ecco una conferma dell'amicizia italo-cinese che, del resto, ha origini lontanissime.
Non è il caso di risalire a Marco Polo ma voglio citare Matteo Ricci, del quale ricorre quest'anno il quarto centenario dell'arrivo a Pechino, dove rifulse come religioso e come scienziato, divenendo un punto di riferimento fondamentale nella storia della Cina. Sono lieto che, insieme alla vostra "Associazione dell'Amicizia", sia stato deciso di tenere, nel prossimo anno, un seminario ad alto livello proprio per ricordare LI Madou, appunto Matteo Ricci. La natura stessa del nostro Istituto - creato dall'indimenticabile precursore dell'amicizia tra i nostri due popoli, il Senatore Vittorino Colombo - è volta a mettere in luce anche le relazioni religiose intervenute lungo i secoli.
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Quando nel 1986 accompagnai qui in Cina, come Ministro degli Esteri, il Presidente Bettino Craxi ascoltai un garbato monito espresso da Deng Xiaoping rivolto non solo a noi italiani. "Spesso si dimentica - disse - che la Cina ha una popolazione di un miliardo e duecento milioni di abitanti. Ogni problema per noi è quantitativamente e territorialmente molto più complicato che per il resto del mondo. Non ci si possono chiedere soluzioni fulminee, ma ci occorre il tempo necessario per attuare le linee programmatiche".
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Che qualcosa si muovesse nel senso giusto lo rilevai durante un secondo viaggio ministeriale nel 1988, legato a importanti progetti di cooperazione sia sanitaria che industriale. Ma fu nel già ricordato viaggio del 1991 che Li Peng mi inquadrò bene la posizione cinese. Affermò: "Noi non dobbiamo compiere l'errore dei sovietici che hanno messo tutto in crisi. Abbiamo deciso una sperimentazione di economia mista senza anticipare teorizzazioni generali, che potremo fare solo al termine di questa fase, nella quale offriamo al mondo possibilità di buoni investimenti e ci attendiamo di essere largamente corrisposti".
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Adesso, nove anni dopo, il successo di questa politica balza agli occhi, ancor prima di conoscere dati ufficiali e statistiche comparative. Appena messo piede a Shanghai e ora qui a Pechino vedo la poderosa trasformazione urbanistica e la massiccia motorizzazione del traffico stradale, che suscitano ammirazione e gioia. Forse noi italiani potremmo partecipare di più e, come ha detto in questi giorni il Presidente del nostro Istituto, dr. Cesare Romiti, da questo nostro viaggio e da quello parallelo della Confederazione italiana dell'industria nascerà una spinta di maggiore partecipazione al vostro sviluppo.
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In un testo del 1921 di uno dei fondatori del Partito Comunista Cinese si esprime un giudizio positivo per il ruolo mondiale che gli Stati Uniti d'America avevano conquistato attraverso il potenziamento dell'economia industriale. E si aggiunge l'auspicio che con lo stesso modo anche la Cina potesse un giorno affermarsi. Mi sembra che le strade che avete imboccato siano quelle giuste. E' pertinente ricordare quello che disse Vittorino Colombo: "attraverso il 'socialismo cinese' la Cina costruirà la propria via democratica".
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Nella celebrazione del trentennale delle relazioni diplomatiche Italia-Cina sono stati fatti riemergere dagli archivi dei due Paesi gli atti del negoziato che ebbe il suo suggello nell'accordo firmato a Parigi. Ho conservato non solo i giornali relativi a questa decisione ma anche i commenti della stampa estera, tra cui un significativo rilievo nei giornali americani, secondo i quali - e fu così - il riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese da parte del Canada e dell'Italia apriva la strada a più ampi riconoscimenti. Anche nella stampa giapponese vi furono sottolineature molto importanti. Ma voglio qui citare un testo inedito.
Ero in quel periodo Presidente del Gruppo parlamentare della Democrazia Cristiana alla Camera dei Deputati e seguivamo con molta partecipazione l'approccio negoziale con la Cina. Qualche mese prima della conclusione (esattamente il 3 agosto 1970), il Ministro degli Esteri Aldo Moro mi inviò una relazione riservatissima sulla stato della trattativa nella quale era molto confortato dal nostro sostegno politico. Tra l'altro, noi non avevamo come i gruppi politici della sinistra il disagio del riflesso dei complicati rapporti tra voi e Mosca. E non ci pentimmo certo del nostro atteggiamento degli anni 70 quando vi fu qui una parentesi politica aspra e dissacrante, che ebbe ripercussioni anche oltre i vostri confini. Eravamo certi, secondo il vecchio monito latino, che le nubi si sarebbero diradate e sarebbe tornato il sole.
Così è. Per questo siamo qui a festeggiare, nella certezza di ulteriori, grandi progressi.
I negoziati italo cinesi
(Relazione inviata dal Ministro Aldo Moro all'On. Andreotti)
I - L'intenzione di procedere al riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese fu per la prima volta implicitamente annunciata dal Governo al Senato, il 14 febbraio 1964, allorché l'On. Presidente Saragat - allora Ministro degli Affari Esteri - in sede di replica a una mozione e ad alcune interpellanze e interrogazioni dirette a conoscere l'atteggiamento del Governo di fronte a tale problema affermò:
"In proposito desidero precisarvi subito i termini esatti della questione. Al riguardo si tratta di sapere non se il nostro Governo intende procedere a un'intesa con quello di Pechino per il riconoscimento della legittimità del regime comunista e della sua rappresentatività della Cina, ma quando meglio converrà, nell'interesse dell'Italia e del mondo libero dell'Occidente cui apparteniamo, procedere a tale riconoscimento. Con ciò, gli aspetti essenziali del problema vengono messi nella loro giusta prospettiva. Infatti, non è per nulla vero che il Governo italiano ignori certe realtà storiche, politiche, amministrative e di fatto della grande Asia Orientale, ma esso desidera agire tempestivamente e costruttivamente e non isolatamente".
II - Il 24 gennaio 1969, l'On. Pietro Nenni, Ministro degli Affari Esteri, prendendo la parola alla Camera dei Deputati per illustrare il bilancio del Ministero degli Esteri, affermò:
"E' necessario per tutti concorrere a rafforzare l'ONU, accrescerne l'autorità e la forza di irradiazione, attuarne la universalizzazione della struttura, affrontando in termini nuovi il problema del seggio cinese.
Un problema cinese esiste per noi anche nell'ambito delle relazioni bilaterali. Negli ultimi anni la posizione italiana rispetto alla Repubblica Popolare Cinese è stata quella di rispondere sì al quesito se la Cina Popolare dovesse essere riconosciuta e di lasciare aperto il problema del quando e del come, stabilendo intanto relazioni commerciali e aprendo un Ufficio dell'ICE a Pechino mentre i cinesi ne aprivano uno a Roma.
Ritengo che il momento del 'quando' sia venuto e appena possibile riferirò al Parlamento sul 'come', nella fiducia che questo problema si possa risolvere".
III - Il Ministro Nenni decise quindi che fossero presi contatti preliminari con i cinesi. Nel corso dei colloqui preliminari venne deciso di procedere a negoziati segreti per il riconoscimento reciproco tra i due Paesi e a tal fine venne prescelta Parigi quale sede "neutrale" delle trattative.
IV - Gli incontri ufficiali finora tenuti a Parigi sono stati tre e hanno avuto luogo rispettivamente il primo il 25 febbraio 1969, il secondo l' 11 e il 12 aprile 1969 e il terzo dal 4 all' 8 dicembre 1969.
Durante il primo incontro del 25 febbraio 1969 il Rappresentante italiano illustrò la nostra posizione per quanto riguardava i principi, che a richiesta del Governo cinese avrebbero dovuto essere accettati da parte italiana per pervenire al riconoscimento reciproco e all scambio di Ambasciatori.
Questi principi erano già stati indicati dai cinesi nei colloqui preliminari:
1) "Riconoscere il Governo della Repubblica Popolare Cinese come il solo Governo legale che rappresenta il popolo cinese".
2) "Riconoscere che la Provincia di Taiwan (Formosa) fa parte integrante del territorio cinese e rompere tutte le relazioni con la Cina di Chiang Kai-shek".
3) "Sostenere la Repubblica Popolare di Cina nel ristabilimento dei suoi diritti legittimi e del suo posto legittimo in seno alle Nazioni Unite e cessare ogni sostegno alla cricca di Chiang Kai-shek all'ONU stesso".
Secondo le istruzioni impartitegli il Rappresentante Italiano fece presente che si consideravano accettabili il 1° punto nella seguente versione: "Il Governo di Pechino è il solo Governo legittimo della Cina" e il 3° punto: "Il posto e i diritti legittimi della Cina all' ONU spettano al Governo di Pechino".
Il 2° punto: "La Provincia di Taiwan fa parte integrante del territorio cinese" non poteva comportare una nostra presa di posizione.
V - Il secondo incontro di Parigi ebbe luogo l'11 e il 12 aprile. Durante questo incontro il Rappresentante italiano fece presente che si stava procedendo all'esame del progetto cinese di comunicato (già consegnato alcuni giorni prima a Roma) e articolato come segue:
"In conformità ai principi del rispetto reciproco della sovranità e dell'integrità territoriale, della non ingerenza negli affari interni, dell'uguaglianza e del reciproco interesse, il Governo della Repubblica Popolare di Cina e il Governo della Repubblica Italiana hanno deciso di riconoscersi reciprocamente e di stabilire relazioni diplomatiche.
Il Governo della Repubblica Italiana riconosce che la Provincia di Taiwan è una parte inalienabile del territorio della Repubblica Popolare di Cina; di conseguenza ha deciso di rompere tutte le sue relazioni con la "cricca di Chiang Kai-shek", di sostenere i diritti legittimi della Repubblica Popolare di Cina e di non sostenere più alcuna rappresentanza della "cricca di Chiang Kai-shek all'ONU.
Il Governo della Repubblica Popolare di Cina e il Governo della Repubblica Italiana hanno deciso, per via di consultazioni, il reciproco invio di Ambasciatori entro il termine di..... mesi.".
Il nostro Rappresentante dichiarò inoltre quanto segue:
"Per quanto riguarda le questioni di principio il Governo italiano ritiene che il solo punto fondamentale è che esso ha preso la decisione di riconoscere il Governo della Repubblica Popolare Cinese come solo legittimo Governo della Cina.
Il Governo italiano è quindi pronto a stabilire regolare rapporti diplomatici con il Governo della Repubblica Popolare Cinese.
Ne consegue la possibilità di annunciare nelle due Capitali che i Governi di Roma e di Pechino hanno deciso di comune accordo lo stabilimento delle relazioni diplomatiche e lo scambio di Ambasciatori entro il termine determinato.
Per quanto concerne il Governo italiano, a Roma l'annuncio dell'accordo raggiunto sarà dato al Parlamento e all'opinione pubblica, dichiarando ufficialmente che il riconoscimento del Governo di Pechino comporta la rottura dei rapporti diplomatici che esistevano con Taipei.
Ciò è l'essenziale della posizione del Governo italiano".
Il nostro Rappresentante aggiunse che, per quanto riguardava più direttamente il testo del comunicato, avrebbe preso nuovamente contatto con la controparte cinese per discuterlo, non appena avesse ricevuto istruzioni.
VI - L'11 luglio 1969 si aprì la crisi di Governo con le dimissioni del Presidente del Consiglio On. Rumor. Il 5 agosto 1969 l'On. Rumor fu in grado di sottoporre al Presidente della Repubblica la lista dei Ministri del nuovo Governo. Il 10 agosto 1969 nel corso della sua replica alla Camera dei Deputati il Presidente del Consiglio dichiarò:
"All'On. De Martino, che mi ha ricordato l'intendimento manifestato dal precedente Governo di avviare sondaggi per il riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese, confermo che quell'orientamento non è modificato".
VII - Il 22 ottobre 1969 nella replica al termine della discussione alla Camera dei Deputati sulla politica estera, il Ministro degli Esteri On. Aldo Moro pronunciò le seguenti dichiarazioni a proposito della Cina:
"Oggi il nostro sguardo si rivolge alla Cina con un interesse che non è diminuito dalla lontananza, ma risponde a una esigenza di realismo e di attenzione che non può mancare in un Paese vivo come il nostro e a una visione responsabile dell'equilibrio mondiale nelle sue molteplici implicazioni.
Non dirò dunque altro su questo punto. E quello che ho detto non significa una rivendicazione per me, che solo da pochissimi mesi ha l'onore di dirigere questo Dicastero, ma giusta difesa di coloro che mi hanno preceduto in questo compito e della diplomazia italiana, che è in tutto degna della sue grandi tradizioni e alla quale assai bene sono affidati, sotto una direzione politica, gli interessi dell'Italia".
La Cina fu anche oggetto di un intervento del Ministro in data 27 ottobre 1969, nella discussione per il bilancio 1970 al Senato:
"Nel quadro della politica italiana di pace va collocata l'iniziativa intesa a riconoscere la Cina e a stabilire con essa rapporti diplomatici. Si tratta di un atto di realismo e di uno sforzo per inserire, con la conseguente assunzione di responsabilità, un grande Paese nella convivenza internazionale e nella organizzazione per naturale tendenza universale dell'ONU.
Sono questi, dunque, i principi che muovono il Governo italiano e che vanno qui opportunamente riaffermati.
Alla lunga, a chi mai potrebbe giovare l'assenza della Cina dall'economia del mondo? Anche il dissidio russo-cinese sarebbe gravido di conseguenze pesanti per l'ordine internazionale.
Alla luce di questi principi e quindi, in prima linea per l'universalità dell'ONU, l'Italia si comporterà in quella sede tenendo conto dello stato del negoziato per il riconoscimento e del dibattito che si è svolto e si svolgerà nell'Organizzazione mondiale. Dovendo tener conto di tali elementi, allo stato una decisione definitiva non è stata presa dal Governo italiano, come del resto dagli altri che hanno iniziato la procedura del riconoscimento insieme con l'Italia, anche se è prevedibile che non sarà presentata una nostra mozione e che la nostra posizione di voto non potrà essere uguale a quella dell'anno scorso.
Non potendosi anticipare un giudizio definitivo, sarò grato se il Senato, pur comprendendo lo spirito dell'ordine del giorno relativo all'atteggiamento dell'Italia nei confronti della Cina, vorrà rifiutare di irrigidire in questa fase negoziale la posizione italiana".
VIII - Dopo la formazione del nuovo Governo furono impartite in data 6 novembre 1969 istruzioni al nostro Rappresentante alle Nazioni Unite di votare in favore del progetto di risoluzione procedurale concernente "l'importanza" della questione del seggio cinese, senza alcuna dichiarazione esplicativa di voto e di astenersi sul progetto di risoluzione "albanese" e, dopo la votazione, di effettuare le seguenti dichiarazioni:
"Nel corso delle ultime tre Assemblee Generali delle Nazioni Unite, il Governo italiano si era fatto promotore di una iniziativa tendente alla costituzione di un "Comitato di studio ad hoc" per l'esame del problema del "seggio cinese". Tale proposta mirava a facilitare il raggiungimento di quella "universalità" dell'Organizzazione, in armonia con i principi delle Nazioni Unite, di cui il nostro Paese è sempre stato convinto assertore. Il Governo italiano riteneva, infatti, che attraverso l'istituzione di tale Comitato sarebbe stato possibile approfondire i vari aspetti del problema per poterne individuare la soluzione più idonea e rispondente alla realtà.
L'Italia ha deciso di non ripresentare quest'anno tale proposta, dato che essa non era stata compresa nel suo vero significato e sostenuta in misura tale da raggiungere i suoi scopi. Il Governo italiano continua comunque a essere persuaso della necessità che la Cina, un Paese che comprende quasi un quarto dell'intera umanità, trovi la sua giusta rappresentanza in seno alla Comunità internazionale.
Per parte nostra abbiamo, come è noto, iniziato contatti bilaterali per il riconoscimento e lo stabilimento delle relazioni diplomatiche fra l'Italia e la Repubblica Popolare Cinese. Tale decisione si inserisce in prospettive che lasciano sperare l'avvio di un processo di più largo inserimento del Governo di Pechino nella vita internazionale. Noi auspichiamo che ciò si realizzi rapidamente e nella maniera più soddisfacente. Riteniamo intanto di dover preliminarmente conoscere lo svolgimento e i risultati prima di prendere una definitiva posizione in favore di un progetto di risoluzione, come quello posto in votazione, di cui non ignoriamo certo gli aspetti positivi. Per queste ragioni abbiamo deciso di astenerci, ma teniamo a sottolineare che la nostra astensione è motivata dalla necessità di raccogliere tutti gli elementi di valutazione che solo lo sviluppo dei contatti bilaterali con Pechino potrà darci, e che restiamo fermamente convinti dell'esigenza di realizzare l'universalità dell'ONU".
IX - Nel corso del terzo incontro ufficiale (4-8 dicembre 1969) il Rappresentante italiano consegnò al Rappresentante cinese il progetto italiano dell'annuncio ufficiale dell'intesa fra i due Governi che avrebbe dovuto essere fatto con un comunicato di diramare contemporaneamente a Roma e a Pechino secondo il seguente testo:
"Il Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Repubblica Popolare di Cina hanno deciso di riconoscersi reciprocamente e di stabilire relazioni diplomatiche. Essi si sono accordati a questo fine, per via di consultazioni, di dar corso al reciproco invio di Ambasciatori entro il termine di tre mesi".
Da parte cinese si continuò a insistere nel proporre un Comunicato ufficiale congiunto che tenesse conto possibilmente dei cinque principi costituzionali della RPC (tra i quali: rispetto reciproco della sovranità e dell'integrità territoriale, reciproca non ingerenza negli affari interni, eguaglianza e beneficio reciproco) nonché del rispetto del principio che afferma che Taiwan è parte inalienabile della RPC.
Da parte italiana si lanciò allora l'idea di integrare il Comunicato con successive dichiarazioni unilaterali che ciascuno dei due Governi avrebbe emesso per proprio conto e sulle linee generali delle quali avrebbe potuto aver luogo uno scambio di idee.
Da parte cinese si rispose che, mentre la proposta di esaminare il testo della dichiarazione unilaterale italiana sarebbe stata certamente accolta a Pechino, ci si riservava di far conoscere il pensiero del Governo cinese sulla possibilità di discutere anche il testo della dichiarazione unilaterale cinese.
X - Il 15 dicembre 1969, in un incontro con l'Ambasciatore della RPC, l'Ambasciatore Malfatti confermava la proposta di studiare la possibilità di rilasciare, oltre al Comunicato concordato di tipo francese, due dichiarazioni unilaterali, compatibili tra di loro e concordate sulle linee essenziali.
L'Ambasciatore della RPC evitava di impegnarsi e si riservava di chiedere istruzioni in merito al proprio Governo.
L'On. Ministro, in data 17 gennaio 1970, confermava all'Ambasciatore Malfatti che da parte nostra si sarebbe potuto arrivare a una dichiarazione unilaterale disgiunta dal comunicato nella quale si sarebbe potuto affermare che riconoscendo l'Italia una sola Cina, lo stabilimento di relazioni diplomatiche con Pechino avrebbe comportato conseguentemente la rottura contemporanea dei rapporti con Taiwan.
In data 27 gennaio l'Ambasciatore a Parigi riferiva di aver confermato al Rappresentante cinese la disponibilità del Governo italiano a una formula di chiusura del negoziato composta da una breve comunicato comune e da due dichiarazioni unilaterali.
XI - L'Ambasciatore Malfatti, in data 20 aprile ha ufficialmente presentato ai cinesi il progetto il progetto italiano (comunicato comune di tipo francese e traccia della dichiarazione italiana).
L'Ambasciatore riferiva che i negoziatori cinesi si erano riservati di chiedere istruzioni a Pechino e prevedevano di essere in grado di dare una risposta entro la prima settimana di maggio. Sino ad oggi tale risposta non è ancora pervenuta.
Oltre ai contatti ufficiali vi sono stati numerosi e interessanti contatti non ufficiali. Di particolare importanza quelli più recenti.
Ciò non costituiva del resto una modifica della nostra posizione, quale indicata fin da principio di fronte alle richieste cinesi come ricordato più sopra (a paragrafo 5).
Rimaneva ferma la nostra determinazione a non riconoscere ufficialmente che l'isola di Taiwan costituisce parte integrante del territorio cinese: e ciò sia in relazione al principio generale secondo cui il riconoscimento non si riferisce che a un determinato Stato e non al suo territorio, sia per gli eventuali riflessi politici che l'accettazione della tesi cinese potrebbe comportare.
In data 7 maggio l'Ambasciatore di Cina confermava al nostro Ambasciatore a Parigi l'interesse politico del suo Governo per una conclusione positiva delle trattative e faceva presente che a parere suo rimanevano alcune divergenze che avrebbero potuto essere sanate quando da Pechino fossero giunte le istruzioni richieste.
In un successivo rapporto in data 19 giugno l'Ambasciatore Malfatti informava che l'Incaricato d'Affari di Cina gli aveva ripetuto di essere in attesa delle reazioni di Pechino al nostro progetto; gli aveva quindi detto che il suo Governo deve oggi prendere le mosse da una situazione di fatto in cui la formula del comunicato non ha permesso nemmeno per il negoziato cino-canadese di conciliare le differenti esigenze.
Da tutti i contatti avuti con i cinesi sembra di poter rilevare:
1- che, pur dimostrando interesse per lo stabilimento delle relazioni diplomatiche con il Canada e l'Italia, tale interesse non è tra i primi nell'ordine delle priorità della politica estera cinese;
2 - che, anche se i cinesi accettassero una soluzione consistente nel Comunicato di tipo francese e nelle due dichiarazioni unilaterali, insisteranno affinché la nostra dichiarazione sia un qualche modo producente ai fini dell'affermazione che "la provincia di Taiwan è parte inalienabile del territorio della Repubblica Popolare Cinese".
Durante i nostri negoziati con i cinesi sono sempre stati mantenuti stretti contatti con i Canadesi che hanno iniziato a trattare con i Cinesi per il riconoscimento ai primi del 1969.
I canadesi si sono trovati di fronte alle nostre identiche difficoltà di sostanza per l'insistenza cinese a una presa di posizione di Ottawa circa la sovranità di Pechino su Taiwan, che il Governo canadese intende fermamente di evitare.
Vi è stata una pausa anche nei contatti cino-canadesi dalla fine di marzo. Risulta che essi sono stati ripresi in data 1 agosto senza darne pubblica notizia. Non si è ancora avuta alcuna informazione sull'andamento dei colloqui.
MONDO CINESE N. 106, GENNAIO 2001