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SAGGI

Nei-Wai: interazioni con il tessuto
socioeconomico e autoreferenzialità etnica
nelle comunità cinesi in Italia

di Antonella Ceccagno

SOMMARIO: 1. Intrecci tra le imprese cinesi e le attività produttive in alcuni distretti italiani. - 2. Associazioni e forme di "rappresentatività" etnica.

Sembra esserci un'inaspettata convergenza tra italiani e cinesi (d'Italia) nella percezione dei gruppi cinesi insediati nel nostro paese: gli uni e gli altri li vedono come comunità autoreferenziali, anche se gli ambiti a cui italiani e cinesi applicano questa percezione sono sostanzialmente diversi.

Dagli articoli sulla stampa nelle zone di insediamento dei cinesi in Italia sembrerebbe che questa tendenza all'autoreferenzialità sia da legarsi prevalentemente alle attività economiche dei cinesi all'interno dell'imprenditoria etnica. La stampa spesso arriva alla conclusione che i cinesi presenti in Italia costituiscano un mondo a parte, isolato e restio a forme di integrazione, e che sia indispensabile spingere verso l'emersione (o, in alternativa, la soppressione) delle attività lavorative illegali o irregolari dei cinesi.

Vorrei in primo luogo soffermarmi sulle forme della presenza cinese in alcuni distretti industriali per evidenziare il loro stretto intreccio con le attività produttive nel distretto e mostrare come spesso le proposte di eliminare le attività irregolari dei cinesi contrastino con una realtà di intreccio di interessi con alcune categorie economiche nelle zone di insediamento.

Per contro, nella vita sociale nelle comunità cinesi immigrate si possono cogliere tendenze ad una autoreferenzialità che potrebbe contenere in nuce elementi di percezione del gruppo come entità con un certo grado di autonomia rispetto al territorio ospitante. Nella seconda parte di questo lavoro cercherò di descrivere le forme di questa tendenza e di avanzare alcune ipotesi di interpretazione del fenomeno.

1. Intrecci tra le imprese cinesi e le attività produttive in alcuni distretti italiani

Le attività produttive dei cinesi in Italia1 sono perlopiù strutturate in un'economia di tipo etnico, dove le imprese sono di proprietà di cinesi che tendono ad assumere solo connazionali. Tuttavia, parlare di economia etnica per queste attività imprenditoriali (prevalentemente industria delle confezioni, produzione di capi e accessori in pelle, e in misura minore ristorazione e commercio) può essere fuorviante se nel descrivere il legame etnico che tiene insieme datori di lavoro e dipendenti cinesi tralasciamo di evidenziare anche l'indispensabile rete di rapporti che si crea tra le piccole imprese cinesi e i committenti italiani. Le interazioni tra gli uni e gli altri sono così importanti da contribuire a determinare in gran parte le forme della presenza imprenditoriale cinese in alcune aree del nostro paese. Detto altrimenti, le forme che la presenza cinese ha assunto in alcuni distretti industriali italiani costituiscono una sintesi di valori di riferimento e bagaglio culturale che gli immigrati cinesi portano con sé (e che hanno caratterizzato il loro insediamento anche in altri paesi) da una parte, e di esigenze del mercato locale dall'altra2.

Nel modello migratorio cinese agiscono:

1) un'aspirazione diffusa all'autoimprenditorialità (una caratteristica che si trova rafforzata nei cinesi che provengono dalla provincia del Zhejiang)3;

2) una propensione al familismo imprenditoriale che lancia la famiglia come unità di competizione economica in cui i membri vengono percepiti "come la risorsa lavorativa più economica, fidata e facilmente reperibile". Laddove i rapporti d'affari devono essere intrapresi anche con persone non legate da vincoli parentali, gli imprenditori cinesi tendono a trasformare l'interazione in qualcosa di quanto più simile possibile al rapporto che intercorre tra i membri di una famiglia4. In Italia, come altrove, all'interno delle comunità cinesi, la struttura familiare dell'impresa costituisce il collante che rende possibile un'attività economica strutturata su convivenza (vita familiare e attività produttive spesso coincidono), sfruttamento delle risorse familiari e autorità del laoban (il datore di lavoro) che garantisce protezione e orientamento ai nuovi arrivati;

3) la disponibilità al duro lavoro e all'autosfruttamento come strumenti per una rapida affermazione economica e sociale. La condizione di sfruttamento implicita nel modello imprenditoriale etnico viene tuttavia percepita dai lavoratori dipendenti come una necessità transitoria: un periodo durante il quale ripagare i debiti contratti per il viaggio dalla Cina e acquisire competenze e contatti con il mondo della diaspora e con la realtà di accoglienza, da utilizzare successivamente per un proprio progetto imprenditoriale.

Dall'altro canto, in alcuni distretti e in alcuni settori produttivi ad alta intensità di lavoro e a basso livello di specializzazione tutta una serie di piccoli imprenditori italiani fornisce commesse alle micro aziende cinesi chiedendo:

1) disponibilità a lavorare in proprio conto terzi, una soluzione che permette ai committenti di scaricare una serie di costi sui piccoli imprenditori cinesi;

2) disponibilità ad una flessibilità molto alta, accettando commesse discontinue e sempre a carattere urgente. Questo significa disponibilità a lavorare di notte, se necessario, per completare il lavoro nei tempi stabiliti dal committente, e disponibilità a lunghi periodi di inattività.

3) disponibilità a lavorare per compensi sempre più contenuti.

Un esempio significativo di quanto la presenza e il tipo di attività dei cinesi in Italia siano frutto dell'incontro tra le caratteristiche degli immigrati cinesi e le esigenze del mercato locale indicate sopra, è costituito dalla situazione di Prato (la città italiana dove più alto è il rapporto tra presenza cinese e popolazione complessiva). Nel distretto pratese l'industria tessile, che ha saputo avviare processi di ristrutturazione focalizzati sul contenuto innovativo del prodotto, non ha lasciato grandi spazi per l'inserimento di imprese marginali come quelle cinesi. Gli imprenditori dell'abbigliamento, invece, posizionati nel mercato del pronto moda dove c'è bisogno di lavorazioni ad alta flessibilità produttiva e a costi competitivi, hanno trovato negli immigrati cinesi gli imprenditori conto terzi ideali. A Prato "l'industria cinese ha permesso che, in assenza di processi di qualificazione dell'offerta, le imprese ... della confezione restassero competitive, aiutandone l'affermazione sul mercato"5.

D'altro canto si può pensare che anche la presenza cinese a sua volta incida sul contesto in cui si inserisce. Alcuni studiosi hanno ipotizzato chela presenza cinese - che asseconda la richiesta locale di concorrenzialità in segmenti di mercato bassi e in funzione del prezzo - possa rappresentare un freno all'attuazione di politiche di riaggiustamento competitivo attraverso processi di qualificazione6.

L'incontro tra disponibilità di partenza dei cinesi e esigenze del mercato locale hanno poi alcune importanti conseguenze anche sulla caratterizzazione delle imprese cinesi e sui rapporti che si instaurano all'interno della comunità cinese. Cercheremo di tratteggiarne qui gli aspetti principali:

1) concorrenza interna ed erosione della solidarietà

In molte aree italiane si è assistito negli ultimi anni all'arrivo in massa di cinesi, attratti dalle crescenti possibilità di lavoro ma anche dai legami di parentela esistenti con tanti cinesi già presenti nel distretto. I nuovi arrivi hanno accresciuto la disponibilità di manodopera delle imprese cinesi e hanno quindi contribuito a provocare un'erosione costante dei prezzi dei capi lavorati a cottimo.

L'arrivo di clandestini era funzionale al disegno dei laoban cinesi di arricchirsi e affermarsi socialmente grazie allo sfruttamento dei nuovi arrivati, ed ha anche fatto il gioco dei committenti italiani, di certo consapevoli che i prezzi competitivi accordati dai cinesi potevano essere mantenuti grazie all'arrivo costante di clandestini. D'altronde i sentimenti dei cinesi regolarizzati nei confronti dei nuovi arrivati erano ambivalenti: se da una parte i clandestini erano concorrenti che rendevano più ardua la vita lavorativa di chi si era regolarizzato, dall'altra spesso queste persone erano legati da rapporti di parentela a chi era arrivato prima; e inoltre, in una prospettiva di affermazione imprenditoriale, ognuno di loro pensava che un giorno avrebbe potuto servirsi lui stesso, da laoban, del lavoro a cottimo dei clandestini.

Complessivamente, l'arrivo di tanta manodopera dalla Cina e il tentativo di molti di avviare un'attività in proprio da micro-imprenditori, hanno prodotto un'esasperazione della concorrenza interna che ha ulteriormente eroso i margini di redditività. Come racconta un neoimprenditore cinese, la concorrenza si è ormai fatta feroce:

"Tra i cinesi c'è una concorrenza sempre più feroce, raramente osiamo rifiutare il compenso sempre più basso proposto dai committenti perché sappiamo che quel committente riuscirà comunque a trovare qualche altro cinese disposto a lavorare per quella cifra. Anch'io mi sono dovuto accontentare di compensi sempre più bassi, quasi ridicoli: per uno stesso articolo (una maglia) l'anno scorso prendevo duemila lire, quest'anno devo accontentarmi di milleduecentolire. Tre anni fa i laboratori lavoravano a pieno ritmo, ma dopo la sanatoria del 95 c'è meno lavoro. Tre anni fa si lavorava a pieno ritmo anche ad agosto, a gennaio e febbraio, ora in quei periodi non c'è molto lavoro.

Questo processo ha progressivamente incrinato la solidarietà comunitaria e ha finito per intaccare anche il centro pulsante di questa economia etnica: la famiglia. Se resta vero che la famiglia costituisce un vantaggio competitivo irrinunciabile della vita nell'emigrazione, le nuove dinamiche competitive e la corsa all'affermazione economica portano lacerazioni anche all'interno del gruppo familiare. Riprenderemo più avanti questo tema.

2) irregolarità lavorativa

La richiesta di flessibilità e di prezzi competitivi produce inoltre come risultato un tipo di imprese che finora sono perlopiù in grado di restare sul mercato solo mantenendo margini di irregolarità più o meno pesanti e scaricando a loro volta i disagi sugli operai: nelle micro imprese cinesi spesso non vengono rispettati gli orari di lavoro (la giornata lavorativa di un cinese può superare facilmente le 18-20 ore); non vengono rispettate le modalità di assunzione e di trattamento retributivo dei dipendenti (le buste paga vengono prodotte solo occasionalmente e non corrispondono al compenso percepito dal lavoratore, che lavora a cottimo), i "dipendenti" devono pagare da sé quegli oneri sociali e previdenziali che sono di competenza dell'impresa8.

3) intrecci complessi tra laoban e "dipendenti"

L' organizzazione lavorativa pesa anche sul tipo di rapporti che si sviluppano nella comunità etnica tra datori di lavoro e operai. Chiunque abbia cercato di entrare nel merito dei rapporti lavorativi all'interno della comunità si è scontrato con intrecci non facilmente districabili. Il rapporto di lavoro che si instaura tra laoban e "dipendenti", infatti, include una serie di aspetti che sembrano estranei al rapporto lavorativo e che invece ne sono parte costitutiva. Un laoban non dà soltanto lavoro a cottimo agli operai che lavorano presso di lui ma fornisce anche:

* vitto e alloggio (datori di lavoro e operai vivono insieme all'interno dei capannoni dove si lavora, in una commistione tra spazi lavorativi e residenziali che è stata caratteristica anche di certi distretti italiani)9;

* disponibilità a favorire la regolarizzazione degli operai e delle loro famiglie (a pagamento);

* disponibilità a gestire tutte le incombenze burocratiche e di vita dell'operaio che prevedono un rapporto con il mondo esterno e presuppongono quindi una conoscenza seppur rudimentale della lingua italiana. II laoban non si occupa infatti solo di procurare le commesse e di mantenere i contatti con i committenti italiani ma gestisce anche la raccolta di informazioni utili al "dipendente": dal ricongiungimento familiare al pagamento delle multe, all'invio di rimesse in Cina.

La conferma di questo ruolo svolto dai laoban viene non solo dalle interviste rilasciate da imprenditori cinesi ma anche dall'esperienza di alcuni centri di consulenza agli immigrati: è capitato spesso che dei datori di lavoro cinesi si siano rivolti a queste strutture spiegando che cercavano informazioni e assistenza per conto dei loro "dipendenti".

Il sospetto è che la maggior competenza linguistica del datore di lavoro non basti da sola a spiegare questo suo ruolo nei confronti dei "dipendentíi"10. È invece ipotizzabile che gli operai attribuiscano al laoban una capacità maggiore della propria di leggere il territorio e di capire come muoversi nel nuovo contesto. L'atteggiamento dei lavoratori resta però estremamente pragmatico: non appena il laoban si rivela al di sotto delle aspettive, il "dipendente" cerca da solo una soluzione ai propri problemi e al contempo cerca di legarsi ad un laoban più accorto.

4) mobilità dei "dipendenti" e disagi dei soggetti più deboli

Da alcuni anni ormai i lavoratori cinesi garantiscono una fedeltà limitata al datore di lavoro, impegnati come sono ad ovviare a situazioni lavorative pesanti spostandosi da un laboratorio all'altro e da una città all'altra in cerca di condizioni meno svantaggiose presso i microimprenditori connazionali. Inoltre, proprio il carattere urgente e discontinuo delle commesse che arrivano dagli italiani contribuisce ad aumentare la mobilità, anche occasionale, degli operai che all'occorrenza si spostano da un capannone all'altro per prestare la propria opera anche per qualche giorno o settimana presso altri laoban .

Un imprenditore cinese racconta l'etichetta che regola i rapporti tra laoban e "dipendenti":

"Il carico di lavoro non è continuo e uniforme, quando arriva una grossa commessa come si fa a lavorare soltanto con gli operai in regola? Si ha bisogno di chiamarne altri, è necessaria la disponibilità degli operai a spostarsi, a lavorare quando e dove ce n'è bisogno. In caso contrario, se non si è puntuali nelle consegne, si perde la commessa successiva: i committenti italiani esigono puntualità.
Inoltre gli operai dopo un po' se ne vanno, non solo perché intendono aprire una loro ditta, ma perché guadagnano poco, o perché quella ditta non ha abbastanza commesse. Non si può contare a lungo su un operaio che ha il permesso di soggiorno. Ogni operaio decide quanto stare: può restare per un minimo di sei mesi da gennaio ad agosto, ad esempio, e ad agosto decidere se restare ancora o andarsene. Agosto e gennaio sono i mesi in cui si decide se cambiare datore di lavoro, perché sono i mesi in cui non arrivano le commesse e quindi non si lavora. In quei mesi l'operaio vive a casa del datore di lavoro, dal quale ha vitto e alloggio, e questo lo obbliga moralmente a non andarsene per i mesi successivi, a non lasciare scoperto il laoban. Questa regola di correttezza può non essere osservata nel caso in cui si trova un lavoro di maggior prestigio come andare a lavorare alle dipendenze di italiani o aprire una ditta in proprio. Ovviamente si tratta di una regola di correttezza e non di un obbligo".

Questa mobilità esasperata contribuisce tra l'altro a rendere ancora più labile il legame formale di dipendenza dell'operaio dal datore di lavoro e determina spesso la trasformazione dell'operaio in una sorta di "lavoratore atipico" che può accampare ben pochi diritti in caso di difficoltà o controversia (soprattutto se non è legato al datore di lavoro da un rapporto di parentela). Il venir meno di impegni vincolanti tra le due parti spinge datori di lavoro impegnati a farsi una serrata concorrenza reciproca ad escludere dal processo produttivo i soggetti deboli come le lavoratrici in gravidanza o le persone costrette dalla malattia a lunghi periodi di astensione dal lavoro.

2. Associazioni e forme di "rappresentatività" etnica

Negli ultimi anni, chi lavora a stretto contatto con i cinesi ha potuto notare, in alcune aree, una tendenza all'autoreferenzialità etnica in alcuni ambiti lavorativi e sociali. Si tratta di una tendenza a non avere come referente le istituzioni del paese di accoglienza ma a fare invece ricorso a strutture informali all'interno delle comunità. Va precisato che questa tendenza a preferire strutture comunitarie alle istituzioni italiane riguarda alcuni ambiti specifici e non tutto lo spettro di interazioni con il paese di accoglienza11. Cercheremo di descrivere gli aspetti più evidenti di questa tendenza, chiarendo che il fenomeno osservato riguarda una specifica realtà locale e che per il momento non esistono dati che confermino o neghino l'esistenza di un fenomeno simile in altri contesti di insediamento in Italia.

Un esempio di ricorso a strutture informali comunitarie si è notato nel 1996 in occasione di una crisi piuttosto pesante all'interno delle comunità in alcune aree italiane: in seguito alla regolarizzazione di un alto numero di operai prima clandestini, si è sviluppata una forte conflittualità tra datori di lavoro e operai attivi nell'economia etnica12 . Quei conflitti - e soprattutto il fatto che le istituzioni e le organizzazioni sindacali non fossero in grado di proporre vie d'uscita credibili proprio a causa dei vincoli dell'organizzazione lavorativa e dei complessi intrecci tra laoban e operai - hanno creato lo spazio per un nuovo ruolo di mediazione delle associazioni dei cinesi13.
In alcune città, associazioni di cinesi fondate da parecchi anni, messe in difficoltà dalla rapida evoluzione delle dinamiche economiche e sociali tra la popolazione immigrata, hanno finito, col passare del tempo, per perdere in autorevolezza e rappresentatività. Altre invece - che rappresentano di fatto se non esplicitamente gli interessi dei gruppi che si sono affermati attraverso il lavoro autonomo - si sono affermate perché hanno saputo cogliere i mutamenti in atto e sono state capaci di trovare soluzioni che tenevano conto dei vincoli di base imposti dall'economia etnica. Queste associazioni sono riuscite poco per volta a proporsi come entità super partes, e ad assicurarsi l'autorevole ruolo di "giudice di pace" nei conflitti che opponevano laoban e operai.
È probabile che con il passare del tempo queste associazioni cerchino di proporsi anche come referente sociale e culturale in grado di garantire (anche se in modo confuso e approssimativo) una certa continuità dell'identità nazionale e di dare al contempo indicazioni al gruppo etnico su come interpretare i mutamenti che via via si producono all'interno della comunità e nei rapporti con il mondo esterno14. Già ora la loro autorevolezza mostra una tendenza ad allargarsi anche all'ambito delle interazioni personali e dei rapporti all'interno della famiglia: qualcuna di queste associazioni ha avocato a sé perfino il ruolo di mediatore dei conflitti tra coniugi in ambiti di diritto familiare e di rilevanza pubblicistica, arrivando addirittura a "omologare" il "divorzio consensuale" di una coppia con un documento scritto, firmato da membri della associazione che assumevano il ruolo di "notai" 15 .

Va tenuto presente che nessuna di queste associazioni è formalmente rappresentativa della comunità nel suo complesso, dal momento che la nascita della struttura e la distribuzione delle cariche non coinvolgono mai tutta la comunità ma vengono perlopiù decise dal gruppo ristretto di notabili coinvolti nell'iniziativa. Né si deve ritenere che la credibilità e l'autorevolezza di queste associazioni siano indiscusse. Nelle comunità - che hanno raggiunto un alto livello di differenziazione sociale al loro interno - molti dei cinesi interrogati sull'opinione che nutrono nei confronti delle associazioni di cinesi hanno risposto di non considerarle un punto di riferimento, ma piuttosto solo un mezzo attraverso cui gruppetti di imprenditori che hanno già raggiunto l'affermazione economica cercano ulteriore riconoscimento e prestigio all'interno del gruppo etnico. Queste osservazioni tuttavia non sminuiscono l'importanza del fenomeno, visto che le associazioni sembrerebbero anzi acquisire autorevolezza e "rappresentatività" proprio in virtù della loro stessa esistenza e del fatto che rispondono ad esigenze espresse da una parte dei membri della comunità16.

Ma quali possono essere le ragioni che spingono i cinesi a darsi strutture di mediazione sociale interne alla comunità, con esempi di autoreferenzialità laddove sarebbe invece previsto l'intervento delle istituzioni? È un tema dalle molte sfaccettature, che richiede un ulteriore approfondimento. Per il momento avanziamo solo alcune ipotesi:

1) all'interno delle comunità si possono trovare soluzioni pragmatiche alle crisi 
Una prima spiegazione potrebbe essere quella già accennata e molto pragmatica: si sono verificati casi in cui solo all'interno del gruppo etnico venivano avanzate ipotesi praticabili per la soluzione delle crisi interne. Nel caso della conflittualità del 1996, ad esempio, le istituzioni e le organizzazioni sindacali proponevano soluzioni poco realiste (come poteva un operaio portare davanti al giudice il proprio datore di lavoro che tratteneva una larga parte del compenso dovuto e poi continuare a vivere con la propria famiglia nella sua abitazione?); mentre le associazioni di cinesi avviavano una contrattazione improntata al realismo - e libera da vincoli di riferimento alla legalità - dove i casi venivano vagliati uno per uno, alla ricerca di un qualche beneficio per entrambe le parti.
Corollario di questo è la convinzione diffusa tra i cinesi che le istituzioni non li proteggano quando sono truffati dai committenti italiani o quando le lavoratrici in gravidanza vengono licenziate dal datore di lavoro connazionale - per portare esempi di situazioni che ricorrono con frequenza - e che comunque gli italiani non conoscano a fondo la realtà delle loro imprese per poter davvero essere di aiuto ai cinesi in difficoltà, tantopiù se si tratta di conflitti interni.

2) l'organizzazione lavorativa può favorire percezioni di autonomia dal luogo di insediamento
È inoltre possibile che l'organizzazione della vita lavorativa e sociale all'interno della comunità tenda a favorire, in una certa misura, il mantenimento di elementi identitari che possono a loro volta spingere verso una percezione di sé come entità comunitaria autonoma rispetto al luogo di insediamento17. Questo non significa che arrivando in Italia i cinesi mantengano una monolitica identità legata alla cultura di provenienza e che siano impermeabili agli influssi del luogo di approdo nell'emigrazione. Al contrario, risulta piuttosto evidente quanto nel nuovo contesto e nelle interazioni con gli italiani questa identità sia spinta verso una duttile e costante ridefinizione, con adeguamenti pragmatici e contaminazioni dinamiche. Si può però ipotizzare il bisogno di un qualche punto di riferimento che esprima un'autorevolezza non in contrasto con alcuni valori che gli immigrati portano con sé.
Il problema linguistico - che per i cinesi è più grave che per altri gruppi di immigrati - a sua volta può favorire momenti di ripiegamento verso la comunità e rafforzare la convinzione che su alcune tematiche il referente vada individuato all'interno della comunità e non nelle istituzioni del paese di accoglienza.

3) la pressione verso l'affermazione economica provoca lacerazioni nella famiglia
Le associazioni dei cinesi sono facilitate nella loro assunzione di un ruolo di mediazione anche dal fatto che crescono le forme di disagio indotte dai valori predominanti all'interno della comunità. La pressione verso l'affermazione economica all'interno del gruppo etnico è così forte da finire per essere l'elemento decisivo nel determinare non solo il successo e la realizzazione sociale dei singoli ma anche il livello della loro accettazione nel gruppo: chi non riesce ad emergere da clandestinità e duro lavoro esibendo in Italia e nel luogo d'origine una piena realizzazione economica porta il peso del giudizio severo della comunità, che spesso finisce per fare proprio.
I pur fondamentali valori della famiglia e della solidarietà - tradizionale bagaglio culturale che i cinesi portano con sé in terra di emigrazione - non hanno la stessa forza dell'imperativo dell'arricchimento. Ne conseguono crescenti lacerazioni nel tessuto sociale del gruppo etnico, e in particolare all'interno della famiglia dove si concentrano le tensioni lavorative, sociali e personali.
Tra i tanti esempi che si possono portare ne sceglieremo due. I casi presentati non hanno visto la mediazione delle associazioni di cinesi, ma vengono presentati perché illustrano tensioni e lacerazioni all'interno della famiglia e hanno entrambi come epilogo la rottura delle relazioni parentali in modi dolorosi per tutte le figure coinvolte.
Una donna cinese arrivata in Italia da un decennio ha facilitato l'arrivo di molti membri della sua famiglia allargata. Tra i tanti arrivati c'è anche un fratello accompagnato dalla moglie. Questi - che è persona onesta e mite - non riesce a fare il salto verso il lavoro autonomo che gli permetterebbe di staccarsi dalla famiglia della sorella. La pressione familiare e sociale verso di lui monta, trasmettendogli un'immagine di fallimento. Nel corso di un diverbio, la moglie gli fa pesare il fallimento nel progetto di affermazione economica, e lui abbandona la famiglia

Il secondo caso - più estremo - è ambientato in una città ad alta presenza cinese, dove per alcuni giorni di seguito compaiono in gran numero dazibao che portano il titolo di "Dadao XX XX (cognome e nome)". Il testo del dazibao descrive in maniera prolissa e quasi romanzata tutte le malefatte compiute per arricchirsi dal protagonista (imbroglia i compaesani, feconda a pagamento la moglie di un cinese che non può avere figli, non paga i dipendenti ecc,.) e dai suoi parenti, compresi gli anziani genitori che vivono in Cina. Il testo è corredato dalle foto di tutte le persone denunciate nel dazibao

Secondo gli interessati non si tratta semplicemente di un conflitto tra cinesi (condotto con l'arma della propaganda e della diffamazione, tanto diffusa all'epoca della Rivoluzione Culturale), ma di un conflitto tra fratelli: l'autore del dazibao sarebbe il fratello del denunciato. Una lotta tra fratelli, uno dei quali si è arricchito mentre l'altro, che si sente umiliato dal fallimento nel progetto di affermazione economica e nel confronto con il fratello, reagisce attaccando quanto di più sacro vi è nella sua cultura: la sua propria famiglia (e anche qui rieccheggiano comportamenti da Rivoluzione Culturale).

4) nel matrimonio il clan familiare prevale sullo stato

È significativo il fatto che l'autoreferenzialità emerga soprattutto in alcuni ambiti - come quello del matrimonio e dei rapporti all'interno della coppia - nei quali l'aspetto culturale ha un peso notevole. Per molti cinesi che vengono dall'entroterra della regione del Zhejiang (e da altre aree rurali della Cina) il matrimonio in famiglia, ad esempio, conta molto di più di quello in municipio. Per farci capire il diverso peso che in questi piccoli centri hanno i due tipi di matrimonio, due coniugi ci raccontano la storia di Ye Mei, una loro parente. Ye Mei era innamorata di un ragazzo malvisto nella sua famiglia, ma, contro il parere dei genitori, aveva sposato l'uomo davanti ad un funzionario del comune. Il matrimonio non era mai stato considerato valido dalla famiglia, tanto che nessuno aveva mai proposto una "vera" cerimonia nuziale alla presenza del clan familiare. Ye Mei doveva scegliere: o dimenticava la leggerezza commessa che la famiglia non riconosceva, o rinunciava definitivamente alla famiglia. È una storia di giovani che si sposano contro la volontà dei genitori, come se ne possono incontrare in tutto il mondo, ciò che la differenzia dalle altre è che il matrimonio riconosciuto dallo stato non aveva alcun peso per la famiglia e poteva essere considerato nullo se l'autorità familiare non lo rafforzava con il peso di un suo rito.

Questo elemento culturale è condiviso da molti cinesi che vivono in Italia. Recentemente una coppia si è presentata al centro di consulenza per immigrati del comune di residenza per chiedere che l'istituzione assumesse un ruolo di mediazione tra la moglie che intendeva chiedere il divorzio e il marito che non intendeva concederlo. Dopo pochi minuti di conversazione è stato chiaro che la richiesta era assurda visto che il matrimonio era stato celebrato solo in famiglia e non c'erano documenti che dimostrassero l'avvenuta unione18

5) la diversa visione del diritto e della risoluzione delle controversie

Infine, è ipotizzabile che nella scelta di ricorrere a forme di mediazione sociale interna alla comunità pesi anche una diversa concezione del diritto e della risoluzione delle controversie che questi cinesi portano con sé.

Nella cultura tradizionale cinese "lo stato e il suo delegato, il giudice, si sono sempre visti comprimere il loro potere di fronte allo strapotere dei capi dei clan e delle corporazioni, dei padri di famiglia e degli amministratori generali che stabilivano i doveri spettanti a ciascun individuo nella sua rispettiva sfera di dominio e componevano ogni conflitto che insorgesse rifacendosi all'equità, alle usanze e alle consuetudini locali"19. E se è pur vero che negli ultimi decenni nella Repubblica Popolare Cinese si è affer mata una nuova concezione della legalità che ha reso familiari ai cinesi le principali istituzioni giuridiche e sembra aver reso litigioso un popolo che tradizionalmente aborre la conflittualità esibita, non va dimenticato che l'adozione limitata del principio di legalità in quel paese non ha eliminato completamente la tradizionale preferenza cinese per un modello di giustizia informale e conciliativo20 .

Un buon esempio del permanere di una cultura della conciliazione dei conflitti fuori dalle aule del tribunale è il film di Zhang Yimou, La storia di Qiu Ju, che, in un'epoca in cui stava per affermarsi un diverso rapporto tra i cittadini e la legge, ha mostrato i pericoli di disgregazione sociale insiti nel ricorso alle sentenze dei tribunali. Come la protagonista del film che stupita chiede al suo avvocato "Vuol dire che ci si può far causa anche tra persone per bene?", così anche molti cinesi che vivono in Italia ricorrono con riluttanza all'avvocato per la soluzione di controversie, soprattutto quando si tratta di dissidi tra cinesi. Sono molte le ragioni che spingono i cinesi che vivono in Italia a evitare il ricorso al tribunale: l'ostacolo linguistico, la scarsa conoscenza delle regole di vita del paese d'adozione, le lungaggini dei processi, e anche la convinzione che un tribunale non sia mai in grado di tenere conto delle concrete circostanze sociali in cui la controversia si è prodotta.

Questo non significa che i cinesi non ricorrano al tribunale per principio; mostra piuttosto una preferenza culturale da una parte, e dall'altra è anche il risultato di esperienze fallimentari nel ricorso alle istituzioni giuridiche per la soluzione di controversie con connazionali o committenti italiani21.

MONDO CINESE N. 101, MAGGIO 1999

Note

1 I cinesi provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese e regolarmente presenti in Italia al 31/12/1997 sarebbero stati 37.838 (cfr. Caritas di Roma, Immigrazione, Dossier statistico '98, p. 79). Tuttavia quelle cifre non rendono conto delle dimensioni effettive della presenza cinese. Un'idea più precisa si potrà avere tra qualche mese quando al numero di regolari si potrà aggiungere anche quello dei tanti cinesi che hanno chiesto di regolarizzarsi nel corso dell'ultima sanatoria (Legge 40/98). Prendiamo l'esempio della città di Prato: dalle stime ufficiali si evince che al 31/12/1997 nella città di Prato gli stranieri erano complessivamente 4010; secondo i dati forniti dalla Questura, al 31/12/98 i cinesi con permesso di soggiorno valido presenti a Prato erano 4410 e quelli in attesa di regolarizzazione 4032. A queste cifre vanno però aggiunti i minori che sono iscritti nel permesso di soggiorno dei genitori e il cui numero complessivo non è attualmente rilevabile. Prendendo come punto di riferimento i dati relativi al numero di residenti (3162 cinesi), si può stimare che i minori costituiscano il 25% del totale e che si possa così arrivare a una stima di oltre 10000 presenze cinesi in città, cfr. "La presenza straniera nella Provincia di Prato" in Gli stranieri a Prato, Comune di Prato, in corso di pubblicazione.
2 Alcuni studiosi della diaspora cinese hanno messo in rilievo le caratteristiche culturali "confuciane" che intervengono nel determinare il tipo di vita dei cinesi nell'emigrazione e il loro modello di affermazione economica. Cfr. Chan Kwok Bun, Chiang See Ngoh Claire, "Valori culturali e imprenditoria degli immigrati: i cinesi a Singapore", La critica sociologica, n. 117-118, pp. 39-63.
Emmanuel Ma Mung nel suo "Dispositif économique et ressources spatiales: elements d'une économie de diaspora, Revue Europeenne des Migrations Internationales, vol. 8 n. 3, 1992, evidenzia la potente identità comunitaria transnazionale che farebbe sì che i luoghi di insediamento siano punti nodali di una rete sovranazionale della diaspora in un certo senso avulsi dal contesto nazionale di insediamento.
Nel saggio "Multipolarità della diaspora o radicamento nel tessuto sociale?" in Antonella Ceccagno (a cura di ), Il caso delle comunità cinesi: comunicazione interculturale e istituzioni, Armando, Roma, 1997, Giovanni Mottura ha invece messo in rilievo l'importanza di analizzare il livello di radicamento delle comunità cinesi nel tessuto nazionale di insediamento.
3 La maggior parte dei cinesi che vivono in Italia provengono dalla provincia del Zhejiang. Sulla propensione imprenditoriale dei cinesi e di quelli del Zhejiang in particolare cfr. Ma Mung, cit., p. 175. Inoltre Alberto Tassinari e Luigi Tomba nel loro articolo "Zhejiang-Pechino e Zhejiang-Firenze. Due esperienze migratorie a confronto", La critica Sociologica, vol. 117-118, 1996, pp. 27-38, individuano alcune analogie tra i due insediamenti a Beijing e a Firenze di cinesi provenienti dalla provincia del Zhejiang.
4 Chan Kwok Bun, Chiang See Ngoh Claire, cit., pp. 41 e 50?53.
5 Matteo Colombi, "Introduzione" in Matteo Colombi (a cura di) L'imprenditoria cinese nel distretto industriale di Prato, Osservatorio sociale e economico del Comune di Prato, Prato, 1998, p. 8.
6 Matteo Colombi, "L'industria cinese presente nel distretto industriale" in L'imprenditoria cinese nel distretto industriale di Prato, cit., pp. 33-34.
7 Questo e i testi in corsivo che seguono sono interviste rilasciate all'autrice da micro imprenditori cinesi in data 23 e 24 marzo 1999.
8 Tutte le volte che si parla di lavoratori "dipendenti" con riferimento agli operai cinesi si rischia di utilizzare un termine improprio, dato il labile rapporto che lega laoban e operaio, basato non tanto su un contratto di assunzione ma su una sorta di "impegno d'onore". Pertanto da ora in poi il termine "dipendente" verrà scritto tra virgolette.
9 "Un territorio misto di attività residenziali e lavorative, come si ritrova in certe aree della Toscana, caratterizzato dall'impresa artigiana con un rapporto ravvicinato 'casa?bottega"', AA.VV,Wenzhou-Firenze, Pontecorboli, Firenze, 1995, p. 79.
10 I consulenti presenti nei centri di consulenza agli stranieri parlano spesso la lingua cinese, diventa pertanto difficile affermare che il ricorso dell'operaio al laoban per la soluzione delle incombenze burocratiche e lavorative sia da attribuirsi soltanto al pur importante fattore linguistico.
11 A conferma della consuetudine dei cinesi di rivolgersi alle istituzioni italiane per la soluzione di tanti loro problemi, cfr. Antonella Ceccagno e Maria Omodeo, " Il Centro di ricerca e servizi per la comunità cinese di Prato: attività di consulenza e assistenza" in Antonella Ceccagno (a cura di), Il caso delle comunità cinesi, cit., pp. 81-109.
12 Per un approfondimento dell'argomento cfr. Antonella Ceccagno, Cinesi d'Italia, Manifestolibri, Roma, 1998, pp. 59?67.
13 Dal momento che solo recentemente si è cominciato a notare questo fenomeno, è difficile sapere se la tendenza è sempre stata presente tra i cinesi, dal momento in cui gruppi numerosi hanno cominciato a vivere nelle città italiane strutturandosi all'interno dell'economia etnica, o se si tratta di una tendenza recente che ha preso piede di pari passo con l'accentuarsi della stratificazione sociale all'interno delle comunità.
14 È probabile che una tendenza all'autoreferenzialità si sviluppi nelle aree di insediamento dove la presenza cinese è nutrita e piuttosto concentrata territorialmente, tanto da dare ai suoi membri la sensazione che sia possibile percepirsi come un'entità con margini di autonomia dal luogo di accoglienza.
15 Nel caso portato ad esempio, la figlia della coppia veniva affidata di comune accordo al padre che si sarebbe occupato del suo mantenimento, e il marito avrebbe dovuto corrispondere alla moglie entro una certa data una modesta cifra.
16 Alcune associazioni si stanno inoltre dedicando alla promozione di attività che, oltre a portare denaro e una certa notorietà all'associazione stessa, costituiscono servizi utili per la comunità come l'insegnamento della lingua italiana, corsi per il mantenimento della lingua madre e corsi di formazione. Anche queste attività possono contribuire ad una progressiva affermazione delle associazioni e alla crescita della loro autorevolezza all'interno del gruppo etnico.
Si tenga tuttavia presente che questo saggio non intende entrare nel merito delle caratteristiche delle associazioni di cinesi presenti in Italia, ma si prefigge di mettere in rilievo un ruolo determinante delle stesse nel fenomeno dell'autoreferenzialità etnica.
17 Torna alla mente l'affermazione di Ma Mung che nel cercare di formulare un modello per la lettura della diaspora cinese affermava: "Le principe dynamique interne qui nous semble régler la disposition des entreprises chinoises entre elles, est un principe d'autonomie. Autonomie du dispositif économique qui, d'une part, serait liée à une volonté du groupe de se reproduire, comme nous l'avons dit, à travers des activités entreprenariales plutót qu'à travers d'autres et qui, d'autre part, conduirait a une autonomie du groupe lui méme". E più avanti: " A ces caractéristiques morphologiques s'ajoute la préservation d'une identité nationale et le développement d'une identité communautaire transnationale puissante, c'est à dire la conscience et le sentiment d'appartenir à un méme groupe référent à un territoire et une société d'origine mais aussi, et de plus en plus, dans le mouvement méme de la dispersion, le sentiment d'appartenance à une même entité sociale en quelque sorte a-territoriale." Emmanuel Ma Mung, cit., p. 176 e 187.
18 Va ricordato che molti dei matrimoni tra cinesi in Italia negli anni scorsi sono stati celebrati solo in famiglia anche a causa della condizione di clandestinità in cui viveva la coppia o uno dei due sposi.
19 Escarra, J., Le Droit Chinois, riportato in Joseph Needham, Science and Civilisation in China. Vol 2: History of Scientific Thought, Cambridge University Press, Cambridge, 1956 (tr. it.: Scienza e civiltà in Cina. Volume secondo: Storia del pensiero scientifico, Einaudi, Torino, 1983, p.628).
20 Renzo Cavalieri nel suo "Il socialismo di mercato tra legalità e arbitrio", Relazioni internazionali, settembre 1994, p. 36, mostra come anche una parte significativa della dissidenza cinese abbia un atteggiamento sospettoso verso il principio di legalità e "quanto profondamente imbevuta di confucianesimo sia la teoria politica cinese di qualunque colore".
21 Queste affermazioni sono basate sull'esperienza del servizio di consulenza legale per gli immigrati attivo presso il Comune di Prato. A Prato, i cinesi utilizzano con frequenza il servizio legale, anche se spesso lo fanno per capire quali sono i loro diritti e orientarsi così nella soluzione privata delle controversie con connazionali e italiani. Nei casi in cui l'offesa sia grave, i cinesi ricorrono al tribunale ma raramente riescono a ottenere soddisfazione nelle cause intraprese. Ovviamente il tema meriterebbe di essere ampliato, proprio partendo dalle esperienze di servizi legali come quello citato.

 

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