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INDICE>MONDO CINESE>LA LETTERA AL ROMÀN: UN APOCRIFO ATTRIBUITO A MATTEO RICCI

SAGGI

La lettera al Romàn: un apocrifo attribuito a Matteo Ricci

di Gaetano Ricciardolo

SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. La struttura della lettera al Romàn. - 3. Il contesto storico-politico e il sogno spagnolo di conquista della Cina. - 4. Il Romàn a Macao. - 5. Le tesi di Manila per un intervento militare. - 6. I Topoi: la visione antropologica. - 7. Le fonti della lettera-relazione e le incongruenze cronologiche. - 8. Conclusioni.

1. Introduzione

La prima, in ordine di tempo, delle lettere attribuite a Matteo Ricci, è quella, scritta in spagnolo e datata 13 settembre 1584, indirizzata al procuratore spagnolo di stanza nelle Filippine, Juan Bautista Romàn1. La lettera sarebbe stata anche accompagnata da una carta geografica della Cina, anch'essa attribuita al Ricci e come sua opera anche pubblicata all'inizio del secolo2. La particolare natura di questa lettera, che contiene un'ampia e particolareggiata descrizione della Cina, e l'insolito destinatario, in quanto è l'unica non indirizzata a confratelli o familiari, richiedono una trattazione speciale e pongono dei problemi riguardo alla sua autenticità.
Per quanto riguarda la Carta Geografica, o Mappa della Cina, già il Mezzetti3 e il Brucker4 hanno dimostrato che si tratta di un falso e che essa non può essere attribuita al Ricci.
Per quanto riguarda, invece, la lettera, sarà utile una sua analisi in chiave strutturale, per vedere se possa legittimamente essere attribuita al Ricci o meno.

2. La struttura della lettera al Romàn

Esaminiamo la struttura della lettera: l'esordio è dettato dalla congiuntura favorevole legata al viaggio del p. Michele Ruggieri S.I.:

Aspettai questa buona occasione della partenza del Padre Michele Ruggieri a Macao.

La diegèsi5 della lettera continua con una preterizione:

Così, tralasciando nella presente tutto il superfluo, come ringraziare V.M. e tutti gli altri signori per la volontà e il desiderio manifestatoci nel volerci aiutare, e la trattativa per l'ambasceria di S. M.stà per il Re della Cina...,

seguita subito dopo dalla volontà dell'autore di voler scrivere una relazione:

Scriverò ora la relazione che mi domanda di questa Cina, anche se brevemente...

La descrizione che segue può essere schematizzata in 12 unità funzionali, nel seguente modo:

- Descrizione del nome e sito della Cina. 
- Fertilità e bellezza del Paese.
- Città e palazzi.
- Gli abiti.
- I metalli preziosi. 
- I caratteri cinesi.
- Alcuni mandarini. 
- Il governo del Re. 
- Notizie sulle cose militari. 
- Antropologia del cinese.
- Religioni e sette.
- Preterizione e desiderio di convertire la Cina.

Tutta la lettera in questione è un inno, un elogio alla natura, al sorprendente, al miracoloso, a ciò che può e deve suscitare stupore. L'autore si avvale di superlativi che si accavallano a comparativi, di sineddoche che si alternano a metonimie, di metafore a similitudini, di funzioni linguistiche emotive che cedono il passo a quelle referenziali; e il tutto a profusione, tanto da tradire una Weltanschauung che di certo non è quella del Ricci.

Si possono citare, a titolo d'esempio, alcuni passi che saranno d'aiuto alla comprensione del problema.

Il cinese né crede né spera in un altro paradiso se non quello che loro stessi trovano in questa vita.6

Questa frase viene scritta, dopo aver enumerato minuziosamente le bellezze naturali della Cina, per cui si viene a creare immediatamente questa eguaglianza:

Cina = Paradiso.

Si entra così in un "campo topico", per usare il linguaggio degli strutturalisti, caratterizzato da affermazioni fortemente euforiche come

... Il territorio è talmente sano che a memoria d'uomo non si trova traccia di una qualche pestilenza o di un male contagioso; così la Cina abbonda di vecchi molto canuti e avanti con l'età, anche se ciò lo potremmo attribuire al loro buon governo; e avendone la possibilità, tutto il loro intento consiste nel passare tutto il giorno in visite e inviti vicendevoli...7

che dà l'eguaglianza

Cina = Benessere.

E ancora:

... Per lo più, tutto l'argento è molto fine, del quale tutta la Cina ne è piena, e non c'è casa per povera che sia, che non ne abbia almeno un po', e si può dire che i cinesi né sognano né adorano altra cosa... e così, la terra aiutata dall'arte e dalla natura è di per sé ricchissima ....8

frase che porta ad un'altra eguaglianza ancora:

Cina = Ricchezza.

Paradiso, benessere, ricchezza sono dunque i tre lessemi dai contenuti fortemente euforici che caratterizzano la Cina in generale. Ma questi lessemi affondano le loro radici agli inizi dell'epoca moderna, a quasi un secolo prima, a quando cioè Colombo scoprì il Nuovo Mondo, tanto che in ambito europeo, i topoi distintivi che caratterizzarono questa scoperta, furono sostanzialmente tre:

1) il sogno della ricchezza,

2) il sogno di una terra vergine e incontaminata, dove si poteva ritrovare la fanciullezza dell'umanità, preservata dalla cupidigia, dagli odi e dalla guerra, quindi un ritorno all'era antecedente il peccato originale, ovvero il sogno del Paradiso perduto,

3) la pretesa di civilizzare quei selvaggi, ma che in fondo tradiva il sogno di molti monarchi europei, e cioè la bramosia di conquista.

3. Il contesto storico-politico e il sogno spagnolo di conquista della Cina

In un'epoca segnata da grandi scoperte geografiche, dalla conoscenza di nuovi popoli e nuove culture, dalla possibilità di conquistare da parte delle potenti monarchie europee qualsiasi cosa, dovuta a un senso di potenza quasi infinita, nemmeno la Cina si sottrasse a quelli che furono gli appetiti delle nazioni del Vecchio Mondo, e in particolare della Spagna, forte del diritto di conquistare la metà del pianeta garantitole dal trattato di Tordesillas.

Questo trattato, che divideva il globo terrestre in due zone di influenza, una portoghese e l'altra spagnola, sta alla base di uno dei motivi della presenza ispanica in Estremo Oriente, cioè quello della pretesa da parte spagnola di poter conquistare militarmente la Cina. La lettera al Romàn si inserisce in questo nuovo contesto, e da esso trae spunto e motivazione.

Con gli accordi ispano-portoghesi di Saragozza (1529) una nuova linea di demarcazione, posizionata a 17° a Est delle Molucche, l'arcipelago delle Filippine era stato sottratto al dominio portoghese, in quanto considerato come l'estremo avamposto occidentale dei possedimenti della Spagna. L'arcipelago costituiva una testa di ponte che doveva permettere la realizzazione di un progetto più che ambizioso: la conquista militare della Cina da parte della Spagna.

I portoghesi stanziati a Macao vedevano con occhio sempre più preoccupato l'affermarsi della potenza spagnola nelle Filippine e l'apertura di nuovi mercati, dove l'afflusso sempre maggiore di Sangleyes, cioè mercanti cinesi ma anche giapponesi, minava gli interessi commerciali lusitani nella regione9.

La questione nodale infatti non era stata quella di stabilire a chi appartenessero le Filippine, in quanto queste restavano spagnole comunque, pena una guerra, ma era stata quella di stabilire, in base al trattato di Saragozza, a chi appartenesse non solo la Cina, ma anche il Giappone e tutto il Sud Est asiatico. Infatti, gli spagnoli stanziati a Manila temevano che i portoghesi rivendicando il diritto di possesso di Macao, quindi della Cina in senso lato, potessero compiere essi, e de iure, la conquista di quest'ultima. E se la bramosia di conquista della Spagna era stata tenuta a freno dalla previdenza dei portoghesi che avevano rafforzato il diritto di possesso di Macao con l'erezione di questa a sede vescovile, questa bramosia non ebbe più inibizioni quando, nel 1580, la corona spagnola accorpò quella portoghese, in seguito alla morte del Re Don Sebastiano nella battaglia di Alcacer Kibir. L'unione delle corone, anche se non degli Stati, trasformò tutti i possedimenti portoghesi, asiatici e non solo, in possedimenti spagnoli, avocando a Filippo II il diritto di conquista e di possesso. Ovviamente, l'accorpamento doveva avvenire gradualmente, e riguardo alla questione dell'estremo oriente, Filippo II dovette cedere alla ragion di Stato, e di necessità dovette fare virtù: in pratica. Concesse infatti che tutto il commercio portoghese con l'Oriente continuasse a passare per Lisbona, e che la predicazione in Asia Orientale passasse solo ed esclusivamente per la via lusitana: e questo, per legislazione tanto civile quanto canonica.

Con l'unione delle corone iberiche venne a mancare l'opposizione, anche militare, dei portoghesi di Macao e gli spagnoli di Manila intravidero uno spiraglio al loro sogno di conquista.

Restava il problema di convincere il Re della necessità e dell'opportunità di un'impresa tanto ardita. E due furono i punti sui quali, in prima istanza, batterono gli spagnoli di Manila:

1) l'audacia senza pari dell'impresa,
2) la necessità della conversione di un Impero:

Per questo si offre a S. M.stà la maggior occasione e l'impresa più grande che mai a Monarca del mondo si è presentata, così che per questo gli intenti umani possono pretendere di raggiungere ricchezze e fama perpetua, come per questo un animo cristiano e devoto dell'onore del suo Dio e della Sua legge, possa desiderare, insieme alla salvezza e alla difesa di tante innumerevoli anime create per Lui e redente dal suo sangue, e ora ingannate e possedute dal demonio, dalla sua cecità e dai suoi vizi10.

4. Il Romàn a Macao

L'occasione si presentò nel 1584, quando si ammutinò la nave spagnola S. Martin, che faceva la spola una volta l'anno tra le Filippine e la Nuova Spagna. Dopo l'ammutinamento, la S. Martin fece naufragio nell'isola di Macao, e il Governatore di Manila, Ronquillo de Penalosa, inviò nella colonia portoghese il tesoriere della Real Hacienda Juan Bautista Romàn, investito di pieni poteri, alfine di riprendere in mano la situazione, punire gli ammutinati e rispedire la nave a destinazione11.

Il compito del Romàn, che era affiancato dal p. Alonso Sanchez S.I., al suo secondo viaggio in Cina era anche quello di contattare il p. Michele Ruggieri, che insieme al Ricci aveva stabilito la dimora a Zhaoqing. Il Sanchez era mosso solo dal desiderio di convertire la Cina alla causa del cristianesimo, anche a costo di una conquista militare. Egli non aveva esitato minimamente a prospettare a Filippo II lo scarso interessamento dei portoghesi stanziati a Macao nei confronti del buon esito della missione dei padri italiani, chiedendo di intervenire per appianare queste difficoltà, o por via de predicaciòn o por via de guerra12. Anche il Vescovo di Manila, Don Domingo de Salazar aveva scritto a Filippo II, l'8 aprile 1584, affermando in pratica i medesimi concetti13.

La relazione, o presunta tale, del Ricci al Romàn, sotto forma di lettera, si inserisce in questo contesto, e deve essere rapportata, oltre che in funzione dei due personaggi chiave di questa vicenda, cioè il Sanchez e il Romàn, anche a quell'ambizioso progetto spagnolo di conquista quasi planetaria.

Infatti il 26 giugno del 1586, a Manila si riunì una giunta formata dalle più alte autorità politiche e religiose, quali il già citato Vescovo Don Domingo de Salazar, i capitani di giustizia e di reggimento e il Governatore per firmare congiuntamente un documento che doveva essere consegnato dal Sanchez a Filippo II, e che conteneva i piani dettagliati, fin nei minimi particolari, della conquista della Cina.

5. Le tesi di Manila per un intervento militare

Di tale documento, che è di un valore storico eccezionale, riporterò solo i passi che sono più inerenti all'argomento:

In particolare sull'entrata in Cina

Primo: che la persona che si invia come testimone oculare, dia breve relazione sulla grandezza della Cina, e dell'abbondanza dei frutti e dei viveri, della ricchezza delle mercanzie, della moltitudine di oro e argento, mercurio rame ferro e di tutti gli altri metalli, come pure della grandezza e sicurezza dei tesori, dell'abbondanza e delle differenze innumerevoli delle cose artificiali operate dell'industria umana; e soprattutto della diffusione e infinità, se così si può dire, della gente, come pure della salubrità, della pace e dell'abbondanza...14

...

Settimo: che al momento opportuno, cioè prima che giungano le notizie delle armate ai cinesi, si facciano uscire i Padri della Compagnia che risiedono in Cina, nella città di Xauquin, affinché diano notizia agli eserciti, di quanto sanno del territorio, dei militari e delle loro forze, delle loro armi e di qualunque altro pericolo oltre ad altre cose, e che si adoperino come interpreti alfine di persuadere i cinesi, affinché permettano l'invasione in tutta pace, e che ascoltino e ricevano la legge e i predicatori che Dio invia loro, e la protezione che S. M.stà intende loro offrire, e che la ricevano senza alcun timore, e di come ciò procuri loro un tanto gran beneficio, quale liberarli dalla tirannia dei loro mandarini e spezzare il giogo e la servitù che attualmente patiscono, liberandoli tanto nel corpo quanto nell'anima, e che le facciano un unico riconoscimento per questo dono, (lasciando) che i Padri scrivano molte targhe, e che le spediscano per tutta la Cina, e per gli altri molti vantaggi che per tutti gli anni che sono stati dentro potrebbero apportare, e che questo lo ordini lo stesso Generale della Compagnia di Gesù al suo (del Re) commissario...15 (T.d.A).

L'importanza di questi due passi è dettata dal fatto che l'esito e il successo della missione del Sanchez in Spagna era legata alla continua e costante persuasione di Filippo II alla causa della conquista, allettandolo con continue e costanti relazioni sulle meraviglie della terra, della natura, e delle opere umane della Cina, e sulla facilità di tale conquista, in quanto i cinesi non erano avvezzi all'uso delle armi.

Ma fino a che punto poteva essere credibile alla corte di Madrid una descrizione generale sulla Cina, fatta da chi (Romàn e Sanchez) in Cina non c'era, in pratica, mai stato? Non solo: fino a che punto si poteva inoltre dare credito a quanto affermato dal Romàn e dal Sanchez, che in ultima analisi erano di parte, sullo stato della Cina, al punto da rendere credibile un intervento militare? La soluzione più semplice era quella che a redigere una descrizione generale sulla Cina non fossero uomini di parte, ma persone neutrali che già stavano in Cina come il Ruggieri e il Ricci. Questo è il contesto storico nel quale prende corpo la lettera indirizzata al Romàn e impropriamente attribuita al Ricci.

In primo luogo ci si deve domandare se e fino a che punto questi poteva essere interessato a scrivere una simile relazione a un agente spagnolo di stanza nelle Filippine. E poi, perché proprio il Ricci e non il Ruggieri? Evidentemente la relazione non poteva essere attribuita al Ruggieri perché questi, prima di prendere i voti, era stato giudice a Napoli al servizio della Spagna16, per cui poteva essere considerato di parte. Completamente neutrale era invece il Ricci.

6. I Topoi: la visione antropologica

Come si è visto sopra, in questa relazione sulla Cina ritroviamo il mito dell'oro, (dell'argento stando al testo, ma il discorso sostanzialmente non cambia), il sogno del Paradiso Terrestre, e l'idea del benessere diffuso in ogni frangia sociale.

Ma questi tre topoi preparano il terreno per un quarto, spostando il baricentro della questione su una visione antropologica, di per sé distorta, ma che in modo molto sottile implica quello che c'era al fondo, e cioè la bramosia di conquista; infatti leggiamo nella lettera:

ma per onor del vero, scriverò qualche altra cosa a V.M. sui cinesi, prima di dire che sono uomini di guerra, perché esteriormente e interiormente nel loro intimo, sono delle femminucce, e se qualcuno mostra loro i denti, subito si umiliano, ma chi si assoggetta loro, immediatamente gli mettono i piedi in testa17.

Questo discorso porta a giustificare quel quarto topos di cui dicevamo sopra, e cioè la bramosia di conquista.

Se si ritorna adesso alla lettera in questione, ci si accorge che tre sono gli elementi su cui gioca il compositore di questa relazione: il primo è l'innegabile bellezza e ricchezza della Cina, il secondo è l'esigenza di convertire i cinesi che hanno creato questo paradiso, questo benessere e questa ricchezza, ma che non li hanno portato alla conoscenza del vero Dio (e qui la componente disforica), il terzo, dimostrare che il cinese può essere facilmente conquistato e assoggettato, per cui la Cina potrebbe diventare facilmente terra di conquista.

Da uno studio di tutte le lettere di Matteo Ricci, risulta che una simile visione del cinese era del tutto avulsa dalla sua mentalità e non solo dalla sua ma da quella dei Gesuiti in toto, in quanto avevano trovato in Cina una società culturalmente e moralmente molto evoluta18.

Invece in questa relazione, se da una parte si elogia la bellezza della natura e l'ordine della società, dall'altra si coglie il disprezzo dei cinesi, malvagi, vili, privi di fierezza e nobiltà, che i conquistadores spagnoli avrebbero facilmente assoggettato con dieci o dodici mila uomini19. E questo non è nello stile del Ricci. Emerge qui, invece, il tema della conflittualità fra gente diversa20.

ll Ricci, nella sua opera missionaria, si era posto questo problema al punto tale che, nel processo di assimilazione della cultura cinese, si era confrontato con l'altro a livello prasseologico, aborrendo decisamente l'idea del cinese così come ci viene presentato nella relazione al Romàn.

Proprio per questo, stupisce la quantità, l'abbondanza e la profusione di notizie riguardanti la Cina. Quanto scrive il Mezzetti, riguardo l'indebita attribuzione al Ricci della mappa allegata a questa relazione, vale anche e soprattutto, per la relazione stessa, perché, se è vero, citando il Mezzetti, che il Ricci non poteva avere nel 1584 quelle conoscenze sulla Cina sufficienti a creare una Carta del Celeste Impero, come avrebbe fatto in seguito, tanto più vale questo, per il contenuto stesso della Relazione.

Si nota infatti in tutte le lettere che il Ricci è estremamente restio nell'affrontare simili descrizioni: per lui, questo discorso è opzionale, del tutto secondario. Infatti, un anno dopo, in una lettera al Fuligatti21, fornisce una descrizione della Cina simile a quella della lettera al Romàn, dove alcuni passi sono quasi identici; ma quello che manca è l'enfasi, l'esagerazione, il sorprendente, il miracoloso, che caratterizza la lettera al Romàn. Inoltre la descrizione inviata al Fuligatti è molto più breve. Si tratta di 88 righe, contro le 530 della lettera al Romàn (nell'edizione del Tacchi Venturi).

Ma oltre a questo ci sono altri elementi da tenere in considerazione. Quanto affermato nell'esordio della relazione, cioè che simili lettere, potendo finire nelle mani dei mandarini, avrebbero procurato non pochi guai ai missionari, è perfettamente vero: e il Ricci, conscio di ciò, non avrebbe assolutamente potuto, tantomeno voluto, compromettere la sua permanenza a Zhaoqing, col rischio di far fallire l'intera missione. D'altronde, basta leggere la lettera del 13 febbraio 1583 indirizzata all'Acquaviva, per capire l'interesse che il Ricci poteva avere nei confronti degli spagnoli:

Vennero certi spagnuoli là dal mondo novo o Indie Occidentali, che a noi sono orientali, e forno a dare nella Cina. Passorno molti pericoli, ma si è procurato dà Portoghesi che gli lasciassero, e così fecero, ma con tale che mai più tornino, tra' quali erano molti padri capuccini, che con molto fervore, pensando che la Cina era convertita, se ne venivano a travagliare, et anco un nostro padre i quali adesso se ne tornano in una navetta, et havessimo occasione di scrivere non so quanto sicuramente.22

7. Le fonti della lettera-relazione e le incongruenze cronologiche

La conoscenza linguistica del Ricci, nel 1584, non era tale da poter capire agevolmente il cinese, almeno non al punto da leggere i libri in materia, riassumerli e metterli per iscritto in spagnolo.

In una lettera inedita, scritta dal Ruggieri e datata 21/10/1584, conservata in ARSI, Jap.Sin 9II Foglio 307-308, si trova scritto che i due missionari erano venuti in possesso di dieci libri provenienti da Pechino, e che successivamente li avrebbero studiati per redigere una relazione molto certa e copiosa. Quindi nel settembre 1584, tanto il Ricci quanto il Ruggieri non erano in grado di attingere a fonti certe sugli usi e costumi dei cinesi. Il Ruggieri non fornisce la benché minima informazione all'Acquaviva sull'esistenza di una relazione del Ricci inviata al Romàn, e l'argomento, in questo caso, sarebbe stato a proposito.

Il Ruggieri informa semplicemente il Generale di una relazione fatta insieme al Ricci che avrebbe inviato l'anno seguente, dopo aver attinto notizie certe sulla Cina, e che il destinatario di questa relazione sarebbe stato l'Acquaviva e nessun altro.

Oltre a ciò, in questa relazione si riscontrano alcune incongruenze cronologiche.

Nei Commentari23, troviamo scritto che il Ruggieri si era recato a Macao alla fine del 1583 per approvvigionarsi di alcune cose necessarie alla missione, e lì si era trattenuto fino all'anno successivo, in quanto la nave del commercio proveniente dal Giappone era arrivata in ritardo24. Da Macao era ritornato a Zhaoqing dove si era trattenuto fino al mese di settembre del 1584.

Verso la fine di settembre, il Ruggieri era andato di nuovo a Macao, come apprendiamo dalla sua stessa lettera datata 21 ottobre 1584, da lì scritta al Generale Acquaviva. II viaggio da Zhaoqing a Macao, in condizioni normali, veniva compiuto in genere in una diecina di giorni25. Considerando alcuni giorni tra l'inizio e la fine della presunta relazione del Ricci (13 settembre) egli sarebbe arrivato a Macao tra la fine di settembre e l'inizio di ottobre del 1584. La situazione è la seguente: fra il mese di dicembre 1583 e il mese di gennaio 1584 (ciò è testimoniato da una lettera del medesimo scritta da Macao all'Acquaviva in data 25 gennaio 1584) il Ruggieri si trovava a Macao; da febbraio a metà settembre, a Zhaoqing, e dalla fine di settembre a metà ottobre di nuovo a Macao. L'importanza di avere chiaro il quadro sugli spostamenti del Ruggieri è motivato da quanto scritto nelle prime righe della lettera al Romàn:

Aspettai questa buona occasione, del viaggio del P. Michele Ruggiero a Macao, per rispondere alla lettera di VM., non tanto per non azzardare altre poche righe, quanto per il timore diffuso che simili lettere potessero arrivare fra le mani di alcuni Mandarini che ci potrebbero fare non poco male.26

Stando a questa affermazione il Ricci non avrebbe mai scritto in precedenza alcuna lettera né relazione al Romàn per paura che queste lettere potessero cadere nelle mani dei mandarini. Ma qui riscontriamo una contraddizione di fondo, in quanto in CP. viene riportata una lettera del Romàn indirizzata al Re Filippo II de macan en la china a 25 de junio de 1584 anos, nella quale si legge:

El padre mateo rrizi que es uno de los dos rreligiosos me a enuiado una rrelaçion muy breve y açertada de las cosas desta china y de sus antiguedades y description la qual envio con las cartas dirigidas assi 7mesmo al virrey de la nueva españa para que la encamine a vuestra magestad27.

[Il Padre Matteo Ricci, uno dei due religiosi mi ha inviato una relazione molto breve e sicura delle cose della Cina e delle sue antichità, descrizione che invio con le lettere indirizzate allo stesso Viceré della Nuova Spagna, affinché le inoltri a V. M.stà]
(T.d.A.).

Quindi il Romàn afferma di aver ricevuto dal Ricci una prima relazione, anche se molto breve, sulla Cina, e precisamente nel mese di giugno del 1584 e di averla spedita in Messico, per essere inoltrata a Filippo II. Ma questa è una contraddizione con quanto scritto nella lettera che si sta esaminando. Infatti se l'autore della lettera in questione afferma di non aver mai mandato al Romàn alcuna relazione per paura dei mandarini, come avrebbe fatto quest'ultimo a riceverne una nel mese di giugno? La congiuntura favorevole della relazione del 13 settembre sarebbe stata legata alla partenza del Ruggieri per Macao, ma nel giugno dello stesso anno non risulta che il Ruggieri fosse andato a Macao, in quanto questi sino alla fine di settembre del 1584 si trovava a Zhaoqing, come visto sopra; per cui non si capisce come il Romàn avesse potuto ricevere una relazione del Ricci. L'unica ipotesi plausibile che a tal riguardo si può avanzare è quella che il Ricci abbia forse scritto, nel mese di giugno del 1584, una lettera al Romàn, e l'abbia inviata tramite un coadiutore cinese di Zhaoqing. Improbabile è invece il fatto che il Ricci abbia inviato una relazione al Romàn nel mese di giugno del 1584, simile, anche se più scarna, a quella del mese di settembre, per paura, qualora fosse caduta nelle mani dei mandarini cinesi, di essere tacciato di spionaggio.

8. Conclusioni

Alla luce di quanto sopra esposto, i dubbi sul fatto che il Ricci abbia spedito al Romàn la relazione datata 13 settembre 1584, sono più che fondati. Probabilmente il Ricci inviò una lettera al Romàn, tramite il Ruggieri, ma non una relazione, almeno non nei modi e nei contenuti, quale essa è. La carta geografica della Cina ad essa allegata è un falso, come testimoniato da più autori visti sopra. Inoltre, la fluidità della lingua spagnola, scritta e parlata dal Ricci, non è di certo quella della relazione in questione. Ben altro è lo stile di questa relazione che tradisce una mano puramente iberica. È possibile allora credere che il Romàn o il Sanchez abbiano scritto loro questa relazione, sulla base di informazioni attinte a Macao e grazie anche a libri cinesi tradotti in spagnolo, conservati a Manila.

D'altronde, l'interpolazione e la falsificazione di testi e lettere scritte in Cina negli anni a venire sarebbe stata una costante, al fine di adattarli al pubblico europeo o per mostrare solo alcuni aspetti di quella realtà28.

Questa relazione si inserisce invece nel contesto dell'ipotizzato e non effettuato intervento militare in Cina, da parte della Spagna, come visto sopra; intervento perorato e caldeggiato presso la corte di Filippo II da parte delle maggiori autorità spagnole di stanza a Manila, tramite la persona del p. Alonso Sanchez.

MONDO CINESE N. 99, SETTEMBRE 1998

Note

1 Si veda in Tacchi Venturi P. Opere storiche del P. Matteo Ricci S.I., Giorgetti, Macerata 1913. Vol I, pp. 37-49.
2 Il p. Matteo Ricci e la geografia della Cina, in Rivista di Fisica, Matematica e Scienze Naturali, IV pp.321-355; 459-464.
3 Cf. P Mezzetti, "Nel terzo centenario del P Matteo Ricci" in Rivista di Fisica, Matematica e Scienze Naturali, Anno XI, aprile-maggio 1910. N° 124-125, Pavia, 1910.
4 I. Brucker, "Note sur une carte supposée du Père Ricci" in Atti e Memorie del convegno di Geografi-Orientalisti tenuto in Macerata nel settembre del 1910, Macerata 1911, p. 85.
5 Per "diegèsi" si intende "il racconto nel suo svolgimento essenziale". Cf. Vocabolario della lingua italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1987, vol. II, p. 87.
6 Cf. P. Tacchi Venturi, op. cit., p. 42 (traduzione dell'A.).
7 Cf. P. Tacchi Venturi, op. cit., p. 43 (traduzione dell'A.).
8 Cf. P. Tacchi Venturi, op. cit., p. 44 (traduzione dell'A.).
9 Per tutta la trattazione che segue, vedi P. Pastells, Catalogo de los documentos relativos a las Islas Filipinas, existentes en el archivo de Indias de Sevilla, Barcelona, 1926, tomo II, p. LVII e sgg.
10 Cf. F. Colin - P. Pastells, Labor evangelica. 3 Voll. Barcellona, 1900-1903, p. 438 (Traduzione dell'A.).
11 Cf. P. Pastells. op. cit. tomo II, pp. CCXXXV-CCXXXVI.
12 Cf. F. Colin - P. Pastells, op. cit., p. 522.
13 Cf. ivi, pp. 310- 314.
14 Cf. ivi, p. 438.
15 Cf. ivi, p. 441.
16 A. Chan, "Michele Ruggieri, S.I. (1543-1607) and his chinese poems ", in Monumenta Serica, n° 41 (1993), p.138.
17 Cf. P. Tacchi Venturi, op. cit., p. 48 (traduzione dell'A.).
18 Cf. E. Garin, Rinascite e rivoluzioni: movimenti culturali dal XVI al XVII secolo. Mondadori, 1992, p. 351.
19 Cf. F. Colin - P. Pastells, op. cit., p. 438.
20 Cf. T. Todorov, La conquista dell'America: il problema dell'altro. Einaudi, 1992, p. 225.
21 Lettera del 24 novembre 1585. Cf. P. Tacchi Venturi, op. cit., pp. 66-73.
22 Cf. P. Tacchi Venturi, op. cit., p. 31. 
23 Cf. D'Elia P M., Storia dell'Introduzione del Cristianesimo in Cina. 3 Voll. Roma 1942-1949. Vol. I, p. 201. 
24 Ibid., nota. 3.
25 Ivi, p. 179.
26 Cf. P. Tacchi Venturi, op. cit., p. 37 (Traduzione dell'A.). 
27 F. Colin - P. Pastells, op. cit., p. 521, note. 
28 Cf. J.K. Fairbank, E.O. Reischauer, A.M. Craig, Storia dell'Asia Orientale, Einaudi, Torino 1974, p. 64.


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