MARTINO MARTINI (Wei Kuangguo), Opera Omnia, edizione diretta da Franco Demarchi, vol. I, a cura di Giuliano Bertuccioli, Università degli Studi di Trento, Trento, 1998, pp.547; vol. II, a cura di Giuliano Bertuccioli, Università degli Studi di Trento, Trento, 1998, pp. 516.
Sono recentemente apparsi i primi due volumi di un ambizioso progetto editoriale in cinque parti, che si propone di raccogliere tutti gli scritti in lingua occidentale e in cinese di uno dei più noti missionari gesuiti in Cina a metà del XVII secolo, Martino Martini (1614-1661) (nome cinese Wei Kuangguo). Il piano dell'opera è diretto dal prof. F. Demarchi dell'Universitá di Trento, i materiali nelle diverse lingue, raccolti nei singoli volumi, sono curati, presentati e tradotti dal prof. Giuliano Bertuccioli dell'Università di Roma "La Sapienza”, uno dei pochi studiosi ancora capaci di accompagnare a una rara competenza sinologica una solida formazione umanistica occidentale
Grazie, quindi, all'iniziativa dell'Università di Trento, sua citta natale, Martini sarà il primo gesuita le cui opere saranno tutto pubblicate in un'unica edizione moderna e tradotte in italiano, sia quelle rimaste manoscritte, che quelle che videro la luce in latino e in altre lingue europee, sia quelle redatte con l'assistenza dei letterati cinesi in quella lingua. Favorito dalla sorte, quindi, anche dopo la morte, dopo essere stato fortunato e abile amministratore del suo talento in vita: riuscì infatti, a pubblicare nel luogo e nel momento più opportuni le sue opere, ottenendo immediata fama tra i dotti del tempo, tanto da essere considerato un precursore nel campo della geografia, della storia e della linguistica cinesi. La pubblicazione dei suoi scritti precede, infatti, quella delle opere di Matteo Ricci (1552-1610), Giulio Aleni (1582-1649), Ludovico Buglio (1606-1681) e di altri missionari italiani, nonché di gesuiti stranieri, quali Adam Schall von Bell (1591-1666) e Ferdinand Verbiest (1623-1688), in preparazione presso alcune note istituzioni accademiche italiane ed europee. Di nessuno di questi personaggi, infatti, è ancora apparsa una raccolta completa di tutte le opere da essi composte o a essi attribuite, in qualsiasi lingua europea o orientale, ma solo parte di esse, come, per esempio, nel caso di M. Ricci, quelle in lingua occidentale.
I due volumi delle opere di Martini finora pubblicati lasciano ben sperare nel compimento dell'impresa.
Nel primo sono raccolti trentatre tra lettere e documenti scritti da o attribuiti al gesuita trentino, il cui stesso reperimento, a cura del prof. Bertuccioli, non è stata impresa facile, dal momento che essi sono conservati in archivi e biblioteche non solo italiane, ma anche francesi, spagnoli e portoghesi. Infatti la corrispondenza di Martini non si svolse in un unico flusso verso l'Europa dalla Cina, dove egli soggiornò solo dodici anni (dal 1642 al 1651 e dal 1658 al 1661), spendendo, invece, quasi sette anni di viaggi in diversi paesi europei per assolvere i suoi delicati compiti di procuratore della Vice Provincia Cinese e per seguire di persona la pubblicazione delle sue opere storiche e geografiche. Nel suo epistolario, infatti, non sono contenute soltanto notizie sulla situazione delle missioni cattoliche in Cina, ma soprattutto informazioni, per il tempo inedite, sulle condizioni dell'impero e sulla cultura cinese, molto apprezzate dai dotti dell'Europa settentrionale. Ciascun documento, preceduto da un'utilissima presentazione storico-cronologica del Curatore, viene presentato nella versione originale in diverse lingue, italiano, latino, tedesco, portoghese e cinese, nonchè nella traduzione in italiano, condotta con rigore e perizia filologica, corredata di soddisfacenti note, sia esplicative che bibliografiche, con l'indicazione e l'analisi delle diverse fonti. Tali rigorosi criteri sono seguiti anche nella presentazione dei materiali contenuti nel tomo successivo. All'inizio del primo volume appare una preziosa cronologia di tutti i documenti raccolti, con indicazione dei vari fondi da cui essi provengono; alla fine dello stesso, oltre a un accurato indice dei nomi e dei caratteri cinesi, appare un'inedita cronologia della vita e delle opere di Martini, corredata da riferimenti ai documenti di prima mano da cui sono state tratte le singole informazioni.
Il secondo volume è dedicato alle cosiddette "opere minori", ciascuna delle quali è arricchita da un'introduzione storico-critica delle fonti, da diversi tipi di appendici e da elenchi dei caratteri cinesi. La prima di tali opere, la
Brevis Relatio, è una delle tante relazioni più o meno brevi che i gesuiti redigevano sulla loro opera di apostolato in Cina, a sostegno della politica di adattamento alla situazione cinese perseguita dalla Compagnia di Gesù. Piuttosto corposa, tanto da costituire un libro, pubblicato a Roma nel 1654 e poi in lingua tedesca, la
Relatio di Martini può essere considerata un interessante materiale documentario sulla fase iniziale della cosiddetta "questione dei riti", dal momento che in essa si fa cenno alle critiche mosse da domenicani e francescani. Particolarmente interessanti le due appendici che il Curatore ha aggiunto al testo: una contenente notizie biografiche dei 58 gesuiti menzionati nel testo, un'altra che riporta 56 opere di carattere religioso scritte in cinese dai gesuiti nel XVII secolo. Alla
Relazione sul Mondo Nuovo, scritta in tedesco non da Martini, ma composta in base a una specie di lunga "intervista" da lui rilasciata nel corso del suo soggiorno in Norvegia, Germania, Olanda e Belgio nel 1653, fa seguito il
Trattato sull’Amicizia (Qiuyou pian), scritto in cinese. Quello dell'amicizia è un tema molto diffuso nella letteratura cinese classica, che "un letterato del lontano occidente" non poteva esimersi dall'affrontare, per misurarsi da pari con i dotti confuciani del tempo. Questa presentazione della concezione europea dell'amicizia, che può essere considerata la prima antologia della letteratura occidentale in cinese, presenta non poche difficoltà di interpretazione, dal momento che Martini traduce in modo assai libero massime e aneddoti di autori greci e latini. Per tale motivo, il Curatore aggiunge alla traduzione due utilissime appendici, sulle citazioni riportate e delle opere da cui derivano detti e aneddoti. La vera rarità del secondo volume è rappresentata dalla
Grammatica Sinica, la prima mai composta in lingua occidentale. Concepita dal gesuita non come opera organica, ma come strumento di riferimento per proprio uso, non fu mai pubblicata: di essa alcune copie manoscritte circolarono tra gli studiosi europei nel XVII e XVIII secolo; il manoscritto trascritto e tradotto dal Curatore è quello conservato presso la biblioteca dell'Università di Glasgow. Particolarmente interessanti le appendici dei radicali cinesi e delle concordanze tra le trascrizioni fonetiche di Martini e quelle dei due sistemi più diffusi, Wade-Giles e Pinyin. Chiude il volume uno scritto apologetico in cinese,
Prove Razionali dell'Esistenza del Vero Signore (Zhenzhu lingxing lizheng), una versione ridotta di un'opera del gesuita Leonardo Lessio (1554-1623) sulle prove dell'immortalità dell'anima, il cui testo è stato confrontato dal Curatore con la traduzione cinese di Martini.
Entrambi i volumi sono corredati da molteplici carte e mappe esplicative, nonché da piacevoli illustrazioni.
Il piano generale dell'Opera Omnia prevede che nei volumi successivi vengano raccolte le cosiddette "opere maggiori": nel terzo, il lavoro più famoso di Martini, il Novus Atlas Sinensis di cui già nel '91 l'Università di Trento pubblicò una riproduzione in facsimile; nel quarto, il
De Bello Tartarico, primo reportage della caduta della dinastia Ming (1368-1644) e dell'avvento di quella Qing (1644-1911) e la
Prima Decas, la prima opera occidentale sulla storia della Cina antica basata su fonti cinesi; nel quinto, infine, oltre a un indice ragionato di tutta
l'Opera Omnia, vedranno la luce i documenti e gli scritti rinvenuti recentemente, per lo più sconosciuti perchè rimasti manoscritti e sepolti negli archivi.
C'è da augurarsi che anche i volumi successivi siano pubblicati in base allo stesso criterio editoriale, basato su rigore filologico e ricerca delle fonti, cui si è attenuto il Curatore per quanto riguarda i primi due; sarebbe un peccato che tale criterio, venisse, invece, disatteso, dal momento che il modo in cui sono state curate e presentate queste opere di Martini non può non costituire un modello cui dovranno attenersi tutte le altre edizioni di opere di altri missionari che vogliano dirsi veramente complete e rigorose.
Marina Miranda
FEDERICO MADARO, Ta ma de e altre insolenze. Il linguaggio trasgressivo nel cinese
moderno, Venezia, Libreria editrice Cafoscarina 1998, pp. 113, Lire 12.000.
"Ma nun c'è lingua come la romana
Pe ddi una cosa co tanto divario
Che ppare un magazzino de dogana.
Per esempio noi dimo ar “
e giù una sfilza di parole che, secondo Belli1, designano in romanesco il cosidetto "luogo comodo" e che starebbero a confermare la maggior ricchezza di sinonimi, di cui questo dialetto sarebbe dotato rispetto ad altre lingue e dialetti. Per Belli, o meglio: per la plebe di Roma, cui egli ha voluto erigere un monumento, si tratta delle lingue e dei dialetti parlati da
"Turchi, Spagnoli, Moscoviti, Ingresi,
Burrini, Ricciaroli, Marinesi
e Ffrascatani, e tutte l'antre gente."
Il popolano, che Belli fa parlare in questo sonetto, non nomina il dialetto napoletano e comprensibilmente neppure la lingua cinese, di cui forse ignorava l'esistenza: ambedue, napoletano e cinese, ricchissime di vocaboli, di sinonimi, di espressioni trasgressive, di insolenze. Se difficilmente possono reggere il confronto con l'abbondanza dei sinonimi con cui in romanesco si designano "lui" e "lei": Belli nel sonetto
Er padre de li santi ne elenca ben 53 e in quello La madre de le sante ne elenca 42, tuttavia napoletano e cinese appaiono imbattibili per numero, varie tà, fantasia delle insolenze: molto più fini e pittoresche di quelle un po' grevi del romanesco. Non so a quale dei due, al napoletano o al cinese, possa andare il primo posto: è un argomento che andrebbe approfondito. Un ottimo contributo per la conoscenza del linguaggio trasgressivo cinese lo ha dato Madaro con questo libretto, nel quale, non curandosi dei "rumores senum severiorum", sia nostrani che cinesi, ci ha preparato un primo inventario delle parolacce nel cinese parlato, non quindi nel cinese classico o nella letteratura erotica del passato. Si è soffermato sulle tante variazioni del tema "ta ma de", che ricorda anche per il suono il napoletano "e' mammeta", o su quelle del tema "cao", equivalente al nostro "vaffan...". A proposito di questo carattere, che si scrive disegnando in alto l'ideogramma, che significa "entrare, penetrar in", e in basso l'ideogramma, che significa "carne", abbiamo in italiano e in francese l'esatto equivalente con "incarnarsi"2 e con "enviander". Per quanto riguarda i sinonimi in cinese del "padre de li santi" e della "madre de le sante", Madaro alle pagine 63 e 65 ne elenca undici per "lui" e soltanto tre per "lei": troppo pochi per reggere il confronto col romanesco. Per "lei" si potrebbe aggiungere un quarto termine, un ideogramma che non si trova nei dizionari. Si pronuncia "pi" e si scrive disegnando a sinistra il radicale "mao" (pelo), a destra il carattere "pi", che significa "necessario", cioè il pelo di cui non si può far a meno, lo stesso che piaceva tanto ad un altro popolano del Belli, che se ne dichiarava entusiasta:
"Sentime: dopo er Papa e doppo Iddio
Cquer che mme sta più a core, Antonio, è er pelo..."3.
Basta: pongo termine a questa breve recensione in cui ho parlato più di Giuseppe Gioacchino Belli e del romanesco che non del libro che mi ero proposto di recensire. Segno che l'ho trovato stimolante, interessante, tale da indurmi a far confronti con la nostra lingua e letteratura. Per questo motivo ne do un giudizio più che favorevole e mi complimento sia con l'autore che con il direttore della collana, prof. M. Scarpari.
Giuliano Bertuccioli
MONDO CINESE N. 98, MAGGIO-AGOSTO
1994