tuttocina tuttocina
Google Web https://www.tuttocina.it
INDICE>MONDO CINESE>DOVE VA LA CINA? A PROPOSITO DI ALCUNE RECENTI PUBBLICAZIONI CINESI

DOCUMENTI

Osservazioni e commenti in merito al volume "La settima rivoluzione - Memorandum sulla riforma delle strutture di governo del 1998 " (Di qici geming:1998 zhengzhi jiegou gaige beiwanglu, Jingji ribao chubanshe), Pechino, aprile 1998

 di Gao Luyi

Verso la fine del 1988, conversando con un amico straniero, avevo detto che nel 1989 in Cina sarebbe 'successo qualcosa', e lui, al rientro negli Stati Uniti, pubblicò queste mie impressioni; a quel tempo comunque non erano poche le persone che la pensavano più o meno così, ed io non sono certo un 'indovino'. Purtroppo le previsioni si rivelarono esatte.

Nove anni dopo, alla fine del '97, mi sono trovato di nuovo con amici, anche stranieri, a percepire una strana sensazione, come se ci fosse qualcosa 'che non va per il verso giusto', e a nutrire il timore che anche il 1998 potesse non essere un 'anno buono'...

Quali nuovi eventi si erano verificati per indurci a tali considerazioni? Ripensando al 1997, con il ritorno di Hong Kong sotto la sovranità cinese e poi con il XV Congresso del Partito Comunista Cinese, che aveva ufficialmente consacrato la teoria di Deng Xiaoping, la Cina sembrava in procinto di avviarsi verso un'era di grande prosperità, simile a quella delle epoche Han e Tang, preparandosi ad un ingresso trionfale nel ventunesimo secolo, il 'secolo della Cina', secondo una diffusa convinzione.

I problemi sembravano di poco conto. Per le imprese statali la ricetta miracolosa non era forse la trasformazione in società per azioni? In realtà già un paio di anni fa' un gruppo di esiliati politici cinesi aveva affermato che la Cina era entrata nell'era Brezhneviana.

Ma in tempi brevissimi quelle ottimistiche previsioni si sono rivelate vane. Le trasformazioni delle imprese statali in società per azioni non appaiono ora più come un rimedio magico e, appena sei mesi dopo il Congresso, nel marzo di quest'anno, le due Assemblee (l'Assemblea Nazionale del Popolo e la Conferenza Nazionale Politico-Consultiva) hanno varato, di concerto con il II plenum del XV Comitato centrale del Pcc, una serie di provvedimenti, quali il licenziamento dei funzionari e la riforma delle istituzioni, che differiscono profondamente dagli orientamenti emersi dal Congresso.

Cosa significa tutto questo? Che la riforma delle strutture di governo è davvero "la settima rivoluzione" della Cina, come recita il titolo di un libro appena uscito a Pechino (aprile 1998) , La settima rivoluzione - Memorandum sulla riforma delle strutture di governo del 1998, pubblicato dalla Casa editrice del Quotidiano dell'Economia, che raccoglie saggi e interventi di autori diversi, ed è curato da Liu Zhifeng, un docente della Scuola nazionale della Pubblica Amministrazione, nome non molto noto al grande pubblico.

Perché dunque "settima rivoluzione"? Perché a partire dal 1949 il Partito Comunista aveva già tentato per sei altre volte di varare una riforma di tali strutture, senza però mai riuscire a venire a capo del circolo vizioso creatosi tra riduzione (del personale della pubblica amministrazione) - espansione - nuova riduzione - nuova espansione. Quella del 1998 sarà quindi non solo la settima riforma strutturale ma anzi, andando ben oltre quanto si possa immaginare, sarà una vera e propria "rivoluzione"!

Uno dei pregi del volume è l'aver tanto tempestivamente affrontato la questione della riforma politica in Cina: credo che in passato non sia mai stato pubblicato con tanta solerzia un volume che dibatte un argomento talmente 'delicato’. E se, come sembra, non è stato "pilotato" dall'alto, lo si può davvero considerare come una testimonianza di un preciso cambiamento nel clima politico cinese.

Una delle caratteristiche del volume è che non raccoglie solo contributi di autori "della stessa parrocchia", ma riporta opinioni a volte discordanti, che spaziano dalla sinistra al centro e alla destra, senza voler peraltro ricorrere a etichette, o esprimere giudizi di merito. Gli scritti sono tuttavia accomunati da un elemento: sono tutti a favore di questa riforma.

Il libro è articolato in tre sezioni: la prima si intitola "Le circostanze che hanno portato all'elaborazione del progetto di riforma delle istituzioni del '98", la seconda, "La creazione di nuove istituzioni di governo", e la terza, "Riflessioni sul background storico", e si sofferma in particolare sui motivi della sconfitta dei sei tentativi precedenti.

Vediamo allora il primo capitolo, "All'indomani del XV Congresso del Pcc: un pressante appello alla riforma politica".

Il 12 settembre 1997, nella sesta parte del suo rapporto al Congresso, Jiang Zemin formula dure critiche all'elefantiasi dell'apparato statale e al suo burocraticismo. Da quella tribuna egli lancia un segnale forte in favore della riforma delle istituzioni e ne indica gli obiettivi. Con le parole "occorre organizzare le forze specifiche in vista di una celere elaborazione del programma" egli muove di fatto un primo passo in direzione della riforma.

Poiché tuttavia il Congresso verteva essenzialmente sul tema della riforma economica, con particolare attenzione alla questione della proprietà, questa parte del discorso di Jiang Zemin viene in gran parte ignorata. Per questo, poco tempo dopo il Vice presidente dell'Accademia Nazionale delle Scienze Sociali, Liu Ji, sottolinea polemicamente che nello studio del "Rapporto" di Jiang Zemin non vanno analizzati solo gli aspetti inerenti alla riforma economica, ma occorre liberarsi dalle pastoie dogmatiche anche in tema di riforma politica.

In seguito Wang Huning, nel suo Compendio delle relazioni al XV Congresso del Pcc (Pechino 1997), estrapola un passo del discorso di Jiang Zemin e indica tre obiettivi per la riforma delle strutture: 1) Modifica delle competenze del governo; realizzazione della separazione tra apparato statale e imprese e trasferimento effettivo della gestione produttiva alle imprese. 2) Riforma delle strutture basata sulla riduzione del personale, su principi di standardizzazione delle pratiche e su criteri di efficienza; creazione di una pubblica amministrazione fondata su criteri di produttività, razionalizzazione e omogeneizzazione delle regole. 3) Trasformazione dei Ministeri economici in organismi di controllo macroeconomico, riduzione del numero e ristrutturazione dei Dipartimenti economici intermedi; potenziamento del controllo sull'operato; crescita e sviluppo di formazioni sociali intermedie.

Appare chiara l'analogia tra le indicazioni di Wang Huning e il progetto di riforma delle strutture che verrà sottoposto nel marzo di quest'anno all'approvazione del Parlamento dal Segretario generale del Consiglio di Stato, Luo Can.

A partire dall'ottobre 1997 diverse personalità erano intanto entrate nel dibattito sulla riforma del governo. L’economista Dong Fureng, membro della Conferenza Nazionale Politico-Consultiva afferma che l'ostacolo alla riforma è lo stesso Governo. E queste dichiarazioni, pubblicate sul numero 21 della rivista Materiali di consultazione sulla riforma verranno poi riprese dal quotidiano di Shanghai Liberazione, raggiungendo così un pubblico più vasto.

Sul numero 11 del 1997 della rivista Materiali di Ricerca Economica, il noto economista Yu Guangyuan, illustrato il suo punto di vista sul ruolo del Governo in un'economia di mercato, afferma che numerose attività devono essere condotte da organismi sociali sganciati del tutto o almeno in parte dagli organismi di comando politico. Secondo Yu Guangyuan un paese ha bisogno non solo di un governo onesto, ma anche di un governo che contenga le spese. Più vasto è l'apparato di governo e maggiori sono le occasioni di abuso di potere.

Il 28 ottobre 1997, il Quotidiano dell'Economia pubblica un'intervista al Direttore dell'Istituto di Ricerca per l'Economia Privata in Cina, Li Ding, già Vice Direttore del Dipartimento centrale del Pcc per il Fronte Unito. Li Ding osserva che per risolvere il problema della crescente inefficienza dell'apparato, occorre scorporare non solo le funzioni del governo da quelle delle imprese, ma anche dalla gestione delle attività della società civile, in modo che esse siano ben distinte. La gestione della maggior parte delle attività attualmente in mano al governo deve essere restituita alla società stessa. Il governo deve tornare ad occuparsi degli affari di sua stretta competenza, e la società civile deve puntare a una gestione autonoma.

Si rivela quindi che, nel 1995, il numero degli occupati negli organismi di governo e di partito e nelle associazioni sociali era di dieci milioni quattrocentoventimila persone, mentre gli addetti degli enti pubblici erano venticinque milioni, in tutto oltre trentacinque milioni, cifra che costituisce il 24% del numero complessivo di impiegati e operai; gli impiegati delle cellule sindacali e di partito all'interno delle imprese erano oltre il 10%, ossia all'incirca undici milioni trecentosessantamila persone, che sommati ai precedenti portano a 47 milioni di persone, ossia al 32% dell'ammontare complessivo degli impiegati e operai cinesi.

Inoltre nei 48.000 sobborghi rurali e negli 800.000 villaggi della Cina, vivono diversi altri milioni di 'funzionari' che mangiano "cereali imperiali". La ricchezza sperperata ogni anno in questo modo si aggira intorno ai 1.100 miliardi di yuan, ossia circa il 20% del Pnl della Cina viene divorato ogni anno da questi mangiatori di "cereali imperiali" (cfr. l'intervento di Zhou Tianyong in Materiali di ricerca economica, n. 10, 1997). Secondo un articolo del Quotidiano dei Lavoratori del 17 dicembre 1997, nella storia cinese esiste il detto "10 pecore per 9 pastori". Ora si è passati a "9 pecore per 10 pastori". Il rapporto tra funzionari e popolazione è passato da 1: alcune migliaia a quello attuale di 1: alcune decine, e continua ad aumentare.

Intervenendo ad una conferenza tenutasi a Kunming nel novembre '97, Liu Ji afferma poi che è sbagliato non attribuire il giusto valore alla riforma del sistema politico, e aggiunge che in confronto a quella economica, la riforma politica si presenta al momento fragile e stagnante. Egli ricorda che Jiang Zemin, nel discorso funebre in onore Deng Xiaoping, aveva sottolineato la necessità di dare impulso alla riforma del sistema politico (per esempio la separazione tra governo e imprese), di edificare uno stato di diritto e di "governare il Paese per mezzo delle leggi”, pur avvertendo che il processo sarà di lunga durata.

All'indomani del XV Congresso del Partito, anche un gruppo di funzionari locali invoca la riforma delle strutture di governo quale elemento centrale dell'opera di riforma. Anch'essi avvertono la criticità della situazione. Il governatore dell'Anhui, Wang Yang, per esempio, pubblica un articolo (in Amministrazione dei beni dello Stato, n.11, 1997) in cui scrive che dai precedenti tentativi di riforma si evince che, quando non ha ancora preso forma una matura economia di mercato e gli organismi di governo continuano a fungere da "sovrastruttura”, è difficile concepire una riforma delle strutture. Poiché tuttavia a partire dal XIV Congresso del Partito (1992), l'economia di mercato ha registrato una crescita sostanziale, i tempi sono oramai maturi e non è più possibile rimandarla. Lo sganciamento delle imprese dall'apparato amministrativo e la separazione di competenze tra imprese e governo sono parte integrante della riforma economica, ma al contempo sono anche elementi della riforma del sistema politico. Secondo il governatore dell'Anhui quindi, occorre perseverare nella realizzazione della separazione tra partito e governo, tra amministrazione e apparato di governo, tra amministrazione ed imprese, e stabilire confini netti nelle competenze del governo. In una parola è necessario valorizzare al massimo il ruolo del mercato nella distribuzione delle risorse, perché solo così il governo può ritirarsi dalla microgestione dell'economia. L’articolo di Wang Yang suscita immediato interesse e viene ripreso sulla stampa a diffusione nazionale.

Al convegno su "Teoria della Riforma delle strutture di governo", svoltosi nel gennaio di quest'anno a Pechino, la maggior parte degli interventi ribadisce la necessità di accelerare la riforma del sistema politico. Il professor Wang Guixiu, docente del Dipartimento politico-giuridico della Scuola Centrale del Partito Comunista, sostiene che la riforma del sistema politico è una rivoluzione, e che, nonostante essa sia stata propugnata oltre dieci anni fa, è proceduta a rilento e ha prodotto scarsi risultati. A suo giudizio, la causa principale va attribuita alla mancanza di posizioni chiare, oltre alla diffusa scarsa comprensione della natura di tale riforma. È impossibile portare a termine la gravosa opera di riforma attraverso piccole modifiche parziali e di scarso rilievo. Wang Guixiu suggerisce quindi di effettuare una seria analisi dei fondamenti del sistema cinese e dei suoi fattori strutturali, dato che le strutture politiche ed economiche divengono via via sempre meno compatibili con l'essenza stessa e le esigenze del "sistema di base", e producono limiti vieppiù gravi allo sviluppo delle forze produttive. Ma soprattutto sono la causa della pesante stagnazione della riforma del sistema politico (Giornale dell'economia di mercato cinese del 16 gennaio 1998).

Il 13 marzo il Giornale dell'economia pubblica un'intervista a Wang Guixiu dal titolo "Non si può rinviare la riforma del sistema politico”, che suscita molto interesse. Wang Guixiu scrive che la via d'uscita per la Cina sta nella riforma del sistema politico, guidata dal Partito comunista, realizzata attraverso un processo che contempli anche la riforma e la modernizzazione del Partito stesso. La prima rivoluzione che ha avuto luogo nel Paese negli anni cinquanta ha risolto la questione della natura di fondo del sistema. La seconda rivoluzione (la riforma di Deng Xiaoping) ha risolto il problema delle strutture organizzative che formano il sistema cinese. E questa può essere considerata un 'miglioramento' rispetto alla natura di fondo del sistema, mentre è una vera ‘rivoluzione’ rispetto agli aspetti negativi delle strutture organizzative, e non si può dire che sia soltanto un ‘miglioramento'. Per questo è necessario estirpare radicalmente quelli che sono diventati ormai veri e propri ceppi allo sviluppo delle forze produttive. Riforma significa rivoluzione, non modifiche di poco conto. Le questioni cruciali che la riforma del sistema politico deve affrontare sono essenzialmente l'eccessiva concentrazione del potere e i problemi a questa inerenti, la creazione di un sistema in grado di attuare la transizione dal modello di ‘governo dell'uomo' in cui il potere è fortemente concentrato nelle mani dei singoli individui ad uno basato su un democratico stato di diritto. Si tratta di una necessità che procede di pari passo con la trasformazione dell'economia pianificata in economia di mercato e ne costituisce un elemento indissociabile.

Wang Guixiu, in contrasto con alcuni osservatori e studiosi, secondo cui i profondi mutamenti avvenuti in Unione Sovietica e in Europa Orientale sono stati causati dalla riforma politica (e che ritengono quindi che se non si vuole fare la stessa fine bisogna evitarla ad ogni costo), prosegue affermando invece che il crollo dell'Unione Sovietica è dovuto all'aver procrastinato troppo a lungo tale riforma. A questo proposito ricorda quanto detto da Deng Xiaoping, ovvero che 'se non si riforma si è in un vicolo cieco'. Secondo un'altra tesi, ricorda Wang, è necessario un 'percorso preferenziale' che preveda prima l'attuazione della riforma economica e poi di quella politica, collocata in un lontano futuro. Ma tale ipotesi equivale - a suo giudizio - a rinunciare a quest'ultima. Altri ritengono che 'innestare la riforma politica su quella economica sia una 'scelta strategica di grande acume politico', ma egli non concorda nemmeno con questa opinione. La sua critica non appare dunque più soltanto come espressione di 'una corrente' all'interno della scena politica cinese.

In seguito alla pubblicazione di questi articoli si sono moltiplicati gli appelli alla riforma del sistema politico. Sul numero di gennaio della rivista Riforme, Li Ding scrive che i poteri del governo sono diventati l'ostacolo principale alle riforme, e che se non si procede immediatamente ad una profonda ristrutturazione dell'apparato di governo, esse rischiano di fallire.

Anche Li Shenzhi, uno studioso ben noto ai circoli teorici, è entrato nel dibattito con un intervento pubblicato sul numero 1 del '98 della rivista Riforme, in cui afferma senza mezzi termini che gli intellettuali sono assetati di libertà d'espressione. Rileva inoltre che, pur essendo stata avviata contemporaneamente alla riforma economica, quella politica ha seguito un andamento oscillante e infine si è arenata. Li Shenzhi osserva che, poiché anche la risoluzione del XV Congresso del Partito ha invitato a "proseguire l'opera di promozione della riforma politica", bisogna accelerarne i tempi senza indugio. L’appello del Congresso a "governare il Paese secondo la legge" è una formulazione totalmente nuova. In questo contesto il concetto di "governo della legge" è nettamente distinto da quello di "sistema legale" usato in passato. Il precursore del ricorso ad un "corpus di leggi" per governare il Paese era stato il Primo imperatore della dinastia Qin, mentre al contrario "governo della legge" significa oggi che nessun individuo è al di sopra o al di fuori della legge. Lo studioso ha poi ammonito che nell'attuale processo verso la globalizzazione, se la Cina non realizzerà la riforma politica provocherà inevitabilmente sentimenti di paura e rifiuto nel resto del mondo. Il saggio di Li Shenzhi verrà ripreso dal Giornale dell'economia.

Il 15 febbraio, Dong Fureng, nuovamente intervistato dal Giornale dell'economia invoca la democratizzazione politica. Rileva che l'economia pianificata si adatta al "governo dell'uomo", in quanto le risorse della società vengono distribuite dal governo e pertanto la volontà del funzionario preposto ha valore vincolante, sostituisce e trascende la legge. La democrazia invece è una necessità inevitabile dell'economia di mercato. Dong Fureng afferma poi che, per la realizzazione di un sistema democratico, occorre in primo luogo perfezionare il sistema rappresentativo delle assemblee popolari, affinché esse adempiano effettivamente al ruolo di massimo organo legislativo e svolgano nella pratica i compiti di elaborazione e approvazione delle leggi e di controllo dell'apparato di governo previsti dalla Costituzione. In secondo luogo occorre potenziare la funzione di controllo dell'operato del governo da parte dell'opinione pubblica, valorizzando il ruolo dei mass media.

La maggior parte delle opinioni menzionate si colloca nel solco delle indicazioni emerse dal Congresso, ma presenta anche caratteristiche ben distinte, poiché il tema del Congresso era stato la riforma economica e l'accenno alla riforma politica si era limitato a frasi di circostanza.

Chi poteva prevedere che in meno di sei mesi la situazione sarebbe cambiata fino a questo punto? Esistono realmente tali profonde divergenze? E ci sono tante altre opinioni che aspettano solo il momento giusto per essere espresse pubblicamente? Oppure tutto ciò fa' semplicemente parte di un 'piano prestabilito' finalizzato a determinati obiettivi? O forse in questi mesi si sono verificati eventi che hanno modificato realmente la situazione? A tale proposito, il volume in questione fornisce alcune indicazioni. A partire dall'ottobre 1997 l'economia cinese è entrata in una fase di ristagno e sovrapproduzione, dominata da licenziamenti in massa e da difficoltà del mercato immobiliare e della borsa. E molte persone hanno cominciato a percepire qualcosa di diverso.

Veniamo ora alla seconda parte del volume, nella quale si individuano gli obiettivi e le aspettative degli autori nei confronti della ristrutturazione del governo o della riforma politica. Intitolata "La creazione di un nuovo governo", è costituita da saggi ed interviste. Nel quinto capitolo, "Opinioni di noti studiosi e specialisti sulla riforma delle istituzioni", Wang Shan [autore di un saggio assai noto, La Cina vista attraverso il terzo occhio, Pechino 1995, dove, celandosi sotto uno pseudonimo occidentale, traccia un impietoso ritratto della Cina attuale] afferma in primo luogo che la Cina continentale è già entrata in una fase di depressione economica. A metà '97, a causa del mercato fiacco, della diminuzione dei capitali in circolazione e dell'aumento vertiginoso della quantità di merci invendute, la sottoutilizzazione delle capacità produttive dell'industria aveva già superato l'80%. I debiti tra le imprese hanno raggiunto la cifra record di 1.100 miliardi di yuan, circa tre volte superiore a quella di due anni fa', a conclusione del programma di austerità. Ancora più deprimente, scrive Wang Shan, è il fatto che, a venti anni dall'inizio delle riforme, il rendimento produttivo delle imprese industriali statali continua a declinare costantemente. La percentuale di imprese statali che dovrebbe chiudere i battenti ha superato il 50%. La politica del governo nei confronti delle imprese statali vi ha fatto riversare le energie della nazione e i risparmi dei singoli, provocando un inutile spreco. Tremila miliardi di yuan raccolti tra la popolazione sono stati iniettati dal governo nelle imprese statali e non rientreranno mai più nelle casse dello stato. In che modo si potrà far fronte alla situazione, quando la gente chiederà di riavere indietro i propri soldi? Stimolare il mercato immobiliare non è che una iniezione di 'cardiotonico'. Passato l'effetto, in che condizioni sarà il paziente? L’attuale crisi economica e il ristagno della riforma politica non sono che la logica conseguenza della politica sociale condotta negli ultimi venti anni e illustrano bene la caratteristica dell'era 'denghiana'. Occorre quindi effettuare un esame critico della storia. Secondo Wang Shan, a partire dal 1998 la riforma politica diventerà una breccia nella riforma della società. Predice infine che per un lungo periodo avranno luogo disordini e agitazioni sociali spontanee. La capacità del governo di far fronte alla situazione sarà comunque superiore a quella dimostrata all'epoca di Deng Xiaoping. Le parti in lotta si affronteranno con un comportamento politico responsabile e con uno spirito di compromesso, che farà compiere progressi alla società e aiuterà a superare i momenti difficili.

Il Direttore dell'Istituto privato di Ricerca Economica 'Tianze’ , Mao Yushi, arriva a scrivere che tra le competenze del governo non deve rientrare lo sviluppo dell'economia, che spetta invece ai singoli individui, i quali devono investire in prima persona. Una cosa di cui bisogna rallegrarsi in venti anni di riforme, sostiene Mao Yushi, è che finalmente il governo cinese ha compreso che è meglio non intervenire direttamente nella gestione delle aziende. Sottolinea inoltre che dal punto di vista politico l'attuale riforma delle strutture presenta il rischio maggiore per il governo, che potrà uscirne vincitore o sconfitto. Egli solleva infine anche la questione dei diritti umani in Cina.

L'economista Fan Gang ritiene giunto il momento di analizzare la natura e le competenze del governo in un'economia di mercato. A suo avviso esso non deve più gestire le imprese. In passato il governo aveva una presenza pervasiva che spaziava dalla proprietà dei capitali, alla direzione della produzione, alla distribuzione delle merci ecc., ma lasciava molto a desiderare quanto a salvaguardia della proprietà privata.

Il saggio di Li Jingpeng, ordinario di scienze politiche dell'Università di Pechino, rappresenta invece l'opinione di uno studioso esterno agli organismi governativi. Egli osserva che l'attuale riforma istituzionale non può essere scambiata per una riforma del sistema politico dato che non affronta la questione centrale della separazione tra partito e governo. Se esiste un legame tra le due, esso si situa al livello più basso. Per quanto concerne poi l'avvento della democrazia in Cina, lo studioso afferma che il cammino è ancora molto lungo e che le forze che potrebbero costituirne le fondamenta sono ancora in embrione. Conclude poi osservando che, pur significative, le elezioni dirette nelle zone rurali dovrebbero essere tenute gradualmente anche nei centri urbani per avere maggiore rilievo.

Xie Qingkui, un altro professore di scienze politiche dell'Università di Pechino, concorda su molti punti con Li Jingpeng. Egli ritiene tuttavia che per riformare il sistema politico non sia indispensabile procedere in primo luogo alla separazione tra partito e governo e tra governo e imprese. A suo giudizio si possono adottare misure altrettanto importanti quali stabilire per legge i reali poteri del parlamento, i rapporti tra governo, partito e parlamento, varare leggi a tutela della proprietà privata, ed esaminare se è possibile estendere le elezioni dirette dei Comitati di villaggio ai due livelli amministrativi superiori (circoscrizione e distretto).

Il prof. Du Gangjian, della Scuola nazionale per la Pubblica Amministrazione, scrive che la mancata separazione tra partito e stato e tra partito e governo è uno dei problemi centrali della Cina di questi anni. Di pari passo con il potenziamento del processo di regolamentazione legislativa, è necessario al contempo restituire i poteri allo stato, al governo e al popolo. Secondo Du Gangjian è necessario modificare le modalità di esercizio del potere da parte del partito e renderle conformi alle esigenze di uno stato di diritto. È necessario varare una Legge sui partiti politici e stabilire che il partito al potere non deve monopolizzare i funzionari fino all'ultimo grado della pubblica amministrazione. Si tratta di questioni intrinseche alla riforma delle istituzioni, osserva Du Gangjian, e ricorda che Deng Xiaoping aveva indicato in passato tre provvedimenti principali finalizzati alla riforma del sistema politico: separazione tra partito e governo, graduale delega dei poteri, snellimento dell'apparato di governo. Quest'ultimo, appena varato, è di più facile attuazione rispetto agli altri due, accortamente elusi. Du Gangjian fa quindi notare che se si desidera procedere alla riforma del sistema politico, occorre attuare seriamente quanto propugnato da Deng Xiaoping. Senza la separazione tra partito e governo, la riforma riveste scarsa rilevanza. Du Gangjian suggerisce infine la creazione di una Corte Costituzionale, e chiede che i partiti politici, gli organismi legislativi e l'apparato della pubblica amministrazione siano vincolati dalla Costituzione.

Il prof. Zhang Chengfu, della Scuola di Pubblica Amministrazione dell'Università del Popolo di Pechino, afferma che la riforma dell'amministrazione costituisce di per sé un rinnovamento del sistema di governo. A suo giudizio occorre comunque elaborare una nuova teoria per una Pubblica Amministrazione democratica che prenda il posto di quella tradizionale autoritaria, e partendo da questa procedere ad un riesame delle competenze complessive del governo. Per Zhang Chengfu è una questione cruciale che il governo scelga di fare o meno determinate cose, dato che esso, come affermò lo stesso Deng Xiaoping, gestisce una eccessiva mole di affari, che non riesce e non sa gestire. Al contempo è altrettanto importante comprendere i meccanismi di funzionamento del governo, perché tale riforma assume grande rilevanza nel quadro generale delle riforme. Per questo, osserva il prof. Zhang, bisogna stabilire nuovi principi per la pubblica amministrazione, liberare le forze sociali, dar vita a estesi rapporti di cooperazione finalizzati allo sviluppo del paese. La riforma dei rapporti tra governo e imprese riveste un grande significato sia per l'economia che per l'amministrazione, poiché la questione centrale è la riorganizzazione della strategia nei confronti dell'economia statale. Le imprese statali dovrebbero ritirarsi dai settori produttivi competitivi e impegnarsi essenzialmente nelle infrastrutture di base e in determinati altri settori. A tal fine occorre imprimere un impulso al processo di trasformazione delle imprese statali. Ciò renderà inutile la permanenza di organismi di governo che al presente sono preposti principalmente a dirigere unità produttive. Zhang Chengfu afferma inoltre che un governo i cui poteri non sono soggetti a limitazioni è la forza più potente e più priva di scrupoli che possa agire nella società. Ne consegue quindi che la creazione di un governo fondato sulla legge, per cui "i governanti per primi sono soggetti alla legge" costituisce una scelta strategica della riforma della pubblica amministrazione. Secondo il prof. Zhang, il maggiore ostacolo alla riforma del governo sono gli stessi organismi del governo. La riforma dell'amministrazione è una rivoluzione intrapresa dallo stesso governo. Questo deve all'occorrenza sfoggiare coraggio e spirito rivoluzionario, altrimenti essa fallirà a metà cammino.

Shen Hong, dell'Istituto di Ricerca Economica 'Tianze' di Pechino, afferma di non credere che una riforma così ampia possa non incontrare ostacoli sul suo cammino. A suo avviso, la riforma deve procedere per gradi e senza grande pubblicità.

Di particolare interesse è la lettura del settimo capitolo, "Reazioni dei funzionari governativi", nel quale il curatore ha raccolto le opinioni e i suggerimenti di alcuni alti funzionari dei governi locali.

A titolo di esempio, le riflessioni del Governatore della provincia del Jilin, Wang Yunkun, il quale scrive che l'economia di mercato non può essere interpretata come economia di mercato del governo, dei funzionari e del potere. Occorre vigilare contro la formazione del capitale burocratico, e la riforma deve dare soluzione a questi problemi procedendo allo scorporo delle competenze di governo e imprese, che conduce alla separazione tra partito e imprese, inclusa l'ovvia conseguenza che il partito non deve immischiarsi negli affari delle imprese. Da cosa si misurerà il successo della presente riforma delle strutture? Lo snellimento dell'apparato di governo è solo un aspetto, il punto cruciale consiste in una netta delimitazione delle competenze.

Il Vice governatore della provincia dello Shaanxi, Gong Deshun, osserva che il fatto che la riforma muova dall'alto verso il basso giova al suo progresso, poiché i fatti hanno dimostrato che la riforma che parte dagli enti locali non garantisce risultati.

Rispetto alle precedenti, questa riforma è più radicale, anche se non si può dire che una volta giunta a conclusione le istituzioni saranno interamente modellate secondo le esigenze di una economia di mercato, dato che essa possiede ancora un carattere di transitorietà. Gong Deshun si augura che tale fase di transizione possa essere il più breve possibile.

Il governatore dell'Anhui, Wang Yang, si domanda se, dal momento che le imprese e i funzionari sono stati sempre sotto il controllo del partito, con la creazione di un sistema di impresa moderna, la situazione in questo campo non sia destinata a mutare. Una ragionevole demarcazione delle competenze del governo deve fondarsi sul principio della separazione tra partito e amministrazione, tra amministrazione e impresa. Egli scrive inoltre che la riforma delle strutture è correlata a quella del sistema politico ed economico e alla riforma degli organici della pubblica amministrazione. Ora risulta chiaro a tutti, dice Wang Yang, che questa è la tendenza generale, prima o poi tutto dovrà cambiare. Se la riforma delle strutture del governo continua ad essere rimandata, le imprese statali si sfasceranno e verrà così a mancare la base economica per il sostentamento della pubblica amministrazione.

Il governatore del Guangdong, Lu Ruihua, scrive che circa la metà delle entrate delle finanze dello stato viene spesa per mantenere i funzionari. È quindi inutile ricorrere a frasi ad effetto. Sono sufficienti questi dati per realizzare che la riforma è improrogabile. Anche il governatore dello Yunnan, Li Jiating, e il governatore dello Hebei, Ye Liansong, esprimono pareri analoghi.

Sembra infine che nel corso dei lavori dell'Assemblea Nazionale del Popolo, numerosi deputati abbiano espresso la convinzione che questo processo di riforma comporti una "autoesautorazione " da parte dello stesso governo e che per il significato che esso riveste si tratti di una vera e propria "rivoluzione".

In conclusione, il dibattito, di cui è testimonianza il volume La settima rivoluzione, sembra aver preso le mosse dal XV Congresso del Partito comunista cinese. I lettori non avranno tuttavia difficoltà a notare che esso ha superato di gran lunga le proposte presentate al Congresso e in Parlamento.

Confrontando, da una parte, le opinioni che sostengono che "il governo non deve gestire le imprese" e i provvedimenti che vedono la soluzione del problema nella trasformazione delle aziende statali in società per azioni, e dall'altra gli interventi che invocano la riforma politica e la "riforma delle strutture di governo" appena varata dal Parlamento, il divario appare evidente. Raramente si è assistito in questi ultimi anni ad un dibattito così aperto.

Quali potrebbero essere le ragioni? In quale direzione sta andando la Cina del 1998? Quali nuovi provvedimenti ci attendono? Le opinioni presentate nel libro sono "suggerimenti" ispirati "dall'alto", oppure semplicemente il frutto delle elucubrazioni di qualcuno?
Si tratta di analisi fondate oppure di affermazioni dettate da secondi fini? Sono interrogativi che in questo momento si stanno ponendo in molti, ma che a me non paiono poi cosi importanti.

La Cina sta infatti attraversando una fase storica caratterizzata da svolte gigantesche, ed è arrivata ad un "punto decisivo", che richiede un enorme impegno e grandi trasformazioni, in particolar modo in campo politico (altrimenti non si sarà nemmeno in grado di fronteggiare i problemi derivanti dai licenziamenti). Tali trasformazioni non dipenderanno tuttavia dalla volontà dei singoli. Non ha quindi alcuna importanza che si resti in "attesa immobile" o che si "faccia clamore". Comunque sia è certo che la Cina non è entrata nella cosiddetta "epoca brezhneviana".

Vorrei citare a questo proposito uno spettacolo teatrale in scena in questi giorni a Pechino (aprile 1998), intitolato "Tre sorelle, aspettando Godot”. L'intero spettacolo ruota intorno alla 'attesa' (non importa che sia un'attesa priva di speranza) e ho sentito dire che ha avuto grande successo di pubblico. Il motivo è che tutti i cinesi sono in attesa.

Ma cosa stanno dunque 'aspettando’? Il 1998 (o l'anno prossimo, il 1999) sarà come il 1976 o come il 1989 per la Cina? Se lo si dovesse chiedere ai cinesi, temo che ora come ora la maggioranza risponderebbe che siamo nel 1976...
Al di là di tutto, questo libro dimostra che i cinesi non stanno affatto in 'attesa immobile'. Ed è questa la cosa che a me preme sottolineare, e il motivo principale che mi ha spinto a sottoporre alla vostra attenzione il libro La settima rivoluzione.

(Traduzione dal cinese di Mirella Fratamico)

MONDO CINESE N. 98, MAGGIO-AGOSTO 1994

 

CENTRORIENTE - P. IVA 07908170017
Copyright Centroriente 1999-2024