Le rovinose inondazioni che hanno imperversato sulla Cina continentale nella passata estate, esigendo un pesante tributo di vite umane (più di tremila secondo le ultime conferme ufficiali, ma più di diecimila secondo fonti non confermate), e provocando ingenti danni per la produzione (21 milioni di ettari di terra sommersi, e danni per circa 20 miliardi di dollari, secondo il portavoce dell'Ufficio Informazione del Consiglio di Stato), hanno anche costituito il drammatico banco di prova sul quale tutto il Paese ha avuto modo di sperimentare la propria compattezza. Innanzitutto come sterminato terreno "di battaglia e di eroismo" in cui si sono prodigati - con amplissimo risalto mediatico - più di duecentosettantamila soldati, che hanno contribuito in maniera precisa a ricostruire un'immagine dell'Esercito Popolare di Liberazione, strettamente unito alla popolazione dei senzatetto, e tornato nuovamente ad incarnare gli eroici ideali "di abnegazione e di lotta" della tradizione rivoluzionaria. E ciò ha messo in secondo piano le pesantissime critiche che proprio lo scorso luglio lo stesso Presidente Jiang Zemin aveva rivolto nei confronti delle numerose oscure attività lucrative a cui i vari corpi militari sembrava fossero prevalentemente dedicati. Un esercito che torna così ad essere veramente "popolare", in un momento in cui la violenza delle acque si abbatte tanto nelle fertili regioni centrali come nel cuore pulsante della zona petrolifera del Nordest, arrivando persino a sommergere buona parte dei pozzi di Daqing. E la solidarietà popolare non è certo venuta a mancare: messi temporaneamente da parte i pur gravi problemi che la ristrutturazione economica comporta, dovunque sono fiorite iniziative di ogni genere in appoggio alle popolazioni disastrate (si calcola che le inondazioni abbiano in qualche modo toccato circa un quarto degli abitanti del Paese).
E anche "in alto", ai vertici del potere, questi drammatici eventi sembrano aver sostanziosamente contribuito a consolidare la coesione all'interno della nuova leadership che - a più di un anno dalla scomparsa di Deng Xiaoping - appare ormai rodata a superare anche le più difficili prove imposte sia dai capricci della natura, sia dalle sconsiderate esigenze di uno sviluppo forzato. Questi ultimi, drammatici eventi sono così diventati un utile strumento per rafforzare e rinsaldare legami e relazioni all'interno di un tessuto politico che in questo momento non può non presentarsi più che saldamente stretto intorno al suo "centro", il Presidente Jiang Zemin, figura che in questi ultimi mesi sembra sempre più emergere al di sopra del gruppo dirigente di recente rinnovato, mediante un processo di "svecchiamento" che aveva già preso le mosse dal XV Congresso del Pcc (settembre 1997). Mandati in pensione grandi esponenti della nomenklatura come Qiao Shi, e vecchi generali del calibro di Liu Huaqing, il nuovo governo che nello scorso marzo è stato varato dalla IX Assemblea Nazionale del Popolo con la consueta, quasi unanime maggioranza, conta ormai su un manipolo di tecnici (in maggioranza ingegneri) raccolti intorno al nuovo Premier Zhu Rongji, figura di sicuro spicco quanto a competenza professionale e a personalità politica. Egli, appena eletto, non solo si era immediatamente conquistato la simpatia dei corrispondenti stranieri a Pechino in una memorabile conferenza stampa condotta con il sicuro piglio dell'intrattenitore più consumato, ma subito dopo, in un rapido viaggio in Gran Bretagna e Francia, ha raccolto consensi e simpatie dialogando sapientemente con i suoi omologhi europei. Consensi e simpatie che sono stati espressi non solo nei confronti della persona del nuovo Premier cinese, ma anche delle istanze di rinnovamento che egli oggi vuole rappresentare.
E infatti il nuovo esecutivo si è posto una serie di obiettivi nuovi, ambiziosi e di difficile realizzazione, che vanno dal risanamento e la riforma delle imprese di stato, ad una radicale trasformazione del sistema finanziario, alla drastica riduzione dell'elefantiaco apparato della burocrazia, per arrivare fino a prefigurare nuove aperture verso una riforma politica, pur senza voler rinnegare, almeno nelle affermazioni programmatiche, la tradizione dei padri del socialismo - non si parla ancora ufficialmente di riforma "politica" (zhengzhi) ma di riforma del "sistema" (zhidu).
Necessario corollario a tutto questo è stata l'intensa attività diplomatica che ormai da tempo la Cina sta conducendo, e che dopo la nomina di Tang Jiaxuan a nuovo Ministro degli Esteri (in sostituzione dell'apprezzatissimo Qian Qichen, che rimane nel Governo come uno dei Vice Premier con la supervisione per gli affari esteri) ha toccato in questi ultimi mesi ulteriori, significative tappe. In particolare, per quanto riguarda il nostro Paese, va registrata la visita ufficiale in Cina del Presidente della Repubblica, Scalfaro.
Da tempo prevista nell'agenda del cerimoniale (avrebbe dovuto tenersi nel quadro delle iniziative della grande rassegna "Italia in Cina" svoltasi a Pechino nel novembre 1997, ed era poi stata posposta allo scorso febbraio, quando era stata improvvisamente cancellata per una forte indisposizione del nostro Presidente) la visita ha costituito un ulteriore importante momento per approfondire e migliorare le relazioni bilaterali, segnalando in maniera significativa la nuova attenzione che, anche a livello istituzionale, il nostro Paese vuole prestare nei confronti della Cina. Era infatti stata preceduta, e in un certo senso preparata, dalle visite del Ministro degli Esteri, Dini, del Commercio estero, Fantozzi, e da quella del Presidente del Consiglio, Prodi, nel giugno del '97. Il nostro Presidente ha così avuto modo di incontrare tutti i rappresentanti delle più alte cariche istituzionali cinesi, in un'atmosfera di estrema cordialità e franchezza, riuscendo persino in varie occasioni a modificare il rigido protocollo cinese: appena arrivato, si è fatto condurre sulla piazza Tian’anmen dove, evento senza precedenti per un Capo di stato straniero, ha potuto compiere una breve passeggiata accompagnato dai giornalisti italiani al seguito. Il giorno successivo, in un incontro con Jiang Zemin durato ottanta minuti invece dei trenta previsti, ha posto direttamente sul tappeto il delicato problema dei diritti umani. Tutto questo ha decisamente orientato la visita nei modi di un sereno dialogo a tutto campo, consolidando l'atmosfera di efficace cooperazione che ormai da tempo caratterizza i rapporti bilaterali, e in un certo senso aprendo la strada verso ulteriori, sostanziose aperture nella politica estera cinese.
Due settimane dopo, il 25 giugno atterrava a Xi'an il Presiedente americano Clinton per una lunga visita (9 giorni), apice di una serie di incontri ai diversi livelli, e restituzione della visita di Jiang Zemin in America, nell'ottobre dell'anno scorso. Al di là della firma di importanti accordi economici (sette megacontratti per un ammontare di circa due miliardi di dollari) tra i risultati positivi che la parte cinese può senza dubbio affermare di aver raccolto è stato innanzitutto l'avere ufficialmente messo fine alla fase di ostilità e di sfiducia da parte americana, che risaliva ai drammatici fatti del giugno dell' '89. Ormai tramontata l'epoca del "confronto" antagonistico, viene ormai chiaramente proposto un più costruttivo "impegno" rispetto ai molti temi di interesse comune, sia sul piano militare (si lavora per una partnership strategica per l'impegno nell'area), sia su quello economico-finanziario (maggiore concertazione quanto a politica monetaria, soprattutto nei confronti della imperversante crisi asiatica), sia per collaborazioni e scambi su più vasti campi (cooperazione sul piano accademico, giuridico, culturale ecc.).
Questo nuovo clima di dialogo passa innanzitutto attraverso il riconoscimento ufficiale da parte americana del nuovo gruppo dirigente cinese: ormai messi da parte i dubbi e le incertezze sulla tenuta della leadership cinese alla scomparsa di Deng Xiaoping, Clinton ha incontrato tutti i più alti rappresentanti dello stato e del partito comunista (al ricevimento in suo onore era schierato, al completo, tutto il Comitato Permanente del Politburo) e ha dialogato con Jiang Zemin in modo esauriente e articolato, toccando anche temi delicati come i diritti umani, la libertà religiosa, il Tibet e i rapporti con il Dalai Lama.
Nel corso della visita non sono mancati gli imprevisti di diverso segno. Proprio mentre Clinton atterrava a Xi'an, le agenzie davano la notizia dell'arresto di alcuni dissidenti cinesi, e questo scatenava i commenti e le elucubrazioni dei più di mille giornalisti al seguito sul possibile insuccesso di tutta questa grandiosa operazione. Ma mentre la visita andava svolgendosi secondo i ritmi del ferreo cerimoniale cinese, si cominciava a intravedere in modo sempre più chiaro quello che poi si è rivelato come il dato più significativo di tutto il viaggio: al di là delle frasi di rito e delle consuete procedure del protocollo, emergeva una grande disponibilità da entrambe le parti di mostrare il proprio lato migliore e di cercare realmente di capirsi di più. Volontà da parte americana di vedere i cambiamenti effettivamente verificatisi in questi anni in Cina, al di là dei vecchi stereotipi, e un nuovo atteggiamento meno austero e impenetrabile da parte cinese nei confronti di un ospite, a lungo considerato dapprima con ostilità, poi con cauta diffidenza. Tutto ciò è culminato con la decisione da parte cinese - vero colpo di scena - di trasmettere, per la prima volta in diretta televisiva, la conferenza stampa congiunta dei due Presidenti, vero e proprio evento mediatico che ha colto di sorpresa tanto i telespettatori cinesi, ai quali nulla era stato preannunciato, che gli osservatori stranieri. I cinesi hanno così per la prima volta potuto sentire Clinton che in diretta parlava di diritti umani, dei rapporti col Dalai Lama e del Tibet, argomenti mai affrontati ufficialmente in televisione dai dirigenti cinesi. Il giorno dopo, con altrettanto successo, è andata in onda la prolusione di Clinton all'Università di Pechino con le domande degli studenti cinesi. Infine, terzo evento "in diretta", il Presidente americano ha, dopo qualche giorno, dialogato a lungo con gli ascoltatori di una emittente radio di Shanghai.
Tali scelte, che sembra siano riconducibili a Jiang Zemin in persona, costituiscono per un Paese in cui l'informazione è tuttora controllata in maniera precisa dal potere politico, una sorta di terremoto mediatico, che dà il segno di quanto oggi una buona parte della dirigenza cinese abbia tutte le intenzioni di avvicinarsi sempre più, pur se a piccoli passi, agli standard mondiali.
Gioverà, concludendo, registrare altri due più recenti "segnali" in tal senso: la decisione, ribadita dal Presidente Jiang Zemin al Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Signora Mary Robinson, durante la sua visita in Cina (settembre 1998) di firmare entro il mese di ottobre il Trattato internazionale sui Diritti politici e civili (il Trattato è stato firmato il 6 ottobre scorso ed è ora in attesa della necessaria ratifica del Parlamento), o ancora, sul piano economico finanziario, la fermezza con la quale il governo cinese ha fino ad oggi sostenuto l'impegno a non svalutare lo yuan, impedendo in tal modo un rovinoso effetto a catena sui mercati mondiali. Sono stati proprio i galloni che la Cina si è conquistati sul campo della perdurante crisi asiatica, come indispensabile elemento di stabilizzazione in ambito monetario mondiale, ad aver contribuito nella maniera più decisa alla costruzione di un'immagine della Cina quale paese che vuole contare di più sul piano internazionale, non soltanto come un enorme mercato, ma anche come figura politica seriamente intenzionata a collaborare attivamente al futuro della scena mondiale.
MONDO CINESE N. 98, MAGGIO-AGOSTO
1994