Nelle note che seguono si vogliono mettere in luce alcuni episodi della storia del Tibet tradizionale dai quali emerge l'importanza del fattore religioso nella prassi politica.
L'intreccio religione e politica poggiava su salde basi ideologiche che si erano formate essenzialmente con la conversione al Buddhismo e che furono in grado di garantire una certa continuità ideale nello sviluppo della società tibetana, ben visibile nella maniera in cui le attività religiose e quelle profane si combinavano nello stile di vita del popolo tibetano.
L'ideale ispiratore era un universale che troviamo espresso in molte civiltà del mondo antico: "... soltanto nella misura in cui la società era coordinata all'ordine divino... essa aveva diritto di esistere e di essere considerata una espressione di vita civilizzata.”1
Il Tibet entra nella storia dopo l'unificazione di piccoli principati o clan ad opera della dinastia di Yar lung. Nel lungo periodo della Monarchia (6°-9° secolo) divenne una potenza panasiatica combattendo vittoriosamente contro cinesi e arabi, conquistando gran parte dell'attuale Xinjiang e il gran regno di Zhang zhung arrivando a penetrare nell'India del Nord2 .
Di questo periodo noteremo, come fatto importante, che conclusa la fase espansionistica, il Tibet si ritrova nei confini naturali o geografici che mantenne poi da un punto di vista politico ed etnografico, quasi inalterati, per un lungo periodo della sua storia3 .
Penetrato in Tibet fin da questa epoca monarchica, come fa storicamente fede l'editto sulla stele di bSam yas4 , il Buddhismo permea e informa dei propri concetti la cultura tibetana in modo così profondo che sarebbe difficile comprendere l'arte, la religione, la storia, la filosofia, la stessa visione del mondo dei Tibetani, senza l'ausilio della dottrina buddhista5 .
Il periodo susseguente la caduta della monarchia vide lentamente consolidare e poi crescere il numero e l'influenza dei grandi monasteri e quindi del clero. Il tipo di società che emerse dalla cosiddetta seconda diffusione del Buddhismo fu essenzialmente una società a carattere feudale in cui l'importanza assunta dal clero introdusse un elemento ierocratico che divenne dominante. Questa connotazione sociologica rimase nonostante tutte le travagliate vicende storiche praticamente immutata nel corso dei secoli.
Aristocrazia e clero furono le classi sociali che ebbero un effettivo ruolo nelle vicende del popolo tibetano6 .
Kun dga' rgyal mtshan (1182-1251), abate del monastero di Sa skya (fondato nel 1073), per impedire incursioni mongole concluse con Godano, figlio di Godei successore di Gengis Khan (1247) , un accordo secondo il quale il Tibet accettava l'alta sovranità mongola7 .
Si deve pensare che a quel tempo i capi delle varie scuole o sette del Buddhismo tibetano detenessero il reale potere in Tibet e che i Mongoli volendo penetrare nel paese trovassero utile avere nei capi religiosi un conveniente supporto locale. Sa skya pandita invia una specie di circolare al clero e all'aristocrazia del Tibet invitando coloro che la ricevevano a sottomettersi ai Mongoli e a pagare tributo piuttosto che tentare una resistenza senza speranza. Alla morte di Sa skya pandita, il nipote 'Phags pa Blo gros rgyal mtshan (1235-1280) , che era al suo seguito, fu inviato al campo di Qubilai. L’incontro tra il monaco tibetano e il qan mongolo fu sicuramente uno degli episodi fondamentali della storia politica del Tibet.
Nel 1271 Qubilai diede alla sua dinastia il nome di Yuan e, sconfiggendo nel 1279 i Song meridionali, riunificò la Cina e stabilì la capitale nell'odierna Pechino.
Il tipo di relazione che intercorse tra Qubilai e 'Phags pa fu di natura essenzialmente religiosa. Secondo le fonti tibetane 'Phags pa iniziò al Buddhismo Qubilai in tre occasioni e ne ricevette in cambio il dono dei tredici distretti o miriarchie del Tibet centrale, i tre distretti chiamati "chol kha gsum" oltre a doni preziosi e immunità e privilegi per il clero.
L’imperatore conferì a 'Phags pa i titoli di precettore di Stato e poi nel 1270 precettore imperiale o di
shi. Questo titolo dava a 'Phags pa una supremazia incontrastata sul clero buddhista ma aveva poco a che fare con il potere temporale. 'Phags pa poteva dare ordini in nome dell'Imperatore ma non come abate di Sa skya. Infatti gli affari amministrativi furono affidati ad un gabinetto chiamato "della pacificazione" che comprendeva cinque membri, uno dei quali era un amministratore del Sa skya dpon chen che i Tibetani continuavano a considerare il vero capo del paese.
Non c'è dubbio però che il Tibet si trovava in quel periodo sotto la sovranità mongola, anche se in una situazione del tutto particolare. La particolarità era data dal tipo di rapporto esistente tra Qubilai e 'Phags pa, che è indicato con il termine
mchod yon, che illustreremo più avanti, e dal fatto assai significativo che i Mongoli instaurarono un sistema di controllo sul Tibet senza ricorrere alla conquista militare.
Il significato che l'espressione mchod yon racchiude è di grande importanza per la storia politica dell'Asia8 .
Grammaticalmente è un composto copulativo formato da due parole mchod gnas-officiante cappellano e
yon bdag-donatore.
Non è facile ridurre il termine a nozioni europee e a renderlo nella corrente terminologia diplomatica.
L'ideologia sottesa ha le sue radici nel mondo culturale e religioso dell'India: nel contesto della società buddhista è un'idea antica che risale al danapati e al
bikshu, nella quale riaffiora la nozione del yajamana, di colui cioè che volendo fare un sacrificio dona agli officianti, a chi effettivamente compie il rito in sua vece, una remunerazione.
Il donatore o patrono è una figura molto importante nella struttura religioso-sociale del mondo buddhista che, a posteriori idealizzò in Ashoka, imperatore Maurya, la figura del
dharmaraja ovvero il Re della Legge.
Su tale concetto si basa anche il ruolo di patronaggio svolto dai re di Guge che fu fondamentale per la seconda diffusione del Buddhismo, o anche l'editto di Ye shes 'od, nel quale i principi della legge religiosa e di quella regale
(chos khrims rgyal khrims) si conformarono gli uni agli altri, stabilendo la priorità della sfera religiosa su quella secolare9 .
Il sbyin bdag o yon bdag è quindi un sovrano o un principe che fa doni ad un maestro o ad una comunità di monaci, mentre il
mchod gnas è il soggetto degno di rispetto e di onore che li riceve in cambio del dono della dottrina.
È da notare che mchod gnas si trova anche riferito ai Tre gioielli (tib.
dKon mchog gsum) e ai Bodhisattva.
Secondo una fonte tibetana, questo tipo di rapporto era anche materialmente evidenziato dal posto che occupavano pubblicamente nelle assemblee: durante gli incontri religiosi 'Phags pa sedeva al primo posto, mentre nel ricevere i principi tributari o i funzionari era Qubilai ad occupare il posto principale.
Negli anni seguenti il ritratto di 'Phags pa fu oggetto di venerazione e questo mostra come 'Phags pa fosse considerato una specie di santo protettore della dinastia mongola.
Un secondo momento significativo per la storia politica del Tibet riguarda il periodo immediatamente successivo.
Contro i Mongoli e quindi contro i Sa skya pa era sorto in seno all'aristocrazia un movimento di opposizione che culminò nel 1338 quando Byang chub rgyal mtshan della nobile famiglia rLangs, appoggiato dal monastero dei Phag mo gru pa, si ribellò ai Sa skya pa ed estese il suo dominio a tutto il Tibet centrale10 .
I mongoli non intervennero ed egli divenne di fatto il nuovo signore del Tibet.
Poiché la dinastia Yuan finì nel 1369, il Tibet divenne indipendente dai Mongoli anche prima dell'avvento della successiva dinastia Ming.
Gli Imperatori Ming non ordinarono mai un intervento militare in Tibet e si limitarono a concedere titoli cinesi alle personalità più importanti del clero tibetano11 .
Poi per molti anni, più di due secoli, il Tibet visse nel marasma di lotte fra i nobili delle varie regioni, famiglie contro famiglie, sette religiose contro sette religiose.
In questo contesto si rinnovò la relazione lama-patrono o mchod yon fra Altan Qan, capo dei mongoli Khalkha, e il terzo rGyal ba o abate di 'Bras spungs e successore di Tsong kha pa (1357-1419) fondatore della setta gialla.
Questo incontro fu un altro momento decisivo per la storia tibetana ma anche per quella mongola: per il Tibet determinò la base per il futuro predominio della setta gialla e per i mongoli la conversione al Lamaismo.
Possiamo sicuramente paragonare la relazione mchod-yon esistente tra Qubilai e 'Phags pa con quella stabilita tra bSod nams rgya mtsho (1543-1588) e Altan Qan che conferì l'appellativo mongolo di "Dalai" all'abate tibetano.
Il rinnovarsi di questo rapporto fu seguito da un avvenimento, che pur appartenendo alla sfera mistica, non poteva non avere significato politico.
Quando il terzo Dalai Lama morì in Mongolia, la sua rinascita fu riconosciuta in un nipote di Altan Qan, che divenne così il quarto Dalai Lama del Tibet12 .
Circa un secolo dopo, nel 1642, il quinto Dalai Lama ricevette da Gushri Qan, capo dei Mongoli Qoshot, tutto il Tibet centrale. Questa volta però la donazione era la conseguenza di una vera e propria conquista militare poiché il capo mongolo aveva combattuto in nome del Dalai Lama che lo aveva chiamato in suo aiuto contro la nobiltà di gTsang.
Tempo prima Cushri Qan si era recato in pellegrinaggio a Lhasa e aveva ricevuto dal Dalai Lama il titolo di "Re religioso che mantiene la dottrina". Il Dalai Lama aveva giustamente visto in lui un protettore fedele.
La posizione preminente nel buddhismo tibetano dei Dalai Lama e il loro potere temporale, da quel momento in poi, si devono proprio all'azione politica svolta da Ngag dbang blo bzang, chiamato anche il Grande Quinto (1617-1682).
Sebbene egli avesse soltanto il pieno controllo del potere religioso ed il potere civile e militare fosse appannaggio dei Qoshot, con il passare del tempo e attraverso la figura del sde srid o reggente, il Grande Quinto esercitò di fatto la sua influenza e la sua autorità negli affari di governo.
Questa relazione fra le due funzioni temporale e spirituale è sotteso all'ideale politico religioso dell'espressione tibetana
lugs gnyis ovvero dei due sistemi. Questo sistema duale, dove dharma e potere sono uniti, fu una teoria che avrà anche applicazione pratica nella struttura diarchica del governo tibetano, diviso fra i funzionari laici e quelli ecclesiastici, a capo del quale troviamo il Dalai Lama, che viene anche indicato con la seguente espressione:
"Bod mi'i chos srid gnyis kyi dbu 'khrid" che significa: "Guida dei due (sistemi) religioso e laico del popolo tibetano”.
Il termine chos srid gnyis o zung 'brel suggerisce una coordinazione della sfera religiosa e di quella politica con una delle due che predomina a seconda delle circostanze storiche, ma in cui è senza dubbio in teoria predominante quella religiosa dal momento che l'autorità riconosciuta suprema è quella del Dalai Lama.
Non si deve quindi dimenticare che la posizione di Gushri Qan fu quella di patrono-donatore nella relazione
mchod yon con il Grande Quinto e che era in virtù della stessa fede buddhista che quella relazione esisteva.
Si può quindi forse osservare che nella civiltà tibetana, sebbene il punto di partenza per una relazione di tal natura possa sembrare personale piuttosto che istituzionale, questo tipo di relazione si istituzionalizza di fatto nel corso della storia assumendo un evidente significato politico, sia che nella posizione di
yon bdag si trovi un mongolo o un cinese, e che nella posizione di mchod gnas o lama ci sia un Sa skya pa, un Karmapa o un Dalai Lama.
Un tal tipo di relazione è sconosciuto alla esperienza politica occidentale.
Possiamo soltanto, molto a grandi linee, metterlo in rapporto con il concetto della dualità del potere temporale e dell'autorità spirituale.
La donazione inaugurò quella forma di governo che non è improprio chiamare teocrazia dal momento che con la riforma di Tsong kha pa (1357-1419) era stata introdotta la dottrina della reincarnazione e il reincarnato o
sprul sku può essere considerato come una specie di divinità in forma umana.
Con il passare del tempo i legami tra i successori di Gushri Qan e il Tibet si allentarono e verso la fine della sua vita il Grande Quinto era sovrano del Tibet non soltanto de iure ma anche de facto.
Ma non molto dopo la morte del Grande Quinto, il Tibet fu travolto da profonde crisi interne e i Mancesi, all'apogeo della loro potenza, ebbero modo di predisporre un loro controllo sul Tibet.
Questo avvenne come conseguenza di ben noti avvenimenti, quali la caduta di Lha bzang dei Qoshot, l'invasione degli Dzungari e l'avvento al potere di Pho lha nas. Ma fu soprattutto la rivolta anticinese di 'Gyur med rnam rgyal, figlio e successore di Pho lha nas a richiedere una più organizzata presenza cinese che secondo le direttive imperiali riconobbe nel Dalai Lama il capo nominale spirituale e temporale del Tibet, autorizzandolo ufficialmente ad occuparsi degli affari di governo13 .
Seguirono varie riforme dalle quali scaturi l'assetto finale del governo tibetano che rimase tale fino al 191214 .
Le più importanti, oltre il ristabilire effettivamente la teocrazia, furono l'istituzione del
bka' shag o consiglio dei ministri, composto da quattro bka' blon; l'abolizione della ereditarietà della carica che era stata di Pho lha nas, la supervisione degli affari interni da parte degli amban o residenti imperiali che furono sempre manciù e mai cinesi. Questo fatto è importante perché mostra che anche la nomina degli
amban fu forse vista nel contesto del ruolo di protezione mchod yon, da cui i Cinesi erano esclusi15 .
Il rapporto tra l'Imperatore della dinastia mancese dei Qing (1644-1911) e il Dalai Lama del Tibet è ancora indicato con il termine
mchod yon: leggiamo nei testi storici tibetani che, in qualità di protettore del Tibet, l'Imperatore, identificato con il Bodhisattva Manjusri, inviò il generale Fukangan a difendere il paese delle nevi dagli invasori Gorkha del Nepal, saccheggiatori di Tashilumpo. Così leggiamo in un passo della biografia dell'8° Dalai Lama: "In quel tempo per lo splendore della persona dell'Imperatore e del Dalai Lama
mchod yon ..... i capi e il popolo Gorkha fecero rispettosa richiesta di essere ammessi fra i sudditi dell'Imperatore”16 .
L'autorità mancese sul Tibet si formalizzò in quello che oggi viene definito come un protettorato, che secondo la legge internazionale è un rapporto consensuale che non determina la fusione di due governi ma solo il trasferimento di alcuni poteri da uno all'altro a guisa di delega17 .
Dopo la guerra dei Gorkha avvennero degli importanti cambiamenti: il potere degli
amban crebbe nuovamente e nella procedura di scelta del Dalai Lama la ratifica finale del nome sorteggiato tra quelli indicati dal clero e contenuti in una urna, spettava all'imperatore cinese.
Le riforme del 1793 volute dall'Imperatore Qianlong (1736-95) e conosciute come "I 102 punti delle Regole Imperiali”
(Qinding zhangcheng) avevano come scopo di garantire stabilità al governo del Dalai Lama e di proteggere il paese da aggressioni straniere.
L'autorità mancese sul Tibet dopo il 1793 cominciò però a declinare e durante le invasioni subite dal Tibet nel 1842 dal raja di Jammu e nel 1856 dal Nepal, l'Imperatore non intervenne.
Anche il potere degli amban, che dipendeva molto anche dalla efficienza delle persone, declinò comunque dopo la guerra dell'oppio 1839-1842 e cessò definitivamente con la caduta della dinastia Manciù nel 1912.
Con l'avvento del XIII Dalai Lama (1876-1933), la politica interna ed estera del Tibet cominciò lentamente a cambiare, sia per la decisa personalità del Dalai Lama, sia per l'evolversi delle vicende internazionali.
Ma proprio quando il Tibet aveva trovato un leader capace di riassumere nella sua persona e di tramandare efficacemente il doppio ruolo di capo religioso e politico, assicurando al suo popolo, che per tradizione nella religione trovava il senso della vita sociale, uno stabile rapporto tra presente e futuro, ecco irrompere nella storia del Tibet elementi estranei alla sua millenaria civiltà.
Tra le molte cause storiche che concorsero a determinare l'odierna situazione in Tibet, ci sentiamo di individuare tra quelle più importanti, come la vittoria del Partito Comunista Cinese e l'indipendenza dell'India dall'Inghilterra, anche quella dell'ottica particolare con cui i dignitari dei
dGe lugs pa e molti membri dell'aristocrazia erano da tempo abituati a considerare i rapporti con la Cina.
Il Tibet non ebbe il tempo di prepararsi all'impatto con ideologie e tecnologie moderne e fu travolto18 .
I referenti politici non erano più gli stessi e soprattutto erano cambiati i principi ispiratori dei nuovi interlocutori.
Religione e politica seguivano ora sentieri diversi.
L'affermazione più volta fatta dai governanti cinesi di aver liberato il popolo tibetano da un sistema feudale e arretrato perché basato sulla religione19 ci induce a ricordare un momento importante della nostra storia europea e a riflettere con l'ausilio delle parole del filosofo: "L'Illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l'obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all'insegna di trionfale sventura.”20
MONDO CINESE N. 98, MAGGIO-AGOSTO
1994
Note
1 Christopher Dawson, Religione e Cristianesimo nella Storia della
Civiltà, Edizioni Paoline, Roma 1984; (Titoli originali: Religion and Culture; Religion and the Rise of Western Culture; The Historic Reality of Christian
Culture).
2 Per la storia del periodo monarchico vedi V. A. Bogoslovskij,
Essai sur l'histoire du peuple tibétain, Paris 1972, (traduzione dal russo).
3 Sull'estensione geografica dell'altopiano tibetano vedi R. A. Stein,
La Civiltà tibetana, 2a edizione, Saggi Einaudi 694, pp. 3-8; e su quella politica ed etnografica vedi H. E. Richardson,
Tibet and its history, London 1962, pp. 1-4, e la cartina a p. 2. Gli autori tibetani nel chiamare il loro paese Bod yul distinguono anche le regioni principali che lo compongono. Nei testi storici, siano cronache o genealogie o storie di monasteri, viene detto che il territorio del Tibet è tradizionalmente costituito da:
stod mnga'ris bskor gsum, bar dbus gtsang ru bzhi, smad mdo khams sgang drug
ste, intendendo per queste regioni a) la vasta regione del Tibet occidentale; b) le province centrali; c) il Tibet orientale. Per un raffronto dei confini orientali sotto la dinastia Manciù si veda L. Petech, "Una carta cinese del secolo XVII", in
Annali dell'Istituto Orientale di Napoli, V, 1953, pp. 185-187.
4 H. Richardson, A Corpus of Early Tibetan
Inscriptions, London 1985, pp. 27-31.
5 Vedi le introduzioni di G. Tucci-W Heissig, Les religions du Tibet et de la
Mongolie, Paris 1973, e di D. Snellgrove, Indo Tibetan Buddhism. Indian Buddhists and their Tibetan
Successors, London 1987.
6 L. Petech, Central Tibet and the Mongols: the Yuan-Sa skya period of Tibetan
History, Rome 1990 (Serie Orientale Roma LXV).
7 L. Petech, "Religious Leader -'Phags pa
(1235-1280)", in In the Service of the Khan, Eminent Personalities of the Early Mongol-Yuan Period (1200-1300) edited by Igor de Rachewiltz, Hok-lam Chan Hsiao Ch'i-ch'ing and Peter W. Geier with the assistance of May Wang, Wiesbaden 1993, pp. 646-654.
8 D. Seyfort Ruegg, "mChod yon, yon mchod and mchod gnas / yon gnas: On the historiography and semantics of a tibetan religio-social and religio-political concep”, in
Tibetan History and Language-Studies dedicated to Uray Göza on his seventieth
birthday, edited by E. Steinkellner, Wien 1991, pp. 441-454.
9 S. Karmay, "'The ordinance of lHa bla ma Ye shes 'od", in
Tibetan studies in honour of H. Richardson, edited by M. Aris and Aung San Suu Kyi, Warminster 1980, D. E. Klimburg Salter, Reformation and Renaissance: a study of Indo-Tibetan monasteries in the eleventh
century, pp. 683-702; Roberto Vitali, The Kingdoms of Cu ge Pu hrang, according lo Mnga' ris rgyal rabs by Cu ge mkhan chen ngag dbang grags
pa, New Delhi 1996, p. 193.
10 G. Tucci, Tibetan Painted Scrolls, Roma 1949, I vol. p. 27; L. W J. Van der Kuijip, "On the life and political career of Ta'i Si Tu Byang chub rgyal mtshan (1302-?1364)", in
Tibetan History and Language, cit. pp. 277327.
11 T.V. Wylie, "Lama Tribute in the Ming Dynasty (1368-1643)", in
Tibetan Studies in honour of H. Richardson, cit., pp. 335-340.
12G. Tucci, op. cit. vedi nota 10, p. 49.
13 L. Petech, China and Tibet in the Early 18th
Century, Leiden 1972 (2nd. ed).
14 Vedi il capitolo introduttivo di L. Petech,
Aristocracy and Government in Tibet, 1728-1959, Roma 1973, (Serie Orientale Roma XL) pp. 3-21.
15 M. C. van Walt van Praag, The status of Tibet: history, rights and prospects in international
law, London 1987 (Wisdom publications) ; sugli Amban del periodo vedi J. Kolmash, "A Cronology of the Ambans in the Yongzheng and the Qianlong Period (1727-1795)", in
Tibetan Studies, Proceedings of the 5th Seminar of the International Association for Tibetan
Studies, Narita 1989, Naritasan Shinshoji 1992, 2° vol. pp. 541-558.
16 E. De Rossi Filibeck, "Testi Tibetani riguardanti i Gorkha", in
Memorie della classe di Scienze Storiche, Filosofiche e Filologiche dell'Accademia dei
Lincei, Roma 1977, pp. 1-55.
17 M. C. van Walt van Praag, op. cit. p. 102.
18 Vedi la storia di questo periodo in H. Richardson,
op. cit. e T. Shkabpa, Tibet, a Political History, New York 1984.
19 Vedi ad esempio i documenti: Information of the State Council of the PRC, Tibet-Its Ownership and Human Rights
Situation, 1992; International Campaign for Tibet, China's Public Relations Strategy on
Tibet, Washington 1993; e la replica in Tibet - Proving Truth from Facts, Department of Information and International Relations Central Tibetan Administration of H. H. the Dalai Lama, Dharamsala 1993; e recentemente "Campagna di pattriottismo: la Cina attacca il Dalai lama" di Attilio Gaudio in Avvenire 30/11/96.
20 M. Horkheimer-T. W. Adorno, Dialettica
dell'Illuminismo, Torino 1967, p. 11.
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