tuttocina tuttocina
Google Web https://www.tuttocina.it
INDICE>MONDO CINESE>L'INSEGNAMENTO DELL'ITALIANO IN CINA

RAPPORTI

L'insegnamento dell'italiano in Cina

di Clotilde Oneto

La situazione negli anni '40 e '50.

Nel 1949 insieme agli archivi delle nostre rappresentanze diplomatiche e consolari a Pechino, Shanghai e Nanchino erano andate in fumo le relazioni, e non solo quelle culturali, tra i due Paesi. Passeranno oltre venti anni prima che vengano riprese, nel 1971. E tuttavia i rapporti con l'Italia non furono mai del tutto interrotti. C'erano innanzi tutto i contatti e la possibilità di scambi tra i partiti “fratelli” Partito Comunista Italiano e Partito Comunista Cinese, grazie ai quali i primi cinesi poterono venire in Italia a studiare la lingua italiana e alcuni italiani di buona “volontà” e di provata fede poterono recarsi in Cina ben prima del 1971 e svolgere la funzione di lettori nelle università o di revisori per le traduzioni e per le attività editoriali in generale. C'erano poi i rapporti di affari, mai completamente sospesi, attraverso i cui canali passavano le transazioni commerciali ma non solo quelle.

A partire dai primi anni ’50 fino ai primi anní '60 si manifesta in Cina un certo interesse a formare del personale che conosca l'italiano. Quel che colpisce in questo periodo sono soprattutto due dati: l'esiguità del numero di questi primi pionieri della lingua italiana e una certa casualità nella scelta delle persone e nelle modalità della loro preparazione C'è anche un altro fatto che colpisce: la resistenza dell'Italia a riconoscere questo "bisogno di italiano" e le prospettive che questo poteva aprire. Dal febbraio 1956, quando Khruscev denunciò lo stalinismo e ancor più dal 1962, la Cina aveva preso le sue distanze dall'URSS come dai partiti fratelli dell'Occidente e guardava infatti altrove. La Francia, all'avanguardia in questo rispetto agli altri Paesi, aveva colto appieno l'importanza del momento. Mentre ancora nel 1967-68 le navi cinesi che attraccavano nei porti di Genova e di Marghera sembravano offrire ai giornalisti italiani solo l'occasione per scrivere pezzi di costume di tono ironico, già dal 1964 la Francia aveva riconosciuto la Repubblica Popolare e aperto subito la sua rappresentanza diplomatica, mandandovi come ambasciatore un ex-ministro della Pubblica Istruzione. Egli, come primo intervento culturale, aprì una scuola elementare destinata ai piccoli alunni della comunità di residenti e cooperanti francofoni. Qualche tempo dopo decine di studenti francesi, futuri sinologi, furono accolti in Cina e dalla Cina arrivarono ben 105 studenti destinati a diventare insegnanti di francese, che completarono la loro preparazione a Rennes o a Grenoble.

Certo, non si trattava solo di rapporti con la Francia: erano i paesi francofoni dell'Africa quelli a cui la Cina guardava. Ma poco importa. La Cina aveva bisogno del francese e i francesi glielo diedero.

La rinascita degli studi di italianistica

Le cose andarono diversamente per la lingua italiana, dal momento che, alleanze internazionali e schieramenti politici a parte, l'Italia prestava più attenzione ai Paesi del Mediterraneo e dell'America Latina che a quelli dell'area dell'Estremo Oriente. La lingua italiana in Cina si fece dunque strada lentamente e faticosamente.

Già dal 1954 l'attuale Università dell'Economia e del Commercio (Jinmao Daxue che allora si chiamava Waimao Xueyuan) aveva manifestato interesse ad aprire un corso di italiano, su indicazione del Ministero per il Commercio con l'Estero. Infatti, dopo la guerra in Corea, la Cina aveva scarsi scambi con l'esterno, e in piena politica di embargo, i rapporti commerciali con l'Italia erano preziosi. C'era dunque necessità di formare degli specialisti in italiano.

Ma si dovevano prima di tutto trovare gli insegnanti. Si pensò di avere trovato chi lo potesse insegnare in due persone che avevano soggiornato a lungo all'estero.

Non erano propriamente dei professori di lingua ed entrambi avevano oltre 50 anni quando si dedicarono all'insegnamento. Il primo, Li Yantang, in gioventù aveva studiato ingegneria a Qinghua e più tardi, all'Università di Yale, aveva a lungo condiviso la camera con un italiano da cui aveva imparato la lingua. Aveva sviluppato un interesse per l'Italia prima e per l'archeologia poi, che lo aveva portato a viaggiare in Italia. Conosceva bene la grammatica italiana e poteva leggere i romanzi italiani in lingua originale. Sarà proprio lui a preparare le prime dispense.

Anche il secondo, Lü Xianhan, aveva vissuto a lungo in Italia, a Firenze, con la sua compagna italiana. Bravo disegnatore, quando, ormai avanti negli anni tornò in Cina, gli venne affidato l'insegnamento dell'italiano parlato.

Trovati i professori, poté quindi formarsi la prima classe di italiano, di nove studenti.

Il loro lavoro viene ben presto alleggerito dall'arrivo di una coppia, Maria e Giuseppe Regis. Maria era una sinologa che aveva studiato a Roma ed era stata invitata a lavorare nell'università dal Ministero per il Commercio con l'Estero, attraverso il Partito Comunista Cinese. Infatti, oltre a insegnare conversazione, lettura, e grammatica in italiano lavorava anche nel Dipartimento degli Affari Esteri del Partito Comunista Cinese. Anche il marito Giuseppe, che l'aveva accompagnata in Cina, era impegnato a fare lezione ai quadri. Resteranno in Cina fino al '63.

L’anno dopo, nel 1964, arriva Settimio Severo Caruso, come loro gran lavoratore, come loro uomo del sud, ma non sinologo e neanche intellettuale (era stato prima dipendente del Ministero dell'Agricoltura e Foreste). Questo non gli impedì di redigere un manuale e di essere soprannominato "Grammatica" per il suo modo di insegnare. Costretto a tornare in Italia nel '68, vi troverà un difficile reinserimento come venditore di cineserie. Sarà quindi la volta di Teresa Dossetti, sorella di Giuseppe, che dopo un anno passerà ad altra università.

Non sapere il cinese non era (come non è) un grande ostacolo, anzi. D'altra parte questi insegnanti avevano accanto, durante le lezioni, un giovane assistente, Li Wentian che, appartenente al gruppo dei primi nove studenti del corso di italiano, aveva incominciato ad insegnare già prima di laurearsi, nel 1960, ed ancora insegna. Nessun altro può vantare un'esperienza altrettanto lunga, non solo all'interno della Jinmao Daxue, ma in tutta la Cina.

Lo stesso anno in cui parte il corso di italiano alla Jinmao Daxue, il 1956, un gruppo di 7-8 studenti si sta preparando ad andare a studiare materie scientifiche nelle università sovietiche. Hanno fatto un corso intensivo di russo e superato gli esami di accesso all'Università per l'indirizzo scientifico. Ma dato che lo sviluppo del Paese passa anche dalla conoscenza delle lingue, all'ultimo momento il loro programma di studio viene cambiato: cinque studieranno italiano all'università di Leningrado, gli altri chimica, come previsto. Dei cinque che vanno a studiare l'italiano in Russia solo uno ce la fa, gli altri quattro abbandonano via via per ragioni varie (probabilmente non ultima la difficoltà dell'impresa).

Lo studente superstite, Xiao Tianyou, si laurea infine con una tesi sulle caratteristiche e l'uso del futuro anteriore e, tornato lo stesso anno a Pechino, verrà assegnato all'Istituto di Lingue Straniere, dove però non c'è ancora un corso di italiano. Due anni dopo, nella stessa università di Leningrado, si laureano altri due studenti cinesi, Lü Tongliu e Tang Dingguo, del gruppo del '56. Assegnati alla facoltà di chimica, dopo un anno di permanenza in questa facoltà avevano chiesto e ottenuto il passaggio alla facoltà di filologia, sezione italiano.

Il prof. Lü Tongliu sarà il primo a laurearsi con una tesi di letteratura, su Moravia precisamente. All'Università di Leningrado, come ricorda egli stesso, lo studio dell'italiano era affrontato in modo veramente accurato, ed aveva una lunga tradizione, che risaliva all'epoca zarista. In particolare si approfondiva molto lo studio della letteratura e si dovevano superare 25 esami di materie di cultura generale prima di sostenere la tesi. A questo si aggiungevano le lezioni di lingua nelle quali gli insegnanti, tutti russi ma parlanti continuamente italiano, affrontavano quotidianamente grammatica, lettura e traduzione di testi e italiano parlato.

Con questo solido impianto di base gli studenti già dal secondo anno potevano e dovevano scrivere esercitazioni e saggi. Il terzo anno il corso di studi si divideva in due indirizzi, quello letterario, scelto dal prof. Lü Tongliu, e quello linguistico, scelto da Tang Dingguo.

Tornati in Cina nel '62, dopo pochi mesi cominciarono entrambi a lavorare come ricercatori l'uno nel campo degli studi letterari l'altro nel campo della ricerca linguistica.

Successivamente a questi unici due italianisti se ne aggiungeranno altri quattro nel campo rispettivamente della filosofia, della religione, degli affari politici, dell'economia. Oggi il posto di linguistica non c'è più e accanto a Lü Tongliu c'è la signora Wu Zhengyi.

Nel 1960 un altro gruppo di cinque persone verrà mandato a seguire il corso di laurea all'Università di Mosca, dove lo studio dell'italiano era finalizzato più a scopi pratici e dove non c'era la stessa radicata tradizione umanistica che c'era a Leningrado.

Le attività di Radio Pechino

In quello stesso anno intanto Radio Pechino comincia le trasmissioni in lingua italiana ed ha bisogno di redattori e speakers. Comincia così all'Istituto della Radio (Guanbo Xueyuan), che allora si trovava nella zona orientale di Pechino, un corso di italiano quadriennale.

Vi insegnavano Zhu Chunbai e Li Wentian, appena laureatosi all'Istituto dell'Economia e del Commercio, e un'insegnante italiana, Ninetta Gisondi, mandata in Cina, come "esperta", insieme al marito Manlio dal Partito Comunista Italiano. Lei era impegnata come insegnante del corso di italiano e contemporaneamente lavorava alla Radio dove anche il marito ora occupato, insieme ad altri tre colleghi cinesi. Quando i rapporti con il Partito Comunista Italiano nel 1962 si interruppero, i due tornarono in Italia, ma la "maestra Ninetta", come veniva chiamata, continuò ad insegnare per un anno per corrispondenza.

Gli studenti le mandavano gli esercizi e lei glieli rispediva indietro corretti.

Il corso presso questo istituto consisteva nel solo studio della lingua. Qualche studente laureatosi nel primo corso conclusosi nel '64 resterà in questo istituto come insegnante. È il caso del prof. Wu Ze’eng.

Gli studenti provenivano da tutta la Cina e per loro studiare non era facile. Nessuno dei lettori italiani di questa epoca conosceva neppure vagamente il cinese, c'era penuria di materiale didattico e niente dizionari.

Le lezioni proseguono così fino al 1966-67, quando vengono sospese, poi riprese in modo regolare, poi ancora sospese. Dopo la Rivoluzione culturale il corso di italiano non verrà mai più ripreso in questo istituto.

Il primo insegnamento all'Istituto di Lingue Straniere

Ma intanto nel 1962 un nuovo corso era stato aperto all'Istituto di Lingue Straniere (Waiyu Xueyuan) ed è lì che confluiscono gli studenti dell'Istituto della Radio.

In quel momento, seguendo il corso degli eventi politici, la pianificazione statale del Ministero della Pubblica Istruzione puntava sulla formazione di interpreti e traduttori. Insieme ai corsi di portoghese e di swahili si apre un corso di italiano quadriennale. Si occupano del corso appena aperto Fei Huiru e Wang Huangbao, appena tornati dall'Italia dove avevano studiato (a Perugia e a Roma), entrambi provenienti dai corsi di francese. Nel gruppo dei primi cinque mandati a seguire un corso di studi in Italia, Fei Huiru era stata invitata nel 1957 dal Centro Cina (un'associazione legata al Partito Comunista Italiano) grazie a un programma di scambio, quando anche i primi italiani venivano a studiare in Cina (a Beida, Filippo Coccia, Renata Pisu, Edoarda Masi).

Una terza insegnante, Shen Emei, si affiancherà loro nel 1963, subito dopo la laurea. Una laurea tribolata, in verità. Dopo avere studiato due anni il francese all'Istituto di Lingue Straniere le era stato chiesto di passare all'italiano. Nel 1961 era dunque andata a studiarlo all'Istituto della Radio, dove però aveva potuto seguirlo solo per un anno. Nel 1962 infatti la rottura del Partito Comunista Cinese con i partiti "fratelli" occidentali aveva fatto sì che tutti gli esperti, mandati appunto dai vari partiti comunisti, dovessero obbligatoriamente rientrare nei loro Paesi. È costretta dunque a seguire le lezioni di italiano per il quarto e ultimo anno presso l'Istituto dell'Economia e del Commercio di mattina mentre nel pomeriggio riprende lo studio del francese all'Istituto di Lingue Straniere, pur continuando a mandare alla "maestra Ninetta" per un anno i propri esercizi da correggere.

Suo compagno di corso era stato Dou Qinglu che, laureato, aveva poi usato l'italiano nel Dipartimento Affari Esteri del Ministero dell'Educazione Nazionale.

Shen Emei invece resta nell'Università come insegnante, con la collaborazione prima di un lettore somalo di nome Ali Sheri e poi di una svizzera, Margherita Vismara, che rimasero fino al 1967. Ma non riuscirà a portare alla laurea, nel '66, la sua prima classe.

Poco prima della discussione della tesi, nel giugno 1966 cominciava la Rivoluzione culturale. Allora professori e studenti vengono mandati in campagna a rieducarsi e lì continuano, sia pure tra mille difficoltà, le lezioni di italiano, inframmezzate da sedute politiche e di lavoro manuale. Libri di testo: il libretto rosso e la rivista illustrata "La Cina". Nella redazione di questa rivista lavorava un'esperta, Primerose Gigliesi, arrivata nel 1966. Lavoratrice infaticabile, di quando in quando insegnava anche, come Claudio Cini, che arrivò dopo di lei, nel '69-70. La Cina per gli esperti di questo periodo più che un'esperienza di lavoro è una scelta di fede e un'esperienza di vita. Primerose Gigliesi rimase poi lunghi anni a lavorare in Cina, fino a quando, nel 1983, morì di infarto a Pechino.

La ripresa dopo il 1972

Tra il 1971 e il 1972 c'è una svolta decisiva nella politica estera della Cina: il riavvicinamento dell'America alla Cina, con la visita di Nixon nel febbraio 1972, e la rottura dell'isolamento internazionale. Con il riconoscimento ufficiale della Cina segue il ristabilimento dei rapporti diplomatici con i Paesi occidentali, e quindi anche con l'Italia.

Il reciproco riconoscimento con l'Italia era stato firmato il 6 novembre 1970 e poco dopo era seguito un accordo commerciale, uno per i trasporti aerei, uno per la protezione dei marchi di fabbrica e un protocollo per la cooperazione culturale e scientifica.

Lentamente cominciò a cambiare qualcosa anche nel campo dell'insegnamento dell'italiano.

Cominciarono ad arrivare nei due Paesi i primi lettori ufficiali di scambio e le visite di professori cinesi in Italia si fecero relativamente più facili.

Dovunque, tra il '70 e il '72 si ripresero le lezioni normalmente e si cominciò un lavoro non indifferente per preparare ed aggiornare il materiale didattico, lavoro che è continuato fino a tutti gli anni '80. Occorreva emendare le dispense dagli eccessivi appesantimenti ideologici; occorrevano dei veri e propri libri di testo. Occorreva, soprattutto, un dizionario, che fino ad allora non esisteva.

L’unico dizionario italiano-cinese di cui potevano disporre i volonterosi che si accingevano a studiare l'italiano era stato compilato a Hong Kong da un missionario cattolico, Benedetto Valle, e da due suoi collaboratori cinesi, Nicola Chang e Tommaso Tsuy. Pubblicato nel 1967, faceva seguito all'analogo dizionario cinese-italiano stampato dalla Nazareth Press anni prima. Questo dizionario aveva un grosso limite: la scelta delle frasi lasciava a desiderare e già le parole poste a conclusione dell'opera, "con il permesso dei superiori", fanno pensare che ai compilatori stavano più a cuore le esigenze dei missionari che quelle degli studiosi.

L'Istituto di Lingue Straniere pose dunque mano all'impresa non indifferente della redazione di un nuovo dizionario italiano-cinese.

Vi si impegneranno per sette anni, dall'autunno del'75 all'estate del'82, a tempo pieno, almeno cinque insegnanti. Tre dall'inizio alla fine (Ke Baotai, Shen Xin, Fei Huiru) altri per periodi più brevi (Wang Huangbao, Xiao Tianyou, Shen Emei, Liu Shaqiang). Lavoravano tutti insieme in una stanza al secondo piano, senza riscaldamento e con poca luce, di un palazzo ora demolito, e in condizioni di scarsa tranquillità perché tutt'intorno c'era gente che in quel posto ci abitava. La prima edizione viene infine stampata nell'agosto 1985.

Ad aiutare i colleghi cinesi era nel frattempo arrivato nel 1978 Mario Cannella con la moglie Donatella, maestra di scuola elementare. Erano arrivati a Pechino tramite Giorgio Zucchetti, presidente della Associazione Italia-Cina di Roma. Si sistemano all'Hotel dell'Amicizia, con una bimba che frequentava la scuola elementare cinese. Mentre il marito lavora alla revisione del dizionario, la moglie Donatella prepara con Shen Emei un libro di conversazione ispirato ai testi italiani.

Negli anni successivi ci saranno poi Franco Zordan (81-83), Gisa Casarubea (86-94), e Gianni Sciola (dal '95).

Il Beijing Yuyan Xueyuan

L’ultimo istituto ad aprire a Pechino regolari corsi di italiano è stato il Beijing Yuyan Xueyuan, l'Istituto di Lingue di Pechino, tre anni fa ribattezzato Università di lingua e cultura di Pechino.

Questa università viene insediata nel posto dove si trova ora nel 1972-73, quando, a seguito del ristabilimento dei rapporti diplomatici con i Paesi occidentali, arriva per studiare cinese un numero sempre crescente di borsisti e di studenti stranieri. Questo è stato fino a pochi anni fa l'unico istituto autorizzato a insegnare il cinese agli studenti stranieri, ora non più, pur tuttavia continua giustamente a vantare in questo campo un'esperienza superiore rispetto agli altri. Ma già dal 1962 in questo istituto una parte degli studenti, un tempo come ora, era cinese e studiava in regolari corsi quadriennali le lingue occidentali principali: francese, inglese, tedesco, spagnolo, poi anche il giapponese, e infine, per ultimo, l'italiano.

Dopo il 1976 il governo cinese mandava con frequenza sempre maggiore dei tecnici in Italia per seguire degli stages. Erano persone che avevano studiato l'inglese. E perciò si riteneva che se la potessero cavare, giacché come ancor oggi si sente dire, in Italia certamente la gente parlava inglese. Le cose come sappiamo non stanno in questi termini. Questi tecnici avevano perciò incontrato grandi difficoltà nello studio e nella vita e per questo limite linguistico avevano potuto utilizzare solo in parte l'occasione che era stata loro data. Qualcuno aveva sacrificato parte del tempo e seguito un corso breve a Perugia, che non poteva comunque essere risolutivo. Così di ritorno in Cina questi gruppi chiesero con insistenza di far fare un corso preparatorio a quelli che dovevano recarsi in Italia. Finalmente nel 1983 il Ministero dell'Educazione Nazionale decide di aprire un corso.

Ne viene data la responsabilità a due insegnanti che già lavorano dal 1972 in questo stesso istituto: Zhang Quansen e Zhao Xueyin. Entrambi avevano cominciato a studiare nel 1964 all'Istituto dell'Economia e del Commercio e assegnati dall'alto e apparentemente per caso alla classe di italiano. A quel tempo Zhao Xueyin era un po' invidiosa di chi studiava francese che a quel tempo godeva di una grande popolarità in Cina. D'altra parte nella sua classe c'erano solo due studenti che avevano avanzato una richiesta specifica per l'italiano.

Dopo l'interruzione degli studi nel 66-67 e il periodo di lezioni irregolari fino al 1970, riprendono finalmente il corso di studio regolare che sarà completato nel 1972. Da quel momento fino ad oggi lavoreranno sempre al Beijing Yuyan Xueyuan come insegnanti e come responsabili di incarichi amministrativi, con periodi di studio e di lavoro all'estero, specialmente per la prof.ssa Zhao, a lungo lettrice all'Università di Venezia, impegnata anche in un'intensa attività di preparazione di testi e manuali, tra cui, ultima fatica, un vocabolario italiano-cinese cinese-italiano di prossima pubblicazione.

Il corso di italiano nel dipartimento Chu Guo Bu (Dipartimento per gli studenti che vanno all'estero) di questa Università è un corso intensivo, per lo più annuale ma talvolta anche solo semestrale. Nessuno degli studenti ha mai studiato l'italiano prima. Poiché sono nella stragrande maggioranza dei borsisti ufficiali del governo italiano o del governo cinese, sono adulti di età mediamente variabile dai 27 ai 40 anni circa. Solo negli ultimi anni si è notata una più marcata presenza di giovani intorno ai 20-22, che tuttavia non sono borsisti e perciò non sono destinati ad andare in Italia.

I borsisti che seguono questo corso hanno già studiato l'inglese, il che almeno all'inizio è di grande aiuto. Non sono in generale particolarmente portati per le lingue, essendo quasi tutti specialisti di materie tecnico-scientifiche.

Negli ultimi otto anni, non più di sette/otto persone provenivano dal campo delle scienze umane o delle arti. L’insegnamento dell'italiano è strumentale, finalizzato al loro soggiorno italiano. Solo una piccola parte delle lezioni a fine anno sono dedicate alla vita e alla civiltà italiana in senso lato.

I tre lettori che si sono susseguiti negli anni dal 1984 al 1987 erano tutti studenti di cinese presso l'Università di Venezia. La prima (84-85), Mariangela Isacchini, ha proseguito poi gli studi di cinese fino al dottorato, interessata comunque più al mondo degli affari che alla sinologia pura.

La seconda (85-86), Valeria Giacomoni, aveva poi proseguito studi di cinese più avanzati negli Stati Uniti, optando poi anche lei alla fine per un inserimento nel mondo imprenditoriale.

L’unico che ha continuato ad occuparsi di studio e di ricerca sinologica è Franco Gatti, presente a Pechino nel 1986-87. Specialista e studioso di taoismo, dopo il master in Giappone ha completato il suo dottorato in Italia.

Infine, vincitrice del primo concorso pubblico bandito dal Ministero degli Affari Esteri, alla fine del 1987 arriva da Padova l'autrice di questo articolo che, a parte un'interruzione di 7 mesi, ha continuato a lavorare presso questa università fino al 1996.

Altri corsi universitari

Nello stesso periodo Luciano Troisio, italianista e poeta, anch'egli di Padova, anch'egli vincitore dello stesso concorso, veniva destinato all'Universita degli Studi Internazionali (già Istituto di Lingue Straniere) di Shanghai. Vi è rimasto poco più di due anni. Dopo di lui è arrivata Loretta Cortonesi, da Roma e poi una studiosa di linguistica, Renata Bartoli, anch'essa di Padova.

L’Istituto delle Lingue Straniere di Shanghai aveva aperto il corso di italiano quadriennale nel 1965. Vi insegnava la prof.ssa Chen Shilan che si era laureata all'Istituto della Radio di Pechino. Anche il prof. Zhang Shihua, nato come anglista, vi lavorerà prima come insegnante e poi come direttore.

Il primo lettore di scambio mandato ufficialmente dall'Italia sarà Alessandra Lavagnino nel 1974 una prima volta e nel 1976 una seconda volta.

Accanto a questi corsi, riconosciuti ufficialmente e a carattere continuativo, altri corsi sono stati fatti e si fanno in altre università. Ne ricordo uno organizzato all'Università di Xi’an nel 1988-89 destinato a guide turistiche. Lettrice di italiano un'insegnante padovana di matematica appassionata della Cina, Luisa Chelotti.

Nel 1990-91 presso il Secondo Istituto di Lingue Straniere (Er Waiyu Xueyuan) ora ribattezzata Università del Turismo e dell'Hotellerie, nei corsi regolari ci sono due classi dove si insegna l'italiano come seconda lingua straniera, dopo rispettivamente il francese e lo spagnolo. In più c'è una classe di circa 25 adulti provenienti dalle varie parti del Paese, già guide turistiche, che fanno un corso intensivo dì 26 ore settimanali.

Vi insegnano prima (dal settembre 1990 al dicembre 1991) Emma Tribaudino, di Torino, già insegnante di materie letterarie in Italia ma arrivata a Pechino come studentessa di cinese, poi (dal dicembre 1991 al gennaio 1993 quando i corsi vengono sospesi) Lisa Carducci, italo-canadese già insegnante a Montreal, che ora lavora nella sezione di francese della China Central Television.

La Dante Alighieri

Ci sono poi almeno due casi in cui l'italiano è stato insegnato al di fuori delle aule universitarie, all'insegna del volontariato e della passione per la lingua.

Il primo caso è quello della Dante Alighieri.

Questa società voluta oltre cento anni fa dal poeta Giosuè Carducci per la diffusione della lingua e della cultura, è presente a Pechino, sia pure non riconosciuta ufficialmente, dal 1983-84.

A quel tempo Franco Zordan, lettore presso l'Università di Lingue straniere, incominciò a dare lezioni a titolo gratuito a un gruppetto di persone desiderose di apprendere la lingua italiana. La prima aula fu il piccolo soggiorno di casa sua presso l'Albergo dell'Amicizia (Youyi Binguan). Successivamente venne affittato per molti anni un locale al piano rialzato del compound riservato agli esperti, al numero 48.

I corsi generalmente vi sono stati tenuti la domenica ed hanno riguardato due classi, una di principianti, una di livello più avanzato. Ogni anno a due o tre dei migliori studenti viene offerta la possibilità di usufruire di una borsa di studio che consente loro di seguire un corso estivo all'Università per stranieri di Siena.

Dall'84 a oggi altre persone si sono alternate nell'insegnamento. Tra gli altri Antonio Ammassari, Sergio Ticozzi, Franca Innamorati, impiegata all'ICE, questa autrice stessa ed ora da diversi anni Pippo Longo.

Rivolto a chi non avrebbe avuto alcun'altra possibilità di studiare l'italiano o perché si trattava di persone già impegnate in regolari corsi di studio universitari o in attività di lavoro, l'operato della Dante ha goduto di un interessamento discontinuo da parte della comunità italiana a Pechino.

L'iniziativa di Paolo Berchi

Di un interesse ancora minore (anche perché forse pochi ne conoscono l'esistenza) ha goduto il secondo caso di insegnamento fuori dall'ufficialità e ancora una volta a puro titolo di volontariato, cominciato nel lontano 1987 e ancora in corso. È un caso per molti aspetti atipico. Valeva pena soffermarvisi un po'.

Paolo Berchi, quando comincia a passare, dal 1971 in poi, lunghi mesi in Cina, aveva alle spalle un lavoro all'IBM. A Pechino lavora per molti anni per una società italiana, la COGIS, che esportava macchinari. i periodi di permanenza si allungano sempre di più finché nel 1980 si fa raggiungere dalla moglie e dalla figlia, che ha appena finito le elementari. In quel momento non ci sono molte possibilità di scelta e perciò per continuare gli studi la bimba viene mandata in una scuola media cinese, famosa. È la 301, scuola media e media superiore sperimentale, una delle migliori del Paese, collegata con la Beijing Normal University. Essendo l'unica straniera, viene seguita con particolare attenzione e tra la scuola e la famiglia si instaurano dei rapporti sempre più stretti, di conoscenza e di stima reciproca.

A studi ormai conclusi, nell'87, la famiglia Berchi invita preside e vicepreside della scuola a fare una visita in Italia. Nel corso di questo loro breve soggiorno hanno occasione di visitare diverse scuole e, fra le altre, anche quella della Dante Alighieri, che promette due borse di studio estive se si fosse avviato un corso di insegnamento di italiano per gli studenti di quella scuola.

Le lezioni cominciano effettivamente nel settembre del 1987.

Vi partecipano studenti del primo e secondo anno, non del terzo, completamente dedicato alla preparazione degli esami di accesso all'università. Nei primi anni le classi erano due e le lezioni si svolgevano di pomeriggio. Vi insegnano Paolo Berchi stesso, tra una vendita di un impianto e l'altra, e Sergio Ticozzi. Partito quest'ultimo nel '90, la classe si è ridotta a una sola. Attualmente seguono l'italiano una decina di studenti che sacrificano per due anni l'intero sabato mattina.

L’esperienza di Paolo Berchi è straordinaria nel senso letterale della parola in quanto non risulta ci siano state altre esperienze di questo tipo per altre lingue. Ma è anche emblematica di un modo di intraprendere e portare avanti le iniziative tipicamente italiano. Ma se è vero che la creatività personale può aprire strade ritenute impraticabili è altrettanto vero che quando un servizio per funzionare si basa esclusivamente sull'inventiva personale senza il supporto di nessuna struttura che ne assicuri la continuità, è fatalmente destinato a finire.

Le più recenti iniziative

Nel settembre 1994 è stato aperto a Beida, l'università di Pechino, grazie a un finanziamento del Ministero degli Affari Esteri, un Centro di Ricerca sulla cultura e la lingua italiana. Questo centro colma quella che era sentita come una lacuna in una università famosa per i suoi corsi di laurea in scienze umane. Vi opera un lettore studioso delle riforme economiche in Cina, già laureato in cinese a Napoli, Davide Vona. Attualmente il corso di italiano biennale è di appoggio allo studio di altre lingue romanze.

Nell'anno accademico 1995-96 si è aperto infine un centro di italianistica presso l'Università Normale di Nanjing, finanziato da un capitolo di spesa gestito dall'ambasciata, ma voluto dall'università stessa che ha poi ottenuto la necessaria approvazione dalla Commissione Nazionale per l'istruzione.

Amelia Di Lieto, una giovane studiosa laureata in cinese a Napoli, si occupa di tre affollate classi (per un totale di oltre 100 studenti) nelle quali sono confluiti rispettivamente studenti del Conservatorio, che si dedicano al melodramma e alla musica barocca italiana, quelli di storia dell'arte e quelli della facoltà di lingue.

Dal Centro di Nanchino usciranno dunque degli specialisti della lingua italiana ma anche degli esperti del nostro patrimonio musicale e artistico. Ma c'è anche la speranza che escano degli studenti che vogliano dedicarsi all'insegnamento, se non alla ricerca. Questo è infatti un problema particolarmente sentito oggi in Cina.

Fra i giovani laureati, tanto più se conoscono bene una lingua straniera, non c'è il desiderio di insegnare. E tanto meno di fare della pura ricerca: non ci sono al momento aspiranti al posto di ricercatore di letteratura italiana e nessuno più da tempo si occupa di linguistica, presso la sezione italiana dell'Accademia delle Scienze.

È un fatto che gli insegnanti di italiano nelle varie università nella maggioranza hanno un'età variabile tra i 45 e i 55 anni. Sembra dunque giunto il momento di formare le nuove leve. D'altra parte non pare che il numero dei lettori ufficiali sia destinato ad aumentare, almeno a breve termine. Anzi, confrontando il testo dell'ultimo protocollo applicativo firmato il 27-10-95 con i precedenti si notano alcune piccole ma significative differenze che sembrano delineare una tendenza restrittiva. Anni 88-89: la parte italiana si impegna ad inviare "fino a tre lettori". Anni 1991-93: "si impegna ad esaminare la possibilità di aumentare il numero dei lettori". Anni 94-97: si esamina la possibilità di inviare "fino a cinque lettori". Anni 95-98: si confermano i tre lettori e si esamina la possibilità di "assegnare contributi finanziari a università cinesi per il reclutamento di lettori a contratto".

È difficile stabilire se il numero degli specialisti in italiano sia al di sopra o al di sotto delle necessità. Ogni anno adesso ci sono otto classi universitarie in cui si studia italiano quadriennale, senza contare i corsi biennali, annuali, semestrali, trimestrali.

Facendo un rapido calcolo, si arriva alla conclusione che si sono laureati in italiano, nel periodo che abbiamo preso in considerazione, non meno di 500 persone. Altre 600 o 700 almeno sono passate attraverso corsi brevi. Trovano impiego presso il Ministero degli Affari Esteri e le rappresentanze diplomatiche, il Ministero del Commercio con l'Estero, alla Radio, nell'editoria e nelle agenzie di stampa come giornalisti, nei corsi di italiano delle varie università e, soprattutto ora, nel mondo degli affari. Ma non sono grandi cifre. Al Ministero degli Esteri lavorano meno di 40, meno di 10 al Commercio con l'Estero, uno solo al Ministero dei Lavori Idraulici. Da questo si può dedurre che non tutti gli specialisti in italiano hanno poi trovato lavoro con l'italiano, e ciò è particolarmente vero per i laureati dell'Università dell'Economia e del Commercio.

Non per questo si può dire che non c'è più spazio per diffondere ulteriormente la lingua italiana. Certamente i corsi brevi sono destinati ad aumentare. Certamente sarà sempre più sentito il bisogno di corsi mirati ad acquisire abilità di linguaggio specifiche di settori specialistici. Certamente l'italiano si confermerà come la strada da intraprendere per accedere a quei campi in cui gli italiani sono maestri, come l'archeologia, il restauro, la musica, il design, il turismo. Ma soprattutto vedo la necessità di inserire l'insegnamento della lingua in un contesto culturale più ampio, in cui sapere l'italiano sia importante anche perché è la lingua di un Paese il cui patrimonio storico e culturale è alla base di quella civiltà occidentale che ora come non mai qui è necessario conoscere.

In breve, è venuto il momento di passare ad un'altra fase: diffondere l'italianità attraverso l'italiano.

MONDO CINESE N. 97, GENNAIO-APRILE 1998

 

 

CENTRORIENTE - P. IVA 07908170017
Copyright Centroriente 1999-2024