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INDICE>MONDO CINESE>LA RIFORMA DEL TEATRO MUSICALE E IL REALISMO: L'OPINIONE DI MEI LANFANG E OUYANG
                                           YUQIAN

SAGGI

La riforma del Teatro musicale e il realismo: l'opinione 
di Mei Lanfang e Ouiyang Yuqian

di Gioia Ottaviani

SOMMARIO: 1. Il teatro xiqu negli anni 80. Nuove esigenze di Riforma. [PC1]. - 2. Il dibattito sulla Riforma negli anni '50. - 3. Il ruolo e l'opinione degli attori. - 4. Le riforme del primo periodo della Repubblica Popolare. - 5. Continuità e rinnovamento. - 6. Conclusione: Analogie e radici storiche.

1. Il teatro xiqu negli anni 80. Nuove esigenze di Riforma. [PC1]

Dopo la morte di Mao Zedong e la caduta della "Banda dei quattro" anche il teatro musicale tradizionale cinese1 (xiqu) mostrava dei segni di ripresa. Le antiche opere tornavano sulle scene, le scuole di recitazione venivano riaperte e perfino la televisione trasmetteva regolarmente capolavori del teatro tradizionale. Ma dopo l'iniziale entusiasmo per il ritorno delle antiche forme artistiche, nel corso degli anni ottanta sono stati segnalati sintomi di crisi. Si trattava di una crisi dovuta soprattutto alla diminuzione del pubblico, all'aumento dell’età media degli spettatori, alla forza di attrazione esercitata dalla televisione e dal cinema, alla scomparsa di molti dei maestri attivi nella prima parte del secolo, a un repertorio limitato e alla tendenza politica a ridurre il sostegno economico dello Stato. Tutti questi fattori facevano nascere il dubbio sulla stessa sopravvivenza del teatro tradizionale e, mentre da più parti si invocavano le riforme delle strutture e dei repertori, atte a scongiurare la crisi, gli eventi della fine degli anni ottanta determinavano nuove incertezze.

In una intervista del 1987 il Vice Ministro della cultura Ying Ruocheng, noto attore cinematografico ma anche attore e regista del teatro huaju2 , conscio della crisi in cui si dibatteva il teatro tradizionale e quasi privo di speranze sulle possibilità di risolverla, dichiarava:

"Una politica di riforma è ancora in discussione e finora non c'è niente di conclusivo. Nella mia attuale posizione probabilmente sarei ritenuto responsabile se accadesse qualcosa di disastroso. È l' incubo di ogni ministro della cultura l'idea che il teatro tradizionale possa morire nelle sue mani3 .

A questi problemi, il mondo del teatro rispondeva cercando di rinnovare e rendere più attuale il teatro xiqu, introducendo delle varianti nella messa in scena del repertorio tradizionale, creando nuove opere, oppure cercando nel teatro huaju e nel suo realismo, lo stimolo per trovare una collocazione più attuale al suo patrimonio di tecniche. Un esempio di questo ultimo tipo di sperimentazione è dato dal lavoro di preparazione dell'opera Liu Laolao e Wang Xifeng tratta dal romanzo Hong lou Meng (Il Sogno della Camera Rossa) cui fa riferimento Elisabeth Wichmann4 nel suo articolo-report sulla situazione del teatro xiqu degli anni ottanta. In quella occasione gli attori, professionisti del teatro musicale, erano diretti da un regista del teatro huaju ma anche assistiti da quello che potremmo chiamare un "direttore delle tecniche" che li guidava nello sforzo di adattare le convenzioni tradizionali dell'opera di Pechino alle esigenze di realismo avanzate dal regista. Agli attori infatti veniva chiesto di superare nell'azione, nei gesti, nelle emozioni, la distanza tra due concezioni molto diverse del comportamento scenico. Non era un compito facile perché, in base alle regole della formazione tradizionale, gli attori erano portati a manifestare le emozioni in termini musicali, ritmici e prevalentemente fisici; la richiesta di ridurre la formalizzazione, avvicinarsi alla espressività della vita quotidiana, e rendere più evidenti le emozioni e le motivazioni psicologiche, creava evidenti difficoltà.

Anche senza interventi della direzione politica, si delineava, quindi, spontaneamente, una tendenza al rinnovamento, basata sulla fusione di tecniche tradizionali con elementi tratti dal teatro moderno di origine occidentale.

2. Il dibattito sulla riforma negli anni '50

Il problema dell'incontro tra due modelli così distanti di comportamento scenico, non è stata una particolarità della sperimentazione degli anni ottanta ma un importante filo conduttore di quasi tutta la storia del teatro cinese di questo secolo. In termini generali si può dire che la storia del teatro musicale cinese del Novecento ruoti intorno alla scelta tra continuità e riforma e che uno dei maggiori punti di orientamento di quella scelta sia stata l'attrazione esercitata dall'esempio del realismo occidentale introdotto dal teatro huaju. L' importanza del confronto tra questi due modi di intendere la scena è legata al fatto che le scelte di forma ed espressione che ne derivano implicano anche la scelta fra modelli di cultura e di comportamento diversi fra loro, ma ugualmente necessari nella vita sociale della Cina moderna. In questo senso tutte le soluzioni sceniche che sono state proposte o realizzate in seguito a questo confronto hanno suscitato una complessa riflessione. Ripercorrere i contenuti di questa riflessione così come emergeva nei momenti più significativi della politica culturale è anche un modo per trovare le radici del dibattito sulla riforma interrotto con la Rivoluzione Culturale, e ripreso durante gli anni ottanta.

Dopo Yan’an, ma soprattutto dopo il 1949, l'aspirazione al realismo era parte di ogni proposta di riforma e l'esempio offerto dal teatro huaju sin dagli anni venti era un riferimento inevitabile. Nel 1962 il critico Ma Shaopo (Direttore, designato dal partito, dell'Istituto di Ricerca sul Teatro musicale, Zhonguo xiqu yanjiu xueyuan) diceva:

"Non dobbiamo ignorare l'indicazione che l'opera di Pechino deve imparare da altre forme, inclusi il teatro huaju e il cinema5 .

Attraverso la nozione di realismo passavano anche le maggiori indicazioni ideologiche, politiche e formali che ispiravano i progetti di riforma del teatro xiqu. Le argomentazioni ideologiche riportavano l'attore al suo ruolo principale [e a-specifico] di attore sociale e dunque di testimone della contiguità tra arte e vita sociale. Il problema del rapporto tra prassi espressiva teatrale e comportamento quotidiano era posto come parte del progetto più generale che spingeva verso la coincidenza tra ideologia ed etica. Al centro della discussione era posto proprio l'ethos del teatro: i comportamenti che il teatro delineava erano valutati in base alla relazione che stabilivano con i comportamenti sociali e le loro connotazioni ideologiche. Questi aspetti della vita del teatro cinese sono fra i più noti e documentati, dal momento che sono stati parte integrante anche della storia politica oltre che letteraria e artistica che da Yan'an arriva alla Rivoluzione Culturale.

3. Il ruolo e l'opinione degli attori

Molto meno ricordate e analizzate, perché sommerse nell'intreccio politico-ideologico che le suscitava, sono invece le opinioni espresse e le problematiche affrontate da coloro che erano protagonisti del mondo del teatro musicale, oppure molto vicini ad esso. I temi che nel corso degli anni 80 si sono riproposti con una nuova urgenza - la riforma, la possibilità del teatro xíqu di rappresentare la vita moderna, il realismo, l'incontro tra convenzione tradizionale e espressività quotidiana e infine il rapporto tra xiqu e huaju - erano al centro della vita culturale e anche politica degli anni 50. Per questo le opinioni di coloro che allora affrontavano questi temi sia nella pratica del lavoro teatrale che nella partecipazione alla politica culturale sono una delle migliori testimonianze della complessità dei processi che il teatro tradizionale musicale ha attraversato nel corso del secolo e ci danno la misura dei 'conflitti e delle negoziazioni' che i suoi sostenitori hanno dovuto affrontare anche in anni recenti.

Per considerare le risposte dei protagonisti del teatro musicale alle spinte verso la riforma e verso il realismo promosse dal Governo Centrale e dal Ministero della Cultura agli inizi degli anni 60 abbiamo scelto in primo luogo due attori fra i più noti ma anche fra loro diversi: Mei Lanfang (1894-1961) e Ouyang Yuqian (1887-1962); ciò che li accomuna è il fatto di essere stati ambedue attivi nella burocrazia culturale negli anni che seguirono la nascita della Repubblica Popolare. Figure di rilievo della cosiddetta corrente di Shanghai e Chunqing nella quale si raccoglievano intellettuali artisti e scrittori attivi nella vita culturale degli anni 30 e 40 nelle zone non ancora conquistate dal partito comunista. Le opinioni espresse da questi attori testimoniano il delicato clima di disaccordo - ma non ancora di palese antagonismo - esistente nella prima parte degli anni 50 tra la corrente di Shanghai e quella cosiddetta di Yan'an in cui si raccoglievano ideologi, quadri di partito e artisti impegnati nella diffusione del pensiero di Mao Zedong.

Nelle loro parole non c'è mai il rifiuto esplicito delle ragioni della riforma ma nello stesso tempo le loro argomentazioni sono tutte a vantaggio del rispetto della complessità dei processi di cambiamento. Ciò che più emerge dall'articolo di Mei Lanfang che abbiamo esaminato6 non è tanto il dubbio sulla utilità della riforma quanto la constatazione (amara per un professionista) che tra il teatro antico e la società moderna si era aperta una distanza insormontabile. Il teatro xiqu aveva già assunto, anche per i suoi più fortunati protagonisti, i caratteri di una pratica conflittuale, su cui pesava una ambiguità tuttora irrisolta: quella di essere un tesoro nazionale e una testimonianza di identità, ma nello stesso tempo anche un imbarazzante anacronismo.

Mei Lanfang è forse il più famoso attore dell'opera di Pechino; è stato presidente dell'Istituto del Teatro Tradizionale cinese (Zhongguo xiqu xueyuan), ma anche vice presidente della Associazione degli Artisti del Teatro cinese (Zhongguo xijujia xiehui), presidente dell'Istituto di Ricerca del Teatro Tradizionale (Zhongguo xiqu yanjiu yuan) fondato da Mao Zedong nel 1951, delegato al primo Congresso Nazionale del Popolo, e ammesso al partito comunista nel 1959. Il suo prestigio non era solo artistico: la determinazione con cui aveva dimostrato il dissenso durante l'occupazione giapponese ne faceva una figura simbolica e il regime lo sostenne fino alla fine.

Figlio d'arte, era salito sul palcoscenico a dieci anni, nel 1904. Era stato allievo di Wang Yaoqing (1881-1954) e le indicazioni da lui ricevute sulla esecuzione dei ruoli femminili furono determinanti per le innovazioni che lo resero famoso. Tra il 1914 e il 1916 aveva infatti proposto delle opere nuove caratterizzate dal ruolo daomadan [spada cavallo donna] in cui confluivano la danza, il canto e le tecniche delle arti militari. Dal 1916 era tornato alle forme classiche e aveva iniziato la collaborazione con Qi Rushan (1876-1962); la guida di questo scrittore, esperto di tecniche teatrali, storico del teatro ma anche impresario, lo sostenne nella ripresa di antiche forme di danza e nelle rappresentazioni ispirate a modelli antichi.

Ouyang Yuqian ha avuto invece una formazione completamente diversa. Durante gli studi in Giappone partecipò alla attività della chun liu jushe (associazione teatrale del salice di primavera). Dopo la laurea conseguita alla Università Waseda di Tokyo, riprese l’attività teatrale a Shanghai nel 1913 come interprete di ruoli femminili. Dal 1918 diresse la scuola di teatro della comunità modello che l'industriale filantropo Zhang Jian aveva fondato a Nandong nel Jiangsu. Dal '23 si dedicò ampiamente al teatro huaju e nel 1930 abbandonò la carriera nel teatro musicale. Nel 1949 era a Pechino e da allora ebbe ruoli di rilievo in varie istituzioni culturali e la direzione dell'Istituto Centrale del Teatro (Zhongyang xiju xueyuan). Dal 1949 al 1953 fu anche membro del Comitato per la Cultura e la Educazione del Consiglio Amministrativo del Governo. Ouyang Yuqian aveva sempre sostenuto che il teatro di tipo occidentale e il teatro musicale dovessero trovare il modo di incontrarsi. L'articolo cui faremo riferimento7 è dedicato alla recitazione nel teatro huaju ma il suo punto di vista è quello del professionista ed esperto del teatro xiqu.

Le opinioni di questi attori, citate in seguito, sono tratte dalla rivista Xijubao del 1954. La rivista era il periodico della Associazione degli Artisti del Teatro Cinese, presieduta da Tian Han, nel cui comitato era ampiamente rappresentata la corrente di Shanghai. Dal 1950 la stessa associazione aveva pubblicato la rivista Renmin xiju, poi trasformata dal gennaio 1954 in Xijubao. Fra i suoi scopi la rivista aveva la critica delle produzioni teatrali, la discussione sulle riforme e lo sviluppo della componente realistica del teatro cinese. Nel primo anno veniva dato rilievo al lavoro svolto nella guerra in Corea dalle compagnie teatrali e alle opinioni di attori del teatro xiqu, come Mei Lanfang e Zhou Xinfang (1895-1975)8 , a proposito di quella esperienza. Un altro tema rilevante era naturalmente il teatro huaju. Ampio spazio veniva dato inoltre al teatro russo e alla importanza di Konstantin Stanislavskij come maestro di realismo9 . Nell'inverno dello stesso anno il Teatro Musicale di Mosca aveva presentato il "Lago dei Cigni", "Esmeralda" (basato sul romanzo di V. Hugo Notre Dame de Paris) e un balletto per bambini. Sulla rivista ne aveva parlato anche He Jingzhi, coautore del testo del dramma cantato (geju10 ) Bai mao nü (La fanciulla dai capelli bianchi). L’evento veniva celebrato come esempio dei risultati cui poteva condurre la applicazione del realismo al teatro musicale.

4. Le riforme del primo periodo della Repubblica Popolare

La riforma del teatro xiqu era trattata in modo organico quell'anno perché nei mesi di novembre e di dicembre la stessa Associazione che pubblicava la rivista aveva organizzato quattro giorni di incontro tra attori, critici e autori su quell'argomento. In realtà le iniziative e i provvedimenti intrapresi dal 50 al 53 dal Governo Centrale e dal Ministero della Cultura, per molti aspetti erano già andati oltre i possibili esiti della discussione: nel giugno 1950 era nato il Comitato del Ministero della Cultura per il Miglioramento del Teatro Musicale (Wenhuabu xiqu gaijin weiyuanhui) composto di 43 membri (tra cui Tian Han, Hong Shen, Ouyang Yuqian) e presieduto da Zhou Yang. Nel maggio 1951 il Consiglio degli Affari di Governo aveva pubblicato le Direttive sul Lavoro di Riforma del Teatro musicale (Guanyu xiqu gai ge gongzuo de zhishi) con la firma del primo ministro Zhou Enlai. Dal 6 ottobre al 14 novembre 1952, il Ministero della Cultura aveva organizzato un Festival Nazionale del Teatro Musicale Tradizionale rivolto agli specialisti (Quanguo xiqu guanmo dahui) che si era concluso con un discorso di Zhou Yang. Il 26 dicembre 1952 erano state diffuse le Istruzioni del Ministero della Cultura per la regolamentazione e il progresso del lavoro delle compagnie teatrali. Mentre procedeva la graduale nazionalizzazione delle compagnie teatrali e, negli ultimi due anni, erano state messe al bando circa 26 opere, alle compagnie si chiedeva anche di sottoporre il repertorio alla approvazione del ministero.

Sempre nel 1952 il Ministero della Cultura dava vita a un gruppo di otto membri con il compito di revisionare e definire le opere tradizionali; ne facevano parte anche Tian Han, Mei Lanfang, Cheng Yanqiu, Ma Shaopo, Lao She. Il gruppo aveva come sostegni esecutivi l'Istituto di Ricerca del Teatro Tradizionale Cinese e l'Ufficio Culturale di Pechino. Nel 1953 il Ministero della Cultura aveva mobilitato le compagnie pubbliche e quelle semi private per impegnarle nelle campagne, nelle fattorie, sui luoghi di lavoro; erano anche stati invitati a Pechino e Shanghai alcuni insegnanti russi, che, con il loro lavoro resero più sistematica la diffusione delle idee di Stanislavskij e la spinta verso una recitazione sempre più 'realistica'.

Nonostante la incisività di queste iniziative e gli equilibri non facili tra le due correnti, nel 1954 le differenze tra le posizioni dei quadri di partito e quelle degli artisti, scrittori e attori professionisti del teatro tradizionale, non appaiono ancora segnate dall'antagonismo che si diffonderà dopo il 1958. Nel 1954 la discussione veniva sviluppata nelle molte manifestazioni - festival e convegni - organizzate in tutta la Cina; il teatro era stimolato in tutte le sue forme e gli attori erano spinti a riesaminare le proprie condizioni di lavoro oltre che la propria arte11 . Ma Shaopo nel 1955, in occasione della celebrazione dei cinquanta anni di vita nel teatro di Mei Lanfang e Zhou Xinfang12 sembra voler rispettare l'equilibrio tra le due correnti. Il lavoro di questi attori, scrive Ma Shaopo è

"... basato sull’accettazione e lo sviluppo della tradizione intrinsecamente realistica dell'opera di Pechino"; "... nella ricerca dei mezzi più espressivi [essi] dedicano una minuziosa attenzione ad ogni sfumatura del ritmo e della armonia"; "Oggi, come dirigenti di teatri di Stato e dell'Istituto del Teatro Tradizionale Cinese, non risparmiano i loro sforzi per mettere l'arte al servizio di operai, contadini e soldati e per promuovere la riforma del teatro tradizionale cinese13 ".

5. Continuità e rinnovamento

Nella visione diffusa fra i quadri del settore culturale del partito, il teatro tradizionale era un territorio su cui era necessario intervenire e, se in molti casi veniva riconosciuto il suo avanzato livello di arte in altre occasioni lo si condannava anche per la sua debolezza formale14 .

Coloro che erano parte del teatro xiqu, o si sentivano vicino ad esso avanzavano invece - anche se non in maniera esplicita - l'ipotesi della continuità del teatro tradizionale. Senza contrapporsi alle riforme essi sostenevano la possibilità di riconoscerlo come sistema completo e autonomo capace di affiancarsi con uguale legittimità e autonomia al teatro riformato, a quello di tipo occidentale15 o ai nuovi generi che stavano nascendo come il geju. Nell' intervento di Mei Lanfang, questa ipotesi traspare dietro il rigore delle sue affermazioni. Il suo testo è di particolare interesse: consequenziale nella costruzione ma apparentemente contraddittorio nelle intenzioni; accondiscendente verso le nuove regole ma anche rigoroso nel portare il discorso fino alle ultime conseguenze, coerente con la posizione ufficiale ma anche venato di pessimismo.

Per lui la riforma deve essere soprattutto un miglioramento:

"La questione che noi oggi dobbiamo affrontare non deve essere l'abolizione, ma come rimuovere il superfluo, mantenere l' essenziale e introdurre delle correzioni”.

Ma aggiunge anche:

“... senza un progetto completo noi affronteremo soltanto i problemi minori, facendo le barbe più corte, le calzature più basse, ma non riusciremo a risolvere il problema".

Erano già state realizzate nel '54 molte delle indicazioni del Comitato per il miglioramento del teatro tradizionale che chiedevano tra l'altro: l'uso del sipario, il buio in platea, le sedie per il pubblico e anche l'abolizione degli assistenti di scena e dunque i cambi di scena nascosti agli occhi degli spettatori.

A queste variazioni, come ha scritto il drammaturgo Wu Zuguang16 , era possibile abituarsi:

"Parliamo della questione della eliminazione degli assistenti di scena [...]. Siamo stati abituati a vederli sin dall'infanzia; verso queste persone 'estranee al dramma' si poteva 'guardare senza vedere', restare completamente indifferenti. Ricordo che quando al loro posto è stato usato il sipario, un famoso attore mi ha detto: "siamo diventati come dei maghi, si chiude il sipario e i tavoli e le sedie scompaiono, si apre il sipario e tavoli e sedie ricompaiono". Anche io avevo la stessa sensazione. [...] Però se nel passato ci eravamo potuti abituare agli assistenti di scena, oggi possiamo abituarci gradualmente all'uso del sipario".

Mei Lanfang si poneva il problema dei confini oltre i quali non potevano andare gli interventi di correzione e 'miglioramento'. Ad esempio egli sosteneva che, se era giusto abolire alcuni dei volti dipinti (lianpu), applicare questa norma al trucco dei personaggi più antichi e più noti del repertorio (come Cao Cao, il famoso generale protagonista della Guerra dei Tre Regni), significava rinunciare anche ad una delle soluzioni sceniche più interne alle convenzioni dell'Opera di Pechino: quella che viene indicata con l'espressione 'apri la porta, vedi la montagna' (kaimen jianshan), vale a dire quei casi in cui l'attore, non esegue il passaggio introduttivo con cui solitamente ogni personaggio presenta se stesso al pubblico.

Ciò che più sembra preoccupare Mei Lanfang è il pericolo rappresentato da una riforma che procede per interventi parziali e che per realizzare forme più moderne interviene eliminando pezzo a pezzo gli elementi costitutivi dell'Opera di Pechino. II suo articolo si apriva con una considerazione sui legami tra scena, musica, trucco, movimento, personaggio ecc., per spiegare come l'Opera di Pechino fosse, come diremmo oggi, un sistema integrato di relazioni tra diversi codici. Il problema stava nel fatto che quel tipo di interventi parziali andavano a rompere le relazioni interne fra le componenti di quel sistema:

"Nel teatro di moda oggi, i gesti delle mani, l'andatura dell'attore, l'espressione dei sentimenti, la declamazione delle parti parlate, non sono una convenzione specifica sulla scena dell'Opera di Pechino, ma esistono in base alla rappresentazione della vita contemporanea. Oltre il canto c'è l'accompagnamento musicale, senza l'opportunità del canto, l'accompagnamento musicale non serve più”.

Limitare il canto significava limitare la musica e dunque l'organizzazione ritmica del movimento, la definizione e i confini del gesto e così via. Nelle opere moderne l'espressione dell'attore non si individua in base allo specifico linguaggio dell'Opera di Pechino, alle sue convenzioni, ma in base alle convezioni della vita sociale contemporanea secondo quanto suggerivano le più diffuse interpretazioni del realismo. La strada delle soluzioni parziali dunque non avrebbe portato alla riforma ma alla rinuncia all'Opera di Pechino. A queste considerazioni Mei Lanfang fa seguire una affermazione radicale: l'Opera di Pechino non ha i mezzi per rappresentare il mondo moderno.

"Per riassumere, si tratta di un sistema originale e assolutamente autonomo, il metodo di rappresentazione dell'Opera di Pechino è fondato sulla evidenza e sulla amplificazione; i suoi elementi principali sono canto e danza. Se si vuole rappresentare la vita quotidiana di oggi non si possono non prendere in considerazione e usare le nuove forme di espressione; nello stile originale della forma artistica dell'Opera di Pechino non ci sono mezzi appropriati. Dopo alcuni tentativi non ho più provato a rappresentare opere in stile moderno. Secondo la mia esperienza l'Opera di Pechino ancora può, e sicuramente ha rappresentato opere in stile moderno ma nello stesso tempo non è il teatro più adatto".

Mei Lanfang parla del suo teatro non come genere o stile ma come un sistema di rappresentazione che può sopravvivere solo restando fedele al proprio linguaggio; ne difende l’integrazione interna e la completezza, ma non nasconde che la sua reale debolezza sta nel non essere coerente con la vita moderna. In questo modo egli andava oltre le affermazioni dei più decisi riformatori ma nello stesso tempo introduceva il dubbio sulla utilità del lavoro di riforma che lui stesso era chiamato a compiere.

Un esempio portato da Wu Zuguang conferma la difficoltà di introdurre nel teatro xiqu delle varianti anche quando queste nascevano dalle esigenze del cinema, l'arte da cui il teatro musicale avrebbe dovuto trarre delle lezioni di realismo. Durante le riprese cinematografiche dell'Opera Shuang tui mo (In due a spingere la mola) venne deciso che per rispondere alle esigenze di luce e profondità della ripresa era necessario costruire una scena tridimensionale con elementi reali, porte finestre ecc. Ma gli attori riproducevano il lavoro alla mola o il trasporto dell'acqua facendo uso solo di gesti e movimenti, e dunque indipendentemente dagli elementi offerti dalla scenografia. La loro azione mimetica era talmente in contraddizione con i particolari realistici della scena tridimensionale che fu ripristinata la scena originale dipinta su stoffa (bujing). Come Mei Lanfang anche Wu Zuguang sostiene che l'attore del teatro tradizionale possiede i mezzi per rappresentare ogni tipo di situazione. L'attore, egli dice:

"Ha trasformato tutte le azioni della vita quotidiana in vari gruppi completi di forme di danza"

che gli permettono di rappresentare, senza limiti materiali, qualunque tipo di azione: scalare le montagne, volare fra le nuvole, nuotare nel fondo del mare.

È a proposito del tema del realismo che il discorso di Mei Lanfang torna a sostenere le ragioni della continuità del teatro musicale. Il realismo non è, secondo Mei Lanfang, una discriminante tra vecchio e nuovo teatro. Il corpo, il movimento, la voce dell'attore creano la scena, in completa autonomia. Il prodotto della creatività dell'attore pretende sì di sostituirsi alla realtà ma proprio per questo è necessaria una grande precisione nella produzione dell'atto mimetico, un grande cura della verità di ciò che si rappresenta.

"Quanto al sistema di recitazione realistico io credo che esso sia estremamente importante nella riforma dell'Opera di Pechino. Prima ho detto, la vita della scena sta nel corpo dell'attore, dunque la creazione artistica dell'attore diventa un compito di primaria importanza. Molti dei maestri della generazione precedente, pur non conoscendo il termine realismo, tuttavia erano, nella loro recitazione, perfettamente in accordo con questo principio. Studiando intensamente la situazione teatrale e la logica teatrale essi sentivano profondamente la natura del personaggio [...] Gli anziani maestri spesso mi dicono: falso il teatro, vera l'azione17 . Si deve definire la natura e l'identità del personaggio perfezionando personalmente ogni dettaglio [ ....] Dunque io sono arrivato a pensare che, dal momento che ogni attore conosce a fondo il metodo della recitazione realistica, esso è sempre appropriato ed è anche la regola più alta dell'arte della recitazione. Oggi, nel lavoro di riforma del teatro, ritengo che valorizzare l'importanza della formazione artistica dell'attore, sviluppando lo spirito tradizionale del realismo, sia una priorità verso il progresso”.

Il realismo è dunque per Mei Lanfang una categoria che appartiene al teatro musicale come a quello di parola. L'unica distinzione applicabile è tra un metodo realistico tradizionale e uno "moderno" ma in tutti e due i casi ciò che più conta è la serietà del lavoro dell'attore, la sua preparazione. Anche questa visione unificante del problema del realismo è una risposta molto chiara alle contrapposizioni che i sostenitori di una riforma più drastica tendevano a costruire tra antico, feudale, elitistico, individualista, reazionario e moderno, popolare, collettivo rivoluzionario ecc.

Altrettanto unificante è l' ottica di Ouyang Yuqian che dedica il suo articolo alla recitazione del teatro huaju; egli sostiene infatti che xiqu e huaju hanno problemi comuni nella recitazione, perché ambedue danno molta importanza alla parola.

"Il teatro musicale del nostro Paese è un teatro cantato che dà molta importanza al parlato senza accompagnamento musicale. C'è un detto: "quattro liang per cantare, mille jin per parlare [1 jin -10 liang]. All'inizio non capivo questo modo di dire. Dopo alcuni anni di studio dell'arte del teatro ho capito che i brani parlati non sono assolutamente facili (certamente il paragone dei mille liang e quattro jin è un po' esagerato)".

La differenza dunque non va cercata nelle quantità in cui musica o parola sono presenti. Sia che prevalga la musica, sia che prevalga la parola il problema è la differenza tra il gesto e il linguaggio del palcoscenico e il gesto e il linguaggio della vita quotidiana:

"Nella vita quotidiana ogni espressione, ogni parola ha uno scopo. Le battute di scena, per uno specifico scopo teatrale, passano attraverso un lavoro di selezione e concentrazione, e sono portate ad essere come il linguaggio della vita; esse devono rispettare un tempo prefissato, sulla base di una circostanza prestabilita".

Ouyang Yuqian sembra porsi al di fuori del discorso ideologico che interpretava il realismo come corrispondenza tra modelli teatrali e modelli sociali e traccia invece le ragioni della distanza tra il comportamento teatrale e quello quotidiano. Non solo; egli spiega anche perché la più diffusa idea di realismo diventava la principale ragione della debolezza del teatro huaju:

"Non è detto che basta essere di Pechino per sapere eseguire i brani parlati in dialetto di Pechino (jingbai). Si dice che il 'parlato' del teatro musicale usa alcune intonazioni particolari, dunque è necessario studiare per poterlo eseguire. Nel teatro di prosa si usa il linguaggio della vita quotidiana, perciò si dice: se hai una pronuncia accettabile non devi fare molto esercizio. Più è naturale, meglio è; basta che parli come parli normalmente. Quando sono fuori dalla scena possono anche pensare così, ma appena sono sul palcoscenico si rendono conto della differenza tra stare in scena e stare fuori scena. Per far capire bene agli spettatori (ciò che dicono) non possono fare altro che alzare la voce e allungare le parole; ecco che, senza che si accorgano, si forma un tipo di linguaggio detto ‘linguaggio di scena' che sembra recitazione. Poi però si accorgono che questo linguaggio non è molto naturale e di nuovo sentono l'esigenza di utilizzare quello della vita quotidiana. Però se il modo di parlare è troppo naturale, gli spettatori non capiscono chiaramente, oppure non sentono niente, oppure ascoltano una zuppa insipida, che non suscita nessun interesse. Il teatro di prosa in Cina ha già più di cinquanta anni di storia, ma il problema di come dire le battute non è stato ancora risolto. Non può non esserci un insegnamento per questa tecnica di parlato; bisogna avere la volontà di imparare bene questo tipo di recitazione".

6. Conclusione: Analogie e radici storiche

La difesa del teatro musicale come arte e come linguaggio, con le proprie regole e la propria autonomia rappresentativa non nasce, nelle parole di Mei Lanfang, da una intenzione teorica ma dalla necessità di negoziare la continuità e la sopravvivenza di questo teatro. L’attore professionista del teatro xiqu rivela la conflittualità della propria posizione, proprio nel dover spiegare e quasi giustificare le prerogative di un'arte che fino a pochi anni prima era ancora considerata la più avanzata e completa. Mei Lanfang nei suoi incarichi pubblici testimoniava la necessità di correggere e migliorare l'arte e la posizione sociale degli attori. Nello stesso tempo, di fronte alla proposta di trasformazione ispirata ad un realismo letterale e alle nuove convenzioni della vita sociale, doveva ammettere che i mezzi espressivi della sua arte si basavano su canoni che la società moderna tendeva ad escludere dalla vita quotidiana. Rivelando le sue più radicali convinzioni egli rivelava il conflitto sotteso alla sua stessa proposta di continuità del teatro xiqu. Ouyang Yuqian, che invece nella propria storia aveva superato tutte le riserve verso una commistione tra xiqu e huaju, preferisce far notare ciò che li unisce ma, indicando il pericolo di una facile interpretazione della idea di realismo, sottolinea che il teatro vive delle proprie leggi anche quando rappresenta la vita quotidiana, dunque la sua assimilazione alle convenzioni del comportamento e dell'ethos quotidiano non può essere completa.

Nel simposium What more do we need yo know about chinese theatre, promosso dalla rivista Asian Theatre Journal nel 1994, la regista e scrittrice Yan Haiping invitava a considerare il teatro cinese moderno come uno dei campi in cui si esplica la ricerca della moderna soggettività cinese, una ricerca che comporta processi di ibridazione, critica, appropriazione, oltre che 'conflitti e negoziazioni' nei confronti sia della tradizione che dell'occidente moderno. Le riflessioni di Mei Lanfang e Ouyang Yuqian ci danno un esempio di come questo tipo di processi fossero già parte del dibattito in corso nei primi anni cinquanta e dei delicati equilibri tra le due correnti che si contendevano le cariche culturali e quelle politiche. Nello stesso tempo le complesse implicazioni della scelta tra la riforma o la continuità del teatro musicale, che essi segnalano, ci guidano alle radici storiche delle difficoltà affrontate ancora negli anni ottanta dagli attori del teatro xiqu.


MONDO CINESE N. 96, SETTEMBRE-DICEMBRE 1997

Bibliografia

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-Tung C. and Mackerras C. eds., Drama in the People's Republic of China, State University of New York Press, Albany, New York 1987.
-Wichmann E., "Tradition and innovation in contemporary Beijing opera performance", The Drama Review, 34, 1, Spring 1990, pp. 146-178.
-Wu Zuguang, "Tan tan xiqu gaige de jige shiji wenti (Parliamo di alcuni problemi concreti della riforma del teatro musicale)", Xijubao n. 11, Novembre 1954, p. 15.
-Wu Zuguang, Huang Zuolin, Mei Shaowu, Peking opera and Mei Lanfang, Beijing, New World Press 1981.
-Zhao Shuli, "Wo dui xiqu yishu gaige de kanfa (Il mio punto di vista sulla riforma dell'arte del teatro musicale)", Xijubao, n. 12, 1954, pp. 29-31.
-Yan Haiping, "Theatre and Society", Asian Theatre journal, Vol. II, n. 1, 1994, pp. 104-113.
-Zhongguo xiqu quyi cidian (Dizionario del teatro musicale e delle arti dello spettacolo popolare), Shanghai 1981.

Note

1 Riguardo l'uso della espressione xiqu sono necessarie alcune considerazioni. È una denominazione che raccoglie sotto un unico segno le oltre trecento forme di teatro tradizionale musicale presenti in Cina. Ma è usata per indicare anche lo stile più famoso di teatro musicale tradizionale: l'Opera di Pechino. Inoltre, lungo questo secolo, ad essa si sono sommate le connotazioni di teatro 'tradizionale' e di teatro 'nazionale' con una implicita contrapposizione rispetto al teatro nato sul modello occidentale (huaju) a cui sono stati attribuiti i caratteri del nuovo e del moderno. Credo sia utile ricordare i caratteri peculiari del teatro musicale tradizionale cinese attraverso la definizione di Peng Ching-hsi "Le sue caratteristiche principali sono: 1) arie cantate fra cui sono inseriti dei dialoghi in prosa; 2) pantomima, acrobazia e azioni stilizzate in sena, 3) simbolismo dei colori nei costumi e nel trucco del volto, 4) un arredo di scena semplice e simbolico su un palcoscenico quasi vuoto, 5) un accompagnamento musicale dal vivo e vivace". (At the Crossroads: Peking opera in Taiwan Today; Asian Theatre journal, vol 6, n. 2, Fall 1989, p. 125). 
2 Con huaju si intende un teatro fondato sul dialogo, l’assenza dell'accompagnamento musicale e una recitazione di tipo "realistico-naturalistico". La nascita di questa forma di teatro in Cina viene generalmente ricondotta al 1907. Particolare rilievo ha avuto negli anni venti in coincidenza con il Movimento del Quattro Maggio e con l'interesse suscitato dalle opere di Ibsen.
3 Citato in E. Wichmann, "Tradition and innovation in contemporary Beijing opera performance", The Drama Review, 34, 1, Spring 1990, p. 168.
4 Ibidem.
5 F. S. Yang, The Reform of Peking Opera under Communist, The China Quarterly 11, 1962, p. 127.
6 Dui jingju biaoyan yishu de yidian tihui (Alcune esperienze nell'arte della rappresentazione dell'opera di Pechino), Xijubao n. 12, dicembre 1954, p. 27.
7 Yanyuan bixu pian hao taici (L'attore deve studiare bene le battute), Xijubao, n. 4, Aprile 1954, p. 7.
8 Per notizie biografiche di questi due attori v. Enciclopedia dello Spettacolo, a cura di S. D'Amico, Roma, Le maschere, 1954-1966, ad voces "Mei Lanfang" (di G. Bertuccioli) e "Chou Hsin-fang" (di A. Travert).
9 Il lavoro di Stanislavskij era già noto in Cina dagli anni venti. L'interesse del mondo intellettuale cinese per il regista russo è rivelato anche dal fatto che nel 1937 venne tradotta dall'inglese in cinese una parte della sua opera più nota, uscita un anno prima in America con il titolo An actor prepares. La prima edizione russa si ebbe invece nel 1938.
10 Geju, dramma cantato, nato dallo sviluppo dello yangge.
11 Il lavoro di miglioramento e "correzione" compiuto sul repertorio tradizionale è stato testimoniato in Europa dagli spettacoli che la Compagnia Ufficiale della Repubblica Popolare Cinese, ha portato a Parigi nel 1955.
12 Sostenuto in questo periodo per il suo interesse verso la riforma e la funzione sociale del teatro, Zhou Xinfang fu invece duramente contrastato durante la Rivoluzione Culturale, tanto che si diffuse la voce che fosse stato ucciso dalle Guardie Rosse. In realtà in occasione di una sua commemorazione nell'agosto 1979 - cui partecipò lo stesso Deng Xiaoping - fu ufficialmente precisata la data della sua scomparsa avvenuta nel 1975.
13 Ma Shaopo, Mei Lanfang and Chou Xinfang, on the occasion of the fiftieth anniversary on the stage of two outstanding Chinese actors, Chinese Literature n. 3, 1955. pp. 142, 143, 148.
14 Cfr. Zhao Shuli, Wo dui xiqu yishu gaige de kanfa (Il mio punto di vista sulla riforma dell'arte del teatro musicale), Xijubao n. 12, dicembre 1954, p. 29.
15 Negli anni '20-'30 si era determinato un certo equilibrio nella posizione del teatro tradizionale. La presenza del teatro di modello occidentale liberava il teatro xiqu dalla necessità di farsi carico di problemi soggetti e contenuti che non avrebbe potuto adeguatamente rappresentare.
16 Wu Zuguang, Tan tan xiqu gaige de jige shiji wenti (Parliamo di alcuni problemi concreti della riforma del teatro musicale), Xijubao n. 11, novembre 1954, p. 75.
17 Lett. "Canto”. La prevalenza del teatro musicale nella tradizione, ha prodotto una sinonimia tra le espressioni yanxi (rappresentare un dramma) e changxi (cantare un dramma); in questo caso particolare chang indica l'azione complessiva dell'attore.


 

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