SOMMARIO: 1. Origini e sviluppo della ristorazione cinese in Italia. - 2. Quadro generale della ristorazione cinese in Italia. - 3. Il mercato dei prodotti alimentari cinesi in Italia. - Bibliografia.
"Un cuoco bravo sa girare gli angoli" afferma un detto dell'antica Cina sintetizzando un aspetto essenziale della gastronomia di questo Paese. La cucina cinese è in effetti caratterizzata da un'estrema elasticità nei confronti degli ingredienti, fattore che, nato in risposta ad una penuria di materie prime, risulta essere determinante anche qualora si voglia cucinare cinese al di fuori della Cina: pur nell'ipotesi che manchino ingredienti tipicamente cinesi, basterà la tecnica, ovvero il modo in cui si preparano gli ingredienti alla cottura e la maniera in cui si cuociono e si abbinano, a dare un'impronta prettamente cinese al pasto. Ed è probabilmente proprio questa peculiarità uno dei motivi fondamentali del successo della ristorazione cinese nel mondo.
Da più di trenta anni la cucina cinese ha iniziato a farsi conoscere anche in Italia dove è ormai rappresentata da numerosi locali tipici e da un mercato alimentare specializzato piuttosto sviluppato.
Volendo effettuare una ricerca su questo fenomeno, data la scarsità di fonti scritte riguardo all'argomento, abbiamo visitato una serie di ristoranti e di rivendite di prodotti alimentari cinesi rivolgendoci al personale di questi esercizi attraverso due diversi questionari, uno per i ristoratori e uno per i negozianti, appositamente preparati come punti di partenza per la nostra indagine sul campo.
Analogamente, sempre servendoci di un questionario, ci siamo rivolti a un certo numero di italiani con l'intento di individuare il loro rapporto con la cucina cinese.
Questa fase della ricerca, che ci ha portato all'incontro diretto e costante con il mondo della gastronomia cinese in Italia, ci ha fruttato tutta una serie di informazioni e di spunti di riflessione che, visti alla luce del materiale scritto a nostra disposizione, sono stati molto importanti nella stesura di questo saggio.
Per quanto riguarda i campioni, riteniamo infine opportuno precisare che abbiamo concentrato l'attenzione esclusivamente su alcune città quali Milano, Venezia, Firenze, Perugia e Arezzo che presentano ognuna un differente rapporto storico e sociale con la diffusione della cucina cinese e ci sono pertanto sembrate adatte a fornire le basi per considerazioni generali su questo fenomeno.
1. Origini e sviluppo della ristorazione cinese in Italia
La cucina cinese non solo è sempre stata un importante fattore culturale al centro della civiltà che le ha dato origine e tuttora l'arricchisce, ma ha anche saputo rendersi attraente al di fuori della Cina in altri Paesi sia come oggetto di studio da un punto di vista antropologico sia come alternativa esotica alle gastronomie locali.
Il fenomeno della diffusione della cucina cinese nel mondo è connesso con il forte movimento migratorio cinese, causato, da più di un secolo, da problemi demografici, economici, politici e sociali quali il dominio straniero, la povertà, le guerre civili, il cambiamento di regime politico.
Fin dall'inizio di questo esodo, i cinesi hanno avuto la tendenza a concentrarsi in quartieri cittadini in cui ricreare una vita comunitaria, che permettesse loro di mantenere un certo equilibrio culturale al di fuori della madrepatria1 . Proprio all'interno di questi quartieri, detti poi
Chinatowns, sono nati i primi punti di ristorazione attraverso i quali la cucina cinese ha cominciato a farsi conoscere, al di là dei suoi confini originari, come una delle manifestazioni culinarie più interessanti.
In Italia l'arrivo dei primi immigrati cinesi, premessa di questa espansione gastronomica, è subito successivo al conflitto del 1915-1918: con la pace e il conseguente ritorno in patria della manodopera locale, buona parte del personale cinese che aveva lavorato in Francia in tempo di guerra, trovandosi privo di occupazione, partì alla volta di altre mete europee in cerca di fortuna. Fu allora che nacquero i primi nuclei della comunità cinese in Italia2 .
Con la persistenza nel loro Paese di una precaria situazione economica, molti cinesi continuarono fino all'inizio della seconda guerra mondiale a emigrare anche in Italia, prendendo come punto di riferimento i connazionali arrivati qui prima di loro. I membri di questo primo flusso migratorio cominciarono a lavorare per lo più come venditori ambulanti di piccoli oggetti (mollette, stringhe, collane...) ma, in seguito, affiancarono a questa attività la confezione di articoli in tessuto come cravatte e borsellini e finirono con il dedicarsi al settore della pelletteria e in particolare alla produzione di borse.
Questa occupazione, sostenuta da una grande costanza nell'impegno e nei ritmi di lavoro, si dimostrò redditizia per i cinesi tanto che ad essa si rivolsero anche coloro che giunsero dalla Cina in un secondo momento.
Tra gli anni '50 e gli anni '60 ci fu infatti un secondo flusso di emigranti, anche se limitato e lento, dato che questo periodo vide il formarsi della Repubblica Popolare Cinese e la guerra fredda, per cui molti cinesi non abbandonarono la patria sperando in un futuro migliore. Sempre a causa di questi mutamenti politici, arrivarono in Italia i primi cinesi da Taiwan, Hong Kong e altri Paesi già rifugio dei Nazionalisti.
Le persone che lasciarono la Cina furono soprattutto quelle che erano state richiamate dai familiari stabilitisi altrove e così anche in Italia iniziarono i ricongiungimenti delle famiglie: se il capofamiglia con alcuni figli vivevano già in Italia, la moglie e altri membri della famiglia, con il fine di raggiungere gli altri parenti emigrati prima di loro, riuscivano più facilmente ad avere l'autorizzazione ad espatriare.
La riunione della famiglia veniva resa più facile anche dalla possibilità per gli impresari cinesi all'estero di richiedere in Cina manodopera specializzata necessaria alle loro attività e la manodopera che arrivava coincideva, normalmente, con parenti o amici di chi aveva fatto la richiesta. Di volta in volta, i nuovi arrivati potevano generalmente contare sui nuclei di cinesi, già esistenti nella terra d'immigrazione, che erano in grado di offrire loro vitto, alloggio e lavoro.
In seguito alla crescita della comunità presto fu saturo il settore della pelletteria e la soluzione al problema fu proprio l'apertura di ristoranti tipici3 . Tali punti di ristorazione, oltre a offrire un lavoro ai disoccupati, ebbero un ruolo molto importante nel soddisfare le esigenze primarie della comunità in continua espansione, nel senso che i primi clienti furono i cinesi stessi i quali vi si recavano non solo per mangiare, ma anche per incontrarsi.
E nel 1949 a Roma, precisamente in via Borgognona, che è stato aperto lo Shanghai, il primo ristorante cinese in Italia ad uso, quindi, soprattutto dei cinesi della comunità ed è sempre per i cinesi che sono stati aperti, a partire dagli anni '60, i primi ristoranti anche di Milano e di Firenze.
Con il tempo tuttavia la clientela della ristorazione tipica crebbe e si differenziò. Oltre che per i cinesi, questi ristoranti divennero un punto di riferimento per gli asiatici in generale, sia turisti che uomini d'affari; anche molti italiani cominciarono a frequentarli, attratti prima dalla novità e successivamente dal gusto di questa cucina diversa, anche se già occidentalizzata o comunque proposta in modo che fosse per loro accettabile.
Se gli immigrati cinesi in Italia venivano generalmente da regioni quali il Zhejiang, il Fujian, il Jiangxi, era principalmente da Hong Kong che arrivavano i cuochi professionisti chiamati dai proprietari dei primi ristoranti, persone senza esperienza in cucina.
Questi cuochi erano molto rinomati e richiesti in quanto la gastronomia da loro proposta, rappresentando la varia e composita comunità cinese di Hong Kong, offriva piatti di tutte le diverse cucine regionali cinesi. Inoltre, data la particolarità di altri fattori tipici di Hong Kong, quali il lungo periodo coloniale britannico, il continuo ricambio di commercianti e uomini politici, l'affluenza di un importante turismo, i cuochi di questo Paese avevano la caratteristica di essere già abituati a trattare con gli stranieri, sapevano in linea di massima che cosa poteva piacere a palati nuovi e alle prime armi con la cucina cinese; erano, insomma, in grado di adattare quest'ultima ai gusti degli occidentali.
Professionisti di tale valore tuttavia richiedevano stipendi piuttosto alti tanto che, al fine di ridurre la spesa, i proprietari dei ristoranti cominciarono a sostituire i cuochi di Hong Kong con quella manodopera che inizialmente li aveva soltanto affiancati, ma che poi, lavorando con loro, si era impratichita in cucina. In questo modo il mantenimento del personale divenne decisamente meno costoso e il ristorante tipico si definì sempre di più come un'impresa a carattere familiare; via via, chi si era fatto un po' di esperienza in cucina, dopo aver lavorato come dipendente per qualche anno, accumulando un capitale di base, da solo o in società e, spesso, ricorrendo anche al prestito da parte di parenti e conoscenti, apriva un nuovo ristorante e, trovandosi di fronte ad un lavoro sempre crescente, richiamava a sua volta dalla Cina altri parenti o amici in qualità di cuochi o lavoranti.
L'apertura di ristoranti tipici diventò così una reazione a catena che era strettamente connessa con quella dell'immigrazione e che trovò una ragion d'essere anche nel successo che questi ristoranti, rari ed estremamente insoliti, gradualmente riuscirono a incontrare tra la clientela italiana.
Per anni il ritmo della crescita e dell'espansione della ristorazione cinese in Italia fu comunque piuttosto lento, così come relativamente circoscritta rimase la clientela. I locali tipici si trovavano, del resto, di fronte a un Paese con fortissime tradizioni gastronomiche e già numerose cucine regionali; l'impatto della cucina orientale con la cultura alimentare autoctona non era neanche facilitato da una precedente esperienza coloniale come ad esempio nel caso dell'Inghilterra, della Francia o dell'Olanda.
Frequentatori di questi ristoranti, il cui livello era discreto e i cui prezzi erano medio-alti, erano soprattutto benestanti di una certa età e giovani in cerca di novità. Per il resto, gli italiani si dimostravano alquanto diffidenti nei confronti di una cucina così estranea alle loro abitudini alimentari.
Oltre al problema della reazione che inizialmente ebbe la maggior parte dei potenziali clienti, i ristoratori cinesi dovettero affrontare anche quello dell'approvvigionamento dei prodotti tipici per cui essi dovevano rivolgersi alle comunità cinesi di Londra o Parigi. Essendo infatti ancora ridotto in Italia il numero dei cinesi e quello dei loro locali, mancava qui un mercato che dotasse la comunità cinese delle materie prime necessarie alla sua cucina.
Nonostante le difficoltà che si presentavano ai proprietari dei primi ristoranti, l'inaugurazione di un nuovo locale rimaneva, per i cinesi, un'importante occasione per incontrarsi e per fare festa, tra i sapori e i profumi dei loro cibi.
Con il passare del tempo i punti di ristorazione cinese, in città con una ormai stabile e discreta comunità cinese come Milano, Firenze, Roma, si diffusero gradatamente in differenti settori cittadini, oltrepassando i confini della loro originaria concentrazione la quale aveva visto, tra l'altro, tra le zone più redditizie, quelle presso le stazioni FF.SS., in quanto naturalmente più esposte al movimento di turisti e uomini d'affari stranieri.
Contemporaneamente i cinesi presero a raggiungere altre città, in cerca di luoghi di insediamento diversi, aprendovi nuovi ristoranti tipici e dovendo di volta in volta affrontare i problemi dell'impatto con la nuova realtà ospitante e quelli dell'inserimento nella stessa.
Quest'espansione dei ristoranti cinesi andò notevolmente accelerandosi in concomitanza di un generale e complesso cambiamento, a partire dagli anni '80, nel settore della ristorazione, ormai decisamente coinvolto dal fenomeno del pasto fuori casa. In questi anni un benessere economico maggiormente diffuso influì sull'aumento del numero di quelle persone che, o per piacere o per motivi di lavoro, sempre di più tendevano a mangiare al ristorante. I locali prevalentemente frequentati rimanevano comunque quelli dove era possibile consumare un pasto per un buon prezzo.
Crescendo la richiesta di simili locali, un'offerta vantaggiosa venne lanciata sul mercato proprio dai ristoratori cinesi. Essi in primo luogo cominciarono a sostituirsi, comprandone le licenze, alle classiche e popolari trattorie locali a gestione familiare degli anni '65-'70 che, con il mancato passaggio delle attività dai genitori ai figli, stavano via via chiudendo; in secondo luogo si dimostrarono in grado di adottare quei prezzi bassi, adesso così richiesti nel settore della ristorazione, che furono un importante fattore nell'estensione della fascia sociale dei frequentatori dei loro ristoranti.
Incoraggiata, tra l'altro, dalla componente della convenienza economica, si rafforzò, come ulteriore invito alla cucina cinese, anche la voglia di qualcosa di nuovo e di diverso che si stava inserendo nel modo di mangiare degli italiani e soprattutto nel loro modo di concepire il pasto fuori casa. Dopo secoli di isolamento in campo gastronomico, gli italiani, anche in seguito a più frequenti viaggi all'estero, stavano finalmente reagendo con una nuova apertura nei confronti della diversità delle cucine straniere per una reale e crescente curiosità o semplicemente per un fatto di moda. I ristoranti cinesi che proponevano una cucina contenuta nel prezzo, e allo stesso tempo esotica, ma adeguata ai gusti degli italiani, rispondevano alle esigenze di mercato e a quelle dei consumatori e si trovarono così ad assumere negli anni '80 un ruolo sempre più importante nell'ambito della ristorazione in Italia.
2. Quadro generale della ristorazione cinese in Italia
Inquadrare l'ormai rilevante presenza di ristoranti, trattorie e rosticcerie cinesi entro precisi termini numerici risulta quasi impossibile. A rendere difficile il conteggio di tali esercizi sono la velocità con cui questi stessi nascono e scompaiono e la loro registrazione spesso a nome di italiani che, onde evitare difficoltà ai loro soci cinesi, se ne presentano come gli esclusivi titolari, fattori, questi, legati ai problemi economici e sociali che la comunità cinese, accresciuta da un flusso migratorio forte e costante, deve continuamente affrontare.
In linea di massima, comunque, oggigiorno, benché le città che presentano un maggior numero di punti di ristorazione cinese rimangano quelle che, come Milano e Roma, furono i primi luoghi di insediamento degli immigrati cinesi, questo genere di locali si trova in tutta Italia. Si citino soltanto le cifre straordinarie di Milano e Roma che, singolarmente, contano più di duecento locali tra ristoranti e rosticcerie e quelle più contenute delle città medio-grandi del centro-nord che offrono, in media, dai dieci ai trenta ristoranti, per confermare l'importanza del fenomeno della ristorazione cinese in Italia.
Tale sviluppo, del resto, ha già destato un certo malcontento sia tra i ristoratori italiani sia tra i proprietari dei locali cinesi più vecchi e, comunque, con una buona reputazione culinaria. Quest'ultimi temono infatti che i tanti locali sorti negli ultimi anni, dove a lavorare, quasi sempre, non si ha personale specializzato, allontanino dal settore della ristorazione cinese nuovi potenziali clienti delusi da una cucina poco curata. Ciò che, invece, spaventa i primi è la forte concorrenza di questi ristoranti che, con i loro prezzi bassi e la loro cucina esotica, non solo richiamano molti clienti italiani, ma deviano anche un grosso flusso di stranieri, turisti o uomini d'affari.
Il livello contenuto dei prezzi, grande elemento di attrazione dei locali cinesi, è evidente in quasi tutti i menù raccolti nel corso della nostra ricerca, così come spiccano, vantaggiose, le offerte speciali ovvero i pasti a prezzo fisso, siano questi quelli del mezzogiorno o quelli cosiddetti turistici.
Soprattutto a Milano, dove molte sono le persone che, per motivi di tempo e di orario, restano fuori a pranzo, non è difficile avere, a mezzogiorno, un pasto completo a partire da 9.000 lire, coperto e servizio inclusi. Normalmente, tuttavia, tra i pasti a prezzo fisso, definiti di volta in volta anche come turistici o consigliati, proposti, spesso in diverse varianti, da numerosi ristoranti cinesi, quelli più convenienti si aggirano, di solito, attorno alle 15.000 lire tutto compreso.
Vari sono i motivi per cui, nella maggioranza dei casi, tali locali possono permettersi di mantenere prezzi tanto bassi. In primo luogo i cinesi operano nell'ambito della ristorazione usando una gestione completamente familiare o, tutt'al più, estesa ad alcuni amici. Questo tipo di gestione, che coinvolge generalmente dai cinque ai dieci individui, ha consentito di ridurre in maniera notevole i costi piuttosto alti che una azienda come il ristorante generalmente comporta.
Per i primi ristoranti aperti dai cinesi un grande problema era rappresentato dal mantenimento ad alto costo dei cuochi che erano dei veri professionisti appositamente chiamati dalla Cina dai ristoratori inesperti di gastronomia.
Nella maggior parte dei ristoranti cinesi di oggi, invece, chi prepara da mangiare sono gli stessi titolari o, al massimo, dei loro amici, in ogni caso persone che per lo più hanno un'esperienza modesta acquisita con corsi rapidi di cucina frequentati in Cina o addirittura si improvvisano cuochi in Italia. D'altra parte, nel caso di molti ristoranti, il lavoro in cucina è concentrato su un numero di persone minore di quello affermato dalla tradizione gastronomica cinese che prevede per le cucine dei ristoranti delle figure esperte ben distinte come il capocuoco, l'addetto al taglio degli ingredienti, l'addetto alla cottura e il cuoco di
dim sum4 . L’evitare, in questo modo, l'assunzione di personale specializzato troppo costoso, a prescindere dal fatto che spesso pregiudica la qualità delle vivande, è per i ristoratori e di riflesso anche per i clienti senza dubbio molto conveniente dal punto di vista economico.
Considerando il livello contenuto dei prezzi si deve inoltre tenere presente che la cucina cinese è fondamentalmente una cucina povera, maestra non solo in un uso economico e senza spreco degli ingredienti, a partire dall'impiego abbondante di cereali e vegetali, sapientemente uniti a quantità minime di carne e di pesce, ma anche in metodi di cottura veloci che richiedono un dispendio minimo di combustibile.
A favorire un ulteriore risparmio è inoltre il notevole mercato d'importazione dalla Cina che si è sviluppato negli ultimi anni, in seguito all'espansione della comunità e all'aumento dei ristoranti, rendendo più semplice e quindi meno caro quel rifornimento di prodotti alimentari e di utensili tipici della cucina cinese, sicuramente più problematico ai tempi dei primi ristoranti.
A incrementare l'affluenza di clienti italiani nei ristoranti cinesi è stato anche, come abbiamo già detto, l'elemento esotico. Benché molte persone oppongano, ancora oggi, un netto rifiuto alla cucina cinese, un po' per un radicato attaccamento alle tradizioni alimentari italiane, un po' per pregiudizio, tanti sono invece gli italiani che frequentano i locali cinesi proprio come alternativa all'esperienza gastronomica di tutti i giorni.
Per quanto non manchino i clienti che lo definiscono "ridicolo", "squallido", "artificiale", "opprimente", anche lo stesso ambiente dei locali cinesi, con quella sua vaga nota orientale, data dalle decorazioni (draghi, lanterne, ventagli, bordure in finta lacca...) che inesorabilmente lo caratterizzano, risulta esercitare un certo fascino sugli avventori.
Allo stesso modo, generalmente apprezzata è l'immagine originale e gentile del personale di sala, rigorosamente cinese, nonostante che quest'ultimo spesso, per problemi di lingua, non sia in grado di dare informazioni soddisfacenti sul menù. L’apparecchiatura a volte particolare e soprattutto la presentazione delle pietanze, quasi sempre curata, sono altre componenti che diversi clienti dimostrano di gradire.
Se alcuni aspetti formali, come l'ambiente, il personale di sala, il modo in cui le pietanze vengono presentate, hanno una discreta influenza sulla clientela dei ristoranti cinesi, comunque chi frequenta questo genere di locali stima anche e fondamentalmente la cucina che essi propongono.
Vero è che i cinesi, da quando hanno intuito che i loro ristoranti all'estero potevano avere come clienti, oltre ai cinesi della comunità, anche persone native del Paese ospitante, hanno realizzato un menù che potesse essere ben accolto dal gusto dei nuovi frequentatori. Così è successo anche in Italia dove, secondo testimonianze orali da noi raccolte presso rinomati locali cinesi di Milano, il menù dei primi ristoranti sarebbe nato dall'esperienza dei cuochi di Hong Kong nel trattare con i gusti degli stranieri, con il contributo indiretto dell'esperienza dei ristoratori delle più vecchie comunità cinesi in Francia e in Gran Bretagna il contatto con le quali era costante.
Con il tempo questo menù ha cominciato a subire dei cambiamenti: con l'aumento dei ristoranti i piatti in esso inseriti, infatti, sono andati moltiplicandosi, sia in semplici varianti, sia in realmente nuove e originali proposte. Questo processo, per cui accanto ai piatti classici sono venute ad accostarsi delle novità, è ancora in atto per i sempre più numerosi problemi di concorrenza e per una crescente sensibilità degli Italiani nei confronti della cucina cinese.
A conferma del fatto che i menù generalmente sono adattati al gusto italiano, si tenga presente che alcuni ristoranti, oltre al classico menù per la clientela occidentale, ne tengono anche uno specifico per cinesi5 e che la maggior parte del personale che lavora nei locali sui quali abbiamo concentrato la nostra ricerca, abitualmente, mangia pietanze diverse da quelle che vengono preparate per i clienti italiani.
A riprova invece del fatto che, anche se lentamente, quest'ultimi potrebbero essere guidati nell'apprezzare nuovi piatti della tradizione cinese originale, si consideri l'opinione di molti dei ristoratori da noi interpellati secondo i quali il disorientamento dei loro clienti di fronte a piatti nuovi è una questione di abitudine e di esperienza.
A proposito del fatto che il menù, come abbiamo più volte accennato, venga adeguato agli italiani, bisogna precisare che due sono i criteri seguiti per facilitare i clienti nell'approccio con la cucina cinese.
Il primo criterio concerne la presentazione delle pietanze nel menù e l'ordine con cui esse vengono portate in tavola. Se la cucina cinese prevede, infatti, che molti piatti di vario tipo e coordinati tra di loro vengano serviti contemporaneamente, così da costituire un insieme armonico, nei ristoranti cinesi in Italia all'interno dei menù si trovano, con lo scopo di osservare il sistema italiano nella divisione del pasto, le classiche categorie, dagli antipasti ai dessert, entro le quali, spesso con comprensibili errori e forzature, sono raggruppati i diversi piatti. E, sempre con lo stesso scopo, tale classificazione si riflette nell'ordine con cui i cibi vengono portati in tavola. Riguardo a tutto ciò si noti che, essendo la cultura alimentare cinese, nel complesso, molto diversa da quella occidentale, questa suddivisione delle pietanze è solo relativamente riuscita, tanto che, se gli stessi frequentatori la seguono, è più per un fatto di abitudine che di convinzione.
Il secondo criterio interessa strettamente il gusto della clientela in base al quale i ristoratori selezionano una serie di pietanze da inserire nel menù e, se necessario, apportano dei cambiamenti nelle ricette. Ad esempio può essere ridotta la quantità di condimenti dal sapore molto pronunciato, quali aglio e cipolla, generosamente adoperati nella cucina cinese, così come possono essere enfatizzati in molti piatti gli intingoli, in genere molto graditi dagli occidentali, addensati dall'amido di mais6 e insaporiti dal glutammato monosodico7 . L’impiego di queste sostanze (così come l'uso di olio e zucchero) sicuramente maggiore e quindi meno salutare rispetto a quello della più equilibrata cucina tradizionale, è dovuto alla scarsa competenza dei cuochi non professionisti che, per altro, si adagia sull'ignoranza di base dei clienti.
Parlando in generale, invece, ricordiamo che la cucina cinese è caratterizzata dall'utilizzo di ingredienti freschissimi e al di là del problema di quelli tipici cinesi disponibili per lo più solo conservati, molti cuochi si sono lamentati della freschezza e della qualità degli ingredienti che si trovano a usare in Italia.
Dunque, è anche per una questione di ingredienti che l'immagine della cucina cinese nella maggior parte dei ristoranti che la propongono all'estero risulta falsata, ma tale alterazione è fondamentalmente dovuta tanto ai cuochi poco esperti e senza passione per la gastronomia, quanto ai clienti che, via via, appartenendo a una cultura alimentare diversa, non solo hanno guidato con i loro gusti i cuochi nella selezione e nella realizzazione dei piatti, ma hanno anche portato alla trasformazione del pasto cinese nell'insieme.
I cinesi basano il loro pasto sul riso che alternano, boccone dopo boccone, con differenti pietanze che includono carne, pesce, verdura, formaggio di soia
(doufu) e si assicurano così un buon sostegno calorico e un'assunzione bilanciata di varie sostanze8 . Nel prendere il cibo con le bacchette, evitano inoltre di raccogliere eccessive quantità degli intingoli di cottura che accompagnano le diverse vivande.
Questo modo di mangiare, positivo dal punto di vista di una dieta equilibrata, non è sicuramente seguito dagli occidentali che frequentano i ristoranti cinesi e questo si può affermare anche nel caso degli italiani.
Benché il riso bianco9 venga spesso ordinato, finisce per essere considerato un elemento secondario del pasto, dal momento che grande risalto viene dato ai diversi tipi di portate.
Ciò è di facile comprensione: se anche i cinesi in occasione di pasti importanti, a casa o al ristorante, evitano di mangiare il riso, alimento di base quotidiano, è del tutto normale che gli italiani quando decidono di mangiare al ristorante cinese, concentrino la loro attenzione su piatti più elaborati di un semplice riso bollito.
Più che il considerare il riso subordinato al resto, quindi, altri sono i fattori che distinguono il modo di mangiare degli italiani al ristorante cinese rispetto a quello tradizionale dei cinesi, a cominciare dal già citato ordine con cui gli italiani dispongono delle pietanze.
La stessa varietà di quest'ultime, nel caso degli italiani, dipende più dai gusti e dalla curiosità dei commensali che dalla volontà di creare un pasto bilanciato e rari, tra i piatti ordinati, sono quelli a vapore o bolliti che caratterizzano la cucina cinese. Gli italiani inoltre, abituati a usare il pane per raccogliere i sughetti delle pietanze, a questo scopo, poiché il pane al ristorante cinese non viene servito, usano il riso o la forchetta, ingerendo in tal modo una quantità non indifferente di olio, grassi e sale. Se i cinesi non sono grandi consumatori di dolci, non è difficile che gli italiani invece concludano il pasto con un dessert (comunemente fritto).
Accanto a questi elementi, che oltre a trasformare il pasto cinese nella struttura, ne compromettono anche il valore nutritivo, notiamo ulteriori fattori di distinzione tra il modo di mangiare cinese e quello degli italiani che frequentano i ristoranti cinesi. Mentre i cinesi, per esempio, pasteggiano sorseggiando la zuppa o altri tipi di bevande e bevono il loro famoso tè soltanto a fine pasto10 , gli italiani che, secondo le abitudini occidentali, qualora richiedano la zuppa, la mangiano come primo piatto, durante il pasto bevono vari tipi di bevande tra le quali il tè e alla fine sorseggiano il caffè.
I cinesi mangiano con le bacchette prendendo il cibo direttamente dai piatti di portata, disponendo ogni persona di una ciotola per il riso e, alcune volte, di un piattino, laddove per ogni commensale italiano sono previsti uno o più piatti e posate occidentali spesso affiancate dalle classiche bacchette, nel caso in cui qualcuno le preferisca e in ogni modo per dare un tocco esotico all'apparecchiatura.
A proposito delle bacchette c'è da dire infatti che molti italiani, pur riconoscendo in quest'ultime una rispettabile tradizione adeguata alla cucina cinese, continuano, per abitudine e comodità a usare le posate occidentali. Non manca tuttavia chi ancora oggi reputa le bacchette uno strumento bizzarro e scomodo in assoluto, anche per i cinesi.
Parlando di malintesi e pregiudizi, non si può ignorare la voce di quelle persone che, come abbiamo già accennato, non sono assolutamente interessate alla cucina cinese e la rifiutano in base a ciò che di essa immaginano o hanno sentito dire da altri, senza averla provata neanche una volta. C'è, così, chi non va al ristorante cinese perché altri gli hanno riferito che "è tutto fritto" e c'è chi non ci va perché crede che i cinesi cucinino esclusivamente formiche, cani e serpenti e comunque non riesce a pensare di mangiare qualcosa di diverso da quello che mangia tutti i giorni.
Né si può tralasciare l'esperienza di quelle persone che, nel provare la cucina cinese, si sono sentite disorientate dalla sua diversità e, basandosi sul ricordo confuso di questo impatto poco piacevole, non sono più tornate al ristorante cinese. C'è, del resto, anche chi, pur non avendo provato un senso di smarrimento, non è più tornato al ristorante cinese perché nel suo primo incontro con la cucina cinese non ha mangiato niente che ricordi come particolarmente buono.
A prescindere da queste opinioni negative che derivano da esperienze parziali, i ristoranti cinesi, con la loro presenza ormai capillare, stanno attirando una clientela sempre più vasta e aperta a nuove gastronomie.
La maggior parte delle persone da noi incontrate ha fatto conoscenza con la cucina cinese proprio attraverso i ristoranti che ha cominciato a frequentare in seguito all'invito di amici o per curiosità. Benché, inoltre, qualcuno abbia sviluppato nei confronti della cucina cinese un interesse che si estende oltre l'esperienza del ristorante tipico, nella ricerca di ricettari e libri di cultura alimentare e talvolta anche nella preparazione in casa propria di pietanze cinesi, il più frequente punto di contatto con questa cucina rimane pur sempre il ristorante.
Se i ristoranti cinesi sono stati i primi a offrire alla clientela italiana una cucina alternativa a quella autoctona, con il passare degli anni, sta crescendo il numero dei locali etnici che con le loro proposte gastronomiche internazionali contribuiscono a arricchire il settore della ristorazione in Italia. Ciò nonostante, continuando a essere quelli più diffusi e con i prezzi più bassi, i locali cinesi sono ancora i più frequentati dopo quelli classici italiani. Questo non significa tuttavia che la cucina cinese sia, dal punto di vista del gusto, la preferita in assoluto, dal momento che si trova spesso a concorrere per esempio con la cucina francese e con quella giapponese.
Tra l'altro, la frequenza con cui i clienti da noi intervistati mangiano cinese sembra essere piuttosto bassa, eccezion fatta per quelle poche persone che dimostrano di avere nei confronti di questa cucina, se non un interesse di tipo culturale, almeno una passione particolare.
Vero è che i ristoranti cinesi fanno attualmente parte della gamma dei locali che vengono presi in considerazione, qualora si decida di mangiare fuori. Benché con il suo servizio veloce e i suoi pasti economici il ristorante cinese rappresenti talvolta la meta scelta da avventori solitari, generalmente, chi lo frequenta ci va in compagnia, divertendosi insieme con i commensali a ordinare diverse pietanze da condividere e in ogni caso da assaggiare.
Quello che di questo genere di locali non piace ai clienti è l'odore di fritto che, normalmente, dalla cucina si diffonde per tutta la sala, di per sé già poco apprezzata quando troppo carica di decorazioni kitsch, restando immancabilmente sui vestiti. E in effetti tanti sono i ristoranti cinesi i cui ambienti sono caratterizzati da questo forte sentore di fritto. Tale odore oltretutto può già essere considerato un segno di professionalità carente, visto che deriva, nell'ottica del risparmio, dall'uso di olio non adatto alla frittura come quello di soia (sicuramente meno costoso di quello di arachidi che è il più consigliato per questo scopo nella cucina cinese) e dalla mancanza di adeguati impianti di aspirazione.
Un altro aspetto dei ristoranti cinesi che ci è stato indicato come poco gradito, perché lascia ulteriormente dubitare dell'igiene di questi locali, a proposito della quale i clienti già nutrono dei sospetti, è che spesso, risultando praticamente impossibile anche soltanto sbirciarvi dentro, sembra che la cucina venga accuratamente nascosta allo sguardo degli ospiti.
Comunque ristoranti, trattorie e rosticcerie cinesi, pur con i loro difetti (tra cui rientra, secondo il parere di alcuni, anche la musica che tengono di sottofondo), rappresentano ormai un punto di riferimento anche per chi, essendo fuori dalla propria città, per turismo o per lavoro, cerca un posto dove mangiare.
Non poche sono infatti le persone che hanno provato la cucina cinese all'estero, rilevando, tra l'altro, delle differenze con la cucina cinese in Italia. Ad esempio la cucina cinese in Francia, in Inghilterra e in America è ritenuta essere solitamente di una qualità superiore. In Inghilterra è stata riscontrata una più ampia scelta di piatti vegetariani. In America è stata notata la presenza di catene di fast-food cinesi e a proposito della Germania è stato sottolineato il forte adattamento al gusto e alle abitudini alimentari dei tedeschi.
Esiguo è invece il numero di coloro che, essendo stati in Cina o in ogni modo avendo mangiato in casa di cinesi, hanno avuto modo di costatare di persona la differenza che c'è tra la cucina cinese e quella degli esercizi cinesi in Italia; tale diversità viene tuttavia già diffusamente immaginata dai clienti italiani. A proposito di questo, si ricordi che accanto alla discrepanza tra il modo di mangiare e di costruire il pasto dei cinesi e quello degli italiani abbiamo posto alla radice della deformazione subita dalla cucina cinese in Italia, la scelta dei piatti e l'eventuale trasformazione delle ricette effettuata dai ristoratori cinesi in base al gusto della clientela, alla disponibilità degli ingredienti e, naturalmente, in base ai problemi comuni a tutti i ristoranti quali la mancanza di tempo, di spazio e di personale.
La selezione delle pietanze, difatti, anche se il mercato alimentare che sostiene la comunità è attualmente piuttosto sviluppato, è comunque condizionata dalla reperibilità di una serie di materie prime tipiche della cucina cinese, restando, ad esempio, il problema di non poter disporre di certi ingredienti freschi come particolari tipi di pesce o di verdure. Tale problema, oltre a portare all'eliminazione di alcuni piatti dal menù, si riflette anche nella sostituzione in certe ricette delle componenti fresche non disponibili con le stesse componenti conservate o addirittura con ingredienti diversi.
Parlando dell'impiego di prodotti conservati, che per altro sottrae alle preparazioni la freschezza tipica della cucina cinese e in particolar modo parlando dell'uso di surgelati, è bene precisare che questo non è limitato al caso di ingredienti tipici cinesi, ma per motivi di praticità è esteso anche al caso di altri articoli (soprattutto carne e pesce) normalmente reperibili anche freschi, così come è ormai diffusa l'abitudine di surgelare piatti preparati in anticipo e pronti da cuocere (principalmente
dim sum).
Sempre per un fatto di praticità sono rari o assenti nei menù tanto i piatti che richiedono cotture lente e prolungate o articolate in più fasi come le marinate, gli stufati o altre vivande dalla preparazione complessa (come l'anatra laccata alla pechinese spesso disponibile solo se prenotata per tempo). Numerose sono al contrario le pietanze fritte o saltate, relativamente veloci da cucinare e del resto molto richieste dai clienti italiani.
Per quanto riguarda le preferenze della clientela, la loro influenza ha pure guidato i ristoratori nel proporre le tante pietanze in salsa agrodolce, la quale, derivando dal ketchup, è per altro un tipico esempio dell'adattamento della cucina cinese ai gusti occidentali.
Stimolato dal confronto con i clienti è il ripetersi in tutti i menù della stessa serie di piatti, attorno a cui ruotano innumerevoli varianti11 , molte delle quali sono in fase di prova nel senso che la loro permanenza nel menù dipende dal successo riscontrato tra i frequentatori. I piatti che ricorrono continuamente coincidono infatti con quelli più richiesti; immancabili nei menù fissi o consigliati, derivano dalle diverse cucine regionali cinesi, ma le loro origini sono ormai quasi irriconoscibili in seguito alla trasformazione, che finisce persino con il renderli molto simili tra di loro e che è provocata dal gusto della clientela. Pochi sono invece i piatti tipici della regione del Zhejiang da cui proviene la maggior parte dei ristoratori, cauti e forse talvolta anche pigri nell'inserire nel menù piatti e sapori veramente nuovi rispetto a quelli normalmente proposti.
Suggerita dalla consapevolezza di abitudini alimentari diverse è inoltre l'offerta moderata di piatti particolarmente stravaganti agli occhi degli occidentali, ragion per cui i ristoratori si sono fermati all'introduzione nel menù di meduse, nidi di rondine e pinne di pescecane, simboli indistruttibili della grande varietà e dell'originale inventiva che distingue la cucina cinese tradizionale dalla cucina cinese esportata all'estero, appiattita dall'adattamento commerciale al gusto dei clienti occidentali e dalla generale adesione allo stesso menù tipo, che, ormai affermato, presenta tuttavia molti limiti a cominciare proprio da quelle pietanze in esso definite come antipasti. In tale categoria rientrano, ad esempio, i
dim sum ovvero gli spuntini di cui tutta la Cina e, in particolar modo, la regione di Canton offrono una scelta ricchissima, mentre in Italia sono generalmente rappresentati soltanto dai ravioli di farina di grano (nelle diverse varianti: con ripieno di carne, saltati o al vapore, con ripieno di gamberi e con ripieno di verdura, al vapore), dal classico involtino primavera e dai
won ton (mandarino: huntun, una sorta di tortelli di pasta di grano con ripieno misto di carne e gamberetti o solo di gamberetti, fritti o in brodo).
Le zuppe, nella maggior parte dei casi addensate dall'amido di mais, non rappresentano sicuramente la grande varietà che la cucina cinese è in grado di produrre in questo campo; assenti o quasi sono, ad esempio, tanto le zuppe chiare usate in Cina come bevande, quanto le ricche zuppe con tagliatelle delle quali in Cina vengono servite porzioni tali da costituire dei pasti completi. Questa carenza di varianti nella categoria delle zuppe è del resto forse dettata dal fatto, dimostrato anche dalla loro scarsa presenza nei menù fissi, che i clienti italiani le ordinano molto di rado.
Analogamente poco richiesti, non molti, né vari sono anche i piatti a base di doufu, se si confrontano con le tante forme che questa particolare cagliata, molto sfruttata in Cina, può assumere.
Se i cinesi nella loro alimentazione quotidiana prediligono la carne di maiale, gli italiani al ristorante cinese preferiscono la carne di pollo e quella di manzo e tali preferenze si riflettono anche nei menù dove si riscontra un numero piuttosto alto di varianti di piatti a base di pollo o di manzo, se comparato con il numero delle pietanze a base di maiale.
Scarse sono inoltre le proposte a base di altre carni; prescindendo dal fatto che in Italia al ristorante cinese non si trovano nel menù cavallette, cani, serpenti né altre carni non comuni sulle tavole occidentali, ma non sconosciute alla cultura alimentare cinese, poche sono anche le preparazioni a base di anatra e rare sono quelle che utilizzano carne di agnello, capretto, rane o lumache.
Anche la lista delle pietanze con pesce, molluschi e crostacei è piuttosto limitata rispetto all'assortimento di ricette e di varietà (d'acqua dolce o salata, tipicamente cinesi o no) impiegate dalla cucina cinese, così come ristretta è la scelta dei piatti a base di pasta lunga, in Cina innumerevoli nei tipi e nei condimenti, solitamente rappresentati in Italia dai soli vermicelli di riso o di soia saltati con carne e verdura.
Mangiare alla cinese fuori dalla Cina rischia dunque di essere un'esperienza fuorviante; questo non significa comunque che sia un'esperienza da evitare, purchè venga affrontata tenendo presente che la cucina cinese tradizionale è un fenomeno molto più complesso di quello costretto entro i confini di un menù per stranieri.
3. Il mercato dei prodotti alimentari cinesi in Italia
Dovuto all'aumento del numero dei cinesi e dei punti di ristorazione a loro connessi, è lo sviluppo del mercato che si occupa in Italia della sempre maggiore richiesta di cibi e oggetti tipici della cucina cinese e che inizialmente, essendo la domanda limitata, si basava su importazioni dirette gestite da poche persone.
Attualmente alcuni utensili (come il wok12 o i cestelli per la cottura a vapore) ed alcuni alimenti (come il cavolo cinese o i germogli di soia) tipici della cucina cinese rientrano già tra la merce di molti negozi e supermercati non specializzati nella rivendita di articoli orientali e non sono più importati esclusivamente dalla Cina o dall'Asia in generale, dal momento che vengono ormai prodotti anche in Italia o comunque in Europa.
La diffusione di simili generi non richiede necessariamente l'intervento di quelle società che, in numero sempre maggiore, si stanno invece occupando in maniera specifica dell'importazione e della distribuzione di prodotti tipici, alimentari e artigianali, necessari alla comunità in espansione dei cinesi e alla loro attività di ristorazione. Sono infatti queste società che attraverso magazzini propri o catene di distribuzione provvedono al rifornimento di ristoranti e privati.
A prescindere dal fatto che oggigiorno non è difficile trovare alcuni preparati cinesi (prevalentemente salse, condimenti, preparati per piatti a base di riso o di pasta secca etc.) al supermercato, in altri negozi ben forniti o in quelli che offrono specialità internazionali, gli articoli importati in Italia da tali società si trovano soprattutto presso i sempre più diffusi esercizi specializzati nella rivendita di prodotti alimentari orientali.
È precisamente ad alcuni di questi esercizi di Milano e di Firenze che ci siamo rivolti nel corso della nostra ricerca. Aperti, nella maggior parte dei casi, negli ultimi cinque anni, i negozi che abbiamo visitato sono gestiti da cinesi che, dal momento del loro arrivo in Italia, generalmente, hanno lavorato, per un certo periodo di tempo, nel settore della ristorazione prima di trovare un'attività alternativa proprio nell'apertura di queste rivendite.
Per quanto riguarda i prodotti reperibili presso tali esercizi, pochi sono quelli freschi, costituiti per lo più da frutta e verdura,
doufu e preparazioni a base di pasta, quali involtini primavera o ravioli. A proposito della frutta e della verdura è comunque bene precisare che non tutti gli articoli di questa categoria giungono sempre direttamente dalla Cina; in certi casi si tratta infatti di articoli tipicamente cinesi e tuttavia prodotti ad esempio in Francia o in Olanda, mentre in altri casi si tratta di articoli non specificamente cinesi, ma asiatici o esotici in generale, se non addirittura italiani.
Moltissimi, di diversi generi e qualità sono invece i prodotti conservati, da quelli in scatola a quelli surgelati, da quelli secchi a quelli sottovuoto. Anche tra i prodotti di questo tipo si possono trovare articoli non tipicamente cinesi, ma asiatici in generale (giapponesi, indiani, filippini, coreani...) , o comunque non necessariamente importati dalla Cina come nel caso di
dim sum o altri alimenti a base di pasta surgelati, confezionati ad esempio in Francia.
La gamma dei prodotti conservati cinesi disponibili presso tali rivendite è generalmente molto varia. Citiamo tra quelli più acquistati dagli italiani i differenti tipi di pasta secca (vermicelli, tagliatelle, spaghetti...) di riso e di soia, il riso di provenienza asiatica, i
dim sum surgelati, la birra cinese, la grappa alla rosa, il vino di riso, i funghi secchi, le salse di soia, le spezie, il tè, il bambù e la frutta cinese in scatola, mentre ricordiamo tra i più particolari le diverse qualità di pesce secco (gamberetti, meduse...) o surgelato (granchi e altri crostacei, molluschi...), le alghe e le foglie di loto secche, le verdure in salamoia, le salse a base di pesce, il maiale essiccato e le uova di cent'anni.
Oltre ai prodotti alimentari, in questi negozi quasi sempre si può trovare anche tutta una serie di utensili caratteristici della cucina cinese
(wok, coltelli, cestelli di bambù, tazze e teiere, bacchette, piastre di ghisa, pentole per la fonduta mongola...) e di articoli di vario genere (lanterne, oggetti in giada o smaltati, unguenti, profumi, incensi...).
La clientela delle suddette rivendite è mista in quanto composta, in diverse percentuali a seconda del negozio, da cinesi, privati e ristoratori, asiatici in generale, italiani ed altri occidentali. In effetti, benché la maggioranza dei clienti sia normalmente rappresentata dai cinesi, non mancano tra i frequentatori di questi esercizi gli italiani, semplicemente curiosi o realmente appassionati nei confronti della cucina orientale.
Anche tra gli italiani da noi intervistati c'è chi frequenta questi negozi specializzati, sebbene chi usa prodotti alimentari di origine orientale, nella maggior parte dei casi, per comodità, li compri al supermercato.
A proposito dei prodotti in questione, si tenga infine presente che in particolar modo certi condimenti come la salsa di soia, la salsa piccante o lo zenzero vengono adoperati dagli italiani anche al di fuori della cucina cinese e persino da chi non cucina mai alla cinese.
Conclusione
Dalla nostra ricerca emerge che i ristoranti tipici costituiscono il punto di contatto più frequente tra gli italiani e la cucina cinese; ma se questi locali, come gli altri punti di ristorazione etnica, in generale, rappresentano un’alternativa alla cucina autoctona e offrono al cliente l’opportunità di allargare le proprie conoscenze gastronomiche, non è escluso che possano portare una clientela non specializzata a fraintendere la cultura alimentare di cui essi vengono considerati i rappresentanti.
Abbiamo osservato che a prescindere dal problema pratico della reperibilità di certi ingredienti, altri sono gli elementi che ci sembrano più determinanti nel rendere ambigua l'immagine della cucina cinese presentata dalla ristorazione tipica in Italia tra cui il fatto che nelle cucine dei locali cinesi raramente lavorano dei professionisti; nella maggior parte dei casi, si tratta piuttosto di persone che, per quanto dotate di scarsa competenza in campo culinario, si sono improvvisate cuochi, individuando nella ristorazione tipica un'attività con buone possibilità di guadagno. Abbiamo inoltre riscontrato che generalmente queste persone, pur attaccatissime alla loro cucina tradizionale, da sempre elemento basilare della civiltà cinese, non sembrano rendersi conto dell'importanza culturale che il loro lavoro potrebbe assumere, qualora riuscissero a superare l'impostazione che, di solito, caratterizza il menù dei loro locali.
Quest'impostazione, infatti, che - nata inevitabilmente dall'impatto dei primi ristoranti con il gusto degli italiani e diventata ormai classica - vede un forte adeguamento alla nostra cultura alimentare, ancora oggi limita tanto l'espressione dei ristoratori quanto la recezione dei clienti.
È d'altra parte opportuno precisare che non sempre può essere semplice mettere a confronto due culture alimentari diverse. In effetti, così come non è facile per i ristoratori cinesi riuscire a comunicare agli occidentali il proprio linguaggio culinario originale, analogamente non è facile per gli italiani, a loro volta dotati di tradizioni gastronomiche assai radicate, riuscire a capire, accettare ed apprezzare una cucina così diversa come quella cinese tradizionale.
Se nella maggior parte dei ristoranti cinesi in Italia troviamo, irrimediabilmente, lo stesso menù, è dunque a causa di un problema di comunicazione culturale. Crediamo, tuttavia, che questo problema, sia per quanto riguarda i ristoratori cinesi che per quanto riguarda i clienti, sia fondamentalmente complicato da una scarsa volontà – probabilmente spesso associata ad una altrettanto scarsa consapevolezza dell’importanza delle abitudini alimentari in seno ad una cultura – di fare della cucina un importante momento d’incontro tra civiltà diverse.
A parere nostro, sarebbe invece interessante, riuscendo ad andare oltre al semplice fascino dell'esotico, cercare di sfruttare la ristorazione etnica come terreno di scambio e arricchimento culturale. A tal fine, almeno per quanto i ristoranti cinesi, potrebbe quindi essere opportuno che i ristoratori, diventando più intraprendenti, tentassero di rinnovare la loro proposta, eliminando via via ogni tipo di adeguamento al gusto e al modo di mangiare italiano e abituando gradualmente la clientela alla vera cucina cinese.
Rendendoci conto dei tanti ostacoli che l'eventuale realizzazione di tale ipotesi incontrerebbe, ci auguriamo, comunque, che nei clienti dei ristoranti cinesi cresca la consapevolezza del fatto che la cucina di questi ristoranti non è che una manifestazione particolare di quella che è la complessa cultura alimentare della Cina.
Ci auguriamo altresì che, con il tempo, negli italiani si approfondisca l'interesse per la cucina cinese, stimolando i ristoratori a cercare, se non altro, un rinnovamento nella creazione di locali dotati di menù più particolari ovvero specializzati nell'attraente ed esclusiva preparazione di un certo tipo di pietanze, siano queste le pietanze tradizionali di una data cucina regionale o le originali pietanze della
nouvelle cuisine chinoise.
MONDO CINESE N. 95, MAGGIO-AGOSTO
1997
Note
1 A questo proposito cfr. anche Vaughan Robinson, "Une minorité invisible: les Chinois au Royaume-Uni",
Revue Européenne des Migrations Internationales, vol.8 - n.3, 1992 e Yu-Sion Live, "Les Chinois de Paris depuis le début du siècle. Présence urbaine et activités économiques",
Revue Européenne des Migrations Internationales, 1992.
2 Su questo argomento cfr. anche Rodolfo A. Giambelli, "L’emigrazione cinese in Italia: il caso di Milano",
Mondo Cinese, n.48, 1984.
3 Sulle origini e sullo sviluppo della ristorazione cinese in Italia, argomento che noi abbiamo trattato rielaborando anche i racconti orali raccolti nel corso della nostra indagine, cfr. R. A. Giambelli,
op. cit. e Roberto La Pira, "Dalla Cina con (poco) amore - La ristorazione praticata più per necessità che per vocazione. Il grande boom milanese",
B.A.R. GIORNALE, ottobre 1986.
4 Questa parola, con cui in Occidente si indicano di solito i diversi tipi di ravioli e involtini, generalmente serviti come antipasti nei ristoranti cinesi, deriva dal cantonese
tim sam, corrispondente al mandarino dianxin, parola con cui si definiscono gli spuntini in generale.
Molti spuntini sono costituiti da un involucro di pasta più o meno spessa che racchiude un ripieno di carne, pesce e verdura; rientrano tra gli spuntini anche le tagliatelle asciutte o in brodo con i loro vari e, talvolta, alquanto singolari condimenti.
5 Molti sono quei ristoranti che, pur non tenendo anche un menù per i clienti cinesi, qualora questi lo desiderino, cucinano per loro piatti differenti da quelli che cucinano per i frequentatori italiani.
6 Se c'è chi dimostra di apprezzare particolarmente questi sughetti, c'è tuttavia anche chi li definisce troppo unti ed è persino disturbato da quella loro densità viscida (tipica anche delle zuppe) data proprio dall'amido di mais.
7 Estratto dalle alghe e da vari vegetali il glutammato è attualmente molto adoperato nelle cucine orientali per insaporire le pietanze. Questa sostanza non è affatto tipica della cucina cinese tradizionale dove i sapori vengono messi in risalto dal sapiente gioco di contrasti delle ricette originali; come gli analoghi prodotti, in cui per altro rientra, venduti in occidente (dadi, estratti per brodo e condimenti simili), è un moderno ausilio in cucina soprattutto per chi non riesce a esaltare e armonizzare in modo naturale i gusti degli ingredienti.
8 Alla base del sistema alimentare cinese c'è una divisione basilare che è quella tra
fan, i cereali ovvero il piatto base, e cai, tutto ciò che completa e rende appetibile il piatto base: verdure, carne, pesce, condimenti.
9 Il riso saltato è spesso preferito dai clienti occidentali a quello bianco perché più saporito e appetitoso, ma il riso bianco resta, con il suo sapore neutro, quello che meglio si combina con i differenti tipi di pietanze, esaltandone le diverse peculiarità e quello dunque più richiesto da chi è in grado di apprezzare le infinite sfumature di sapore e di consistenza della cucina cinese.
10 L’unica ed importantissima occasione in cui il tè è associato al cibo è quella conosciuta in cantonese come
íam cha (mandarino: he cha). lam cha definisce la rituale e corroborante sosta in una casa da tè che prevede la contemporanea consumazione della bevanda e di
dim sum.
11 Da un esame dei menù da noi raccolti risulta come una sorta di contagio tra i ristoranti di una stessa città nel proporre varianti simili.
12 Si indica con questo termine cantonese, corrispondente al mandarino
guo, la caratteristica pentola cinese, di ghisa o di ferro, a forma di calotta dall'incavo piuttosto pronunciato, indispensabile nella cottura al salto.
Bibliografia
Anderson, E.N.Jr., "Chinese cuisine", The Cambridge Encyclopedia of
China, Cambridge, Cambridge University Press, 1982.
The Food of China, New Haven, Yale University Press, 1988.
Anderson, E.N.Jr. - Wang Zhunhua, "Changing Foodways of Chinese Immigrants in Southern California", Paper, Southwestern Anthropological Association, Annual Meeting, 1980.
Antolini, Piero - The Lian Tjo, Il grande libro della cucina cinese, Milano, Mondadori, 1993.
Batacchi, Franco, "Un popolo di formidabili mangiatori", GAMBERO ROSSO, n. 37, febbraio 1995, p. 56.
Braudel, Fernand, Civilísation materielle, economie, et capitalisme (XV - XVIII síecle) - Le structures du quotidien: le possible et
l'impossible, Paris, Librairie Armand Colin, 1979. Trad. it. Corrado Vivanti,
Civiltà materiale, economia e capitalismo - Le strutture del quotidiano (secoli XV -
XVIII), Torino, Einaudi, 1982.
Buck, Pearl S., Trad. it. Elena Spagnol, La cucina orientale, (titolo orig.
Oríental cookbook), Milano, Rizzoli, 1975.
Chen, Jakie, "How Not to Get Shanghaied in a Chinese Restaurant", SINORAMA, vol. 19 - n.4, aprile 1994, pp. 26-32.
Chang, Guangji, Food in Chinese Culture - Anthropological and Hístorícal
Perspectíves, New Haven, Yale University Press, 1977.
Dionisio, Patrizia, "Ombre cinesi in cucina", GAMBERO ROSSO, n. 37, febbraio 1995, pp. 44-45.
Fallaci, Paola, Mangiare in Cina, Milano, Rizzoli, 1983.
Giambelli, Rodolfo A., "L’emigrazione cinese in Italia: il caso di Milano", Mondo
Cinese, n. 48, 1984, pp. 27-44.
Harris, Marvin, Good to Eat - Riddles of Food and Culture, New York, Simon and Shuster, 1985. Trad. it. Piero Arlorio,
Buono da mangiare, Torino, Einaudi, 1990.
Hirst, Bamboo, Il riso non cresce sugli alberi, Milano, Mondadori, 1991.
Koo, Linda, "Dieta tradizionale cinese e sua relazione con la salute", Mondo
Cinese, n. 12, 1975, pp. 11-42.
La Pira, Roberto, "Dalla Cina con (poco) amore - La ristorazione praticata più per necessità che per vocazione",
B.A.R. GIORNALE, ottobre 1986.
Live, Yu-sion, "Les Chinois de Paris depuis le debut du siecle - Presence urbaine et activités économiques",
Revue Europeenne des Mígratíons Internationales, 1992.
Lucchesini, Alessandro, Cinesi a Firenze - Storia e biodemografia di una colonia di
immigrati, Firenze, A. Pontecorboli, 1993.
Martucci, Caterina - Rotolo, Grazia, La dietetica cinese, Milano, Mursia, 1991.
Montanari, Massimo, La fame e l'abbondanza - Storia dell'alimentazione in
Europa, Roma-Bari, Laterza, 1993.
Palazzi, Antonella, Come cucinare cinese, Milano, Bompiani, 1975.
Parasecoli, Fabio, "Zuppe, spaghetti e serpenti per strada", GAMBERO ROSSO, n. 37, febbraio 1995, p.57.
Povellato, Elena, "Vapori e colori di settemila anni fa", GAMBERO ROSSO, n. 37, febbraio 1995, pp. 53-54.
Povellato, Elena, "Al ristorante desco con disco", GAMBERO ROSSO, n. 37, febbraio 1995, p. 58.
Prandi, Raffaella, "Quarant'anni di lanterne rosse", GAMBERO ROSSO, n. 37, febbraio 1995, pp. 41-43.
Prandi, Raffaella, "Così non va, parola di Eileen", GAMBERO ROSSO, n. 37, febbraio 1995, p. 47.
Robinson, Vaughan, "Une minorité invisible: les Chinois au Royaume-Uni", Revue Europeenne des Migratíons
Internationales, vol. 8 - n. 3, 1992.
Sabban, Françoise, "Ravioli cristallins et tagliatelle rouges: les pâtes chinoises entre XII et XIV siècle", Médiévales, n. 16 - 17, 1989, pp. 29-50.
Sinclair, Kevin, Cina - Meraviglie e segreti di una cucina míllenaria, Milano, Giorgio Mondadori, 1987.
Testa, Cinzia - Tizzoni, Monica, La Cina in cucina, Milano, Mondadori, 1993.
Tiger, Lionel - Wolf, Reinhart, Trad. it. Albarosa Leone, China's Food -Alimentazione e cultura in
Cina, Milano, Mondadori, 1986 (orig. China's Food, Friendly Press Inc., 1985).
Yang, Billy Wenji, History of Chinese YangFood Culture and Food Industries, Peking, Agricultural History Press, 1984.
"I cinque regni del goloso impero", GAMBERO ROSSO, n. 37, febbraio 1995, pp. 50-52.
"Il wok, il taglio e l'armonia", GAMBERO ROSSO, n. 37, febbraio 1995, p. 46.
"Vera e pura cucina cinese", GAMBERO ROSSO, n. 37, febbraio 1995, pp. 60-63.
|