SOMMARIO: 1. Un paese due sistemi; 2. La politicizzazione di Hong Kong; 3. Da piazza Tian’anmen alle elezioni del 1991; 4. La questione dell'aeroporto; 5. L’arrivo di Chris Patten; 6. La battaglia per le riforme elettorali; 7. Un anno cruciale: il 1995; 8. La nascita del Preparatory Committee; 9. Le mani della Cina su Hong Kong; 10. Conclusione: Hong Kong oggi.
Alla mezzanotte del 30 giugno 1997 i 10mila soldati cinesi comandati dal generale Liu Zhenwu faranno il loro ingresso trionfale sulla Nathan Road di Hong Kong, segnando l'inizio di una nuova pagina della storia cinese.
I soldati di Liu sono stati accuratamente selezionati. Ognuno di loro parla pechinese e cantonese, ma è stato addestrato anche a farsi capire in inglese. È la perfetta immagine di una Cina ancora divisa fra due necessità egualmente impellenti. Da un lato quella di ricostruire all'interno del paese una struttura politica credibile, adatta a gestire la nuova fase delle riforme nella Cina del dopo-Deng. Dall'altro quella di costruire un forte ruolo della Repubblica Popolare nell'ambito delle relazioni internazionali che garantisca al paese una crescita economica stabile e inserita nel processo di globalizzazione.
In questo contesto di trasformazione su due fronti, Hong Kong viene dunque a essere un laboratorio naturale per la sperimentazione delle capacità politiche ed economiche della nuova Cina.
Il mondo sa che osservando la gestione cinese di Hong Kong si potrà fare un'idea abbastanza precisa anche su quale linea politica la Rpc intenda adottare nel resto della regione asiatica. La questione di Taiwan, quella delle isole Spratlys, e quella più generale delle relazioni Oriente-Occidente, troveranno un principio di risposta nel comportamento che Pechino assumerà trovandosi alla guida di una realtà dotata di infrastrutture politiche ed economiche costruite intorno al potere coloniale britannico sin dal 1840.
1. Un paese due sistemi
L'articolo 3 del trattato di Nanchino, siglato fra Cina e Gran Bretagna nell'agosto del 1842 all'indomani della prima Guerra dell'Oppio, sanciva senza alcuna possibilità di interpretazioni alternative che: «L'isola di Hong Kong sia possesso perpetuo» della Regina Vittoria e dei suoi successori, che la governeranno «come essi riterranno più opportuno».1 In nessuna parte del trattato si fa menzione di una eventuale restituzione dell'isola alla Cina o agli Stati che da questa avessero in futuro preso forma.
Il problema della restituzione di Hong Kong in realtà prende le mosse da un'altra questione territoriale: quella dei New Territories. Nel 1898 l'Inghilterra, allo scopo di garantire a Hong Kong l'accesso ai rifornimenti di acqua e di beni primari, strinse un accordo con la morente dinastia mancese per l'affitto di una striscia di costa prospiciente l'isola. L'accordo, siglato il 9 giugno, prevedeva che questa parte di territorio, su cui oggi si estende parte dell'area urbana di Kowloon, fosse ceduta in affitto alla Gran Bretagna per un periodo di 99 anni.2 Oggi una buona percentuale della superficie dei New Territories è di fatto parte della città di Hong Kong. Qui si concentrano non poche delle attività finanziarie che sono la ragione prima dell'esistenza di questa potente realtà economica. Quel che resta dei New Territories come parte non integrante di Hong Kong è una striscia nera sulle cartine stradali all'altezza di Boundary Street, la strada che segnava il vecchio confine fra la parte ceduta in maniera perpetua all'Inghilterra e quella avuta in affitto per 99 anni.
All'inizio degli anni Ottanta del nostro secolo il Foreign Office britannico cominciò a porsi il problema del rinnovo del contratto d'affitto per i New Territories che andava in scadenza il 1° luglio 1997.
In quegli anni l'Inghilterra di Margareth Thatcher stava attraversando una fase di grave recessione economica. Il tasso di disoccupazione aumentava in maniera esponenziale mentre il primo ministro procedeva nel suo piano di tagli alla spesa pubblica.
Il mantenimento di uno sbocco asiatico agli interessi finanziari e industriali inglesi era una questione di vitale importanza.
Negli stessi anni la vita politica della Repubblica Popolare Cinese stava conoscendo profonde e radicali trasformazioni. Nel dicembre del 1978 il III plenum del XI comitato centrale del Pcc aveva dichiarato vittoriosa la linea di Deng Xiaoping. La parola d'ordine era una: guidare il paese attraverso una fase di riforme economiche che facilitassero il recupero da parte della Cina del ritardo accumulato nei confronti degli altri paesi con il ventennio della Rivoluzione Culturale. Al grido di «Cinesi arricchitevi!», nasceva in quegli anni la formula dell'economia socialista di mercato.
Nell'ottica delle profonde riforme che Deng e i suoi collaboratori si apprestavano a compiere nel paese, rientrare in possesso di Hong Kong rivestiva ovviamente un ruolo fondamentale: la colonia era un modello di successo economico che avrebbe permesso di sperimentare la riuscita delle riforme e in secondo luogo sarebbe stato il ponte ideale tra una Cina "socio-capitalista" e il capitale internazionale (quello occidentale ma anche, e forse soprattutto, quello dei cinesi d'oltremare).
In un simile contesto politico all'interno della Repubblica Popolare fu dunque abbastanza naturale che quando gli inglesi presentarono la loro richiesta di rinnovo del contratto d'affitto si siano sentiti rispondere con un cordiale, ma irremovibile, no. La Cina vedeva nel recupero della sua sovranità su Hong Kong sia la possibilità di entrare in possesso di una "guida" di prima classe per la via del capitalismo, che quella di poter sin da quel momento riscattare davanti a tutto il mondo le umiliazioni subite con i trattati ineguali del XIX secolo.
Per l'Inghilterra il rifiuto cinese fu un colpo durissimo cui la diplomazia britannica cercò inizialmente un riparo ingaggiando una disperata resistenza fatta di interpretazioni della legge e di cavilli sui principi alla base dei trattati. Gli inglesi si barricarono sulla perpetuità della concessione dell'isola di Hong Kong per costringere comunque la Cina a riconfermare l'affitto dei New Territories. Margareth Thatcher usò tutti i suoi mezzi per intimorire l'opinione pubblica di Hong Kong con lo spauracchio del comunismo alle porte, e per far chiedere agli stessi cittadini dell'isola il mantenimento del dominio britannico. Il solo risultato apprezzabile di questo muro contro muro fu il tracollo della borsa di Hong Kong nel 1983, causato proprio da questa tensione crescente nell'ambito delle trattative fra i due paesi. L'atteggiamento della Thatcher costò diversi miliardi di dollari a chi aveva investito in borsa.3
Fu il Foreign Office il primo ufficio britannico a rendersi conto che continuare a sostenere posizioni intransigenti era infruttuoso. Hong Kong senza i New Territories non era difendibile. Non si trattava di temere l'arrivo dei carri armati cinesi all'imbocco di Boundary Street: a Pechino sarebbe bastato chiudere il rubinetto dell'acqua per conquistare Hong Kong nell'arco di una settimana.
Agli inglesi premeva soprattutto cercare di garantirsi il controllo della colonia anche dopo il 1997, con tutti i benefici economici che questo avrebbe comportato alla nazione britannica.
I cinesi da parte loro erano disposti a garantire al governo coloniale britannico il riconoscimento della loro autorità fino allo scadere del contratto nel 1997, in rispetto a un trattato che pure ufficialmente non riconoscevano4 , ma da quel momento in poi la sovranità cinese sul territorio non sarebbe mai più stata messa in discussione. Fino a quella data il governo inglese avrebbe potuto svolgere il ruolo di governo temporaneo per prevenire un eventuale vuoto di potere prima dell'ingresso delle autorità cinesi nell'isola.
Queste erano le offerte che i cinesi misero sul tavolo delle trattative e non erano ingenerose. I cinesi di fatto riconoscevano all'Inghilterra di aver condotto fino a quel momento una buona politica nella gestione di Hong Kong, visto che le permettevano di continuare a farlo fino al 1997. In secondo luogo, avendo appena intrapreso la via delle riforme, la Cina riconosceva all'amministrazione inglese una maggior capacità di gestire il delicato apparato economico di Hong Kong e faceva capire a Londra che avrebbe sfruttato gli anni fino al 1997 per imparare da essa a gestire quella macchina delicata. In pratica la Cina prometteva il mantenimento delle caratteristiche squisitamente finanziarie della città. Pechino si disse pronta a lavorare fianco a fianco con gli amministratori pubblici e con gli imprenditori privati inglesi, per costruire delle intese stabili che, oltre a una "morbida transizione", fungessero da base per il miglioramento dei rapporti tra i due paesi anche dopo la scadenza dell'affitto. Di fatto era una chiara offerta anche per gli interessi privati inglesi a favorire un passaggio morbido in cambio della garanzia di collaborazione e di continuazione delle loro attività.
Bisogna aver ben chiaro questo concetto: i cinesi volevano che gli inglesi rimanessero fino al 1997 per dar loro il tempo di imparare, e volevano che Hong Kong mantenesse le sue caratteristiche di cuore finanziario dell'Asia anche dopo il suo ingresso nella Repubblica Popolare. Questo era essenziale ai fini della svolta politica inaugurata da Deng nel 1978.
La crisi della borsa di Hong Kong del 1983 indicava che i tempi di manovra per un accordo erano stretti e che se non si fosse arrivati presto a un accordo il futuro economico di Hong Kong sarebbe stato messo in seria discussione.
Le trattative proseguirono per più di un anno. Il 26 settembre 1984 le due parti giunsero finalmente a un accordo di massima che venne immediatamente messo sulla carta sotto forma di "Dichiarazione Congiunta" (Joint Declaration) 5 .
In base all'accordo la Gran Bretagna avrebbe restituito alla Cina i New Territories e Hong Kong entro la data del 30 giugno del 1997. La Cina si impegnava a garantire il mantenimento dell'impianto amministrativo e l'assetto capitalista della città per almeno cinquant'anni dopo il passaggio dei poteri, inquadrando l'intero territorio in una nuova "regione ad amministrazione speciale" (Special Administrative Region - SAR) che ne garantisse l'autonomia effettiva. L'articolo 5 della Dichiarazione stabiliva chiaramente che:
L’attuale sistema sociale ed economico di Hong Kong resterà immutato, come anche il modo di vivere. Diritti e libertà, inclusi quelli della persona, di parola, di stampa, di riunione, di associazione, di viaggio, di movimento, di corrispondenza, di sciopero, di scelta dell'occupazione, di ricerca scientifica e di fede religiosa saranno garantiti per legge nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong. La proprietà privata e delle imprese, i diritti legittimi di successione e gli investimenti stranieri saranno garantiti dalla legge. 6
L’impegno al rispetto dell'autonomia di Hong Kong veniva poi schematizzato in maniera esemplare nella frase «un paese due sistemi»
(yiguo liangzhi) che i cinesi adottarono per spiegare al mondo la loro posizione rispetto all'isola.
Nel periodo di transizione, l'amministrazione inglese, consultandosi costantemente con la parte cinese, avrebbe proceduto all'ulteriore creazione di alcune istituzioni civili in aggiunta a quelle coloniali, così da non creare un vuoto politico dopo il 30 giugno. Il corpo delle istituzioni di Hong Kong sarebbe poi transitato integro direttamente sotto la nuova amministrazione cinese. Questo punto dell'accordo veniva definito "treno diretto" (straight train) delle istituzioni tra un potere e l'altro. Nel testo si faceva anche riferimento alla costituzione di nuovi organi istituzionali attraverso "elezioni", senza però specificare a che tipo di sistema elettorale si facesse riferimento. Non c'è bisogno di sottolineare quanto potessero essere differenti le concezioni in materia elettorale fra Inghilterra e Cina in quegli anni. Ciononostante, nessuna della due parti ritenne fondamentale stabilire con chiarezza quali avrebbero dovuto essere i criteri elettorali per Hong Kong.
In un altro punto della dichiarazione congiunta si stabiliva che la Cina avrebbe provveduto a varare una costituzione speciale provvisoria per l'amministrazione del territorio valida fino al 2047.
Ognuna delle due parti uscì soddisfatta dal negoziato. Doveva essere una soddisfazione di breve durata. La Dichiarazione Congiunta non era purtroppo un dettagliato programma che fissava, passo dopo passo, la procedura da seguire per gestire la fase di transizione. Non era nulla più che una generica carta di intenti della quale ognuna delle due parti poteva dare l'interpretazione che le era più congeniale. Non si dovette infatti attendere a lungo prima che le due diverse interpretazioni si trovassero in rotta di collisione.
2. La politicizzazione di Hong Kong
La dichiarazione congiunta nacque soprattutto da una convergenza quasi "naturale" in campo amministrativo tra la struttura verticistica ed elitaria del potere coloniale britannico e la struttura del Pcc nell'era delle riforme denghiste.
Se però dal punto di vista della gestione pragmatica delle risorse di Hong Kong i due paesi si trovarono essenzialmente d'accordo, sulla questione del modello politico che avrebbe fatto da infrastruttura a questa gestione, le posizioni non potevano essere più distanti, e la Dichiarazione Congiunta certo non fissava dei paletti che definissero lo spazio di manovra di eventuali interpretazioni di una parte o dell'altra.
Tutte le incomprensioni si focalizzarono sin dal primo momento su quella parte del documento che affrontava la creazione di ulteriori organi istituzionali che garantissero la continuità del potere anche dopo il 1997.
Questi equivoci andavano a toccare direttamente quelle che erano le differenti visioni delle due parti in causa circa il destino di Hong Kong.
Il sistema cinese yiguo liangzhi era il risultato di un'accurata analisi che aveva preso atto che Hong Kong come fonte di benessere economico non avrebbe resistito in un ambito politico senza la certezza del mantenimento del grado di autonomia dei suoi operatori. Pechino avrebbe accettato un aumento minimale del livello di rappresentanza democratica nelle istituzioni dell'isola solo perché si rendeva conto di quanto fosse essenziale al mantenimento degli equilibri economici. Una radicale trasformazione istituzionale del governo di Hong Kong certo non rientrava nei suoi calcoli politici. Per la Cina era essenziale il sostanziale mantenimento dell'impianto coloniale fino al 1997. Tra i vari motivi alla base di questo ragionamento non da ultimo trovava spazio anche una certa similitudine fra il sistema politico cinese e quello coloniale di Hong Kong. L'intero sistema di Hong Kong assomigliava non poco alla struttura politica che governava la Repubblica Popolare Cinese: la colonia aveva un Consiglio Esecutivo (Executive Council) che aveva le stesse funzioni decisionali dell'Ufficio Politico del Pcc; un Consiglio Legislativo (Legislative Council) che svolgeva la stessa funzione dell'Assemblea Nazionale; un governatore il cui potere era tanto forte quanto quello del segretario del partito.7 Il mantenimento di questo ordine gerarchico era essenziale per i cinesi al fine di non creare fratture al momento del passaggio dei poteri.
Gli inglesi si erano invece convinti di essere usciti dalla trattativa con la Cina completamente vincitori. Non si rendevano conto che la garanzia cinese sull'autonomia di Hong Kong per altri cinquant'anni non era stato un successo della diplomazia occidentale ma decisamente di quella cinese, che si garantiva una palestra ottimamente attrezzata dentro casa per i suoi esperimenti di mercato senza per giunta dover sottostare alle regole dell'economia pianificata.
Credendo comunque di aver messo in ginocchio la Cina sulla questione dell'autonomia di Hong Kong, il Foreign Office portò avanti una sua peculiare lettura della Dichiarazione Congiunta secondo la quale l'Inghilterra aveva carta bianca fino al 1997 per trasformare Hong Kong in una compiuta democrazia occidentale che i cinesi avrebbero dovuto sopportare per almeno altri cinquant'anni.
Perno strategico di tutta l'operazione doveva essere innanzitutto una rapida sensibilizzazione dell'opinione pubblica di Hong Kong sui temi della democrazia e del futuro assetto istituzionale dell'isola.
Dire che la comunità di Hong Kong avesse reagito senza alcuno stupore alla notizia della firma della Dichiarazione Congiunta sarebbe falso, ma sarebbe altrettanto falso dire che l'evento suscitò il panico nella comunità economica e tra i cittadini cinesi dell'isola.8 Possiamo dire che, data la particolare natura della città, la popolazione di Hong Kong misurasse l'andamento delle cose soprattutto in base alla possibilità di continuare a godere del diritto ad arricchirsi e di quelle libertà democratiche che consistevano poi tutte nel diritto del singolo individuo di forgiare autonomamente il proprio destino economico.9
L'Inghilterra tentò di sollecitare l'opinione pubblica attraverso la trasformazione, condotta in modo unilaterale, del sistema coloniale di Hong Kong in un regime a base più ampiamente democratica.
Già nell'estate del 1985 il governo coloniale cominciò a favorire apertamente la formazione di partiti politici locali che partecipassero alle elezioni del nuovo Legislative Council, nella speranza che all'interno di questo organo si venissero a formare gruppi di interesse abbastanza eterogenei fra loro che favorissero in senso pluralista una progressiva democratizzazione del processo decisionale.
Mentre alcuni rappresentanti della comunità cinese si apprestavano già a costituire dei gruppi politici nell'autunno del 1985, la Cina denunciò la manovra alla comunità internazionale, affermando che l'Inghilterra si stava comportando in contravvenzione alla Dichiarazione Congiunta. L’accusa era di aver agito unilateralmente e senza aver consultato la controparte, e inoltre, avendo tentato di decretare l'elezione diretta dell'intero Consiglio, di aver toccato un argomento - quello delle elezioni - i cui principi operativi non erano stati fissati dalla Dichiarazione Congiunta.10
Il risultato di questo primo braccio di ferro si risolse tutto a favore della Cina. L'opinione pubblica di Hong Kong, spaventata da questa repentina reazione del governo cinese e temendo ritorsioni future sulla comunità, fece pressione sugli inglesi affinché ritirassero la questione "elezioni" dall'agenda di lavoro.
Questo incidente fece accelerare nel campo cinese il processo di stesura della Costituzione Provvisoria per Hong Kong.
Per evitare ulteriori "equivoci" o incomprensioni che provocassero una perdita di immagine presso la comunità di Hong Kong, gli inglesi cedettero all'imposizione cinese di sedersi intorno a un tavolo per trovare rapidamente una convergenza bilaterale sulla questione "elezioni". I cinesi accettarono un aumento da 56 a 60 dei seggi nel Legislative Council. Ottennero però che la quota di seggi a elezione diretta nel Legislative Council venisse limitata a 18. L’ipotesi di procedere alla creazione di partiti formali venne accantonata. La Cina si impegnò a formulare in futuro un programma che prevedesse il progressivo aumento dei seggi a suffragio universale fino a comprenderne, in tempi non prestabiliti, la totalità.
Lo scontro sulla questione elettorale non si attenuò dopo questo accordo di massima, ma passò a una fase più sottile. Gli inglesi pubblicarono nel 1987 un
Green Paper del governo nel quale si avanzavano diverse ipotesi circa il futuro assetto istituzionale di Hong Kong11 . Nel testo compariva nuovamente la proposta di sottoporre a elezione diretta l'intero Legislative Council.
A quel punto i cinesi, irritati, risposero immediatamente l'anno successivo pubblicando la bozza della futura costituzione di Hong Kong, la Legge Fondamentale (Basic Law). Il testo cinese mise in allarme tutti coloro che avevano nutrito dei dubbi sulle intenzioni cinesi circa il mantenimento dell'autonomia di Hong Kong. La Legge Fondamentale sanciva in maniera definitiva le intenzioni cinesi su tutta la questione delle rappresentanze democratiche. Il testo stabiliva infatti che ci sarebbero state elezioni indirette per nominare il capo dell'esecutivo e gran parte dei membri del Legislative Council. La promessa di aumentare il numero dei seggi a suffragio universale nel Legislative Council veniva ribadito come "impegno futuro" dell'amministrazione cinese. La stessa legge delegava però all'Assemblea Nazionale di Pechino il diritto di decidere sull'applicazione o meno di se stessa. 12
La conoscenza del testo di legge e la crisi di piazza Tian’anmen l'anno dopo, riportarono in primo piano il ruolo dell'opinione pubblica di Hong Kong e le sue reazioni all'idea del rientro in una Cina che spegneva nel sangue ogni manifestazione di dissenso all'interno del paese.
3. Da piazza Tian’anmen alle elezioni del 1991
Quel che non riuscirono a fare i Green Papers britannici sulla questione della democratizzazione di Hong Kong fecero i cinesi con la strage di piazza Tian’anmen. Un'opinione pubblica principalmente orientata agli interessi di cortile e sorda a dissertazioni sui massimi sistemi, trovò di colpo motivo di discussione su temi quali la "democrazia" nel momento in cui scoprì che l'azione di singoli o di collettività che non godevano dell'approvazione formale del governo veniva schiacciata senza tanti complimenti in quella Repubblica Popolare della quale Hong Kong doveva tornare a far parte nel 1997.
I partiti politici che non sorsero nel 1985 nacquero dal giorno alla notte in tutta la colonia. Molti di essi si posero come scopo stesso della loro formazione il finanziamento dei dissidenti nel continente e, in alcuni casi, persino il sovvertimento dell'ordine politico nella Rpc prima del 1997. In tutta la colonia si dette vita a manifestazioni di protesta cui prese parte oltre un milione di persone. Radio, giornali, e televisioni di Hong Kong si mobilitarono in massa per trasmettere quante più informazioni possibili al mondo occidentale su ciò che stava accadendo in Cina.
Tra i diversi gruppi politici che si sono attivati all'indomani della strage, il partito United Democrats fondato e guidato da Martin Lee è stato quello che più di tutti ha incarnato la speranza inglese in una transizione completa di Hong Kong ai valori della democrazia occidentale prima della restituzione alla Cina. Lee è diventato famoso nella colonia proprio per essere stato uno di quegli esponenti della comunità cinese che si fece avanti sin dall'inizio per chiedere apertamente il rovesciamento del potere a Pechino.
Il governo coloniale si è molto adoperato sin dall'inizio per garantire al partito di Martin Lee la massima visibilità politica e la cosa ha conseguenzialmente irritato Pechino.
L’operato degli United Democrats nei giorni di piazza Tian’anmen portò la questione delle libertà democratiche direttamente nel cuore della vicenda di Hong Kong. I cinesi reagirono con un immediato irrigidimento delle proprie posizioni. Irrigidimento che si manifestò nelle aggiunte apportate di gran fretta alla Legge Fondamentale prima che questa venisse varata ufficialmente nell'aprile 1990. Nella sua veste definitiva questa legge, che già materializzava parte dei dubbi avanzati circa il reale livello di autonomia che la Rpc era disposta a garantire a Hong Kong13 , incluse fra i suoi diversi articoli una parte specifica che veniva considerata dai suoi formulatori come una conseguenza diretta delle dichiarazioni di Martin Lee a proposito del sovvertimento dell'ordine costituito cinese14 . La bozza di Legge Fondamentale venne infatti aggiornata con una serie di clausole "anti-sovversione" che dava pieni poteri a esercito e polizia per intervenire nel caso che una tale minaccia si fosse manifestata. Nessun particolare veniva aggiunto per chiarire quali condizioni si dovessero verificare per trovarsi di fronte a una situazione di minaccia alla sicurezza dello Stato.
Tornando alla primavera politica di Hong Kong, su posizioni ancor più anti-cinesi, cominciò a farsi notare sin dal 1989 l'avvocato Emily Lau che si fece conoscere dall'opinione pubblica di Hong Kong attraverso i suoi editoriali infuocati sulle colonne della
Far Eastern Economic Review di cui è stata corrispondente a Hong Kong fino al 1991. La Lau, dopo i fatti di piazza Tian’anmen, cominciò a condannare nei suoi articoli non solo la Cina ma anche il governo britannico, reo di aver siglato la Dichiarazione Congiunta con la quale si consegnava una popolazione inerme nelle mani di un paese sanguinario15 . Emily Lau non è mai riuscita però a creare intorno a sé un'aura di consenso da parte dell'opinione pubblica, e per le sue posizioni estremiste e per il suo costante rifiuto di aderire a un'organizzazione politica o di costituirne una propria. Tutt'oggi Emily Lau è conosciuta dai media di Hong Kong soprattutto grazie alle sue frequenti apparizioni televisive piuttosto che per il suo contributo politico come membro del Legislative Council.
Nel settembre del 1991 tutte queste nuove realtà politiche trovarono per la prima volta modo di esprimere le loro idee direttamente all'opinione pubblica e di cercare di raccogliere il suo consenso: vennero indette le elezioni per il rinnovo del Legislative Council della colonia. In base ai dettami della Dichiarazione Congiunta e della Legge Fondamentale vennero messi a elezione diretta 18 seggi su 60.16
Il dato sorprendente di questa tornata elettorale fu la vittoria in ben 12 seggi dei democratici di Martin Lee. Dal punto di vista strettamente tecnico questo non comportava conseguenze di portata fondamentale: il governatore britannico rimaneva il detentore effettivo di un potere quanto mai verticistico e superficialmente consultivo. Cionondimeno era una chiara risposta di gran parte dell'elettorato cinese di Hong Kong ai metodi della pratica politica cinese. Gli inglesi vi diedero un gran risalto per poter usare Martin Lee come perno sull'opinione pubblica internazionale e suscitare un caso Hong Kong. Il guaio per Londra fu che Martin Lee interpretò la sua vittoria elettorale come un preciso mandato a governare Hong Kong. In due viaggi, a Londra e a Washington1 , Lee incontrò esponenti parlamentari e di governo e si presentò a loro come il portavoce di Hong Kong. È logico che quando chiese che i suoi uomini venissero accolti in seno all'Executive Council, Lee si sentì rispondere con toni sarcastici da parte inglese e fu costretto a fare marcia indietro.
Pechino dal canto suo incassò abbastanza diplomaticamente la lezione della vittoria di Lee. La Cina era nuova al doversi misurare alla pari e in campo aperto con un avversario politico. L'agenzia Nuova Cina, di fatto vera e propria ambasciata della Rpc a Hong Kong, non aveva ancora gli strumenti adatti per contrastare Lee direttamente a Hong Kong. Pechino si rese conto che quello era comunque un segnale e che era venuto anche per essa il momento di agire in maniera incisiva sull'opinione pubblica di Hong Kong per contrastare la politica del Legislative Council, ormai orientato troppo decisamente in senso anti-cinese18 .
Il responsabile dell'agenzia Nuova Cina Zhou Nan e il suo vice Lu Ping, cominciarono allora a darsi un gran da fare per entrare in contatto con il vero cuore della colonia: i gruppi economici di Hong Kong. Se avessero conquistato loro, era opinione di Deng, allora tutta Hong Kong sarebbe arrivata indenne nelle braccia di Pechino. Zhou e Lu incontrarono numerosissimi uomini d'affari e spiegarono che la Cina aveva tutto l'interesse nel garantire l'autonomia di Hong Kong. L'isola doveva avere, nei piani di Pechino, la doppia funzione di cancello di ingresso nel continente dei capitali di investimento internazionali (e soprattutto di quelli dei cinesi d'oltremare) e di trampolino di lancio della politica economica cinese verso il mercato asiatico dei paesi in via di sviluppo. Non si doveva temere dunque una riduzione del ruolo di Hong Kong, semmai il contrario, bisognava pensare a un suo progressivo sviluppo: Hong Kong come portabandiera di una Cina proiettata verso l'esterno19 . Progresso e stabilità furono le promesse enunciate da Pechino alla comunità finanziaria di Hong Kong in cambio di un appoggio alle sue tesi contro quelle britanniche. Delle promesse che indubbiamente fecero presa e che dettero nel breve termine i loro frutti concreti.
4. La questione dell'aeroporto
Se la Cina commise un errore anche sul piano internazionale nel sottovalutare la portata che la repressione di Tian’anmen avrebbe potuto avere sull'opinione pubblica del resto del mondo e in particolare di Hong Kong, gli inglesi commisero l'errore di valutare la reazione della comunità di Hong Kong e la vittoria alle elezioni dei democratici di Martin Lee come un invito su carta bianca a procedere unilateralmente alla trasformazione di Hong Kong in una democrazia compiuta di marca inglese.
Per far ciò era necessario innanzitutto dare prova di essere ancora quelli che stringevano saldamente il timone tra le mani, bisognava fornire ciò che l'allora governatore David Wilson chiamò un'«iniezione di fiducia» nell'opinione pubblica: ovvero la formulazione di una politica autarchica da parte inglese che facesse capire a Pechino che Hong Kong fino al 1997 era politica interna britannica e che i risultati di tale politica dovevano essere tollerati dalla Cina fino al 2047.
Wilson si preparò dunque a dar battaglia alla Cina, e la bandiera sotto la quale schierò le sue truppe fu quella del
Port and Airport Development Scheme (PADS). Gli inglesi si convinsero che la concezione di un progetto grandioso per il rinnovamento del pericoloso scalo aeroportuale di Chek Lap Kok avrebbe evidenziato le capacità britanniche di prendere ancora decisioni importanti sulla vita della città. Wilson e gli uomini del suo entourage si apprestavano ancora una volta a infrangere le regole fissate dalla Dichiarazione Comune.
Il progetto dell'aeroporto è tutt'oggi uno dei più grandi piani di investimento di tutto il mondo. Il suo costo approssimativo si aggira sui 23 miliardi di dollari americani. Il progetto originale prevedeva la costruzione di uno dei ponti più lunghi del mondo che congiungesse Hong Kong a un isoletta. L’isola sarebbe stata livellata ed estesa con materiale di riporto per accogliere il nuovo aeroporto. A questo si sarebbe aggiunta la costruzione di un sistema di collegamento e trasporto che permettesse ai cittadini di accedere alle nuove strutture.
Wilson interpretò l'obbligo alla consultazione reciproca cui il suo paese si era impegnato con Pechino, inviando ai cinesi una lettera in cui comunicava l'intenzione della Gran Bretagna di procedere al completo rinnovamento del sistema aeroportuale di Hong Kong solo tre giorni prima dell'annuncio ufficiale davanti ai giornalisti e alle telecamere di mezzo mondo.
Prima ancora che venisse fissato un massimale di spesa, e soprattutto prima che il governo coloniale avesse chiarito con che mezzi intendeva finanziare un simile progetto, il 70% degli appalti era già nelle mani di diversi consorzi edilizi tutti rigorosamente inglesi. Mentre Wilson posava trionfante per i fotografi, la diplomazia britannica si avviava serena e felice verso il disastro.
I cinesi da principio non mossero un dito: erano potenzialmente ben propensi all'idea di avere un nuovo aeroporto a Hong Kong e sapevano bene che Wilson aveva imboccato una strada senza uscita che lo avrebbe costretto a rinegoziare i costi e la ripartizione delle spese.
I primi a dare un sonoro stop al progetto dell'aeroporto furono le banche internazionali alle quali Wilson si era rivolto per finanziare il progetto. Nel mondo della finanza il concetto di "consultazioni bilaterali" non è una clausola politica di secondo piano. In un progetto simile la restituzione dei finanziamenti sarebbe sicuramente ricaduta oltre la scadenza del 1° luglio 1997. Di conseguenza agire senza un avallo cinese era impensabile, pena il rischio di vedersi rifiutare la restituzione dei prestiti dalla Cina.
La palla tornava dunque nel campo cinese e Pechino dovette solo denunciare l'unilateralità dell'operato britannico e i rischi di un indebitamento mortale di Hong Kong, visti gli altissimi costi dell'operazione, per confinare tutto il progetto in una fase di stallo. La comunità finanziaria di Hong Kong reagì condannando recisamente le posizioni del governo britannico e causando nell'opinione pubblica una brusca perdita di fiducia nelle capacità inglesi di garantire una transizione morbida. Esattamente il risultato opposto che
l'affaire Chek Lap Kok si proponeva di raggiungere.
La diplomazia dei china pundits, degli esperti sinologi, era andata a gambe all'aria e, dopo alcuni strascichi polemici in cui gli inglesi continuarono a discettare sul concetto di consultazioni bilaterali, Wilson fu costretto alla trattativa con la Cina anche sull'argomento aeroporto.
Nel luglio del 1991 Londra e Pechino firmavano un memorandum di intesa sul PADS nel quale gli inglesi si impegnavano a portare avanti il progetto solo sulla base di reciproche consultazioni con la Cina. I cinesi ottennero anche che la maggior parte dei costi gravassero sulla gestione britannica e che il tetto di indebitamento dopo il 1997 venisse notevolmente abbassato. Il prezzo più alto che Londra dovette pagare fu però di natura strettamente politica. I cinesi pretesero e ottennero come gesto di buona volontà da parte inglese che il primo ministro britannico John Major compisse un viaggio ufficiale a Pechino. Il Foreign Office fu costretto a mandare questa mela avvelenata a Downing Street e John Major non poté far altro che mangiarla e divenire il primo capo di governo occidentale a visitare la Cina dopo il 198920 .
La borsa di Hong Kong riprese a salire. La Cina incassò un aeroporto moderno a basso costo e la riapertura delle sue relazioni internazionali dopo l'isolamento conseguente ai fatti di Tian’anmen. La Gran Bretagna fallì il suo principale obiettivo politico (quello cioè di dimostrare le sue capacità decisionistiche in materia asiatica) e subì un forte calo d'immagine agli occhi della comunità di Hong Kong e del resto del mondo. Major volle immediatamente la testa di David Wilson servita su un piatto d'argento.
5. L'arrivo di Chris Patten
La cacciata del governatore non significava affatto che l'Inghilterra prendesse atto della necessità di adottare una nuova politica nel trattare con la Repubblica Popolare Cinese. La linea rimaneva la stessa. Wilson venne rimosso solo perché aveva peccato di poca fermezza. A Hong Kong bisognava mandare un pistolero freddo e capace e John Major ne aveva giusto uno che faceva al caso.
Chris Patten assunse la carica di governatore di Hong Kong nel luglio del 1992. Politico smaliziato in patria (era chiamato "il killer" per aver fatto piazza pulita di tutti gli avversari elettorali di Major) Patten non sapeva nulla di "diplomazia orientale" e se ne faceva vanto pubblicamente. Era arrivato a Hong Kong con un compito ben preciso: scavalcare di slancio la questione delle consultazioni reciproche con la Cina e avviare il più rapidamente possibile il processo di democratizzazione della colonia.
In capo a 90 giorni Patten già si presentava a Major con un preciso programma politico. Nel suo piano Patten dava al ruolo del governatore un significato di figura simbolo della resistenza alla Cina su qualsiasi fronte della questione Hong Kong. Innanzitutto si proponeva una radicale trasformazione del
decision making process, del meccanismo decisionale: un gruppo ristretto di persone di fiducia avrebbe proceduto alla formulazione politica in gran segreto; nessun
Green Paper; nessuna consultazione preventiva con la Cina, solo conferenze stampa per comunicare le decisioni adottate. Sul piano puramente istituzionale Patten proponeva di puntare con decisione alla messa a suffragio universale di tutti i seggi del Legislative Council che, nella sua ottica, doveva diventare in futuro l'organo centrale dell'amministrazione di Hong Kong. Questo voleva dire abolire tutti i seggi sottoposti a elezione esclusiva degli appartenenti alle categorie cosiddette "funzionali", ovvero di quelle fasce del corpo elettorale con particolari competenze settoriali (cioè economiche) come avvocati, amministratori, ingegneri, imprenditori edili, operatori di borsa. Sul mantenimento di queste categorie elettorali almeno fino al 1997 non si erano fino a quel momento mai creati equivoci fra Cina e Inghilterra sin dalla firma della Dichiarazione Congiunta. Anche nel caso dei dieci seggi posti a elezione di collegi elettorali speciali (di fatto sottoposti a elezione indiretta) il governatore proponeva che questi venissero affidati all'elezione diretta dei Consigli Distrettuali (organi non dissimili alle nostre circoscrizioni) che sarebbero stati formati a suffragio universale nel 199421 . Patten voleva infine separare d'ufficio il Legislative Council dall'Executive Council22 , in modo da allontanare qualsiasi forza potenzialmente dilatoria rispetto ai tempi del meccanismo decisionale e convogliarla nel Legislative Council che fino alla completa trasformazione in democrazia delle istituzioni avrebbe avuto una funzione di avallo delle decisioni prese in seno al governo. Una struttura di facciata dunque, ma che andava comunque anch'essa rinnovata favorendo l'ingresso di giornalisti liberali e giovani avvocati che prendessero il posto degli uomini d'affari, troppo preoccupati di concetti come "stabilità economica" e "transizione morbida"23 .
Sul piano economico Patten annunciò la sua intenzione di riprendere il progetto dell'aeroporto lì dove era stato lasciato prima del Memorandum del 1991 e di condurlo in porto unilateralmente, convinto che le opposizioni cinesi fossero solo puro ostruzionismo volto a ricattare l'Inghilterra sulla questione delle riforme istituzionali.
Nel suo primo discorso ufficiale il 7 ottobre del 1992, Patten parlò di molte cose, ma in neanche un passaggio si ricordò di citare la Cina come partner nelle decisioni da prendere circa la sorte di Hong Kong. Semplicemente non nominò mai quel paese. Per ribadire il concetto ai cinesi, il governatore poco dopo pensò anche di organizzare un'esercitazione militare dall'altisonante nome di "Operazione Drago Alato" in cui far simulare ai soldati di Sua Maestà Britannica la difesa di Hong Kong in caso di attacco da parte di forze provenienti dal continente. All'ultimo momento l'esercitazione venne rimandata per alleggerire la tensione, ma non annullata24 .
Non c'è bisogno di dire che le reazioni cinesi non tardarono a farsi sentire. Il giorno successivo alle dichiarazioni di Patten, Zhou Nan, capo dell'agenzia Nuova Cina, dichiarò che:
Durante la fase di transizione qualsiasi cambiamento al sistema politico di Hong Kong volto all'indebolimento della capacità amministrativa dell'esecutivo, sarebbe una palese violazione dello spirito della Dichiarazione Congiunta25 .
Era l'inizio di una nuova guerra diplomatica sul fronte di Hong Kong. Una guerra che se avesse avuto bisogno di una dichiarazione formale la ottenne quando John Major, rispondendo alle critiche di Pechino, raccolse la sua piccola vendetta rispetto all'umiliazione del 1991 asserendo: «Appoggio completamente l'operato del governatore, operato che sono sicuro rappresenti la strada migliore per il futuro di Hong Kong»26 .
Il 20 novembre la Cina metteva una pietra tombale su tutte le proposte Patten facendo sapere agli inglesi che dopo il 1997 non avrebbe onorato alcun contratto stipulato dalla precedente amministrazione. II riferimento era sia politico che tecnico: era rivolto alle riforme Patten e al progetto dell'aeroporto Chek Lap Kok. La borsa di Hong Kong cominciò la sua lunga discesa in risposta a queste feroci polemiche che minavano la stabilità dell'economia locale. Il 15 marzo del 1993, in seguito a dichiarazioni dello stesso Li Peng contro le riforme Patten, la borsa perse in un sol colpo 315.79 punti nell'indice Hang Seng27 .
Bisognava ricominciare a trattare, riaprire - seppure formalmente - le consultazioni bilaterali a patto che, come Patten sottolineò, la Cina presentasse controproposte congrue rispetto alla strada delle riforme che Hong Kong aveva comunque intrapreso. Pensare a una tregua stipulata in questi termini era impensabile e infatti la guerra continuò, ma in un contesto più diplomatico e senza grandi strombazzamenti alla stampa per non rischiare nuovi incidenti in borsa.
6. La battaglia per le riforme elettorali
La fase diplomatica si concluse alla fine del 1993 quando il 28 novembre Christopher Hum, capo della delegazione inglese alle trattative su Hong Kong, partì da Pechino annunciando:
Non siamo riusciti a raggiungere un accordo sul primo pacchetto di questioni. Tutte le decisioni che dovranno essere adottate (per Hong Kong) saranno prese dai ministri e dal Governatore (Patten)28 .
Era il via libera a Patten per trasformare in legge la sua proposta di riforma elettorale. I cinesi per bocca di Lu Ping, che nel frattempo aveva preso incarico come responsabile dell'Ufficio del Politburo per Macao e Hong Kong, facevano subito sapere di considerare l'operato inglese come insincero e senza rispetto per gli interessi di Hong Kong.
Chris Patten aveva ora il campo sgombro davanti a sé e parti spedito come un razzo alla formulazione di un testo di legge che sancisse in maniera definitiva tutta la questione elettorale. II 23 febbraio 1994 il nuovo pacchetto di riforme veniva presentato al Legislative Council per essere trasformato in proposta di legge. Le proposte di legge erano a dir poco rivoluzionarie: abbassamento del diritto di voto dai 21 ai 18 anni d'età; abolizione delle cariche a nomina nei Consigli Distrettuali e in quelli municipali; permesso a membri locali dell'Assemblea Nazionale del Popolo Cinese di partecipare alle elezioni; adozione del sistema del
singolo seggio-singolo voto per tutte le elezioni.
L’Inghilterra doveva gestire ancora tre tornate elettorali a Hong Kong: quelle per i Consigli Distrettuali nel settembre 1994, quelle per i Consigli Municipali nel marzo 1995 e quelle per il Legislative Council nel settembre 1995. Con l'abbassamento dell'età per il diritto al voto e l'abolizione delle cariche a nomina nei consigli distrettuali e municipali, Patten andava a toccare direttamente la composizione del futuro Legislative Council. Non bisogna infatti scordare che, a parte le categorie "funzionali" nel Consiglio sono presenti anche 18 membri tratti proprio da questi consigli minori. Con lo svolgimento di elezioni democratiche per entrambi gli uffici - quello distrettuale e quello municipale - il governatore sarebbe arrivato a ottenere per il settembre 1995 la prima elezione diretta di tutto il Legislative Council della storia di Hong Kong. Nel formulare queste proposte Patten pensava soprattutto al "treno diretto", il passaggio della sovranità su Hong Kong senza intaccare le istituzioni esistenti come previsto dalla Dichiarazione Congiunta, in base al quale il Legislative Council eletto nel 1995 sarebbe rimasto in carica fino alla sua naturale scadenza nel 1999. Di fatto, almeno sulla carta, la democratizzazione di un pezzo di Cina comunista era cosa fatta.
All'una e mezza di notte del 24 febbraio, dopo una serie di accesissime discussioni e la votazione di una serie infinita di emendamenti portati avanti dalle frange politiche pro-Pechino, il Legislative Council mandava in porto la manovra di Patten accettando la messa in cantiere della proposta di legge. Il 30 giugno, dopo un'altra incandescente sessione, il Legislative Council varava, con una votazione di 32 a 24, il testo finale della nuova legge elettorale.
L’offensiva di Patten non si voleva però limitare alle riforme istituzionali. Oltre all'innalzamento del grado di democrazia era necessario mantenere aperto anche un indotto economico per garantire l'aggancio fra Hong Kong e l'Inghilterra anche dopo il 1997. Questo voleva dire la continuazione del progetto PADS
(Port and Airport Development Scheme) a Chek Lap Kok, progetto per il quale il governatore non si fece scrupolo di chiedere all'inizio del 1994 al Legislative Council un anticipo di ben 215,65 milioni di dollari americani, da investire fino all'arrivo dei finanziamenti internazionali29 .
Patten era convinto che una tale ampiezza di fronte nella controversia su Hong Kong avrebbe impedito ai cinesi di coordinare una risposta efficace all'operato inglese, ma in parte si sbagliava. A guidare l'azione politica cinese a Hong Kong non c'era più solo il rigido e ultraortodosso Zhou Nan dell'agenzia Nuova Cina, ma anche Lu Ping. Lu, uomo fedelissimo a Deng e alla teoria delle riforme, è un politico esperto e smaliziato. Già da tempo ben introdotto nel mondo imprenditoriale di Hong Kong, era in grado di osservare tutta la situazione capendone la variabilità delle geometrie e di formulare strategie peculiari su più fronti.
La prima fase della risposta cinese fu affidata al governo centrale. L'Assemblea Nazionale di Pechino prendendo atto dell'impossibilità di trovare delle convergenze sul piano delle trattative bilaterali, già il 3 dicembre 1993, alla notizia delle intenzioni di Patten di far passare in legge le sue proposte elettorali, dava ordine al Preparatory Working Committee (l'ufficio costituito qualche anno prima con l'incarico di formulare i piani per la gestione di Hong Kong dopo il 1997) di accelerare i tempi e di prepararsi a concepire delle strutture istituzionali in grado di sostituire quelle esistenti il giorno stesso del passaggio dei poteri. La teoria del "treno diretto" veniva stracciata definitivamente.
La seconda fase della controffensiva cinese scattò nell'aprile 1994, all'indomani della prima votazione del Legislative Council sulle proposte Patten, quando Pechino dette ordine di arrestare sul suo territorio un giornalista del Ming Bao di Hong Kong, Xi Yang, con l'accusa di aver rubato documenti economici classificati come "segreti di stato" per rivenderli all'amministrazione straniera di Hong Kong30 .
Logicamente l'accusa era fasulla, ma era un fortissimo segnale sia agli inglesi che all'opinione pubblica di Hong Kong: se l'amministrazione britannica continuerà sulla strada delle riforme unilaterali, Pechino farà applicare le sue leggi nazionali anche all'interno della futura regione autonoma di Hong Kong. Per sancire meglio il concetto, la Corte Suprema di Pechino condannava in seduta lampo il giornalista a 12 anni di reclusione e respingeva ogni appello per la sua scarcerazione31 .
Ora toccava a Pechino dimostrare di essere in grado di agire unilateralmente sulla questione di Hong Kong. Il 27 aprile l'agenzia Nuova Cina annunciò l'imminente arrivo nella colonia di Lu Ping. Nel dare l'annuncio di questa visita i cinesi ci tennero a far sapere che il loro emissario aveva declinato l'invito formale del governatore a incontrarsi per riaprire il dialogo32 . Così agendo Lu Ping disconosceva di fatto l'autorità di Patten su Hong Kong.
Nella sua visita di nove giorni Lu Ping non volle incontrare nessuno dei rappresentanti dell'amministrazione. Ricevette invece innumerevoli delegazioni di rappresentanti del mondo economico cui dette la sua benevola assicurazione che nulla sarebbe loro accaduto dopo il 1997 a patto che avessero saputo come comportarsi e da che parte stare. L’effetto Xi Yang dava i suoi frutti. Un effetto che veniva esaltato nei suoi risultati quando alcuni giornalisti si presentarono a Lu Ping per perorare la causa del loro collega. Non andarono da Patten a chiedere il sostegno inglese, andarono da Lu Ping. Era un riconoscimento politico indiretto, ma senza eguali. «Vogliamo la sua (di Lu Ping) assicurazione che i giornalisti che coprono le notizie dalla Cina siano al sicuro»33 . Nell'opinione pubblica di Hong Kong si fecero allora strada due sensazioni fortissime: la prima era che la Cina poteva davvero costituire un pericolo per le libertà individuali dopo il 1997, e la seconda che l'Inghilterra non aveva alcuna autorità per impedire che questo avvenisse.
Lu Ping completava questo quadro di una Cina "padre benevolo ma severo" e soprattutto unica autorità sul destino di Hong Kong con un discorso davanti agli uomini d'affari il 5 maggio nel corso del quale dichiarò che sarebbe stato disastroso per Hong Kong e per la Cina se un «pugno» di persone avesse trasformato la colonia in una «città politica» da cui lanciare attacchi a Pechino.
I dirigenti cinesi sono decisi a costruire una Cina socialista e forte... Tutti i movimenti o le azioni volte a modificare questo orientamento possono provocare caos e perturbazione nell'economia cinese... Tutti i governi stranieri e tutte le persone di Hong Kong che tenteranno di fare pressioni sul governo cinese falliranno. La Cina non vuol vedere regnare il caos.
Dopo il bastone la carota. Lu concludeva il suo intervento rassicurando tutti sulle buone intenzioni di una Cina non provocata da azioni unilaterali. Hong Kong, disse Lu Ping, «continuerà a fungere da ponte fra la Cina e il mondo occidentale» per molto tempo ancora34 . La borsa di Hong Kong non registrò nessun calo improvviso degli scambi in seguito alle affermazioni di Lu Ping: il passaggio dei poteri era già iniziato. Sul piano degli ammonimenti pubblici, la questione con l'Inghilterra era sistemata, ora Lu si apprestava a dar battaglia a Patten nel suo stesso terreno: il Legislative Council.
Già dal 1991 la Cina si era ampiamente spesa in attività lobbystiche che garantissero la presenza nell'agone politico di Hong Kong di forze d'opinione schierate a fianco della Cina. Nel 1994 il principale schieramento che si era posto su un fronte dichiaratamente pro-Pechino era il DAB (Democratic Alliance for the Betterment of Hong Kong) di Tsang Yok-sing. Un po' più centrale, ma con spiccate simpatie per Pechino, era il Liberal Party di Allen Lee35 . Al confine quasi perfetto dei due opposti schieramenti c'era il partito cosiddetto "della democrazia", l'ADPL (Association for Democracy and People's Livelihood) di Frederick Fung. L’ADPL non era filo-britannico e non si opponeva in alcun modo al ritorno di Hong Kong alla Cina, voleva solo avere quante più garanzie possibili sul piano delle libertà e del mantenimento delle istituzioni democratiche fin qui costituitesi.
Lu Ping si rivolse alle organizzazioni più vicine alle posizioni cinesi invitandole a portare avanti in Consiglio la più stretta opposizione al disegno di legge di Patten e garantendo loro che Pechino le avrebbe appoggiate visibilmente in occasione delle prossime elezioni distrettuali del settembre 1994. Contemporaneamente Lu Ping si rivolgeva alla comunità imprenditoriale di Hong Kong invitandola ad assumersi anche quelle responsabilità politiche necessarie al compimento di una transizione senza scossoni, ovvero invitandola a votare e a sostenere i gruppi fedeli alla Cina.
Come abbiamo già visto, l'opposizione di questi gruppi non riuscì a impedire a Patten di far passare il pacchetto di leggi elettorali nella seconda votazione che si tenne al Legislative Council il 30 giugno 1994. Tutti gli sforzi dei gruppi filo-cinesi si concentrarono allora sulle elezioni dei Consigli Distrettuali del settembre successivo.
II 18 settembre del 1994 settecentomila cittadini di Hong Kong (circa il 33% degli aventi diritto) si recarono alle urne per eleggere i rappresentanti della comunità nei 19 distretti che compongono la colonia. Erano le prime elezioni a suffragio universale della storia di Hong Kong. Una tornata elettorale solo apparentemente secondaria, visto che i vincitori di queste elezioni avrebbero eletto nel 1995 ben dieci membri del futuro Legislative Council. Non bisogna poi sottovalutare l'effetto che questa prima votazione democratica avrebbe avuto nel far capire ai politologi l'atteggiamento dell'opinione pubblica di Hong Kong rispetto alle riforme Patten e rispetto al ritorno di Hong Kong alla Cina.
A distanza di tre anni da allora il primo dato da prendere forse oggi in considerazione nell'analizzare la portata di questo avvenimento è l'afflusso alle urne. Il 33% non è certo una percentuale sufficientemente alta da permettere a chicchessia di disegnare un profilo politico di Hong Kong. Bisogna pensare quindi che l'elettorato che ha partecipato all'elezione era caratterizzato innanzitutto da uno scarso livello di adesione al discorso politico in corso. Se poi pensiamo all'operato dei "galoppini" nel corso della campagna elettorale, che garantirono nei collegi gran parte della partecipazione al voto, bisogna dire che una straordinaria adesione spontanea all'idea di queste elezioni democratiche non ci fu. La popolazione, nonostante gli sforzi di Patten, era ancora poco sensibile agli appelli della politica (sia pro che anti Pechino) non ritenendo la rappresentanza istituzionale il luogo adatto a discutere del dopo 1997. La "democrazia lampo" voluta dagli inglesi non aveva avuto molto tempo per attecchire su millenari valori "orientali" ad essa quasi del tutto estranei. Gli stessi inglesi avevano a lungo voluto che le cose rimanessero così.
Volendo comunque andare a osservare il risultato politico che uscì da quelle consultazioni, possiamo dire che l’anti-cinese Democratic Party36 portò a casa ben 75 seggi garantendosi con una serie di alleanze politiche la maggioranza in quasi tutti i 19 distretti. Subito dietro veniva il principale sostenitore della Rpc, il DAB, con 37 seggi. A seguire l'ADPL con 29 e il Liberal Party con 18. È interessante notare come il Liberal Party, che pure aveva alle spalle forti interessi economici e poteva essere identificato fino a quel momento come il partito di riferimento dei tycoon, abbia riportato la sconfitta più evidente. Anche il DAB nonostante la somma cospicua di 324.000 dollari americani spesa per la campagna elettorale e nonostante l'aperto sostegno dato al partito da Pechino e da quegli organi di informazione controllati da Pechino come il Wen Wei Po, non era riuscito ad arginare il fenomeno di crescita dei partiti democratici che, confermando sostanzialmente il risultato del 1991, riaprivano a Pechino la ferita di Hong Kong37 .
7. Un anno cruciale: il 1995
Il 30 settembre del 1994 il quotidiano di Hong Kong in lingua inglese Eastern Express pubblicava un articolo in cui riferiva delle precise intenzioni dell'anziano Deng Xiaoping di formare un comitato di quadri del Pcc cui mettere in mano la gestione diretta di Hong Kong dopo il 1997. Secondo il quotidiano, che citava come fonti due importanti funzionari del partito, a capo di questo comitato sarebbe stato posto Hu Jintao, uno dei membri del Politburo38 . Era il segnale che una guerra aperta sul fronte istituzionale stava per abbattersi su Hong Kong, un segnale che però gli inglesi sembravano voler ignorare a ogni costo. Fonti britanniche fecero sapere che l'eventuale costituzione di un comitato di gestione di Hong Kong da parte cinese avrebbe significato una grave violazione della Dichiarazione Congiunta e un'azione unilaterale senza alcuna giustificazione. Il bue inglese dava del cornuto all'asino cinese.
I cinesi, però, prima di compiere un gesto tanto risolutivo che avrebbe mandato definitivamente all'aria tutta la teoria del "treno diretto", vollero cercare di ridimensionare il fronte delle controversie con la Gran Bretagna se non addirittura esperire un ulteriore tentativo di comporre le divergenze, anche per evitare un'eccessiva lievitazione dell'attenzione internazionale sulla questione di Hong Kong come conseguenza delle dure polemiche fra i due paesi.
Il terreno di questo ennesimo tentativo di compromesso fu ancora una volta quello dell'aeroporto di Chek Lap Kok e del suo finanziamento. Già nel marzo del 1994 la Cina aveva fatto intravedere la possibilità di sbloccare l'impasse se gli inglesi si fossero mostrati meno ostinati sulle riforme. Le due parti si incontrarono a più riprese nel corso dell'ottobre 1994 e alla fine riuscirono ad arrivare a un accordo sull'assetto dei fondi di investimento e sui tassi di indebitamento di Hong Kong dopo il 1997. Hugh Davies per l'Inghilterra e Guo Fengmin per la Repubblica Popolare Cinese firmarono un accordo di massima il 4 novembre. Le disposizioni comuni ponevano a 20.3 miliardi di dollari americani il tetto massimo di spesa per il nuovo nodo di trasporti. Il governo di Hong Kong si impegnava a investire ancora 7.7 miliardi di dollari nel progetto e a garantire alla Cina che al momento del passaggio di sovranità su Hong Kong le riserve finanziarie della colonia fossero ancora di almeno 120 miliardi di dollari. Dai risultati di questo accordo prese vita la Provisional Airport and Mass Transit Railway Corp. , la società incaricata di contrarre i prestiti necessari sul mercato internazionale39 .
Il capitolo DAPS poteva dirsi praticamente chiuso. Adesso toccava alla questione elettorale. Essendo previste le elezioni municipali per il marzo del 1995, i cinesi pensarono bene di far pervenire all'opinione pubblica di Hong Kong un sano avvertimento che li confortasse al momento del voto. Pechino chiese ufficialmente all'amministrazione britannica di Hong Kong di entrare in possesso dei dossier personali dei quadri dell'amministrazione. Era come dire che la sopravvivenza stessa delle istituzioni esistenti dopo il 1997 e del sistema
yiguo liangzhi sarebbe dipesa da quali nomi sarebbero stati scritti su quei dossier, ovvero da chi i cittadini di Hong Kong avrebbero eletto come propri rappresentanti nelle imminenti consultazioni40 .
Il governo britannico rifiutò naturalmente di consegnare i suoi dossier. Agli inizi del marzo 1995 si svolsero le elezioni municipali. Ancora una volta, nonostante una ulteriore scarsa affluenza alle urne (25%), le dichiarazioni cinesi sul futuro di Hong Kong scaturirono l'effetto di permettere ai partiti democratici di sconfiggere il fronte unito costituito dal DAB e dal Liberal Party. I Consigli Municipali (esattamente come quelli Distrettuali) avrebbero partecipato all'elezione di 8 membri del Legislative Council di lì a sei mesi, e questa sconfitta per la linea pro-Pechino poneva una seria ipoteca del Democratic Party sulla vittoria alle ormai prossime elezioni di settembre41 .
Tsang Yok-sing, segretario del DAB, apriva la campagna elettorale per le elezioni del Legislative Council annunciando che solo votando per il suo partito alla comunità di Hong Kong sarebbe stato permesso di mantenere le proprie istituzioni anche dopo il 1997. Altrimenti, faceva sapere il leader, sarebbe stato impossibile impedire a Pechino di agire unilateralmente con la costituzione di un altro potere legislativo. In una intervista all'Economist Tsang confessava che gli ultimi sondaggi erano ancora incerti: in ogni collegio si sarebbe svolta una battaglia all'ultimo voto e anche la conquista del suo stesso seggio non era affatto garantita, viste le recenti minacce di ritorsione da parte di Pechino42 .
La Cina si stava mobilitando con tutte le sue forze per portare a casa il risultato del Legislative Council: per placare le loro ansie verso il futuro aveva nominato la maggior parte dei grossi uomini d'affari consiglieri speciali per Hong Kong43 ; aveva aperto nuovi uffici di rappresentanza, aveva
de facto ricostruito con i suoi uomini e i suoi finanziamenti una federazione sindacale come la FTU (Federation of Trade Unions) e ne aveva fatto la base organizzativa e di propaganda del DAB, ed era infine riuscita a incrinare leggermente persino il fronte democratico aprendo un tavolo di confronto con l'ADPL di Frederick Fung.
Nonostante questo apparato militante fosse da tempo alacremente all'opera, Pechino non voleva correre rischi. La mattina del 17 settembre 1995, all'apertura delle urne, l'agenzia Nuova Cina fece pervenire ai
mass media la sua promessa di dissolvere questo Legislative Council esattamente il 1 ° luglio 1997, per sostituirlo con una Legislatura Provvisoria in attesa della formulazione di "nuovi criteri elettorali" che permettessero la ricostituzione di un nuovo Legislative Council44 . Quel giorno circa 1 milione di cittadini di Hong Kong si recarono alle urne45 .
Alla fine dello spoglio delle schede i risultati erano questi: il Democratic Party aveva conquistato 19 seggi, l'ADPL ne aveva 6, il Liberal Party scendeva a dieci, il DAB saliva dall'unico seggio conquistato nel 1991 a 7 (ma Tsang Yok-sing aveva perso il suo seggio nel confronto con il vice-segretario dell'ADPL), 16 seggi andavano a candidati indipendenti. Il fronte democratico aveva riportato un clamoroso successo controllando direttamente 25 seggi su 60. Contando anche sull'appoggio dei consiglieri indipendenti i democratici erano di fatto padroni del Legislative Council46 .
Questo risultato portava per l'ennesima volta Hong Kong in rotta di collisione con la Cina, ma era anche un segnale difficile da ignorare. Difficile da ignorare per Pechino, che si confrontava con una cittadinanza che ormai per tre volte aveva dimostrato di voler chiedere al futuro padre-padrone di Hong Kong maggiori garanzie in tema di libertà individuali. Difficile da ignorare anche per Chris Patten che sperava indubbiamente in un risultato più composito che gli permettesse di continuare a usare il Legislative Council come una mazza contro Pechino e che invece doveva ora confrontarsi con un Martin Lee trionfatore che si presentava a pretendere un premio: l'ingresso nell'Executive Council dei consiglieri che avevano vinto le elezioni. Lo stesso leader del DAB, Tsang Yok-sing, commentò sarcasticamente la situazione in cui si trovava ora il governatore:
Chris Patten pensava che non sarebbe stato facile costruire relazioni amichevoli con la Cina, ma (non sapeva che) c'era un nemico ancor peggiore dentro casa nelle sembianze di Martin Lee47 .
Martin Lee già il giorno dopo annunciava alla stampa di essere intenzionato a chiedere a Patten, sul cui operato aveva molto da ridire, di completare il quadro delle riforme democratiche con l'introduzione dell'elezione diretta del futuro capo dell'esecutivo e la messa a suffragio universale di tutti i seggi del Legislative Council. La maggioranza del Legislative Council si stava già attivando su posizioni di aspra critica all'operato dell'amministrazione britannica, giudicato fin qui ampiamente insufficiente. In molti cominciarono a temere che potesse trasformarsi addirittura in una istituzione di opposizione rispetto all'attività dell'esecutivo.
La battaglia delle elezioni di settembre fu in sostanza uno scontro fra due anime: una populista e una affarista. Quasi tutti i rappresentanti dell'anima affarista erano filo-cinesi, ma non tutti i populisti erano democratici. Tra le anime populiste non democratiche c'era il DAB, e fra quelle non necessariamente anti-cinesi c'era l'ADPL. Questo logicamente dava l'avvio a una nuova stagione della politica in cui i confini erano forse meno delineati di prima e in cui il termine "coalizione su temi specifici" poteva prefigurare alleanze temporanee anche fra partiti che sulla questione 1997 si trovavano su fronti opposti48 . L’ago della bilancia rischiava di divenire la politica interna di Hong Kong piuttosto che la questione cinese. In questo senso andava letto anche il rifiuto da parte degli sconfitti del DAB di entrare immediatamente a far parte di una legislatura "ombra" per Hong Kong da costituirsi in territorio cinese.
Il rischio della fine della "politica dei due fronti contrapposti" spingeva sempre più Pechino verso l'adozione di misure drastiche, e tutti si chiedevano quali sarebbero state.
Londra si rese subito conto di aver compiuto il passo più lungo della gamba e che il giocattolino di Chris Patten avrebbe potuto rapidamente rivolgerglisi contro e aprire un fronte interno nella vicenda Hong Kong, oltre a causare il rischio esterno di azioni unilaterali e definitive da parte cinese. Si correva il rischio che i cinesi cominciassero a fare ostruzionismo anche sulla questione dell'aeroporto con gravissime conseguenze per l'economia e per l'immagine britannica. Per il Foreign Office in ultima analisi era fondamentale mantenere in piedi i suoi interessi in Cina, non creare un ennesimo conflitto diplomatico. Se un buon rapporto con la Cina era ancora ricostruibile, la questione della democratizzazione di Hong Kong doveva a quel punto diventare secondaria. Il Foreign Office decise che era venuto il momento di riaprire il dialogo con la Cina, e che se questa avesse chiesto una testa sul piatto gli avrebbero offerto quella di Patten. Il 3 ottobre 1995 il ministro degli esteri cinese Qian Qichen volava a Londra per incontrarsi con il suo corrispettivo Malcom Rifkind. Le due parti annunciavano al mondo la ripresa del dialogo e addirittura la convergenza su diversi punti riguardanti il passaggio di sovranità. Nel corso della conferenza stampa Qian, rispondendo a un giornalista, chiarì una volta per tutte che la Cina avrebbe fatto piazza pulita del Legislative Council il giorno stesso in cui fosse rientrata in possesso di Hong Kong. La questione, concluse Qian, non era nemmeno stata messa nell'agenda dei temi in discussione a Londra. Rifkind ascoltò in silenzio guardando da un'altra parte49 .
8. La nascita del Preparatory Committee
A Hong Kong i primi a prendere atto delle nuove posizioni internazionali e a rendersi conto dei rischi che comportava l'innalzamento del tasso di politicizzazione conseguente alle elezioni di settembre furono i grossi tycoon della colonia. I primi giorni di ottobre venti fra i più importanti uomini d'affari della città si riunirono per dar vita alla The Better Hong Kong Foundation. L'intenzione dei fondatori (tra i quali Li Ka-shing, Sir Run Run Shaw, Lee Shau-kee)50 era quella di costituire un polo di riferimento per la comunità finanziaria di Hong Kong nel cercare la strada ideale per garantire una transizione morbida. Formalmente apolitica, questa organizzazione simpatizzava indirettamente con il DAB e al suo interno la maggior parte dei membri erano consiglieri di Pechino. In sostanza la nascita della Better Hong Kong Foundation segnava l'addio della finanza alla politica in prima persona (incarnata fino a quel momento nel Liberal Party) e l'inizio di una fase di "cura" degli interessi reali di Hong Kong: il mantenimento della stabilità economica dopo il 1997. Dunque l'anima affaristica dell'agone politico di Hong Kong si sganciava con estrema disinvoltura (e con la benedizione del Pcc) dal disastro del Legislative Council prima che fosse troppo tardi.
Poco tempo dopo la Cina rese note le sue decisioni finali per il dopo-1997 di Hong Kong. Il 28 dicembre 1995 a Pechino veniva costituito il Preparatory Committee. Compito principale dei 150 membri scelti dal Pcc era quello di supervisionare la fase di passaggio dei poteri e di procedere alla costituzione di un comitato elettorale di 400 cittadini di Hong Kong ai quali affidare l'elezione del futuro capo dell'esecutivo e della Legislatura Provvisoria. Formalmente i cinesi applicavano alla lettera la Legge Fondamentale per quel che sanciva in materia elettorale (ovvero la nomina del capo dell'esecutivo attraverso consultazioni con un gruppo di esponenti altamente rappresentativi della comunità), ma in sostanza questo secondo incarico era la risposta alle richieste di elezione diretta del capo esecutivo avanzata da Martin Lee all'indomani del risultato elettorale.
La composizione del Preparatory Committee rivelava molto della natura di questo organo e delle sue future intenzioni politiche: 56 membri provenivano direttamente dalle fila del Preparatory Working Committee, gli altri 94 erano tutti di Hong Kong. La maggior parte della componente locale era composta dai grandi tycoon. Vi si trovava praticamente la Better Hong Kong Foundation al completo, da Li Ka-shing a Robert Kuok51 , da Lee Shau-kee a Sir Run Run Shaw. Per loro il guado con la Cina era ormai ampiamente traversato. La rappresentanza politica del comitato pretendeva di contare esponenti di tutti i partiti e le correnti di Hong Kong. Solo Martin Lee e Emily Lau non avevano trovato un posto nel comitato. «Il chiaro messaggio è che la Cina non si fida del popolo di Hong Kong, e questo certo non aiuta una transizione morbida», fu l'amaro commento di Martin Lee52 . Unico rappresentante ammesso nel Preparatory Committee di quello che era il fronte democratico fu Frederick Fung dell'ADPL (Association for Democracy and People's Livelihood). In questa scelta di Pechino veniva applicata alla lettera la tecnica bellica di Mao Zedong: attirare nel proprio campo la maggior parte delle forze amiche quindi identificare un nemico principale, isolarlo, distruggerlo.
L'amministrazione Patten accolse con ben celata irritazione la notizia della costituzione di questo comitato. Il Foreign Office aveva detto a Patten di non volere più assistere a crescite di tensione tra i due paesi a causa di Hong Kong, e questi non poté far altro che manifestare la piena disponibilità del suo ufficio a collaborare con questa nuova istituzione. Il governatore sperava anche che con un'apertura al dialogo con il Preparatory Committee avrebbe forse potuto convincere la Cina a recedere dall'intenzione di cancellare il Legislative Council. In borsa l'indice Hang Seng rispondeva positivamente al nuovo andamento della situazione.
9. Le mani della Cina su Hong Kong
Il 24 marzo 1996, dopo una seduta plenaria di due giorni presieduta da Lu Ping, il Preparatory Committee approvava la risoluzione finale per la creazione di una Legislatura Provvisoria da instaurare al posto del Legislative Council il 1° luglio 1997. La risoluzione passava con l'unico voto contrario di Frederick Fung dell'ADPL.
La Cina colse questa occasione per dare subito a Hong Kong un assaggio del suo concetto di "voto democratico", togliendo a Fung ogni incarico nel comitato, rimuovendolo dal gruppo dei 400 destinati a scegliere il futuro capo del governo ed escludendolo da qualsiasi futuro ruolo nella Legislatura Provvisoria. La sua unica colpa, ammisero gli altri membri del comitato, era stata quella di aver tentato di difendere le sorti del Legislative Council in seno alla seduta. I cinesi lo avevano invitato a suo tempo nel Preparatory Committee promettendogli proprio una sede adeguata anche alla discussione aperta sul futuro assetto istituzionale della colonia. La strategia di Mao segnava un altro punto: individuare il nemico, isolarlo, distruggerlo. Molti membri del comitato si erano espressi, nel corso del dibattito, a favore del mantenimento del Legislative Council, ma al momento del voto Frederick Fung era stato lasciato solo. Votare a favore della risoluzione finale forse non basterà comunque a coloro che in fase dibattimentale tentarono anche solo una difesa d'ufficio del Legislative Council. Voci deliberatamente rilasciate dall'agenzia Nuova Cina, dopo il voto del Preparatory Committee, facevano sapere dell'esistenza di una lista di uomini politici presenti nel comitato che sarebbero stati esclusi dalla Legislatura Provvisoria perché troppo "democratizzati". «Lo avevamo avvertito [...]. Comunque aveva il diritto di votare contro», così commentava Lu Ping alla stampa l'espulsione di Frederick Fung53 . Allen Lee, leader del Liberal Party ed ex rappresentante politico degli interessi economici di Hong Kong, usava toni sarcastici per far capire come incidenti come quello fossero assolutamente secondari: «Forse aveva paura di essere criticato per aver compiuto un'inversione a U. Che c'è di male in un'inversione a U?» 54 . II dado era tratto. Il mondo ora poteva capire la direzione che la Cina aveva deciso di imboccare con il suo ingresso a Hong Kong. Lo rivelava la massiccia presenza di tycoon nel Preparatory Committee e nel gruppo dei 400 grandi elettori; lo diceva l'espulsione di Frederick Fung. La Cina a Hong Kong avrebbe sostituito il suo "centralismo democratico" con una sorta di "economismo democratico", un potere apolitico, strettamente verticistico e affidato alle competenze economiche. Questo era il massimo grado di apertura che la Rpc era disposta a concedere a Hong Kong, e questo era stato il suo scopo sin dal principio. Questo sistema avrebbe permesso a Pechino di mettere alla prova formule di governo come quella della neo-confuciana Singapore e di capire una loro eventuale applicabilità al resto della Cina. Da questa Hong Kong poteva partire un ragionamento sulla rappresentatività del potere nella Cina del dopo-Deng.
«È un giorno nero per la democrazia di Hong Kong», commentava tristemente Chris Patten. «Scimmiottare meccanicamente il modello democratico occidentale non si accorda alle condizioni attuali di Hong Kong, né accontenta le esigenze di tutti gli strati sociali», gli rispondeva il ministro degli esteri cinese Qian Qichen55 .
La sessione del Preparatory Committee fissò anche i compiti principali che la Legislatura Provvisoria avrebbe dovuto affrontare al momento del suo insediamento: esame e approvazione della legge finanziaria e del bilancio, nomina del Giudice Supremo della Corte d'Appello e di quello della Corte Suprema, fissare la data per nuove elezioni e stabilire i nuovi criteri elettorali.
Adesso toccava al comitato dei 400 fare il suo dovere e dare a Hong Kong il futuro capo dell'esecutivo.
Già nell'estate del 1996 una rosa di nomi cominciava a circolare nelle stanze di Zhongnanhai. La lista dei presunti candidati rifletteva in qualche modo anche gli schieramenti del potere nella Rpc così come si fronteggiavano in quel momento a Pechino, essendo ogni nome accompagnato dall'elenco degli sponsor politici di cui ogni candidato poteva vantare l'appoggio. All'inizio dell'autunno le candidature ufficiali si riducevano sostanzialmente a quattro: Tung Chee-hwa, Lo Tak-shing, Peter Woo e Ti Liang Yang. I primi tre erano tutti grossi uomini d'affari di Hong Kong, solo il quarto veniva dall'amministrazione giudiziaria e rappresentava in qualche modo la candidatura dell'amministrazione civile a continuare nel proprio lavoro. Due soli candidati erano però quelli destinati a contendersi realmente la poltrona di Chief Executive: Lo Tak-shing e Tung Chee-hwa. Dietro la campagna di Lo Tak-shing si distingueva abbastanza chiaramente la volontà politica di Li Peng, che però verso l'inizio di novembre fu costretto ad allontanare la sua attenzione dalla questione di Hong Kong per dedicarsi attivamente ai problemi politici interni. A Lo come sponsor non rimaneva dunque che la simpatia e il sostegno di un altro tycoon, Lee Shau-kee. I cinesi di Hong Kong poi non facevano mistero di detestare profondamente Lo. La sua campagna elettorale lanciata direttamente dalle colonne del China Daily non contribuiva certo a fare di lui un cristallino difensore degli interessi di Hong Kong nel trattare con i nuovi padroni di casa. Le sue accuse di malgoverno all'amministrazione britannica gli valsero anche le antipatie della maggior parte dei funzionari pubblici, molti dei quali godevano delle simpatie di Pechino.
Dietro Tung Chee-hwa si muoveva il potente tycoon Li Kashing con i suoi agganci nel continente e nel partito. Tung voleva essere visto dall'opinione pubblica come un cinese di Hong Kong56 , non come bocca prestata alle parole di Pechino. Prometteva che se fosse stato eletto capo dell'esecutivo si sarebbe posto alla guida di un gabinetto i cui imperativi sarebbero stati autonomia e sviluppo. La sua campagna elettorale venne tutta condotta all'insegna dell'autonomia, della stabilità economica di Hong Kong e dell'adozione di modelli politici come quelli di Singapore. Il nome di Tung non era molto conosciuto a Hong Kong fuori della cerchia degli uomini d'affari, e questo fatto aiutò molto la formazione della sua figura politica: un tecnico sconosciuto ai più (ovvero che non si è mai immischiato in politica e che non è mai stato sconvolto in scandali), un manager di provata capacità, un cittadino di Hong Kong, un uomo non inviso nemmeno all'amministrazione britannica (Patten lo conosceva da anni e lo chiamava amichevolmente C. H.) che, grazie all'appoggio di Li Ka-shing, poteva costruire quel ponte fra gli interessi di Hong Kong e quelli cinesi che nessuno fino a quel momento era riuscito a mettere in piedi.
Fuori della cernita ufficiale un altro nome che i cinesi corteggiarono per qualche tempo fu quello di Anson Chan, il Segretario generale dell'amministrazione civile di Hong Kong. La Chan era un politico molto apprezzato da Pechino, un ottimo tecnico che aveva avuto l'intelligenza di lavorare fedelmente per il gabinetto Patten senza abbracciarne fanaticamente le tesi. La candidatura di Anson Chan avrebbe permesso ai cinesi di rimettere in piedi la teorie del "treno diretto" che avrebbe evitato qualsiasi rischio di vuoto di potere nella fase di passaggio. Purtroppo il Preparatory Committee nel corso dell'autunno pretese che tutti quei funzionari che avessero desiderato continuare a servire sotto la futura amministrazione prestassero giuramento di fedeltà immediatamente, mentre erano ancora sotto sovranità britannica. Era una mossa puramente strategica, volta a indebolire ancora di più la posizione di Chris Patten, ma Anson Chan e molti altri scelsero di rimanere fedeli agli impegni presi sotto il governo inglese e non giurarono. Di lì a poco la questione si sgonfiò: i cinesi avevano troppo bisogno di una profonda conoscitrice della amministrazione di Hong Kong come Anson Chan per bruciarla su una questione secondaria.
Venne detto a lei e a tutti gli altri funzionari che comunque il futuro capo dell'esecutivo non si sarebbe privato della loro preziosa collaborazione. Una candidatura ufficiale era però a quel punto impensabile.
I tempi stringevano, il comitato elettorale aveva promesso un nome entro la fine dell'anno. Quando Tung venne ricevuto a Pechino e fotografato mentre stringeva la mano al segretario del Pcc Jiang Zemin, la popolazione di Hong Kong seppe che la scelta era stata fatta. Il 1° dicembre 1996 Tung Chee-hwa veniva eletto primo Chief Executive di Hong Kong dopo il suo ritorno sotto la sovranità cinese.
Tung inaugurava il suo mandato con un discorso ufficiale nel quale ringraziò tutti i cittadini di Hong Kong e promise che il suo governo avrebbe tenuto conto di tutti i progressi compiuti fin lì dall'amministrazione britannica. Sostenne che avrebbe dimostrato anche ai più dubbiosi di essere soprattutto fedele agli interessi di Hong Kong e che per questi si sarebbe sempre battuto. Affermò che a molti degli attuali funzionari dell'amministrazione sarebbe stata confermata la fiducia e invitò gli esponenti di tutti i partiti a fare richiesta per entrare a far parte della Legislatura Provvisoria in via di formazione. La transizione sarebbe stata, promise Tung, la più morbida possibile. Nel corso del suo intervento Tung Chee-hwa portò più volte a sostegno delle sue tesi politiche l'esempio di Lee Kuanyew, il padre della patria di Singapore, come modello da seguire. Nel fiume di parole del suo discorso una frase si staccò nettamente dal resto provocando sicuramente più di un brivido nella schiena di Martin Lee e degli altri democratici. Fu quando con voce solenne affermò di ritenere assai più utile una sana disciplina piuttosto che una incerta democrazia. Dietro il palco da cui Tung parlava si stagliava una immensa quinta rossa con al centro le cinque stelle della bandiera della Repubblica Popolare Cinese.
Il giorno stesso della sua nomina le azioni della sua società (la Tung Chee-hwa Shipping Co.) ebbero un aumento di valore del 7%, mentre l'indice generale di borsa segnava un andamento negativo57 .
L"`economismo democratico" si era messo in cammino.
10. Conclusione: Hong Kong oggi
Tung dunque era partito come l'uomo di Hong Kong che doveva conquistare la fiducia della Rpc per poter fare al meglio gli interessi dell'isola. Lo stesso Martin Lee aveva accolto la sua nomina affermando «Diamogli il beneficio del dubbio»58 . La metà dei consiglieri del Legislative Council in carica aveva rapidamente fatto richiesta per entrare nella nuova Legislatura Provvisoria che avrebbe tenuto le sue riunioni ogni sabato a Shenzhen fino al 30 giugno. I riferimenti alla disciplina del discorso di investitura sembrava fossero solo un pegno formale pagato a Pechino.
Il 25 gennaio 1997 la Legislatura Provvisoria ha tenuto la sua prima riunione a Shenzhen. Presidente di questo parlamento "ombra" è stata eletta Rita Fan, ex-consigliere di Patten ora portavoce del nuovo ordine. Nella stessa occasione è stata comunicata la composizione del gabinetto di Tung Chee-hwa. Nel gruppo di 11 elementi che lo compongono hanno trovato posto solo due membri provenienti dal gabinetto Patten. Questo è quanto rimane del "treno diretto". La maggior parte degli altri vanta affiliazioni dirette con il Pcc, come Chung Shui-ming che è un ex funzionario dell'agenzia Nuova Cina o come Leung Chun Ying che è uno dei legislatori che ha contribuito alla stesura della Legge Fondamentale. La volontà di Pechino ha trovato dunque modo di esprimersi direttamente nel cuore del processo decisionale di Hong Kong.
Qualche giorno dopo Tung comunicava alla stampa la sua appassionata adesione a un piano varato direttamente da Pechino secondo il quale sarebbe stato opportuno emendare tutte le 25 leggi coloniali sulle libertà individuali e di stampa introducendo limiti a entrambe, e abolire la Carta dei Diritti di Hong Kong per restaurare la legislazione esistente prima di Patten. La legge coloniale prevedeva che le libertà di stampa, di parola, di associazione, venissero limitate in quei casi in cui si potesse scorgere una minaccia per la sicurezza dello stato o un attacco rivolto alla famiglia reale. La proposta di emendamento portata avanti da Tung prevedeva la semplice sostituzione della parola "famiglia reale" con quella di "dirigenti della Repubblica Popolare Cinese".
Nel breve volgere di due mesi dunque, a molti cittadini di Hong Kong, ma anche a sempre più uomini d'affari stranieri, Tung ha cominciato ad apparire fin troppo appassionato nel venire incontro alle richieste del governo di Pechino. L’uomo di Hong Kong cominciava a indossare in troppe occasioni la divisa blu del Grande Timoniere. Lo stesso Allen Lee, il capo del Liberai Party in passato tanto derisorio con chi si faceva difensore della democrazia, si è opposto apertamente a questa proposta chiedendo a Tung Chee-hwa di fare marcia indietro su tutto il fronte59 .
La notizia delle proposte cinesi ha fatto molto scalpore nella colonia. Patten ha subito detto che considerava priva di legittimità e di credibilità qualsiasi risoluzione adottata dalla Legislatura Provvisoria60 , suggerendo apertamente ai partiti democratici del Legislative Council di appellarsi alle corti internazionali e di imbrigliare il nuovo governo in una serie infinita di cause legali per violazione dei diritti sanciti sia dalla Dichiarazione Congiunta che dalla Legge Fondamentale. Tung Chee-hwa, l'uomo della difesa degli interessi di Hong Kong, in quell'occasione non ha saputo difendere l'operato del suo governo "ombra" in maniera migliore che volando a Pechino per chiedere istruzioni sul da farsi, mentre uno dei suoi bracci destri, l'avvocato Elsie Leung, chiedeva ufficialmente all'Assemblea Nazionale di Pechino di varare una dichiarazione che sancisse in maniera definitiva la legittimità della Legislatura Provvisoria.
Il 19 febbraio a Pechino è morto Deng Xiaoping. La scomparsa del Piccolo Timoniere ha improvvisamente aperto tutta una serie di interrogativi a livello interno e internazionale sui rischi di un vuoto o di una crisi di potere in una Repubblica Popolare retta fino a oggi da una tregua armata garantita solo dal fatto che Deng fosse ancora in vita a fare da simbolo dell'unità del partito e del paese. Cosa succederà in Cina? E soprattutto: chi comanderà? Sono tutte domande che stanno assillando i governi di molti paesi. Una risposta definitiva giungerà probabilmente con il prossimo congresso del Pcc in programma per ottobre, ma per il momento l'attimo essenziale per poter studiare il comportamento di una Cina in mezzo al guado sarà proprio il 30 giugno a Hong Kong.
Preoccupati dall'improvviso rischio di un vuoto di potere nella Rpc e dai recenti massicci acquisti cinesi di armi dalla Russia, gli Stati Uniti stanno lanciando una serie di "messaggi" ai futuri governanti della Rpc.
Vogliamo che la Cina sappia che la comunità mondiale li sta osservando. Non penso che vogliano distruggere i vantaggi che Hong Kong può offrire, ma saranno in grado di gestire la situazione? [...] O magari alcuni argomenti sollevati dai media (Taiwan o il Tibet per esempio) scaturiranno tali reazioni a Pechino che a qualcuno verrà in mente di andarci pesante con Hong Kong? [...] Sulla Cina nutriamo (impressioni) più negative di un anno fa. Innanzitutto per l'ampio deficit commerciale e l'incapacità a mantenere alcune promesse (commerciali). In secondo luogo siamo preoccupati per Hong Kong e, in parte, per la questione dei loro ammodernamenti militari...61
Gli americani non hanno fatto mai mistero delle loro intenzioni di osservare la Cina a Hong Kong per capire cosa farà a Taiwan. Lo stesso US-Hong Kong Policy Act del 1992 lo dichiarava apertamente.
Per rassicurare gli americani sulle loro buone intenzioni, sulla stabilità del potere all'interno della Cina e, soprattutto, per non rischiare un'internazionalizzazione della questione Hong Kong che farebbe gioco solo a Patten e a Martin Lee62 , i cinesi hanno deciso alla fine di marzo di spedire Tung Chee-hwa in un viaggio di presentazione negli Stati Uniti.
Poco prima di partire, verso i primi di marzo, Tung Chee-hwa ha concesso la sua prima intervista a una televisione occidentale: la CNN.
In procinto di compiere un viaggio volto a tranquillizzare il mondo sulle intenzioni cinesi riguardo le libertà di Hong Kong, Tung esponeva all'intervistatore la sua visione delle questioni che Hong Kong deve affrontare indicando come fondamentali solo quelle economiche. Alla domanda del giornalista se il fattore economico fosse più importante delle libertà politiche Tung ha risposto:
Sì. Perché se legge attentamente i sondaggi, capirà che sono questi gli argomenti reali, che contano. [...] Come manterremo vibrante l'economia di Hong Kong? [... ] Come manterremo la nostra competitività? E quindi come assicureremo un futuro ai nostri figli e ai nostri nipoti? Queste sono le vere, reali preoccupazioni, e io non distoglierò la mia attenzione da queste questioni davvero importanti. [...] lo voglio vedere una Hong Kong che sia stabile, prospera, capace di compassione e democratica63 .
Questo dunque è il segnale forte che Pechino in questo momento vuole che arrivi al mondo. Lasciateci lavorare e anche a Hong Kong, come già a Singapore, l’“economismo democratico" darà i suoi frutti. La città sarà un ricco ponte per la Cina aperto a tutti. Non disturbateci con questioni come le libertà politiche o individuali. Queste sono cose secondarie e, soprattutto, sono "affari interni" della Cina sui quali nessun paese ha diritto di interferire.
Sarà questa la filosofia di cui farà un manifesto politico il nuovo gruppo dirigente cinese destinato a nascere dalle ceneri di Deng Xiaoping?
MONDO CINESE N. 94, GENNAIO-APRILE
1997
Note
1 Cfr. Jonathan D. Spence, The Search for Modern
China, W. W. Norton & Co., New York-Londra 1990, p. 159.
2 Cfr. Henri Cordier, Histoire Générale de la Chine e des ses relations avec les pays
étrangers, Paul Geuthner, Parigi 1920, vol. IV, p. 206.
3 Cfr. William H. Overholt, Il risveglio della
Cina, Il Saggiatore, Milano 1994, p. 217.
4 Era sempre un contratto d'affitto siglato dalla dinastia Qing. Tutti i trattati che la Cina aveva siglato con paesi stranieri durante il XIX secolo vennero denunciati dal governo della Repubblica Popolare Cinese come "iniqui". Si trattava di un fatto in gran parte formale, visto che la maggior parte delle concessioni e dei benefici di extraterritorialità di cui godevano gli occidentali erano stati restituiti tempo prima. Ma nel caso dei New Territories, l'appellarsi all'iniquità di quel contratto era certamente un'arma funzionale che la Cina scelse per calcolo politico di non usare.
5 Cfr. Michel Bonnin, "Hong Kong: d'une colonisation à l'autre", in
La Chine au XX siècle, de 1949 à aujourd'hui, vol. II, Fayard, Parigi 1990, p. 317-318. Il principale firmatario da parte cinese era Xu Jiatun, il diplomatico che alla fine del suo mandato a Hong Kong preferì fuggire negli Stati Uniti che tornare in quella Cina buona e accogliente di cui aveva parlato per anni con tono suadente alla popolazione di Hong Kong.
6 Cfr. Giuliano Bertuccioli, "L’accordo sino-britannico sulla questione di Hong Kong", pubblicato su questa rivista nel numero del giugno 1985, n. 2, p. 71.
7 William H. Overholt parla di forti somiglianze fra il "colonialismo consultivo" operante a Hong Kong e il "centralismo democratico", chiave di volta del socialismo reale cinese. Cfr. William H. Overholt,
Op. cit., pp. 218-220.
8 La maggior parte della stampa e delle televisioni occidentali portarono avanti diverse campagne di informazione volte a dimostrare che la maggior parte delle società di Hong Kong stava chiudendo tutti gli affari per trasferirsi in altro luogo prima del 1997. Ciò era sostanzialmente falso. Nel periodo immediatamente successivo alla firma della Dichiarazione Congiunta il livello di benessere di Hong Kong era superiore a quello dell'Inghilterra.
9 Come abbiamo già detto ci troviamo di fronte a una società che si appoggia fortemente alle competenze economiche. La pratica della libertà come manifestazione delle capacità politiche dell'individuo era un concetto abbastanza estraneo alla cultura di Hong Kong.
10 Cfr. "First step to democracy", in South China Morning Post del 27 settembre 1985.
11 In realtà questo era già il secondo Green Paper in materia di riforme istituzionali. II primo venne pubblicato dagli inglesi nello stesso 1984 con Il titolo "The Future Development of Representative Governement in Hong Kong". Il testo palesava sufficientemente quali erano le reali intenzioni britanniche nella fase di gestione di Hong Kong prima del 1997.
12 Cfr, Marie-Claire Bergère, La Repubblica Popolare Cinese (1949-1989), Il Mulino, Bologna 1994, p. 367.
13 Se da un lato la Legge Fondamentale confermava i timori, era però pur vero che per venire incontro alle posizioni inglesi la Legge prevedeva anche una progressiva democratizzazione del sistema di Hong Kong. In un accordo segreto siglato fra Cina e Inghilterra, Pechino avvallava de facto l'elezione diretta di 18 membri del Consiglio Legislativo. E non solo. Si stabiliva infatti che già dal 1995 i seggi del Consiglio Legislativo sottoposti a elezione diretta sarebbero passati da 18 a 20, contro i 30 rappresentanti eletti dai soli appartenenti alle cosiddette "categorie funzionali" (avvocati, manager e consulenti contabili) e i dieci sottoposti a elezione indiretta tramite collegio elettorale (di fatto eletti dai Consigli Distrettuali e Municipali). Da qui in poi, progressivamente, la quota eletta a suffragio universale sarebbe aumentata fino a costituire la totalità degli eletti nel Consiglio. Cfr. "Secret deal on pace of reform", in
South China Moming Post del 21 marzo 1990.
14 Commento di Leung Chun-ying, uno degli uomini di Hong Kong che parteciparono alla stesura della Legge Fondamentale, rilasciato alla rivista
The Economist il 7 febbraio del 1997.
15 Cfr. William H. Overholt, Op. cit., p. 240. Emily Lau è stata la sola esponente politica cinese ad aver apertamente ripudiato la Dichiarazione Congiunta del 1984.
16 I rimanenti 42 seggi erano così suddivisi: 21 seggi alle competenze "funzionali", 18 seggi su nomina diretta, 3 seggi a funzionari del governo. Cfr.
South China Morning Post del 16 settembre 1991.
17 Il Congresso americano prese abbastanza seriamente la vittoria di Martin Lee, perché lo accolse entusiasticamente e lo ascoltò con molta attenzione. La stesura di alcune leggi americane, come la US-Hong Kong Policy Act del 1992 in cui gli Usa si fanno garanti dell'autonomia di Hong Kong, devono la loro origine proprio al viaggio di Martin Lee in America. Gli specialisti asiatici americani avevano costruito un teorema quanto mai diretto e semplice: osservare la Cina a Hong Kong per capire cosa farà a Taiwan (la Cina fino a oggi ha sempre offerto anche a Taiwan le prerogative del sistema
yiguo liangzhi nel caso accettasse una ricongiunzione pacifica con il continente). Con l'accoglienza ufficiale data alla visita di Martin Lee, Washington faceva sapere alla Cina che la 7a flotta del Pacifico era sempre lì, pronta a intervenire. Sulla questione di Hong Kong anche gli Stati Uniti erano chiamati a decidere su gran parte della loro politica estera orientale e (elemento non secondario) su una buona parte dei loro stanziamenti militari.
18 Anche Emily Lau era riuscita a ottenere un seggio nel Consiglio.
19 A questa operazione di propaganda presso la comunità imprenditoriale presero parte anche altri personaggi di spicco della Rpc con forti legami con i cinesi di Hong Kong e d'oltremare. Fra questi Rong Yiren, il capitalista rosso (oggi vicepresidente della Repubblica) il cui figlio, Larry Yung, è a capo della CITIC Pacific, la società finanziaria della Cina popolare con fortissimi interessi e agganci a Hong Kong.
20 Cfr. William H. Overholt, Op. cit., p. 234.
21 Cfr. "Electoral proposal irresponsible, says China", in
South China Moming Post dell'8 ottobre 1992.
22 Patten voleva fare dell'Executive Council un gabinetto del governatore. Per farlo doveva renderlo il più apolitico possibile, chiamando al suo interno solo capaci amministratori e uomini d'affari.
23 Ibidem, p. 249.
24 South China Moming Post, del 6 novembre 1992.
25 Cfr. Art. cit., in South China Morning Post dell'8 ottobre 1992.
26 Ibidem.
27 Cfr. "Nervous Hang Seng dives on “Bloody Monday"', in
South China Morning Post del 16 marzo 1993, e la pagina economica di Ming Bao Daily del 16 e 17 marzo 1993.
28 Cfr. "Britain poised to go it alone as talks stall", in
South China Morning Post del 28 novembre 1993.
29 Cfr. "Pékin met en garde contre la poursuite du chantier du nouvel aéroport de Hong Kong",
Agence France Presse del 13 gennaio 1994.
30 Cfr. "China cracks down on segret smugglers", Reuter del 12 aprile 1994.
31 Cfr. "La cour supréme de Pékin rejette l'appel d'un journaliste chinois condamné pour espionnage",
Agence France Presse dei 15 aprile 1994.
32 Cfr. "China's top HK official rejects governor's invite",
Reuter del 27 aprile.
33 Ibidem.
34 Cfr. "Pékin met en garde Hong Kong contre le risques de ‘chaos"',
Agence France Presse del 6 maggio 1994.
35 Il Liberal Party più che un vero partito politico è un'organizzazione corporativa per la difesa degli interessi economici di un preciso gruppo di uomini d'affari. Dietro il Liberal Party si nasconde infatti la figura di Li Ka-shing, uno dei tycoons più importanti di Hong Kong nonché consigliere per Hong Kong della Repubblica Popolare Cinese.
36 Sigla dietro la quale si raggruppavano gli United Democrats di Martin Lee e il gruppo Meeting Point.
37 Cfr. "Hong Kong's new democrats" in The
Economist, vol. 332, n. 7882, 24 settembre 1994, p. 65.
38 Cfr. "China said grooming cadres to run post-1997 HK",
Reuter del 30 settembre 1994.
39 Cfr. "China and Britain sign HK airport pact”, Reuter
del 4 novembre 1994.
40 Cfr. Stato del mondo 1995, il Saggiatore, Milano 1995, p. 522.
41 Cfr. "China's magic tool for Hong Kong", in The Economist, vol. 334, n. 7906, 18 marzo 1995, p. 61.
42 Cfr. "Hong Kong general election" in The
Economist, vol. 336, n. 7932, 16 settembre 1995, p. 72.
43 Alla vigilia delle elezioni ne aveva nominati già 450. Molti di questi erano anche membri onorari della Conferenza Consultiva dei Partiti a Pechino.
44 Cfr. Xinhua She del 17 marzo 1995.
45 Gli aventi diritto erano 2 milioni e 600 mila, ma nelle liste elettorali comparivano ancora molti nomi di cittadini che avevano abbandonato la colonia da tempo. Quindi l'affluenza può essere calcolata con buona approssimazione al 40-45%.
46 Cfr. "Democrats dominate Legco", in South China Morning Post del 19 settembre 1995.
47 Cfr. "Mother and father do not know best", in The
Economist, vol. 336, n. 7933, 23 settembre 1995, p. 62.
48 Già in ottobre uno dei più alti funzionari del DAB, Chan Yuen-han, aveva avuto alcuni incontri con esponenti del Democratic Party in merito all'ipotesi di condurre insieme una battaglia per il mantenimento di quello stesso Legislative Council anche dopo il 1997.
49 Cfr. "Sweetness and light", in The Economist,
vol. 337, n. 7935, 7 ottobre 1995, p. 80.
50 La fortuna personale di Li Ka-shing è valutata intorno ai 5.8 miliardi di dollari. La sua società, la Cheung Kong, è impegnata nel settore delle telecomunicazioni, in quello portuale, in quello energetico e nella speculazione immobiliare. Sir Run Run Shaw è uno dei grandi magnati televisivi di Hong Kong. Lee Shau-kee guida la Henderson Land, una delle principali società immobiliari nel settore alberghiero di Hong Kong. Lee Shau-kee dispone di un capitale personale di 6.5 miliardi di dollari.
51 Proprietario delle catene alberghiere Shangri-La (presenti in gran numero nel territorio della Rpc) e Kerry e proprietario del
South China Morning Post. Robert Kuok è il principale investitore in Cina fra tutti i cinesi d'oltremare.
52 Cfr. "Turning back the clock in 1997", in The
Economist, vol. 338, n. 7947, 6 gennaio 1996, p. 47.
53 Cfr. “Final verdict on LegCo", in South China Morning Post del 25 marzo 1996.
54 Ibidem.
55 Ibidem.
56 Corteggiando così anche tutta quella fascia di popolazione che ancora oggi si definisce "Hong Kong chinese".
57 Cfr. "Tung steps up", in The Economist, vol. 341, n. 7996, 14 dicembre 1996, p. 61.
58 Ibidem.
59 Cfr. "This man Tung", in The Economist, vol. 342, n. 8002, 1 febbraio 1997, p. 67.
60 In diverse occasioni Patten ha rilasciato alla stampa interviste derisorie su questo argomento. Alla CNN Patten ha definito la Legislatura Provvisoria «questa "cosa" piuttosto imbarazzante che si dà appuntamenti occasionali di sabato a Shenzhen». Cfr. “A conversation with Chris Patten", intervista rilasciata alla CNN e poi trascritta e pubblicata in
Asia Week del 28 marzo 1997.
61 Dichiarazione rilasciata dal deputato repubblicano Doug Bereuter alla rivista Asia Week. Cfr. "The world is watching, Washington sets down its handover concerns", in
Asia Week del 28 marzo 1997.
62 Martin Lee proprio in quelle settimane stava compiendo un viaggio nelle principali capitali europee per sensibilizzare il mondo sui rischi internazionali della decisione cinese di stracciare la Carta dei Diritti di Hong Kong.
63 Intervista rilasciata da Tung Chee-hwa alla CNN trascritta e pubblicata da Asia Week. Cfr. "A conversation with Tung Chee-hwa", in
Asia Week del 13 marzo 1997.
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