"Un amico italiano che ha sempre guardato con simpatia e
fiducia alla grande Cina": in questi termini si presentava Vittorino
Colombo agli studenti dell’Università di Beijing a metà dicembre 1984. E
proseguiva: "il mio saluto vuole essere un invito alla comune ricerca, al
confronto reciproco, al dialogo".
L’atteggiamento ch’egli assumeva nei numerosi incontri
con esponenti cinesi d’ogni rango era sintetizzato davvero in questi tre
elementi: ricerca, confronto, dialogo, che risultavano da ogni sua parola, da
ogni suo gesto, da ogni suo sguardo.
Perciò acquistò in Cina una simpatia costante e una fiducia
spontanea che si ripercossero in ogni occasione sulle delegazioni che a suo nome
si presentarono in quel Paese.
Benché lontano ed immenso, per di più inquadrato in formule
ideologiche ben diverse dalle nostre, quel Paese è sempre stato osservato così
dal Presidente dell’Istituto Italo-Cinese da lui fondato.
Così fin da quando volse all’Oriente la sua attenzione
sulla scia dell’uomo della speranza dell’ottimismo ed anche "l’uomo
delle battaglie difficili per non dire delle battaglie impossibili":
Giorgio La Pira.
Gli fu vero maestro dicendo: "la terza guerra mondiale
è impossibile". Con tale certezza non dubitò mai di dover essere accolto,
nonostante tutto, ai vertici della politica cinese.
Ben presto intuì che colà coesistevano "una forma di
culture (politica/società) secondo la tradizione cinese (confuciana o non
confuciana); una forma di cultura (politica/società) secondo moduli marxisti,
la cui integrazione è tuttora la ragione e il luogo del travaglio interno alla
nazione cinese".
Volle sempre rispettare questo grandioso travaglio in tutti i
suoi contatti. Egli lo riassumeva nel principio marxista da tutti accettabile:
la ricerca della verità nei fatti. D’altronde persiste la vocazione
confuciana alla trattativa in funzione della pace.
Quando alla fine dell’ottobre 1971, la Repubblica Popolare
Cinese venne accolta all’ONU, ricordo l’entusiasmo travolgente che riempiva
la città di Canton. Si trattava di esultanza per il riconoscimento mondiale del
ruolo della Cina nel mondo, gioia partecipata da tutta la nazione.
Vi fui coinvolto io pure che ero colà in veste di
osservatore per incarico di Vittorino che attendeva per il mese successivo l’invito
personale di Zhou Enlai.
Ed era esultanza perché, dopo anni di incomprensione, si
apriva una sospirata era di confronto e di dialogo con quell’Occidente dal
quale erano venute memorie, ricordi, richiami indimenticabili, che molti mi
volevano indicare e spiegare.
D’ambo le sponde si cercava dunque l’incontro. Fu la
notte del 21 novembre successivo, che Vittorino ebbe per tre ore la prova e la
certezza che in Cina, base popolare e vertice politico davvero volevano la pace
e la collaborazione. La volevano dignitosamente, ma veramente.
Al congedo Zhou Enlai gli disse: "Dobbiamo lavorare per
la pace. Sono un ottimista. Ad ogni modo oggi è successa una cosa che era
impensabile nel passato: un marxista cinese ha parlato per ore e ore con un
credente cattolico straniero, in un’atmosfera molto amichevole".
Il giorno dopo la cattedrale Nantung fu riaperta al culto, la
tomba di Matteo Ricci fu restaurata. Ben presto quattrocento chiese ridotte a
magazzino furono riaperte e riconsegnate.
Sono trascorsi quasi venticinque anni. Le relazioni
diplomatiche, commerciali, culturali ripresero con vigore. Il cristianesimo
trovò modo di rifiorire in mezzo ad una popolazione ansiosa di conoscere quell’immenso
patrimonio di valori umani, che costituisce il solido contrappeso alle
tendenze universali dell’affarismo mercantile.
L’equilibrio fra valori e mercato è stato sempre più
oggetto di ricerca seria e consapevole in ambedue le società, atlantica e
cinese, con un crescendo che sembra ormai inarrestabile.
Vittorino ne registrò le tappe importanti, le commentò, vi
intervenne con il suo stile sempre attento, appassionato, premuroso e ne rese
conto raccogliendo ogni intervento ad ogni informazione nel libro
"Incontri con la Cina". Uscì pochi mesi prima del compimento
definitivo della sua spettacolare missione storica, vissuta nella concretezza e
nell’umiltà, che sempre contrassegnarono il suo lavoro.
Piacque il suo lavoro non solo perché fu costruttivo ed
efficace, ma altresì perché svolto con quel senso di misura, di coraggio e di
riservatezza che illumina ed invita a rinnovarlo.
Egli percorse una via non meno ardua di tanti altri precursori occidentali
che penetrarono nel Celeste Impero, con risultati memorabili. Ci sia di
esempio. II cammino che ci dovrà portare ad una feconda collaborazione
culturale sino-italica è ancora lungo.
MONDO CINESE N. 092, MAGGIO-AGOSTO
1996