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Commemorazioni

Commemorazione del Presidente del Senato Sen. Nicola Mancino

Signor Presidente della Repubblica,
Autorità,
Signore e Signori,

nel rendere l'estremo saluto a Vittorino Colombo, Milano e gli amici di tutta una vita testimoniano, con la loro partecipazione, l'affetto portato ad un uomo che tanto contribuì all'affermazione della politica e all'avanzamento degli ideali del cattolicesimo sociale.
In questo momento di intensa commozione e di profondo dolore, è forte la tentazione di limitarsi ad osservare esclusivamente quel silenzio e quella meditazione, che il carattere schivo e riservato di Vittorino gli avrebbero fatto molto gradire. Egli, tuttavia, era un uomo pubblico che fin dagli anni giovanili aveva compiuto una scelta. Una scelta di campo, interpretata coerentemente come servizio allo Stato, alle istituzioni e alla crescita del mondo del lavoro.
Perciò, di fronte alla sua memoria ci inchiniamo, mentre sentimenti e ricordi percorrono in profondità l'animo di ciascuno di noi.

Tra questi ricordi, per chi vi parla - suo non immediato successore - gli ultimi coincidono con la presenza ed il prezioso apporto di Vittorino Colombo all'attività del Parlamento per numerose legislature, fino all'assunzione della Presidenza del Senato nel maggio 1983.

Tutta la sua vita si è svolta all'insegna dell'impegno intelligente ed appassionato perché le istituzioni civili ed economiche del nostro Paese fossero davvero patrimonio di tutti.

Vittorino Colombo, fin da anni lontani, ha dedicato molte sue energie alla faticosa battaglia per l'elevazione e l'affrancamento dei lavoratori subalterni, per renderli effettivamente partecipi delle conquiste dell'Italia repubblicana. La sua tendenza all'approfondimento non è mai stata fine a se stessa: non lo ha mai appassionato studiare in maniera asettica i problemi di una realtà lontana, o perfezionare soltanto la conoscenza di un mondo del quale egli stesso era stato parte, di cui aveva constatato in prima persona i disagi e le aspirazioni. Ha cercato sempre, invece, strumenti e concrete occasioni politiche per riaffermare quella dignità personale e collettiva che è sempre stata, per lui, una fondamentale questione democratica. Era in gioco la stessa possibilità di rendere accessibili e condivise - cioè, forti del consenso di ampi strati della popolazione e del mondo del lavoro - le strutture fondamentali del potere. Per Vittorino Colombo l'impegno civile ha rappresentato sempre la logica prosecuzione della vita, lo sviluppo di idee assorbite e maturate: nella battaglia sindacale e politica non sempre, tuttavia, ha potuto registrare la logica attuazione dei suoi convincimenti, avere la prova di una irrinunciabile coerenza degli accadimenti con il suo patrimonio ideale.

A quattordici anni era operaio: da quella esperienza giovanile sviluppò l'impulso ad operare avendo come obiettivo una società rinnovata, ispirata a valori alti, da costruire con la partecipazione di uomini di diversa tradizione culturale e politica.

In questo senso, la sua parabola umana e culturale si riassume in una costante ricerca di dialogo e di confronto con gli altri: persone, forze politiche, forze sociali. Una ricerca, la sua, costantemente caratterizzata dalla profonda convinzione che una società civile ha radici e fondamenta solide solo se è ancorata a principi validi e condivisi.

Vittorino sentì che la classe lavoratrice, e chi ne voleva tutelare le esigenze, dovevano in primo luogo dotarsi degli strumenti di analisi che solo la cultura può offrire. La cultura, per lui è stata sempre insostituibile strumento di crescita sia materiale che spirituale. Affrontando mille sacrifici e difficoltà, proseguì negli studi e si laureò in Economia e Commercio presso l'Università Cattolica. Non furono, per lui, solo anni di apprendimento e di letture. Erano i tempi della lotta contro la dittatura, in cui veniva affermandosi il proposito del riscatto di un'Italia finalmente restituita alla sua dignità, alla libertà, alla democrazia. Colombo divenne componente del corpo volontario di liberazione e rappresentante della Democrazia Cristiana nel Comitato di Liberazione Nazionale della fabbrica Montecatini-Bovisa. Erano, appunto, tempi in cui le scelte personali e politiche diventavano scelte di civiltà: ad esse egli sarebbe rimasto fedele nel corso del tormentato dopoguerra.

Allievo di Dossetti, di La Pira, di Grandi, di Clerici e di Fanfani, che fu suo professore di economia politica proprio all'Università Cattolica di Milano, Vittorino Colombo si formò politicamente nelle scuole delle Acli e della Cisl milanese. Nei diversi incarichi portò la schiettezza del suo modo di essere, la semplicità del suo stile di vita, la passione per i problemi che interessavano da vicino la gente, in particolare le fasce più deboli del mondo del lavoro. Fu membro della commissione interna del consiglio provinciale della Federchimici-Cisl e del consiglio generale della Cisl di Milano. Già vice presidente di quelle di Milano, ricoprì l'incarico di componente del consiglio provinciale e nazionale delle Acli, fu presidente dell'Unione Nazionale Consorzi cooperative edilizie Acli e direttore della rivista "Città e Società" e condirettore della rivista "Partecipare", periodico di quell'associazione.

La militanza di Vittorino nella Democrazia Cristiana e nelle forze del cattolicesimo sociale fu spesso problematica. Dalla fondazione delle Acli, contestualmente alla scelta di partecipazione dei lavoratori cristiani al sindacato unitario, alla crisi dell'unità sindacale e alla costituzione della Cisl, alla progressiva evoluzione delle diverse organizzazioni operaie, il rapporto con il partito della Democrazia Cristiana fu costantemente vissuto in termini di dialettica e confronto permanente, fino a configurare per un periodo non breve lo schema di una sorta di rapporto bipolare, all'interno della stessa area cattolica.

Nuovi fermenti innovatori avrebbero presto fatto irruzione e scosso la società italiana. Il periodo successivo al Concilio Vaticano II vide svilupparsi quelle che Vittorino definì " le tre grandi rivoluzioni": quella giovanile, quella operaia e quella femminile.

Comprese, per tempo, che fenomeni di trasformazione culturale e sociale di tale portata avrebbero avuto notevoli ripercussioni sul mondo della politica e sulla natura dei partiti. Si delineava un diverso modo di rapportarsi tra i cittadini e le istituzioni, soprattutto un differente rapporto tra ispirazione religiosa e laicità della società civile.

Vittorino Colombo avvertì in maniera pressante, quasi angosciosa, l'interrogativo al quale avrebbe tentato di dare risposta: quale tipo di impegno per i cattolici italiani? Egli sentiva che le forze politiche tradizionali sarebbero state costrette a profonde modificazioni di strutture, di analisi, di prospettive strategiche. In particolare, il partito rappresentativo della gran parte dei cattolici avrebbe dovuto o affrontare una profonda fase di rigenerazione, oppure accettare il ruolo di opposizione, con compiti non più primari per il governo del paese. Un interrogativo che egli riassunse così: "Democrazia Cristiana. Rinnovamento o alternativa?"

"Tocca a noi dare una risposta - scrisse -, a noi cattolici impegnati in politica, anche alla luce del Concilio Vaticano II".

Quell'interrogativo, però, restò per lui, come per tanti altri tra noi, sospeso e senza risposta.

Pubblicò diversi saggi sui problemi della riforma dello Stato, del decentramento e dell'autonomia degli enti locali, della programmazione economica e dell'assetto territoriale. Temi che conservano attualità dinanzi ai più recenti sviluppi politici e culturali.

Ebbe dalla direzione centrale della DC il suo primo incarico di partito quale dirigente dell'ufficio per i problemi del lavoro e dell'economia.

La sua particolare sensibilità per le tematiche economico-sociali e il suo forte impegno a favore dei lavoratori lo portarono ad assumere vari e prestigiosi incarichi politici.

Aveva trentatré anni quando venne eletto per la prima volta deputato nella circoscrizione Milano-Pavia. Aldo Moro lo volle nel suo terzo governo come sottosegretario alle Finanze. Era l'avvio di importanti esperienze ministeriali che lo avrebbe ro visto titolare del dicastero del Commercio con l'Estero, della Sanità, della Marina mercantile, dei Trasporti e delle Poste e Telecomunicazioni. Nel frattempo i suoi elettori lo avevano sempre confermato alla Camera dei Deputati.

Dopo una lunga e faticosa opera alla guida di ministeri importanti, nel 1980 ritornò alla vita di partito come vicesegretario della Dc: un incarico che ricoprì fino al maggio del 1982.

II suo impegno politico e la sua attenzione non si limitavano alla realtà interna del nostro Paese. Fu osservatore costante e partecipe di quello che si muoveva sullo scenario internazionale: lo affascinava, in particolare, lo sterminato popolo cinese, la sua forte volontà di riscatto, la sua capacità di imporsi sulla ribalta mondiale.

Da Presidente dell'Istituto Italo Cinese per gli scambi economici e culturali, fu tessitore paziente di contatti e relazioni, per il cui rafforzamento la profonda diversità dei sistemi politici dei due Paesi non rappresentò mai, per lui, un ostacolo.

I suoi rapporti con i dirigenti cinesi non gli impedirono, però, giammai di porre, sul tappeto, anche con schiettezza, le fondamentali questioni dei diritti politici e delle libertà religiose.

Nel 1976, aveva lasciato Montecitorio per trasferirsi al Senato della Repubblica in rappresentanza del collegio di Monza dapprima, di Cantù e di Sondrio in seguito.

E fu proprio a Palazzo Madama, in circostanze drammatiche, che Vittorino ricevette il riconoscimento più alto della sua attività di politico e di parlamentare.

Il presidente del Senato, Tommaso Morlino, morì mentre si apprestava a compiere l'estremo tentativo di salvare la vita della VIII legislatura.

Per la sua successione si delineava un passaggio difficile, alla vigilia delle elezioni politiche, in un clima che spingeva più alle contrapposizioni radicali che non alle convergenze. Invece, sul nome di Vittorino Colombo prevalse lo spirito dell'intesa. Fu raggiunto un accordo politico che impegnava la maggioranza e parte dell'opposizione. E l'egoismo di parte si fermò sulla soglia del rispetto delle istituzioni.

Colombo fu eletto alla guida dell'Assemblea di Palazzo Madama al primo scrutinio, con una votazione quasi plebiscitaria: 245 suffragi su 272 votanti. Ricordo nitidamente il discorso pronunciato all'atto dell'insediamento. Un discorso che toccò il tema della crisi delle istituzioni e della partecipazione, tema a lui particolarmente caro: "L'Italia - disse - tra i Paesi a democrazia parlamentare, ha sempre avuto il primato nella partecipazione dei cittadini alle scelte elettorali fondamentali. È stata questa massiccia partecipazione uno dei punti di forza della nostra democrazia; tale resta ancora oggi come reale espressione di maturità e consapevolezza del nostro popolo, sempre sensibile ai problemi del bene comune. Tocca a noi e alle forze politiche in prima istanza creare le condizioni perché questa fiducia delle istituzioni permanga anche oggi, anzi si consolidi, facendo capire ai cittadini che lo Stato... è la vera loro casa; di cui si debbono sentire i costruttori, i custodi, i proprietari, e senza che nessuno si senta emarginato o semplicemente estraneo e quindi portato a percorrere la strada e la scelta dell'indifferenza, la via cioè della non scelta; la democrazia vive solo di democrazia, di partecipazione, cioè del contributo di tutti. Questo è l'insegnamento che dobbiamo in particolare alle nuove generazioni".

Rimase alla Presidenza del Senato per un breve periodo, fino al 12 luglio 1983, data in cui venne eletto Presidente Francesco Cossiga. Tuttavia, egli sentì il peso, la responsabilità e la dignità delle delicate funzioni che gli erano state conferite in un momento di grave travaglio per la vita democratica.

Si adoperò per assicurare la continuità istituzionale e per preservare intatto il prestigio della Camera Alta.

Con il garbo, la discrezione e la riservatezza che gli erano propri tenne la carica cui era stato eletto con largo consenso. E, nel momento in cui fu designato il suo successore, ritornò nei ranghi dei senatori senza mai venir meno alle sue inconfondibili caratteristiche personali.

Rimase a Palazzo Madama fino all'aprile del 1992. Amò sempre il Senato, nel quale vedeva una Camera destinata sempre più a consolidare la tradizione democratica italiana.

Diede sempre coerente testimonianza di un suo profondo convincimento: le asprezze delle contrapposizioni politiche e della dialettica parlamentare non devono mai incidere sui rapporti personali. Soprattutto per lui, nessuna intesa politica o disciplina di partito poteva limitare la sfera di autonomia di ogni singolo parlamentare nel compito insopprimibile di migliorare il contenuto delle leggi e di concorrere a risolvere i problemi del Paese.

Continuò così a prestare la sua intelligenza e la sua esperienza alla Commissione Finanze e Tesoro e all'Assemblea, intervenendo con puntualità sulle materie che aveva meglio approfondito durante la sua vita pubblica. Anche dopo aver lasciato il seggio senatoriale, tornava spesso a Palazzo Madama. Non spezzò mai il legame che lo univa alle istituzioni. Ed era prodigo di consigli verso senatori ed amici.

Raccomandava, quasi ossessivamente, di non confondere i problemi del governo con quelli del funzionamento delle istituzioni: queste ultime devono essere tenute al riparo delle conseguenze della pur legittima conflittualità tra forze politiche.

Vittorino Colombo mancherà a tutti noi. Ai senatori, con i quali non si era interrotto il lungo colloquio. Agli amici che lo amarono. A coloro che ebbero modo di conoscerlo. Alla sua terra di origine, alla sua Milano.

La sua testimonianza è una di quelle che ci permettono di riaffermare il profondo valore della militanza politica come difesa della libertà, della giustizia, del progresso.

La mia speranza è che ricordarlo - al di là delle singole e sempre personali scelte di campo - possa servire ad incoraggiare molti a non cedere alla tentazione di allontanarsi dalla partecipazione alla vita civile: la vita delle organizzazioni sociali e del lavoro, del volontariato, delle istituzioni dello Stato.

In questa suprema milizia, egli credette fino alla fine.

Per tutta la sua esistenza egli non si limitò ad indicare la strada sulla quale una democrazia può rinsaldarsi e prosperare, ma diede anche l'esempio della passione e della dedizione indispensabili per realizzare quel risultato.

Oggi noi onoriamo la sua memoria ricordando l'attualità del suo insegnamento.

Omelia del Cardinale Carlo Maria Martini

Le letture bibliche che sono state proclamate, tratte dal Libro di Giobbe (19,1.23-27), dalla prima Lettera di Paolo ai Corinti (15,20-28) e dal Vangelo secondo Luca (12,35-40), ci hanno ricordato che la morte è certamente un distacco doloroso, un evento che dal punto di vista umano è straziante, suscita pianto e lacrime, ma insieme è anche porta che si apre all'incontro con Dio.

"Dopo che questa mia pelle sarà distrutta - dice Giobbe - io vedrò Dio. lo lo vedrò, io stesso e i miei occhi lo contempleranno non da straniero". L'apostolo Paolo afferma che, in Cristo, tutti riceveranno la vita: "Se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo". Da parte sua Gesù, nella pagina di Luca, introduce l'immagine della porta che si apre quale icona del doloroso evento della morte: "Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa".

Noi oggi celebriamola morte, il passaggio da questa vita a quella senza fine, di un cristiano che ha sempre voluto essere coerente al Vangelo, alle promesse del Signore, allo spirito delle beatitudini: Vittorino Colombo.

Orfano di padre, da bambino viene educato alla fede dalla mamma e dalla parrocchia. Ben presto entra nell'Azione Cattolica e, poco più che adolescente, è chiamato ad impegnarsi nel Centro Diocesano come propagandista. A vent'anni, perito industriale, è assunto nel settembre 1945 dalla Montecatini e racconta il suo primo giorno di lavoro con le seguenti parole:

"La presenza marxista, oltre che ideologica era reale, fisica. Non c'era spazio per nessun altro modo di pensare... mitra, pistole facevano bella mostra nelle sedi degli organismi aziendali..; il pasto a mezzogiorno, una lunga tavolata, ed ero il nuovo arrivato. Allora nella mia famiglia si usava fare il segno della croce. Che fare? prevalse in mela coerenza e l'incoscienza dei vent'anni; mi tolsi il berretto e feci il segno della croce. La tavola ammutolì e ci fu silenzio per alcuni secondi che per me sembrarono un'eternità. Alla fine, uno dei capi mi disse: «Noi non la pensiamo comete, però tu sei coerente e questo, a me, ha fatto piacere»".

Mentre lavora Vittorino riesce a studiare di sera e prenderà la laurea in Economia e Commercio all'Università Cattolica. Negli anni Cinquanta decide di operare nelle ACLI milanesi di Luigi Clerici e diventa il primo responsabile di "Gioventù aclista".

Il suo impegno politico risale al 1958, quando viene eletto deputato, ma tralascio le tappe di questa lunga stagione di impegno perchè sono state già ripercorse.

A me preme piuttosto sottolineare che fu cristiano sempre e ovunque: era un uomo semplice, entusiasta, positivo - potremmo dire come un fanciullo -, intelligente, attivo, colto, rigoroso con se stesso; era un autentico cristiano di preghiera e di azione, fiducioso nel prossimo - talora forse troppo -, modesto, riservato, sereno, disponibile in ogni ora e per ogni persona.

Vorrei inoltre ricordarlo come uomo dallo spirito aperto e dialogante. Nel 1967 si reca per la prima volta in Cina, ed è l'inizio di un felice e fecondo rapporto non soltanto politico, economico e commerciale, ma pure di segnali positivi tra la Cina e la Santa Sede. Mi piace, in proposito, citare un episodio significativo della sua figura: nel novembre 1971 - era allora Presidente dell'Istituto Italo-Cinese per gli scambi economici e culturali - viene riaperta per lui la chiesa cattolica di Pechino, chiusa insieme a tutte le altre chiese dopo la grande rivoluzione culturale. Ad ogni suo viaggio aveva puntualmente chiesto, sia a Pechino sia a Shangai, di poter visitare una chiesa e si era sentito rispondere sempre che le chiese erano in restauro. Improvvisamente gli era giunta una risposta affermativa e ciò mostra che il governo cinese doveva stimarlo e apprezzarlo molto.

L'8 dicembre 1981 ritornerà in quella chiesa, ormai aperta al culto, e racconta: "Mi fermai dopo la Messa a pregare per gli incontri che mi attendevano, in particolare con Deng Xiaoping: parlare dei problemi religiosi? dei rapporti con il Vaticano? quali però le reazioni, quali le conseguenze per l'intero popolo cinese? Un miliardo di persone, un quarto dell'intera umanità!".

In realtà, quell'incontro diede i suoi frutti, anche se Vittorino Colombo lo ha sempre avvolto di riserbo e di discrezione. Ebbe molto a cuore la situazione della Chiesa in Cina e di questo parlammo a lungo nell'ultimo colloquio che ho avuto con lui in clinica.

Ebbe a cuore il Regno di Dio e il suo espandersi; pregò e soffrì nel desiderio che - come dice Paolo nella prima Lettera ai Corinti -"Dio sia tutto in tutti". Il tema del Regno di Cristo lo affascinava ed egli ricorda con gioia che proprio nella festa di Cristo Re riuscì ad ascoltare una Messa in paesi dove la Chiesa era perseguitata: in Cina a Pechino e ad Harbin.

Tutte le fatiche umane, le costruzioni umane, i progetti e gli sforzi umani sono "polvere"; tutte le nostre parole sono vane, ma per chi crede che la nostra patria è nei cieli, per chi ha servito con fedeltà il Signore e il Vangelo, per chi ha accolto il primato dell'amore di Dio nella propria vita, per Vittorino Colombo, tutto gli sarà restituito e gli sarà donato molto di più.

 

Leonardo Longoni Sindaco di Albiate

Autorità
Signore e Signori

Cari Concittadini, dopo il funerale di Stato in S. Ambrogio a Milano con rito religioso officiato dal card. Carlo Maria Martini, il nostro illustre concittadino Sen. Colombo torna in Brianza, nella Sua Albiate dove nasce e dove la sua salma riposerà in pace nella tomba di famiglia.

Chi vuol trovare le radici del Sen. Colombo deve partire da qui. Il padre, Aquilino, fu fondatore nel primo dopo guerra, della Cooperativa Edificatrice e del Partito Popolare di Luigi Sturzo: nel 1920, con le ultime elezioni libere prima del fascismo, divenne Sindaco del comune.

Sul libro della Storia di Albiate fu scritto:

"Benchè venuto dal popolo (Aquilino era lavoratore dipendente) e con un'opera durata solo 3 anni, lascia non meno dei suoi illustri predecessori, un'orma profonda del Suo passaggio".

Io non so se l'esperienza paterna influì (e in quale misura) sulla scelta di vita di Vittorino.

Certo è che già in età giovanile, con la Sua militanza nell'Azione Cattolica e nel Sindacato dove lavorava; con la Sua aggregazione durante la Resistenza al Corpo Volontari della Libertà; con il suo impegno nel "sociale" egli sembrava mostrare piuttosto chiaramente il senso che avrebbe segnato la Sua esistenza.

L'incontro con la politica ufficiale avvenne più tardi, verso la fine degli anni 50 con il Suo impegno nella CISL e nelle ACLI soprattutto, il grande Movimento dei Cristiani Lavoratori che lo trascina con un grande voto popolare ad entrare, nel 1958 De­putato a Montecitorio.

In quel momento la strada per Vittorino Colombo è aperta. Inizia quindi il Suo lungo cammino a servizio del Paese prima e dello Stato poi.

Egli raggiunge traguardi sempre più importanti sia sul piano nazionale cha su quello internazionale.

Ricopre molti incarichi prestigiosi nel Parlamento, nel Go­verno dove é più volte Ministro in diversi Dicasteri e nelle Istituzioni sino alla Presidenza del Senato, seconda carica dello Stato.

Potrei continuare ma ora mi preme soprattutto sottolineare che con questa solenne anche se breve manifestazione noi sia­mo qui per rendere omaggio alla figura di un uomo onesto, esemplare, un cristiano autentico, un fedele servitore dello Stato.

Vittorino Colombo è uomo schivo, rifugge dagli applausi e non si abbandona all'ambizione per i prestigiosi incarichi ricevuti.

La Sua vita è una testimonianza di valori e di vita sempli­ce. Animato da una profonda fede religiosa ha dedicato tutta la vita per gli "altri".

Si è scritto, a ragione, che con la morte di Vittorino Colom­bo scompare una delle figure più significative del cattolicesimo­sociale e democratico. Infatti la Sua vita è stata interamente spesa in difesa degli ultimi e il suo intenso, crescente e costante impegno è stato sempre finalizzato alla costruzione di una so­cietà più giusta e solidale.

La morte di una persona conosciuta, di un amico carissimo ci turba, ci costringe a riflettere, a ricordare.

La scomparsa di Vittorino Colombo deve rappresentare un momento importante di meditazione per tutti noi, un nuovo importante stimolo per un impegno rinnovato a ritrovare le motivazioni morali della nostra azione ed una spinta a compie­re con grande responsabilità il nostro dovere.

Rendiamo l'ultimo estremo omaggio all'emerito Senatore. Ricordiamo la famiglia, i fratelli Tina e Mons. Pino, così durAmente colpita.

Addio carissimo Vittorino.

Tu ci lasci, ma continui ad essere vicino a noi con il Tuo esempio, i Tuoi insegnamenti, le Tue opere.

E tutto ciò ci deve spronare a camminare con impegno e coerenza lungo la strada che Tu ci hai indicato. Dobbiamo essere degni di quanto ci hai saputo donare.

Addio carissimo Vittorino.

Albiate, la sua Comunità e le Sue Associazioni, grati per quanto hai dato loro e per quanto di bene hai fatto ovunque, con impegno intelligente e appassionato, ti porgono l'ultimo affettuoso saluto unito all'impegno di continuare ad operare per cercare di riempire il grande vuoto che Tu ci lasci.

 

MONDO CINESE N. 092, MAGGIO-AGOSTO 1996

 

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