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RECENSIONI

Recensioni

FRANCO DEMARCHI E RICCARDO SCARTEZZINI (a cura di): AA.VV., Martino Martini, umanista e scienziato nella Cina del secolo XVII, Università degli studi, Trento 1995, pp. 386.

Tredici anni dopo il convegno internazionale, dedicato al missionario gesuita Martino Martini (1614-1661) e tenutosi a Trento, sua città natale, dal 9 all’11 ottobre 1981, un nuovo convegno, sempre dedicato al Martini, è stato tenuto a Pechino dal 5 al 7 aprile 1994. Promotori del primo furono la Provincia Autonoma di Trento e il Museo Tridentino di Scienze Naturali, del secondo l’Università di Trento e l’Accademia Cinese delle Scienze sociali, ma né l’uno né l’altro convegno sarebbero stati possibili senza l’attività instabile, l’entusiasmo e la "fede che smuove le montagne" del prof. Franco Demarchi dell’Università di Trento. Questi ha fatto della rivalutazione dell’opera di Martini, il grande gesuita che fece conoscere agli europei suoi contemporanei la storia e la geografia della Cina, una missione di vita. Grazie a lui, Martini è divenuto a Trento "l’emblema, antico, ma ancora vitale ed attuale, dell’esigenza sempre più avvertita di intensificare le relazioni scientifiche tra studiosi italiani e cinesi e, più in generale, di approfondire gli scambi culturali tra le due grandi aree di riferimento, quella europea e quella cinese". Demarchi è riuscito a mobilitare studiosi italiani e stranieri, anche della lontana Cina, a stimolarne le energie inducendoli a indirizzare le loro ricerche sull’opera del Martini; a trovare, compito questo ancor più difficile, i mezzi materiali senza i quali simili iniziative non avrebbero mai potuto essere realizzate. Frutto concreto dei suoi sforzi sono i volumi pubblicati al termine dei due convegni e nei quali sono state raccolte le relazioni presentate dai partecipanti: il primo volume, pubblicato nel 1983, fu curato da G. Melis, il secondo, apparso nel 1995, è stato curato da F. Demarchi e da R. Scartezzini.

Gli atti del secondo congresso vedono però la luce in due volumi: uno in inglese e cinese; l’altro, già pubblicato e di cui qui ci occupiamo, in italiano. Quest’ultimo volume è suddiviso in due parti, precedute da una prefazione a firma Demarchi e seguite da una postfazione a firma Lü Tongliu, il noto italianista cinese. I saggi pubblicati nella prima parte presentano "Il personaggio (cioè Martini) e la sua epoca", quelli della seconda ne presentano invece "l’opera". Intanto sono tredici relazioni nella prima parte e quindici nella seconda, dovute a quattordici studiosi italiani e a quindici stranieri, dei quali dodici cinesi. Nel complesso si tratta di relazioni di alto livello scientifico, che confermano da un lato la serietà delle iniziative prese per far conoscere l’opera di Martini, dall’altro l’interesse che questa suscita negli ambienti accademici e tra gli specialisti della storia delle relazioni tra Europa e Cina nei secoli XVII e XVIII.

Lo scrivente, che è stato anche lui travolto, direi contagiato dall’entusiasmo di Demarchi per il suo grande concittadino e che ha pertanto deciso di fare dello studio dell’opera del Martini e degli altri missionari italiani suoi contemporanei attivi in Cina l’oggetto delle sue ricerche per gli anni della sua terza età, ritiene che proprio in questa direzione dovrebbero rivolgersi le energie dei sinologi italiani. Non ricca di valide, ben organizzate e aggiornate biblioteche estremo-orientalistiche in grado di reggere il confronto con quelle di altri Paesi, l’Italia possiede però, sparso e sepolto nelle sue biblioteche e archivi, sia pubblici che privati, un ricchissimo patrimonio di libri e manoscritti risalenti ai secoli XVII e XVIII e relativi alla storia dei rapporti tra l’Europa e la Cina: patrimonio che da tempo avrebbe dovuto esser fatto oggetto di studi e che solo di recente viene portato a conoscenza sia del grosso pubblico che degli specialisti ad opera però soprattutto di studiosi di formazione occidentalistica e non sinologica. Sono stati soprattutto questi studiosi che si sono resi benemeriti sia organizzando congressi e convegni, sia pubblicando pazientemente, ma metodicamente, manoscritti e testi a stampa ormai introvabili. Lo scrivente desidera cogliere qui l’occasione per complimentarsi con essi, anche perché grazie soprattutto ai loro sforzi questo campo di studi, in cui noi italiani potremmo primeggiare, non viene lasciato completamente alle iniziative e alle ricerche degli studiosi stranieri.

Giuliano Bertuccioli

 

AAVV, Pagine dall’Oriente. Libri cinesi e giapponesi della Biblioteca Nazionale, Bardi editore, Roma 1996, pp. 141.

Questo è il catalogo della mostra organizzata nei locali della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma dal 13 marzo al 30 aprile 1996 dei fondi cinesi e giapponesi ivi conservati, mostra diretta non solo a presentare alcune delle opere più rare, di cui quei fondi sono ricchi, ma anche ad illustrare e a chiarire le vie attraverso le quali quei fondi si sono costituiti. Si tratta di un patrimonio librario quale non se ne trova in altre biblioteche italiane di oltre 1.500 titoli di opere cinesi per un totale di 13.000 volumi e di 2.500 titoli di opere giapponesi per un totale di 5.000 volumi, in buona parte formatosi per le opere cinesi nei secoli XVII e XVIII grazie ai gesuiti, che le conservavano nella biblioteca del Collegio Romano, per quelle giapponesi nel secolo scorso grazie a donazioni e acquisti.

Il catalogo è stato redatto dal gruppo di funzionarie della biblioteca, addette alla sezione dei libri antichi e rari, eccezionale per competenza, impegno e cortesia, delle quali ritengo doveroso ricordare i nomi: Marina Battaglini, che ha curato il coordinamento scientifico, Simonetta Buttò, Maria Giovanna Fasulo, Falk, Marcella Pisano e Giuliana Zagra. Ognuna di esse ha redatto una monografia ampiamente illustrata e doviziosamente documentata con note.

Il catalogo onora la Biblioteca e il suo direttore, Paolo Veneziani. Per la prima volta infatti dopo tanti, troppi anni, la biblioteca annovera tra il suo personale elementi preparati anche in campo orientalistico, capaci quindi di meglio custodire e valorizzare i tesori loro affidati. Nessun’altra biblioteca non solo romana, ma anche italiana, non solo pubblica, ma anche privata si trova nelle stesse condizioni. Come studioso frequentatore assiduo di biblioteche, portato a soffrire allorché libri rari, soprattutto i delicatissimi libri cinesi antichi, vengono maltrattati da mani inesperte, da custodi indifferenti, non posso che felicitarmi per il modo come nella Biblioteca Nazionale Centrale vengono custoditi, restaurati, maneggiati i libri rari cinesi e giapponesi e complimentarmi con chi ha saputo rendere possibile ciò.

Un compito notevole, per mole ed impegno, attende però ancora le gentili funzionarie: la catalogazione, secondo criteri moderni, non solo delle opere più antiche (attualmente in corso sotto la direzione della dr.ssa M. Battaglini che ha saputo assicurarsi la collaborazione anche di studiosi giapponesi), ma anche delle tante moderne, pervenute sia per donazione (ben 6.000 dalla Associazione Italia-Cina) sia per acquisto (una vasta collezione di cronache locali cinesi, l’unica esistente in Italia) e che in mancanza di catalogazione restano inaccessibili agli studiosi.

Si tratterà di un lavoro più impegnativo e meno appariscente della pubblicazione di un catalogo, meno atto ad attirare l’attenzione del grosso pubblico e a procurar fama, ma certamente più necessario e infinitamente più utile per gli studiosi.

Giuliano Bertuccioli

 

ASIATICA VENETIANA, Rivista del Dipartimento di Studi Indologici ed Estremo-Orientalí dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, 1, 1996, Libreria Editrice Cafoscarina, pp. 241.

Il Dipartimento di Studi Indologici ed Estremo-Orientali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, recentemente costituito, col dare inizio alla pubblicazione di questa rivista, intende celebrare, come scrive nelle brevi note introduttive la responsabile Adriana Boscaro, i trent’anni degli inizi a Venezia degli studi indiani, cinesi e giapponesi. Con giustificato orgoglio Adriana Boscaro può oramai parlare di "scuola veneziana", postasi come punto di riferimento per scambi e ricerca anche tra le istituzioni estere più prestigiose.

Si tratta di una rivista quasi completamente prodotta "in casa": dal progetto grafico e copertina, opera di Federico Greselin al desktop publishing cui a Greselin si è affiancato Franco A. Gatti, fino, naturalmente, ai pregevoli articoli che danno un quadro esauriente delle ricerche portate a termine o in stato di avanzamento nel Dipartimento stesso. Probabilmente la nascita di questa rivista andrà ad impoverire gli Annali di Ca’ Foscari, più volte recensiti su queste pagine, ma probabilmente la scelta del Dipartimento è andata nella direzione giusta. Gli scritti sull’Estremo Oriente, negli Annali di Ca’ Foscari, si disperdevano insieme ad altri scritti di argomenti svariati. Ora invece gli interessati li troveranno riuniti in un’unica pubblicazione.

Per quanto riguarda la Cina, la presenza è massiccia. Con la consueta perizia Magda Abbiati ("Azione e stato in cinese moderno", pp. 5-18) illustra le proprietà semantiche e i comportamenti sintattici dei verbi di azione e di stato nel cinese moderno. Pur nella necessaria aridità dell’esposizione, il lavoro è un’analisi utile per tutti gli studiosi di lingua ed anche per gli studenti. Marco Ceresa prosegue nelle sue ricerche sul tè in Cina, portandoci sempre più alle origini dell’uso di questa bevanda ("Diffusion of Tea-Drinking Habit in Pre-Tang and Early Tang Period", pp. 19-26), con abbondante ed accurato uso delle fonti. Seguono i testi di due autori stranieri sui rapporti letterari di scrittori recenti cinesi con Venezia: Raoul David Findesen ("Xu Zhimo Dreaming in Sawston (England) -on the Sources of a Venice Poem", pp. 27-42) e Mariàn Galik ("Ten Venetian Poems by Wang Duqing: Chinese Entry finto Literary Decadence", pp. 43-62). Tiziana Lippiello, giovane promessa della sinologia veneziana, esamina brevemente il pensiero politico di Dong Zhongshu, pensatore dell’epoca Han ("Dong Zhongshu e il sapere come arte di governo", pp. 63-70), fornendo un’accurata traduzione della biografia del pensatore, opera di Sima Qian, mentre Amina Malagò, che da tempo si occupa di tessuti nell’antica Cina, illustra le caratteristiche di questa produzione dagli Han ai Tang ("Breve nota sulla tessitura cinese dagli Han orientali alla fine dei Tang", pp. 71-84).
Ma non si dovrà pensare che gli interessi degli studiosi veneziani siano esclusivamente rivolti alla Cina antica. Anche la Cina contemporanea è ben presente nella rivista. Guido Samarani, che si sta sempre più rivelando osservatore acuto e studioso attento della realtà cinese, pubblica ("Riforme economiche e trasformazioni sociali nella Cina di Deng Xiaoping", pp. 161-170) il testo di una relazione presentata al Convegno su "La Cina dal socialismo al mercato" (Venezia, gennaio 1994), mentre Stefania Stafutti, che pur non facendo più parte dell’Università di Venezia, sempre da quella scuola proviene, illustra le sofferenze ed il dramma personale di un poeta cinese recentemente morto suicida ("Gu Cheng: la voce di un ‘poeta delle voci"‘, pp. 171-182). Non manca uno studio sulla letteratura mancese. Venezia, infatti, è l’unico luogo in Italia dove questi studi vengono coltivati. Giovanni Stary imposta il problema della necessità dello studio della letteratura autoctona di questo popolo e, pur nella modestia del titolo da lui dato al breve saggio ("Some remarks on Manchu Autochtonous Literature", pp. 183-192), apre alla comunità degli studiosi delle nuove linee di ricerca.
Per concludere, possiamo notare come la nuova rivista risulta lo specchio fedele dell’attività di un centro di ricerca e di insegnamento che si sta distinguendo sia in campo nazionale sia in campo internazionale.

Piero Corradini

 

Teatro cinese. Architetture, costumi, scenografie a cura di Rosanna Pilone, Sabina Ragaini,Yu Weije, Milano, Electa,103 pp.

Yu Weije, Tradizione e realtà del teatro cinese dalle origini ai giorni nostri, Premessa di Rosanna Pilone, Milano, International Cultural Exchange, 1995, 262 pp.

Due volumi sul teatro cinese recentemente apparsi vengono a colmare una lacuna nel quadro degli studi italiani sugli spettacoli in Cina. Nel primo c’è una bibliografia sommaria di opere occidentali, nel secondo una ricca elencazione di opere cinesi sul tema. Del primo volume si può dire soltanto che è bene illustrato, mentre nel secondo viene presentata una trattazione organica, dovuta ad un autore già noto per altre sue ricerche. È un peccato che, a lato di dati di un certo interesse, figurino errori grossolani ed affermazioni del tutto gratuite.
Rosanna Pilone ad esempio, nella premessa al secondo volume, scrive che avendo ricevuto un catalogo di una libreria inglese che offriva opere sulla Cina, deve constatare che "piccolo punto sulla mappa dei Paesi e dei continenti, con una lingua che non ha alcun peso a livello internazionale, l’Italia non ha gran rapporto con gli studi orientali e sinologici in particolare" (p. 3). Rosanna Pilone ha la fortuna di scrivere "in una lingua che non conta a livello internazionale", altrimenti gli stranieri riderebbero di una traduzione di una celebre frase dei Dialoghi di Confucio, così resa nell’introduzione al primo volume, che così recita: "Che il signore sia signore, il padre sia padre, il figlio figlio, il bifolco bifolco" (p. 19). Laddove, risum teneatis, la frase arcinota del XII capitolo dei Dialoghi dice: "il principe sia principe, il ministro ministro, il padre padre, il figlio figlio". Che un ministro si trasformi in bifolco è cosa risibile, che invita a non procedere oltre nella lettura.
Se la signora Pilone avesse maggior dimestichezza con opere sinologiche straniere vedrebbe spesso citate ricerche di sinologi italiani, anche se scritte in una lingua che all’estero molte persone colte sono in grado di leggere. Difendere, infine, l’orientalismo italiano o la sinologia del nostro Paese non merita una polemica con chi afferma che solo altrove "vi sia un background culturale inesistente in Italia" (p. 4). Viene da dubitare se, dopo aver letto in qualche libro che i Cinesi amavano fare autocritica, la suddetta signora non abbia voluto riferirsi solamente a se stessa.

Lionello Lanciotti

 

MONDO CINESE N. 091, MAGGIO-AGOSTO 1996

 

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