SOMMARIO: INTRODUZIONE. I. IL QUADRO GIURIDICO DELLA RIFORMA. 1. Il nuovo corso e la rinascita del diritto. 2. La riforma del diritto economico. La permanenza del sistema del "doppio binario". II. LA NUOVA DISCIPLINA DELLA MATERIA CONTRATTUALE. 1. Il quadro normativo ed i principi generali in materia contrattuale. 2. Il diritto dei contratti internazionali.
3. Il diritto dei contratti economici domestici. CONCLUSIONI.
INTRODUZIONE.
Le riforme economiche nella Cina del dopo-Mao sono state accompagnate da un febbrile lavoro di legiferazione che ha suscitato negli osservatori stranieri sorpresa per l'impegno e, in alcuni casi, l'audacia dimostrati dal nuovo gruppo dirigente cinese, ma anche perplessità per le non poche incertezze e la disorganicità del quadro normativo ed istituzionale che si veniva delineando.
D'altra parte, l'impresa della costruzione, praticamente ex novo, di un ordinamento adeguato alle esigenze della riforma, era di per sé un'operazione estremamente complessa, tenuto conto della contraddittoria esperienza giuridica della Cina popolare e, più in generale, del travagliato processo di modernizzazione del diritto cinese nel nostro secolo.
Comunque, fra contraddizioni e resistenze, con fasi alterne di accelerazioni e frenate (legate alle vicende politiche della riforma) e con risultati non sempre brillanti sul piano della chiarezza, il processo di ristrutturazione giuridica intrapreso alla fine degli anni settanta, è proseguito senza soluzioni di continuità, dando vita ad un complesso corpo normativo volto, in particolare, a disciplinare la materia dei rapporti economici, interni ed internazionali.
Di fronte a tale intensa produzione legislativa e di fronte alle richieste di maggiore sistematicità e comprensibilità del sistema provenienti dagli operatori esteri si rende doveroso, per gli studiosi del diritto cinese contemporaneo, procedere a continue risistemazioni della disciplina giuridica della materia economica. In particolare appare degna di analisi, non solo come oggetto di ricerca in sé, ma anche come chiave di lettura delle riforme in generale, la materia contrattuale. Il presente articolo si propone di analizzarla sotto la duplice angolazione "interna" ed "internazionale" al fine di verificare, fra l'altro, se ed in che misura si stiano spostando (o vadano addirittura scomparendo) i confini che separano il diritto economico interno (di vocazione socialista) e quello internazionale (operante entro il sistema di mercato).
I. IL QUADRO GIURIDICO DELLA RIFORMA
1. Il nuovo corso e la rinascita del diritto
"Per garantire la democrazia popolare bisogna rafforzare la legalità socialista, codificare la democrazia in un sistema di leggi e sotto forma giuridica [. . .] e questo sistema di leggi deve avere carattere di stabilità e continuità"1 . Con queste parole il documento finale del III Plenum dell'XI Congresso del Pcc decretava l'avvio di un "nuovo corso" anche giuridico, oltre che economico e politico, nella Cina post-maoista, chiudendo definitivamente l'epoca "buia" della Rivoluzione Culturale durante la quale l'estremismo ideologico ed i processi politici avevano occupato il terreno del diritto, sostituendo la legge ed i procedimenti giuridici formali. Il nuovo corso, che si apriva all'insegna dell'ambizioso programma di sviluppo delle quattro modernizzazioni
(sige xiandaihua), si indirizzava verso la ricostruzione di un ordinamento giuridico che regolarizzasse la vita sociale ed economica della Cina e le conferisse credibilità di fronte agli operatori economici stranieri chiamati ad investire capitali nel paese.
L'impresa che attendeva legislatore ed operatori giuridici non era di poco conto: bisognava non solo legiferare in pressoché tutte le materie, ma anche riaprire le facoltà di giurisprudenza e gli altri istituti di formazione professionale, rimettere in funzione gli uffici giudiziari e le procure popolari, ristabilire, addirittura, il Ministero di Giustizia, soppresso nel 1959.
Il lavoro di ristrutturazione giuridica iniziò immediatamente, con l'emanazione di alcune leggi nei settori che richiedevano un più urgente intervento, in particolare quello dell'amministrazione della giustizia. Sulla scorta di due leggi del luglio 1979, disciplinanti rispettivamente organizzazione e funzionamento delle Corti e delle Procure popolari si avviò la riorganizzazione dell'apparato giurisdizionale che richiese diversi anni per essere portata a termine. Oggi la piramide di Corti e Procure popolari, ricostituita sul modello centralizzato di derivazione sovietica già adottato negli anni cinquanta, si estende su quattro livelli amministrativi:
1) livello di distretto;
2) livello di prefettura e municipalità;
3) livello di provincia, regione autonoma e città poste sotto il diretto controllo del governo centrale;
4) livello centrale.
Speciali sezioni competenti a trattare la materia economica sono state istituite presso Corti e Procure di tutti i livelli.
A partire dai primi anni ottanta sono stati riaperti gli uffici notarili e gli uffici legali, anch'essi scomparsi dalla scena giuridica cinese alla fine degli anni cinquanta. Nel disciplinare le professioni legali si è riproposto, come per l'apparato giudiziario, il modello socialista, inquadrando l'avvocatura in organizzazioni collettive ed il notariato entro l'apparato statale.
Infine sono state ricostituite le strutture paragiudiziarie, destinate ad operare in materia civile (comitati popolari di conciliazione), economica interna (comitati arbitrali per i contratti economici) ed internazionale (commissioni arbitrali per l'economia e il commercio internazionale, commissione arbitrale per la navigazione marittima)2 .
La riorganizzazione, con l'adozione di un nuovo testo costituzionale nel 1982, di competenze ed attribuzioni degli organi legislativi e di governo, centrali e locali, ha poi condotto alla ridefinizione del sistema delle fonti di diritto. Oggi abbiamo una gerarchia di fonti formali che comprende:
1) la Costituzione (xianfa);
2) le leggi fondamentali (jiben falü) emanate dall'Assemblea nazionale del popolo;
3) le leggi ordinarie (falü) emanate dal Comitato Permanente dell'ANP e dalle Assemblee popolari locali e le interpretazioni
(shuoming) di legge fornite dalla Corte Suprema del popolo;
4) i regolamenti amministrativi (xinzheng fagui o tiaoli), le decisioni (jueding o
jueyi) e le ordinanze (mingling) del Consiglio degli Affari di Stato;
5) i regolamenti locali (difang fagui) delle Assemblee e dei Governi popolari locali3 .
Trovandosi nella necessità di dover regolamentare praticamente tutti i settori del diritto, e di doverlo fare in una situazione estremamente fluida, il legislatore cinese ha optato per l'adozione di una particolare tecnica di redazione delle leggi che potremmo definire, con locuzione quanto mai appropriata, delle "scatole cinesi", e che consiste nell'emanazione di leggi nazionali composte da prescrizioni di carattere generale le quali vengono poi riempite, a seconda dei casi, da regolamenti di applicazione nazionali o locali o da regolamenti speciali. Tuttavia questa soluzione, se è apprezzabile per il pragmatismo che la caratterizza, al contempo presta il fianco a critiche, in particolare per i sacrifici che essa comporta in termini di certezza del diritto. Difatti in molti casi risulta ardua la completa conoscibilità della disciplina giuridica dei vari istituti, anche perché non sempre i regolamenti di applicazione che specificano le prescrizioni generali delle leggi, sono assoggettati alle forme di pubblicità tipiche del mondo giuridico occidentale4 .
Un ulteriore limite alla conoscibilità e, soprattutto, alla prevedibilità dell'ordinamento giuridico cinese, è il basso livello di elaborazione giurisprudenziale. La giurisprudenza non viene annoverata fra le fonti di diritto. Ma la mancata inclusione tra le fonti non osterebbe, come accade negli ordinamenti euroromanisti, allo svolgimento di un suo ruolo fondamentale nella formazione del diritto. Invece sembra addirittura, dalla lettura del materiale giurisprudenziale, che ai precedenti delle corti inferiori non sia riconosciuto neppure quel valore persuasivo tipicamente attribuito al precedente negli ordinamenti di civil law. Solo una ristretta cerchia di precedenti acquista ufficialmente tale valore (potendo paradossalmente, nei silenzi della legge, acquisire la vincolatività) trattandosi di precedenti selezionati dalla Corte Suprema in qualità di casi esemplari e pubblicati sulla Gazzetta della corte stessa
(Zuigao Renmin Fayuan Gongbao). Vi sono, inoltre, i pareri (pifu) forniti dalla Corte suprema, su richiesta delle corti inferiori, in merito a casi particolarmente complessi, i quali hanno invece valore vincolante, almeno in merito al caso di specie.
Assieme alla permanenza di una certa impenetrabilità, per l'osservatore esterno, dell'ordinamento giuridico cinese, l'altra nota negativa da rilevarsi è la non ancora piena affermazione del principio di legalità. Nel quadro delle fonti formali del diritto infatti si inseriscono, con funzione normativa, altre fonti la cui natura è politica. Ciò è in parte dovuto al fatto che alcune materie non sono ancora state coperte da regolamentazione legislativa, ma non è da escludere che questo carattere del sistema di fonti dell'ordinamento cinese perduri anche una volta che l'opera di legiferazione abbia raggiunto un maggior grado di completezza. Numerosi sono i testi legislativi che impongono l'osservanza, oltre che delle leggi stesse, anche della politica statale, riassunta nei documenti provenienti dalle istanze di vertice del Partito Comunista5 .
2. La riforma del diritto economico. La permanenza del sistema del "doppio binario"
Per costruire l'impalcatura giuridica dell'economia "socialista di mercato" che i nuovi dirigenti si proponevano di creare fu predisposto un apparato istituzionale ad hoc. A livello centrale si istituirono: a) una sotto-commissione per il diritto economico entro la commissione legislativa del Comitato Permanente dell'ANP; b) un centro di ricerca per il diritto economico sotto la direzione del CAS e trentuno uffici, facenti capo al centro di ricerca, posti all'interno di ministeri e commissioni economici del CAS. A livello locale si crearono analoghi uffici nei governi di province, regioni autonome e città poste direttamente sotto il governo centrale. Tra questi organismi di nuova istituzione preposti alla ricerca ed all'elaborazione dei progetti normativi, assume posizione preminente il centro di ricerca per il diritto economico, creato nel 1981, al cui vaglio vengono sottoposti tutti i progetti legislativi in materia economica che poi vengono trasmessi alla sotto-commissione in sede legislativa per l'esame finale6 .
Fin dalla loro istituzione questi organismi hanno lavorato a ritmo febbrile sfornando una gran quantità di prodotti normativi: più di cinquecento sono le leggi afferenti alla materia economica che sono state promulgate negli anni ottanta e nei primi anni novanta.
Per la definizione del "nuovo" regime giuridico-economico che si veniva strutturando, il legislatore ha fatto ricorso ad una soluzione "vecchia", ancora una volta mutuata dal modello socialista, ossia la bipartizione diritto economico interno-diritto economico internazionale7 .
La riforma giuridica in campo economico partiva dunque nel segno della prudenza, puntandosi ad evitare contaminazioni fra la proprietà e l'iniziativa industriale e commerciale straniera ed il sistema economico nazionale, attraverso l'attribuzione di un connotato di specialità al diritto degli investimenti esteri e del commercio internazionale rispetto al diritto interno. A questo scopo mirava anche la creazione di "isole" di capitalismo sperimentale entro cui concentrare la presenza dei soggetti economici stranieri (Zone economiche speciali e Zone di sviluppo economico e tecnologico).
La distinzione fra diritto economico interno ed internazionale è, nella dottrina giuridica socialista, un corollario della differenziazione fondamentale diritto civile-diritto dell'economia, alla quale continua ad attenersi la dottrina cinese. Il diritto civile, si ripete sui manuali giuridici, ha per oggetto i rapporti "orizzontali" fra privati, mentre il diritto dell'economia ricomprende i rapporti economici fra organi e/o imprese statali e collettive e fra questi ed i privati8 .
Il primo sarebbe dunque il diritto privato in senso stretto, il secondo si caratterizzerebbe per le contaminazioni con il diritto pubblico.
Il diritto degli scambi con l'estero è riguardato come una branca del diritto economico la cui specialità è rappresentata dalla presenza nel rapporto economico di un elemento estraneo, dal punto di vista soggettivo od oggettivo, all'ordinamento cinese. Questo elemento di estraneità, che implica il confronto con altri ordinamenti e, in ultima istanza, con la
Merchant Law internazionale, comporta l'introduzione di correttivi all'impostazione dirigistica e burocratica propria del diritto dell'economia, sì da giustificare una differenziazione rispetto ad esso9 .
Tuttavia, nonostante la dottrina continui ad attenersi a queste classificazioni teoriche, eventi più o meno recenti, sul piano economico e giuridico, hanno introdotto alcune novità che potrebbero condurre ad un superamento degli schemi socialisti tradizionali.
Sul piano giuridico un primo elemento di "rottura" si è avuto con l'emanazione dei Principi Generali di Diritto Civile (PGDC), i quali pongono una serie di principi validi per l'intera materia contrattuale, attraverso una disciplina generale del negozio giuridico e delle obbligazioni. Inoltre inizia finalmente a prendere forma una legislazione societaria che potrebbe condurre all'uniformazione del sistema commercialistico cinese. Vi sono poi le riforme economiche intraprese quindici anni or sono e tuttora in atto le quali, seppur con un andamento ondivago e non sempre chiaro, vanno progressivamente restringendo l'ambito dell'economia pianificata. Non v'è dubbio che dall'esito finale di queste riforme dipende il superamento della demarcazione giuridica fra rapporti economici e rapporti civilistici.
II.. LA NUOVA DISCIPLINA DELLA MATERIA CONTRATTUALE
1. Il quadro normativo ed i principi generali in materia contrattuale
Il contratto è stato a ragione definito il "vero protagonista" dell'attività normativa degli anni ottanta10 e, possiamo aggiungere, dei primi anni novanta. I due settori della contrattualistica "interna" ed "esterna" sono infatti stati oggetto di numerosi interventi legislativi sollecitati dalla crescita dell'economia e dalla sempre maggiore complessità dei rapporti economici.
Ne sono risultati due regimi costituiti ciascuno da un gruppo composito di normative facenti capo ad una legge generale integrata da altre leggi e da regolamenti la cui specialità è per materia o territoriale.
La linea di demarcazione fra i due regimi contrattuali è stata, fino all'emanazione della recente legge sui contratti economici, il piano: i contratti economici "interni" erano essenzialmente strumenti per l'attuazione del piano, mentre quelli "internazionali" erano basati sul principio dell'autonomia contrattuale. Vedremo quindi, dopo un'introduzione dedicata ai principi generali dettati in materia contrattuale dai PGDC, se la nuova legge sui contratti domestici ha spostato o, al contrario, ulteriormente rafforzato la suddetta linea di demarcazione.
ll Minfa Tongze11 (che ha la duplice funzione: a) di fornire l'intelaiatura del sistema civilistico cinese; b) di integrare le normative di settore nei campi in cui queste non dispongano) si occupa del contratto in sessanta articoli, sparsi sotto varie sezioni.
Il contratto (hetong) viene classificato, secondo lo schema di derivazione germanica, come specie del genere negozio giuridico ed è individuato con la nozione classica di "accordo fra le parti diretto a costituire, modificare o estinguere rapporti di natura civile" (art. 85). Secondo le disposizioni dettate per il negozio giuridico tre sono i requisiti richiesti per il contratto: 1) capacità di agire delle parti; 2) autenticità della dichiarazione di volontà; 3) rispetto della legge e degli interessi pubblici della società (art. 55). L'assenza di uno di questi requisiti determina la nullità del contratto (art. 58). Altre cause di nullità sono: l'illiceità dei motivi del contratto; la violazione della pianificazione, se si tratta di contratti economici pianificati; il dolo e la violenza morale. L'ipotesi dell'errore e della manifesta iniquità costituiscono invece le cause di annullabilità del contratto (art. 59). Da queste disposizioni emergono due elementi che sembrano caratterizzare la figura del negozio giuridico nell'ordinamento cinese: 1) pienezza e libertà del volere (rispetto a condizionamenti che possono derivare da altri soggetti privati, ma non da istanze pubbliche o politiche); 2) rispondenza del negozio agli interessi pubblici. Questo secondo elemento conferisce al negozio cinese un deciso orientamento pubblicistico dal momento che lascia al giudice ampi margini di discrezionalità nella valutazione della validità del contratto.
I principi prevedono per i negozi giuridici la libertà di forma, tranne nel caso in cui la legge prescriva una forma determinata (art. 56). Il contratto, al quale è consentito apporre condizioni (art. 61), ha effetto dal momento in cui è posto in essere.
Il Minfa Tongze detta poi alcune norme in tema di interpretazione del contratto e di garanzie, personali e reali. La norma sull'interpretazione (art. 88) trova applicazione nel caso in cui il contratto non contenga una chiara definizione del prezzo, delle qualità dell'oggetto, del tempo o del luogo di esecuzione e questi elementi non possano essere determinati né sulla base di altre clausole contrattuali né attraverso ulteriori accordi tra le parti. Quanto alle garanzie, i Principi ne prevedono tre forme: fideiussione, ipoteca, pegno (art. 89).
Altro principio generale, riguardo la responsabilità per inadempimento contrattuale, è quello per cui la parte inadempiente può vedersi costretta non solo al risarcimento del danno, ma anche a sanzioni, inclusa l'esecuzione in forma specifica (art. 111). È infatti previsto che le parti stabiliscano, in fase di conclusione del contratto, delle penali
(weiyuejin) da pagare, in caso di inadempimento, in addizione alla somma dovuta per il risarcimento del danno, somma che sarà corrispondente alla perdita subita dall'altra parte (art. 111). Al contempo però i PGDC impongono alla parte che subisce il danno l'obbligo di limitare le perdite e prevedono che, nel caso non vengano adottate le misure necessarie a tal fine, non vi sarà risarcimento per il maggior danno subito (art. 114). Troviamo in queste disposizioni in tema di responsabilità contrattuale un'originale sintesi tra elementi caratteristici del diritto dei contratti economici di marca socialista (estrema severità di trattamento della parte inadempiente) ed elementi tipici della contrattualistica occidentale, e di
common law in particolare (obbligo per la parte che subisce l'inadempimento di limitare i danni), elementi che ritroveremo rispettivamente nella legge sui contratti economici domestici ed in quella sui contratti internazionali.
2. Il diritto dei contratti internazionali
Per individuare la nozione di contratto internazionale (shewai jingji hetong) legge e giurisprudenza utilizzano l'elemento soggettivo della nazionalità delle parti
(danshiren de guojia) e l'elemento oggettivo del luogo di conclusione o esecuzione del contratto
(dingli huozhe luxing de hetong). L’art. 2 della Legge sui contratti economici con l'estero (LCEE)12 stabilisce infatti che la legge si applica ai contratti conclusi tra imprese od organizzazioni economiche cinesi e persone fisiche, imprese od organizzazioni economiche straniere (ivi incluse quelle di Hong Kong e Macao). Restano esclusi i contratti conclusi tra imprese cinesi e
joint ventures sino-estere, che in base ai PGDC sono considerate persone giuridiche cinesi, e sembrerebbero altresì esclusi i contratti conclusi tra persone fisiche cinesi ed imprese straniere. Questo era infatti nelle intenzioni del legislatore che aveva previsto che le parti cinesi dei rapporti contrattuali internazionali fossero solo imprese pubbliche (di stato e collettive). Tuttavia, con la crescita dell'economia privata e l'ingresso di soggetti economici privati (anche se ancora in numero esiguo) nei rapporti commerciali internazionali, questa preclusione è venuta meno. Già nel Regolamento sui contratti per il trasferimento di tecnologia13 era stata prevista la possibilità per i privati di concludere contratti con imprese estere, possibilità confermata dal regolamento sull'impresa privata e dalla dottrina14 . La Corte Suprema poi ha stabilito che la legge si applica anche ai contratti tra imprese straniere e tra queste ed imprese di Hong Kong che siano stati conclusi o debbano essere eseguiti in Cina15 .
Si esclude l'applicazione della legge per i contratti di trasporto.
La legge si applica automaticamente ai contratti di joint ventures contrattuale e societaria ed ai contratti di sfruttamento e sviluppo delle risorse naturali, mentre per gli altri contratti, in conformità con il principio generale vigente in materia, riconosce alle parti la libertà di scelta in ordine alla normativa applicabile al contratto (art. 5). Tuttavia studiosi ed osservatori stranieri fanno notare che questa clausola è sempre difficile da negoziare e che essa è spesso esclusa dai modelli contrattuali predisposti dai cinesi16 . La stessa dottrina cinese è alquanto reticente in materia. Se il contratto è quello di compravendita internazionale e non sussistono condizioni ostative, si applica la Convenzione di Vienna del 1980 (salva la facoltà delle parti di escluderne l'applicazione). Se invece si tratta di altro contratto e le parti non hanno scelto la legge applicabile si applicherà, secondo quanto disposto dall'art. 5, la legge del Paese che è in più stretta connessione col contratto17 .
Infine, la legge precisa che, nel caso in cui la legge applicabile sia quella cinese, si applicheranno le regole della pratica commerciale internazionale (la cosiddetta
"lex mercatoria") laddove la legge cinese non disponga. Quest'ultima precisazione si rivela estremamente importante dal momento che, come si è già in precedenza rilevato, i testi normativi cinesi spesso peccano di genericità e laconicità. Con il richiamo alla
lex mercatoria si rassicurano gli operatori stranieri sia sul piano della certezza sia su quello della volontà di adeguamento della Cina alle pratiche universalmente diffuse del mondo degli affari.
Sulla conclusione del contratto (hetong chengli) la legge detta scarne disposizioni tacendo del tutto in merito a proposta ed accettazione. Sul piano normativo le uniche disposizioni in merito si rinvengono nel
Regolamento di Dalian sui contratti internazionali, disposizioni che peraltro vengono confermate dalla dottrina per tutti i contratti con l'estero. Si tratta di regole generalmente accolte negli ordinamenti occidentali e confluite nella
Convenzione di Vienna: la proposta deve contenere tutti gli elementi del contratto da concludere ed è revocabile fino al momento in cui l'accettante emette l'accettazione; quest'ultima dev'essere incondizionata, deve pervenire entro il termine stabilito nella proposta e dev'essere conforme a quest'ultima o al massimo introdurre modifiche che non ne alterino i termini sostanziali, altrimenti si considera nuova proposta18 .
Il momento della conclusione del contratto è diverso in relazione ai vari tipi di contratto, i quali devono tutti osservare il principio della forma scritta a pena di nullità (art. 7): i contratti
inter praesentes si concludono al momento della firma; se il contratto viene concluso per lettera, telegramma o telex e si richiede una lettera di conferma, il contratto è concluso al momento della firma della lettera. Vi sono poi alcuni contratti per i quali si prevede l'approvazione amministrativa (come i contratti per l'importazione di tecnologia ed i contratti di
equity joint ventures) i quali si formano nel momento in cui l'autorizzazione viene concessa19 . Il più delle volte i contraenti stranieri si trovano a sottoscrivere contratti predisposti dalla controparte cinese, solitamente un'impresa pubblica. Questo avviene in particolare per i contratti più complessi20 , mentre per quelli più semplici si utilizza lo strumento epistolare o i suoi equivalenti summenzionati accompagnati dalla lettera commerciale di conferma.
Quanto alle clausole contrattuali (hetong tiaokuan), l'art. 12 della legge enumera in 10 punti gli aspetti del rapporto che dovrebbero essere oggetto di regolamentazione. Va preliminarmente ricordato che, come sottolinea la dottrina, nella formazione del contratto dovranno essere onorati due principi generali: 1) rispetto dei principi che stanno a fondamento dello stato cinese, delle sue leggi e degli interessi pubblici della società; 2) attuazione del principio dell'uguaglianza e del vantaggio reciproco delle parti in modo da equilibrare i diritti di queste e non porre in essere situazioni discriminatorie 21 .
Le clausole da inserire nel contratto sono, secondo la legge, le seguenti:
1) identificazione delle parti, del loro domicilio e/o del loro place of
business;
2) indicazione della data e del luogo della conclusione del contratto;
3) specificazione del tipo di contratto e del suo oggetto;
4) definizione delle caratteristiche tecniche relative all'oggetto o alla prestazione;
5) indicazione del tempo, modo e luogo di esecuzione;
6) indicazione del prezzo, delle modalità di pagamento e delle eventuali spese incidentali;
7) possibilità o meno di trasferimento del contratto;
8) determinazione dei criteri per il risarcimento dei danni in caso di inadempimento e previsione eventuale di altre forme di compensazione;
9) determinazione della forma di risoluzione delle controversie;
10) scelta della lingua del contratto.
Il seguente art. 13, poi, prevede la possibilità di inserire nel contratto una clausola per la ripartizione dei rischi tra le parti e le eventuali garanzie. Nelle relazioni commerciali con l'estero le parti cinesi solitamente preferiscono sottoscrivere contratti di assicurazione con compagnie cinesi. Ad esempio il modello di contratto per le
joint ventures predisposto dal MOFERT impone che la copertura dei rischi sia fornita dalla Compagnia Assicurativa Statale della RPC22 .
Nei contratti di import-export, invece, si adottano solitamente le clausole C.I.F. (per le esportazioni) e F.O.B. (per le importazioni)23 . Trattando dell'esecuzione del contratto
(hetong lüxing) la legge si pronuncia in merito alla sospensione unilaterale dell'esecuzione consentita, sulla falsariga di quanto previsto dalla Convenzione di Vienna (art. 77), nel caso in cui vi siano "prove concrete" e "definite" che mettano in dubbio la capacità o la volontà di adempiere della controparte (art. 17). L'interruzione dev'essere prontamente comunicata all'altra parte e deve cessare non appena questa dia adeguate garanzie di adempimento. Questa regola, diffusa nelle consuetudini del commercio internazionale, mira alla "preservazione del contratto" ed a "sanare" l'inadempimento, mantenendo fermo l'affare nell'interesse dei contraenti24 .
La sospensione dell'esecuzione senza che esistano serie prove dell'insolvibilità dell'altra parte equivale all'inadempimento (art. 17).
Ex art. 18 LCEE si ha inadempimento quando una parte non esegue la prestazione o la esegue in maniera difforme da quanto previsto nel contratto. Quando si verifica una situazione di inadempimento la parte lesa è tenuta, secondo un principio che la legge ripete dalla Convenzione di Vienna (art. 77), e che rappresenta un principio generale della
lex mercatoria, a prendere misure appropriate per limitare l'entità del danno, disponendosi che essa non potrà essere risarcita per le perdite subite a seguito di un suo comportamento negligente. Il risarcimento del danno, che può essere predeterminato al momento della conclusione del contratto, dovrà consistere in una somma pari alle perdite subite dalla parte a causa dell'inadempimento e comunque non potrà essere superiore alla perdita che la parte inadempiente aveva previsto al momento della conclusione del contratto (art. 19). L'inadempimento poi consente all'altra parte di recedere dal contratto (art. 29). L'art. 29 consente alle parti di sottrarsi all'adempimento senza incorrere in responsabilità se: a) le aspettative in ordine al contratto sono frustrate dall'inadempimento dell'altra parte; b) si verifica l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per forza maggiore; c) si verifica una condizione prevista del contratto come causa di scioglimento del contratto25 .
Per quanto riguarda la risoluzione delle controversie insorte tra parti cinesi e straniere, la legge prevede quattro possibili procedure (art. 37, 38). La prima è quella della "consultazione amichevole" tra le parti
(youhao xieshang), per la composizione autonoma della controversia, senza l'intervento di terzi. Questa soluzione è facoltativa per le parti le quali possono anche decidere di scartarla e ricorrere direttamente alle altre forme di soluzione del conflitto previste dalla legge: conciliazione, arbitrato, lite giudiziaria. La conciliazione
(tiaojie) che, assieme alla composizione amichevole, costituisce la forma tradizionale cinese di gestione delle liti ed è tuttora largamente preferita dagli operatori commerciali cinesi, ha luogo con l'intervento di un conciliatore che assiste le parti nella ricostruzione dei fatti e nella ricerca di un compromesso. La procedura conciliativa viene seguita anche dalle commissioni arbitrali cinesi le quali, negli ultimi anni, hanno iniziato a praticare anche la cd.
"joint-conciliation" (lianhe tiaojie) per risolvere le liti in materia contrattuale sorte fra gli organismi per il commercio estero cinesi e gli operatori stranieri. La conciliazione congiunta consiste nella cooperazione fra organismi arbitrali cinesi ed organismi del paese cui appartiene la parte coinvolta nella lite per la ricerca di una soluzione conciliativa26 .
La terza forma di gestione dei conflitti è l'arbitrato che è stato a lungo osteggiato e rifiutato dai cinesi ma che negli ultimi anni, in seguito all'espansione dei traffici internazionali, è divenuto la principale forma di risoluzione delle controversie. I due organismi arbitrali cinesi competenti per il commercio con l'estero sono: la Commissione cinese per l'arbitrato internazionale economico e commerciale (CIETAC) e la Commissione cinese per l'arbitrato marittimo (MAC), che sono entrambe parti del Consiglio cinese per la promozione del commercio internazionale (CCPIT) e della Camera cinese per il commercio internazionale (CCOIC).
Anche la soluzione giurisdizionale non è ben accetta alle parti cinesi e resta
l'extrema ratio per la soluzione delle liti. In base all'art. 38 della legge sui contratti economici internazionali le parti del contratto possono adire il tribunale cinese solo se non hanno inserito nel contratto la clausola arbitrale o tentato, almeno a livello di proposta, la soluzione arbitrale.
3. Il diritto dei contratti economici domestici
Come si è già in precedenza rilevato, il contratto economico interno (jingji hetong) negli ordinamenti socialisti era il contratto economico pianificato, previsto e condizionato nei suoi contenuti dal piano e sottratto, totalmente o per la maggior parte all'autonomia delle parti27 .
La legge sui contratti economici del 198128 accoglieva in pieno la versione classica del contratto economico domestico, così continuando a giustificare la necessità del doppio regime per i contratti economici e civili ed i contratti interni ed internazionali. Tuttavia eventi fortemente innovativi sul piano giuridico, l'emanazione dei PGDC
in primis, e sul piano economico, l'apertura di spazi sempre maggiori al mercato, hanno condotto ad una revisione del sistema contrattuale interno, revisione culminata con l'emanazione di una nuova legge in materia del 2 settembre 1993 (LCE)29 .
Le novità appaiono fin dalle prime battute della legge, negli articoli che fissano la nozione ed i principi fondamentali del contratto economico. In primo luogo è venuta meno la norma restrittiva che riconosceva come parti del contratto economico solo le persone giuridiche (art. 2 L. '81). Oggi il contratto economico può concludersi tra persone giuridiche ed altri enti economici, inclusi gli imprenditori individuali e privati (art. 2 L. '93). In secondo luogo quello che era il protagonista della precedente normativa, il piano, degrada ad un ruolo secondario nella nuova disciplina del contratto economico. Tuttavia, in conformità con la tendenza del legislatore cinese ad attuare riforme graduali, piuttosto che radicali, e comunque a non abbandonare completamente la tradizione, permangono nella nuova legge tratti dell'antico regime contrattuale socialista. Sempre nel capitolo dedicato ai principi generali si ripropongono infatti le formule generali, che troviamo anche nei PGDC e nella LCEE, degli interessi dello Stato e degli interessi pubblici della società che devono essere rispettati nella conclusione del contratto (art. 4) e la cui violazione determina la nullità del contratto (art. 7 nn. 1, 4).
Alla base del contratto la legge pone, come in passato, i principi dell'uguaglianza delle parti, del beneficio reciproco e del pieno accordo "raggiunto attraverso la discussione", nonché il principio della libertà contrattuale (art. 5) da intendersi come libertà da pressioni o costrizioni della controparte o di terzi piuttosto che totale autonomia anche dai pubblici poteri. Si conferma altresì anche il principio della forma scritta dei contratti economici, ad eccezione di quelli le cui prestazioni si esauriscono automaticamente (art. 3).
La nuova legge, come la precedente, non detta specifiche disposizioni in merito a proposta ed accettazione. La letteratura manualistica invece tratta l'argomento e da essa apprendiamo che vigono in materia le medesime regole già rilevate per i contratti internazionali, regole che peraltro hanno una pressoché uniforme diffusione internazionale. La proposta deve contenere tutti gli elementi del contratto da concludere e può essere rivolta ad un destinatario determinato o a più destinatari (se non si tratta di contratto "imposto", naturalmente). Il proponente può fissare un termine entro cui si impegna a mantenere ferma la proposta, altrimenti egli resta vincolato per "un tempo ragionevole", intendendosi con tale locuzione il tempo necessario per la trasmissione della proposta e la sua presa in visione da parte del destinatario di questa. Trascorso questo termine la proposta può essere revocata. L'accettazione dev'essere conforme alla proposta, altrimenti si considera nuova proposta. Il contratto si conclude nel momento in cui il proponente riceve l'accettazione. L’art. 12 della nuova legge, riproducendo il corrispondente articolo della precedente normativa, stabilisce che il contratto deve contenere le seguenti clausole:
1) oggetto (merci, lavoro, costruzioni etc.);
2) quantità e qualità;
3) prezzo o remunerazione;
4) modo, luogo, termine dell'adempimento;
5) responsabilità in caso di violazione del contratto o inadempimento.
La legge poi si occupa diffusamente di alcuni tipi di contratto di cui disciplina formazione ed esecuzione aprendo, rispetto alla precedente legge, maggiori spazi all'autonomia delle parti. Già nella legge del 1981 vi erano alcuni tipi negoziali il cui contenuto non era predeterminato in sede amministrativa (contratti per la lavorazione di prodotti e per la fornitura di energia, contratti di magazzinaggio e contratti di affitto). Ora una certa libertà di determinazione del contenuto del contratto viene riconosciuta anche per altri contratti che sotto il precedente regime erano rigidamente pianificati. Ad esempio nel contratto di compravendita (art. 17), le parti possono autonomamente fissare la quantità dei prodotti, mentre per la loro qualità si dovranno rispettare gli standard statali o commerciali, se esistono, altrimenti decideranno autonomamente le parti; anche il prezzo sarà fissato dalle parti con l'eccezione di quei prodotti per i quali esistano ancora prezzi stabiliti dallo stato. Nei contratti per le costruzioni (art. 18), solo se si tratta di costruzioni statali di particolare rilevanza, si prevedono l'adozione della procedura e le approvazioni amministrative prima imposte per tutti i contratti di questo tipo. Infine anche i contratti di trasporto non sono più stipulati in base ai piani di trasferimento delle merci, alle capacità di trasporto e alla pianificazione dei trasporti ma attraverso la negoziazione tra le parti.
In base all'art. 7 della LCE, il contratto è invalido quando violi la legge, gli interessi dello stato o gli interessi sociali; è inoltre invalido il contratto firmato sotto coercizione o a scopo di truffa e quello stipulato al di là dei limiti del mandato. Scompare, dal novero delle cause di nullità, la contrarietà ai piani imperativi dello stato, prevista dalla legge del 1981 (art. 7). Scompare, altresì, il riferimento alla politica, la cui violazione, sotto il precedente regime contrattuale, costituiva un'ulteriore causa di nullità.
L'art. 7, dopo aver affermato che i contratti invalidi non hanno forza vincolante e che la nullità parziale non travolge l'intero contratto, attribuisce il potere di dichiarare l'invalidità ai tribunali popolari o agli organismi arbitrali, innovando rispetto alla precedente normativa che attribuiva tale potere all'ufficio per la supervisione dei contratti, oltre che agli organi giurisdizionali.
Altre novità, determinate dall'allentamento dei nodi dirigistici, si trovano nel capitolo della legge dedicato alla modifica ed alla risoluzione del contratto. In primo luogo scompaiono, quali cause di modifica e risoluzione, la cancellazione o la trasformazione del piano statale e l'inadempimento dovuto a cessazione di attività, arresto o modifiche della produzione (art. 27 L. '81). Ora il contratto economico può essere modificato o risolto: a) per accordo delle parti se ciò non danneggia gli interessi pubblici; b) per impossibilità ad adempiere determinata da forza maggiore; c) per violazione del contratto ad opera delle parti (art. 26). Se una parte subisce perdite in seguito alla modifica o alla risoluzione del contratto, l'altra sarà responsabile ai sensi degli artt. 29 e ss. della legge, tranne nel caso in cui la modifica e la risoluzione siano determinate da forza maggiore.
Se si ha inadempimento, totale o parziale, di una parte ed esso è determinato da fatto imputabile alla parte inadempiente, questa sarà tenuta al risarcimento dei danni (art. 29). La legge parla solo di "fatto della parte", mentre sotto il precedente regime contrattuale la parte inadempiente poteva essere ritenuta responsabile anche per fatto del terzo ed in particolare per fatto imputabile agli "organismi direttivi superiori ed ai dipartimenti responsabili del settore" (art. 33 L. '81).
L'obbligo di risarcimento dei danni non sorge se l'inadempimento è dovuto a forza maggiore. Al di fuori di questa ipotesi liberatoria la parte inadempiente dovrà risarcire: a) il danno generico sofferto dall'altra parte per il mancato adempimento
(peichangjin); b) il danno per le specifiche perdite subite a seguito dell'inadempimento
(weiyuejin). L'obbligo al risarcimento di questo secondo tipo di danno, meglio noto come "penale", è uno dei residui del regime contrattuale di modello socialista, una delle cui caratteristiche era la previsione di misure assai severe (penali, esecuzione in forma specifica) per l'ipotesi di inadempimento poiché quest'ultimo comportava un danno non solo per l'altra parte, ma anche - e soprattutto - per lo stato, essendo il contratto uno strumento di attuazione del piano. Anche se la pianificazione in Cina va progressivamente restringendo il proprio raggio di azione, il legislatore cinese ha preferito mantenere l'antico rigore in materia di responsabilità contrattuale prevedendo, oltre alle due forme di risarcimento summenzionate, anche l'esecuzione in forma specifica se l'altra parte la richiede (art. 31). La legge non specifica se i tre rimedi debbano essere cumulativi, come accadeva nella prassi sotto la precedente disciplina 30 .
Le norme dettate in materia di risoluzione delle controversie contrattuali si rifanno alla ormai nota gerarchia dei metodi di risoluzione delle liti che pone al primo posto la conciliazione privata tra le parti, al secondo l'arbitrato economico ed all'ultimo la soluzione giudiziale.
La legge si chiude con il capitolo relativo all'amministrazione dei contratti economici, che risulta sensibilmente ridotto rispetto al corrispondente capitolo della legge del 1981 contenendo solo due articoli in luogo dei precedenti sei. Questi ultimi prevedevano un ampio ed articolato sistema di controllo dei contratti che coinvolgeva organismi produttivi, amministrativi e bancari, mentre oggi, dopo l'allentamento dei meccanismi burocratico-dirigistici, si prevede solo il controllo dei dipartimenti dell'industria e del commercio a partire dal livello di distretto (art. 44).
CONCLUSIONI.
L'esame della disciplina relativa ai contratti economici internazionali, mostra una decisa, anche se non completa, apertura della Cina alle prassi contrattuali internazionalmente diffuse, che hanno trovato in gran parte espressione nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale dei beni mobili. A parte il fatto che la maggior parte delle disposizioni normative, nonché il materiale dottrinale e giurisprudenziale, accolgono molte delle soluzioni che sono ormai patrimonio consolidato della contrattualistica commerciale internazionale, basta ricordare il rinvio dell'art. 5, c. 4 LCEE alla prassi ed agli usi commerciali internazionali, quale fonte integrativa della normativa cinese, per avere prova di ciò. L'art. 5 sancisce il riconoscimento ufficiale da parte del legislatore cinese della lex mercatoria, ossia di quel diritto meta-nazionale "creato dal ceto imprenditoriale, senza la mediazione del potere legislativo degli Stati, e formato da regole destinate a disciplinare in modo uniforme, al di là delle unità politiche degli Stati, i rapporti commerciali che si instaurano entro l'unità economica dei mercati"31 . Queste nuove aperture, che capovolgono la visione tradizionale dell'attività commerciale32 non sono tuttavia complete, come dimostrano le riserve espresse in sede di ratifica della Convenzione di Vienna (in relazione all'ambito di applicazione della Convenzione ed alla forma del contratto) e la permanenza di principi limitativi della libertà contrattuale quali il rispetto dei principi fondamentali dello Stato cinese, delle leggi e degli interessi pubblici della società nella conclusione dei contratti internazionali.
Parimenti una situazione "mista" di apertura e conservazione, si riscontra nel settore dei contratti domestici ove, ai maggiori spazi concessi all'autonomia privata fa da contraltare la sopravvivenza di norme del regime contrattuale socialista in materia di formazione del contratto e responsabilità contrattuale.
MONDO CINESE N. 90, SETTEMBRE-DICEMBRE
1995
Note
1 "Communiqué de la 3e session plénière du Comité Centrale du XI Congrès du PCC", in
Beijing Information, n. 52, 1978, p. 15. La citazione riportata nel testo, nella sua versione italiana, è stata ripresa da R. BERTINELLI,
Verso lo stato di diritto in Cina, Milano, Giuffré, 1988, p. 12.
2 Per una panoramica sulla riorganizzazione dell'apparato giudiziario e paragiudiziario e sul suo attuale assetto si vedano R. BERTINELLI, cit., pp. 16-20. J. TAO, Le droit chinois
contemporain, Paris, P U.F., 1991, pp. 47-54.
3 Cfr. Z. JIANG, Shiyong jingjifa (Guida pratica al diritto dell'economia), Zhongguo Shenji Chubanshe, Beijing, 1991, p. 30.
4 Pressoché tutti gli studiosi occidentali lamentano l'assenza di una pubblicità completa dei testi normativi, in specie regolamentari. Si veda ad es., G. CRESPI REGHIZZI, "La responsabilità da prodotti difettosi in Cina e in Unione Sovietica", in G. CRESPI REGHIZZI e R. CAVALIERI (a cura di),
Diritto commerciale e arbitrato in Cina, Milano, E. G. E. A., 1991, p. 116.
5 Ad esempio i Principi generali di diritto civile statuiscono che "L'attività privata deve conformarsi alla legge e, ove questa non disponga, alla politica statale" (art. 6). I principi,
Minfa tongze, si trovano in Xinbin falü shouce (Manuale della nuova legislazione), Beijing, 1987 pp. 230-284.
6 Sul funzionamento di questi organi si veda T. HSIA e W. I. ZELDIN, "Recent Legal Developments in the People's Republic of China", in
Harward International Law Journal, 1987, n. 2, pp. 260-261.
7 In merito alla quale si veda P. BISCARETTI DI RUFFIA e G. CRESPI REGHIZZI,
La Costituzione sovietica del 1977, Milano, Giuffré,1979, pp. 138-141.
8 Cfr. Z. JIANG, Shiyong jingjifa, cit., p. 28.
9 Cfr. AA. VV., Shewai jingjifa gailun (Lineamenti di diritto economico internazionale), Beijing, Beijing Zhengfa Daxue Chubanshe, 1993, pp. 4-5.
10 G. CRESPI REGHIZZI, "Commercio internazionale, investimenti e diritto nella Repubblica popolare cinese", in
Guida all'operatore in Cina, Milano, Camera di commercio italo-cinese, Istituto italo-cinese, 1989, p. XXXIII.
11 Zhonghua renmin gongheguo minfa tongze (Principi generali di diritto civile della RPC), approvati il 12-04-1986 dall'ANP, in
Xinbian falü shouce, Beijing, Falü chubanshe, 1987, pp. 230-284.
12 Shewai jingji hetong, promulgata il 21-03-1985, in
Zhonghua duiwai jinjifa fagui huibian (Raccolta di atti normativi relativi al diritto economico internazionale), versione bilingue cin.-ingl., Beijing, Foreign Languages Press, 1991, vol. IV, pp. 97-114.
13 Zhonghua renmin gongheguo jishu yinjin hetong guanli
tiaoli, approvato dal CAS il 24-05-1985, in Zhonghua duiwai jingji fagui
huibian, cit., pp. 151-159.
14 Cfr. AA. VV., Shewai jingjifa gailun, cit., p. 119.
15 Zuigao renmin fayuan guanyu shiyong "Shewai jingji hetongfa" ruogan wanti de jieda (Spiegazioni della Corte suprema su alcune questioni relative all'attuazione della legge sui contratti economici internazionali), in
Zhonghua renmin gonheguo zuigao renmin fayuan gongbao (Gazzetta della Corte suprema del popolo della RPC), 1987, n. 4, pp. 1-7.
16 Cfr., ad esempio, Y. CHENG, East-West Trade: Changing Patterns in Chinese Foreign Trade Law and
Institutions, New York-London, Oceana,1991, p. 265.
17 Questo criterio, che è stato da più parti criticato per l'eccessiva genericità, è stato puntualizzato dalla Corte Suprema che ha dettato regole specifiche per tredici tipi di contratto (art. 6 delle Spiegazioni).
18 AA. VV., Shiyong jingjifa, cit., p. 314.
19 Cfr. AA. VV, Jingjifa xue (Istituzioni di diritto dell'economia), Beijing Beijing Daxue Chubanshe, 1991, p. 220.
20 Sono stati anche pubblicati, in versione bilingue (cinese-inglese), alcuni volumi con i modelli contrattuali predisposti. Ad es. si veda Y. SONG,
Practical Contracts For International Trade, Hong Kong, Star Ocean Publishing, 1989.
21 Cfr. Z. JIANG, Shiyong jingjifa, cit., pp. 311-312.
22 Cfr. H. ZHENG, China's Civil and Commerciai
Law, Singapore, Butterworth, 1988, p. 64.
23 Come riportato da AA. VV., Shewai jingjifa
gailun, cit., p. 131.
24 Così A. FRIGNANI, "Il contratto
internazionale", in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico
dell'economia, diretto da F. GALGANO, Padova, Cedam, 1990.
25 Su queste divergenze si veda H. ZHENG, China's Civil and Commercial
Law, cit., p. 68.
26 La forza maggiore, secondo l'art. 24 (che trae ispirazione dall'art. 79 della Convenzione di Vienna), è ogni evento che le parti non possono prevedere ed il cui accadimento e le cui conseguenze le parti non possono evitare. Per quanto riguarda gli eventi che possono integrare gli estremi della forza maggiore, alcuni, come le calamità naturali, sono pacificamente riconosciuti da dottrina e giurisprudenza, mentre altri (interferenze governative e scioperi) sono stati oggetto di discussione fra parti cinesi e straniere. Si veda, in proposito, C. YUAN,
East-West Trade, cit., p. 68.
27 Per una panoramica sul diritto dei contratti socialista si veda R. DAVID,
I grandi sistemi giuridici, Torino, Giappichelli, 1981, pp. 259-266.
28 Jingji hetongfa, in Zhonghua duiwai jingji fagui
huibian, cit., pp. 1-50.
29 Jingji hetongfa, in Renmin Ribao, 3/9/1993, p. 2.
30 Sul precedente regime di responsabilità contrattuale si veda H. ZHENG,
China's Civil and Commercial Law, cit., pp. 79-81.
31 F. GALGANO, Lex Mercatoria. Storia del diritto
commerciale, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 217-218.
32 In merito alla quale si veda P. CORRADINI, "Diritto e commercio in Cina: la tradizione e la storia", in G.P. CRESPI REGHIZZI e R. CAVALIERI (a cura di), op. cit., pp. 4-5.
* Lavoro eseguito con il contributo del C.N.R. nel quadro delle ricerche su "L'economia cinese tra continuità e rinnovamento", dirette dal Prof. Piero Corradini presso l'Istituto Italo-Cinese per gli Scambi Economici e Culturali.
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