SOMMARIO: 1 - Dalla collaborazione fraterna alla rottura. 2 - Dispute ideologiche e dispute confinarie. 3 - La tensione egli scontri armati. 4 - La politica estera di Breznev e il sorgere dei tre grandi ostacoli. 5 - La perestrojka e la politica estera sovietica. Il nuovo atteggiamento di Gorbacev. 6 - La normalizzazione definitiva e la visita di Gorbacev a Pechino. 7 - Conclusioni.
1 - Dalla collaborazione fraterna alla rottura
Quando il 1° ottobre 1949 fu proclamata la Repubblica Popolare Cinese, l'URSS e gli altri stati socialisti furono, a parte poche eccezioni, i soli paesi a riconoscere il nuovo regime. Ma indipendentemente da questa situazione, la questione delle relazioni con Mosca è stata per Pechino la più importante e la più urgente da regolare in materia di politica estera. In pieno regime di guerra fredda, il compito fondamentale della nuova Repubblica era quello di garantirsi la sicurezza all'interno di una situazione internazionale a lei particolarmente ostile e, in quel momento, ciò poteva avvenire solo a costo della sua dipendenza dal vicino sovietico. A questa priorità rispondeva la firma del trattato d'alleanza sino-sovietico del 14 febbraio 1950. La volontà d'indipendenza spingeva il governo cinese alla prudenza. Nei primi anni della sua esistenza, la Repubblica Popolare Cinese appare sulla scena mondiale, se non come un satellite dell'URSS, come il suo più importante alleato in seno al blocco socialista. Ed è proprio dalla ricerca di questo difficile equilibrio con l'alleata sovietica che dipenderà la diplomazia della Repubblica Popolare nei primi due decenni della sua esistenza.
Secondo il trattato di amicizia del 1950, la Cina e l'URSS concludevano un'alleanza difensiva contro il Giappone o contro qualunque altro stato alleato di quest'ultimo in caso di aggressione. Ciascuno dei due Stati si impegnava nello stesso tempo a non concludere alcuna alleanza diretta contro l'altra parte, a consultarsi su tutti i problemi internazionali di interesse comune concernenti la loro sicurezza e in particolare a lavorare per la conclusione di un trattato di pace con il Giappone congiuntamente agli altri alleati della seconda guerra mondiale. Le due potenze si impegnavano anche a sviluppare la loro cooperazione economica e culturale. Questo accordo, più che suggellare un'alleanza profonda tra due stati socialisti, rappresentava un
modus vivendi temporaneo accettato da Mosca come pure da Pechino considerando i rispettivi interessi nazionali in quel momento. Più che la traduzione in termini internazionali di una "solidarietà proletaria" che non esisteva tra l'URSS e la nuova Cina, l'alleanza sino-sovietica era soprattutto il simbolo della comune opposizione alla politica asiatica degli Stati Uniti e dei loro alleati.
Tuttavia dopo la morte di Stalin nel marzo del 1953, le relazioni tra i due stati socialisti migliorarono considerevolmente. L'URSS abbandonò i suoi ultimi interessi in Cina e si impegnò maggiormente nel Piano di sviluppo economico cinese. Questa decisione metteva fine a tutto ciò che poteva sembrare "ineguale" nei rapporti tra i due paesi e anzi poteva essere vista come un nuovo punto di partenza per l'alleanza sino-sovietica. Il testo dell'accordo firmato a Mosca il 27 aprile 1955 sulla cooperazione per l'utilizzazione pacifica dell'energia atomica vedrà ancora confermare questa impressione.
Ma da questo momento, al contrario, l'alleanza verrà sempre più sgretolandosi a causa di interessi nazionali che ormai divergevano in maniera sostanziale da quelli su cui la stessa alleanza era stata costruita. Infatti dal 1956, allorché si operava la destalinizzazione in URSS, cinesi e sovietici cominciarono a scontrarsi su diverse questioni di ordine politico, militare, economico e ideologico. Da paese sotto-sviluppato quale era ancora la Cina, i suoi interessi non coincidevano affatto con quelli dei paesi socialisti europei. La sua posizione nella situazione asiatica richiedeva una politica estera differente da quella di Mosca; il desiderio di indipendenza del governo cinese mal si conciliava con la
leadership sovietica. Una differente interpretazione della "coesistenza pacifica", la volontà della Cina di partecipare con Mosca alla definizione di una politica generale del campo socialista, l'aspirazione a possedere come l'URSS un armamento atomico nazionale e altre ragioni condussero i due paesi alla rottura del 1959-60.
2 - Dispute ideologiche e dispute confinarie
Fu la destalinizzazione operata da Kruscev al XX Congresso del PCUS, nel febbraio del 1956, che segnò l'inizio del deterioramento dei rapporti sino-sovietici. Kruscev, in effetti, aveva agito unilateralmente senza alcuna consultazione con i "paesi fratelli"1 . La questione della valutazione dell'operato di Stalin era, invece, di interesse comune. La destalinizzazione non poteva che indebolire i dirigenti al potere minacciando di dare inizio allo sgretolamento del blocco monolitico sovietico come gli avvenimenti in Polonia e in Ungheria dimostreranno.
In questo frangente la Cina si poneva da mediatore; il discorso di Mao su "la giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo" era infatti un appello al compromesso: il contrasto tra la tesi cinese che sottolineava la necessità di una lotta decisa in senso anti-imperialista e anti-colonialista e quella sovietica che vedeva la possibilità di una "via parlamentare" era una contraddizione "in seno al popolo", ma era possibile ridurla attraverso negoziati. Fu Mao stesso a guidare la delegazione cinese alla Conferenza dei partiti comunisti di Mosca nel novembre 1957, e malgrado egli non si trovasse d'accordo con l'argomentazione di Kruscev sulla possibilità di una transizione pacifica verso il comunismo, alla conclusione della conferenza accettò il progetto di dichiarazione comune presentato dal PCUS. Mao dichiarò anche alla conferenza che il principale pericolo in quel momento era il revisionismo o, in altre parole, l'opportunismo di destra. Mao credeva fermamente che il blocco comunista dovesse prepararsi allora per una vigorosa sfida al mondo capitalista occidentale, ma Kruscev non mostrava di voler tornare indietro dalla sua posizione pubblicamente presa al ventesimo congresso, nel 1956, in cui aveva dichiarato che "Il principio leninista della coesistenza pacifica tra gli stati con differenti sistemi sociali è stata sempre e rimarrà la linea generale della politica estera del nostro paese", e riconfermava la sua fede nei principi base esposti dall'India e dalla Cina alla conferenza di Bandung nel 1955, affermando che l'idea dell'inevitabilità della guerra doveva ormai essere completamente superata. La transizione pacifica delle società capitaliste verso il socialismo doveva, secondo Kruscev, essere vista con flessibilità e, se sostenuta dal proletariato, la vittoria di una maggioranza parlamentare stabile avrebbe portato sicuramente a cambiamenti sociali fondamentali nel paese.
Fedele a questo spirito, Kruscev si rifiutò di rispondere attivamente all'intervento dei marine americani in Libano, o ad appoggiare i cinesi quando cominciarono a bombardare l'isola di Quemoy ancora occupata da truppe di Chiang Kai-shek e fece anche capire chiaramente in seguito che l'Unione Sovietica non avrebbe mai fornito un prototipo di bomba nucleare ai cinesi2 .
Un altro motivo che minò in modo sempre maggiore le basi di questa alleanza fu la programmazione e l'attuazione in Cina del "Grande Balzo in Avanti" e i conseguenti dibattiti all'interno del Partito comunista sulle cause del suo fallimento. Il "Grande Balzo", tentativo disperato di Mao di superare rapidamente le difficoltà economiche e di riaffermare la centralità del cambiamento rivoluzionario sociale, si poneva in opposizione all'approccio più cauto dell'Unione Sovietica per uno sviluppo economico e una mobilitazione di massa.
Sta di fatto però che la destalinizzazione, per sé e per le sue conseguenze, offrì a Pechino un'occasione certo insperata per acquistare maggior peso e più alto prestigio nell'ambito della "comunità socialista". A sfruttare tale occasione Pechino si mostrò tutt'altro che esitante, anche se agì nel senso di condizionare Mosca ma non ancora di sostituirla; né Mosca a quel tempo mostrò mai di interpretare l'azione cinese in senso antisovietico. Infatti il governo di Pechino, in un comunicato ufficiale del 1° novembre del 1956, si compiaceva del proposito di Mosca di porre su nuove basi di eguaglianza e rispetto reciproco i rapporti tra i paesi socialisti. In sintesi, i rapporti sino-sovietici alla fine del 1957 sembravano rafforzare l'alleanza, benché già si vedessero i semi per successive tensioni. I sovietici, dal canto loro, non celarono mai il sospetto che Pechino avesse sempre mirato a provocare uno scontro all'ultimo sangue tra URSS e Stati Uniti per far emergere eventualmente la Cina come l'unica a trarre benefici da questo rapporto triangolare. Allo stesso modo, le lodi esagerate delle conquiste missilistiche sovietiche potevano sembrare sconcertanti, ma non implicavano un'azione avventuristica cinese. Malgrado la retorica di Mao disturbasse i sovietici, tuttavia ciò non ostacolò le trattative con Kruscev per un accordo sulla tecnologia nucleare. I cinesi accettavano il fatto che, allora, i russi rappresentavano l'unico scudo protettivo contro la minaccia di un possibile attacco nucleare da parte degli Stati Uniti, una questione che divenne particolarmente importante nel 1957, quando gli Stati Uniti annunciarono che avrebbero dispiegato i loro missili Matador a Taiwan. Nel 1957 per la Cina, in realtà, URSS e socialismo erano ancora termini inscindibili. Il modello sovietico era ancora valido ed efficace così pure la funzione dell'URSS in quanto potente e insostituibile protettrice di un regime contestato dall'esterno e quasi assediato fin dalla nascita. È precisamente in questo senso che riesce credibile una reazione negativa da parte cinese alla demolizione del mito di Stalin. L'URSS rimaneva ancora un modello da seguire fedelmente, Stalin la guida ideologica per i comunisti di tutto il mondo e tutto ciò non poteva essere demolito proprio nel momento in cui la Cina aveva più immediato bisogno di servirsene per i suoi scopi. È molto probabile che Mao vedesse nella destalinizzazione un indebolimento della credibilità dell'ideologia comunista stessa, cosa che non desiderava proprio adesso che egli, già alla guida di un paese esteso come la Cina, poteva pretendere di ereditare il ruolo assunto da Stalin nella guida dei paesi socialisti e far sì che la sua dottrina avesse valenza universale.
La tensione nell'alleanza sino-sovietica raggiunse il punto di rottura nel 1959-1960 come risultato di diversi fattori: l'incontro di Kruscev con Eisenhower a Camp David, la pubblica neutralità di Mosca nella disputa sui confini sino-indiani, la provocazione di Pechino alla
leadership ideologica del Cremlino, il ritiro degli aiuti economici sovietici e gli scambi polemici durante le conferenze dei partiti comunisti tenute a Bucarest e a Mosca. Ma anche altre tensioni stavano indebolendo profondamente questa ormai labile alleanza. L'appoggio all'insurrezione comunista in Birmania e alle guerre d'indipendenza nei paesi africani nonché l'opposizione all'impegno americano a favore dei regimi anti-comunisti in Laos e, in seguito, in Indonesia, provavano come la volontà di Pechino fosse quella di sostenere la "guerra del popolo". Le formulazioni teoriche e ideologiche potevano portare così a divergenze politiche sostanziali con Mosca sulla linea generale da adottare all'interno del blocco socialista e del movimento comunista internazionale.
Nel 1962-1963, d'altra parte, gli elementi ideologici avevano assunto un carattere preponderante. Ansiosi appelli per un compromesso da parte di comunisti preoccupati in Asia e in Europa spinsero entrambe le parti ad accordarsi per un incontro da tenere nel luglio del 1963. Ma il 15 luglio 1963, durante i colloqui sino-sovietici, Kruscev cominciò a negoziare con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sulla proibizione degli esperimenti nucleari nell'atmosfera. Il 21 luglio fu deciso di posticipare i colloqui sino-sovietici e il 25 luglio fu firmato il trattato di interdizione degli esperimenti nucleari. Kruscev non poteva essere più provocatorio soprattutto nella scelta del tempo e Pechino rispose di conseguenza. La stampa di ambedue le parti documentò nei dettagli le accuse di eresia ideologica, di tradimento politico e di minacce dirette agli interessi nazionali compresa la sicurezza di entrambi i paesi.
La questione territoriale non aveva ancora assunto molta importanza nel dicembre del 1962, quando Kruscev fu accusato dai cinesi di aver assunto a Cuba un comportamento definito come "capitolazionista". Nel marzo 1963, invece, Pechino iniziò a reclamare quella parte del territorio cinese che affermava essere andato perduto durante l'imperialismo del diciannovesimo secolo con i tre "trattati ineguali" con cui la Russia aveva ottenuto vaste estensioni di territorio ad ovest, a nord e a nord-est. Il governo di Pechino accusò anche Mosca di aver "indotto e forzato diverse decine di migliaia di cittadini cinesi ad andare in Unione Sovietica" mentre sviluppava azioni sovversive nel Xinjiang. Mosca rispose che "all'inizio del 1960 cittadini cinesi avevano sistematicamente violato il confine sovietico". Questa dichiarazione dava la responsabilità a Pechino del rifiuto di consultarsi sui problemi di confine. Nel febbraio 1964 le due parti si incontrarono a Mosca e, anche se i cinesi sottolinearono nuovamente le forti responsabilità sovietiche nella violazione dello
status quo al confine e nel provocare incidenti di frontiera, Mao mostrò per un momento il suo spirito conciliatorio affermando di voler prendere i trattati ineguali come base per una ragionevole risoluzione della questione. Ma già nel mese di luglio Mao aveva cambiato il suo atteggiamento. D'altra parte la questione territoriale veniva considerata dai sovietici come una campagna di revisione, se non di falsificazione, della storia mondiale che seguiva chiaramente un programma politico elaborato dalla leadership maoista e perseguiva lo scopo di "convalidare" storicamente e teoricamente l'espansionismo egemonico della Cina degli Han. Sempre secondo i sovietici, in questa particolare campagna i maoisti facevano uso solo di fatti ed eventi che giustificassero i loro piani di grande potenza, deliberatamente interpretandoli male. Non solo i cinesi vennero accusati di falsificare la storia delle aree di confine dei due paesi, ma anche di rifiutare la dottrina leninista dell'autodeterminazione delle nazioni come base per la risoluzione delle questioni territoriali. "I presenti confini sino-sovietici si sono formati in quasi tre secoli di relazioni tra la Russia e il vero Stato Cinese prima, e con l'Impero mancese dei Qing poi... L'Impero dei Qing era un dispotismo orientale di tipo feudale e militare che nei secoli XVII-XIX portò avanti una politica espansionista diretta contro la Corea, le terre russe lungo il fiume Amur, la Mongolia, la Zungaria, il Tibet, la Kashgaria, il Vietnam e la Birmania. Gli attuali sciovinisti cinesi sono i successori di quel dispotismo... I governanti di Pechino sostengono che l'area dell'Amur era una parte della Cina fin dalla dinastia Ming mentre il fiume Ussuri era un "fiume interno" della Cina. Questa versione interpreta lo sviluppo delle regioni dell'Amur e di quelle marittime da parte dei pionieri russi come un'invasione del territorio cinese." La verità, secondo il governo russo, era che l'Impero dei Qing usò il Trattato di Nerchinsk del 1689 come una copertura per conquistare porzioni sostanziali dei territori attorno all'Amur appartenuti ai russi e con i Trattati del 1858 (di Aigun) e del 1860 (di Pechino) ha dovuto abbandonare la conquista di queste terre e le rivendicazioni sul territorio dell'Ussuri, che non aveva mai posseduto e accettare la delimitazione del confine con la Russia.
3. La tensione e gli scontri armati
Negli anni 1963-1964 la disputa sino-sovietica continuò con un aperto scambio di accuse. Mao aggravò la disputa con la richiesta del 10 luglio 1964 della restituzione di tutti i territori ceduti alla Russia zarista: "Circa cento anni fa la regione orientale del Lago Baikal è divenuta territorio russo. Dopo di allora Vladivostok, Khabarovsk, la Kamtciatka ed altre regioni sono divenute territori sovietici. Non abbiamo ancora presentato il nostro conto per questa serie". Nel frattempo gli incidenti si moltiplicavano lungo la frontiera. I cinesi pubblicarono nel 1964 una carta dei territori accaparrati dagli "imperialisti". Erano inclusi non solamente i territori himalayani appartenenti all'India e alla Birmania, ma anche l'Estremo Oriente sovietico a nord-est della Cina ed una larga parte delle Repubbliche sovietiche del Kazakhistan, del Kirghizistan e del Tagikistan. In effetti nei territori annessi in seguito a trattati, i russi avevano organizzato sistematicamente l'immigrazione.
Infine, quando Mosca firmò il trattato di interdizione degli esperimenti nucleari con Washington, Pechino fece scoppiare la sua prima bomba atomica. Lo scoppio della prima bomba atomica cinese, testimonianza di uno sforzo gravoso ma anche sorprendente di un paese arretrato, è la conseguenza più o meno diretta della rottura politica con l'Unione Sovietica e della divergenza relativa alla "politica atomica" dei due paesi.
La caduta di Kruscev, nell'ottobre del 1964, non portò dei miglioramenti nelle relazioni tra i due paesi. Era un'ulteriore prova che il conflitto derivava da fondamentali divergenze di interesse più che dal revisionismo della "cricca di Kruscev". Dopo la caduta di Kruscev, la direzione degli affari sovietici passò a Breznev, capo del partito, e a Kossighin, capo del governo. Questi due uomini sembravano rappresentare due tendenze differenti: Kossighin favorevole ad una accentuazione della distensione e quindi alla destalinizzazione, Breznev, apparentemente sostenuto dai militari, ad una politica più dura. I cinesi cominciarono a parlare della "cricca revisionistica" di Kossighin e Breznev, qualificandoli come "nuovi zar".
Lo scatenarsi della Rivoluzione Culturale cinese doveva nuovamente rilanciare la polemica e provocare incidenti tanto in Cina quanto in URSS. A partire dal mese di agosto del 1966 l'ambasciata sovietica a Pechino divenne teatro di continue manifestazioni "anti-revisioniste". Nel gennaio-febbraio 1967, le famiglie dei diplomatici sovietici in Cina furono richiamate in patria mentre, questa volta, fu l'ambasciata cinese a Mosca ad essere oggetto di grandi manifestazioni di ostilità da parte del popolo russo. In tutta l'URSS furono organizzate manifestazioni di denuncia contro la Cina, in particolare a Vladivostok, Taskent e Leningrado. La situazione divenne più tesa nell'estate del 1967, quando scoppiarono incidenti militari sull'Ussuri che condussero alla rottura delle trattative tra i due stati a proposito della navigazione lungo le frontiere d'acqua. A questo si aggiunse un nuovo incidente a Dairen, in agosto, tra manifestanti cinesi locali e l'equipaggio di un cargo sovietico. Gli avvenimenti in Cecoslovacchia dell'agosto del 1968 non fecero che aumentare i timori della Cina Popolare che vedeva l'ipotesi di un intervento armato dell'Unione Sovietica e confermava la sua tesi del carattere fortemente social-imperialista dell'URSS. La volontà del governo cinese di sviluppare quanto prima un arsenale nucleare nazionale confermava il desiderio d'indipendenza ideologica, politica e militare che la Cina sempre più stava acquistando sul finire degli anni '60.
L'incidente dell'isola di Chenpao fu uno spartiacque per le relazioni tra Mosca e Pechino. Dopo l'incidente entrambe le parti cambiarono la loro politica, l'una cercando di isolare l'altra. Pechino adottò una politica amichevole verso gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali, preoccupando Mosca con la formazione di un fronte unito con gli USA e il Giappone contro il loro avversario a nord. Per controbilanciare la mossa di Pechino, Mosca propose un cosiddetto "Sistema di Sicurezza Collettivo Asiatico" per isolare la Cina.
Ci sono diverse teorie sulle ragioni che hanno portato i rapporti tra Mosca e Pechino da una stretta alleanza ad una situazione di confronto militare e diplomatico. Donald Zagoria è dell'opinione che le due parti, avendo avuto differenti corsi nel loro sviluppo economico e sociale, mire rivoluzionarie differenti, stavano competendo per la guida del movimento comunista internazionale e che la Cina comunista era estremamente nazionalista e si opponeva all'imperialismo occidentale. William Griffith crede che la ragione fondamentale fu che l'Unione Sovietica stava cercando a tutti i costi di evitare la possibilità che la Cina comunista potesse divenire una super potenza. Per Robert North il conflitto era soprattutto il frutto del profondo divario tra le forze nazionali di ciascun paese e lo scontro con la realtà esterna, unito a differenti interessi politico-culturali. Doak Barnett ritiene che il fattore maggiore nella disputa sia stata la divergenza ideologica, anche se avrebbero contribuito altri fattori di ordine politico, economico e culturale. Per Harold Hinton, le ragioni principali del confronto tra Pechino e Mosca stavano nel cosiddetto "Pericolo Giallo" che ancora impauriva l'Unione Sovietica e che si sentiva minacciata dalla vasta popolazione della Cina comunista. In secondo luogo, la Cina comunista credeva che uno scontro con l'Unione Sovietica per quanto riguardava i territori occupati avrebbe avuto un effetto unificante sul popolo cinese. Comunque, a parte l'opinione di questi cinque studiosi, rimane difficile credere che le differenze ideologiche siano state determinanti nel causare il conflitto. La disputa ideologica fu un mezzo nella competizione per ottenere la guida del movimento comunista mondiale e uno strumento per coprire le vere motivazioni. Dal punto di vista di Mosca, una Cina sottomessa a Mosca poteva meglio servire gli interessi dell'Unione Sovietica, garantendo la sua sicurezza ad Est e permettendole di sfruttare le risorse naturali del territorio cinese. Per lo stesso motivo Mosca sarebbe stata contenta di vedere una Cina divisa sotto il suo controllo. In queste circostanze sarebbe stato impossibile per la Cina minacciare la sicurezza dell'Unione Sovietica. Quindi una Cina forte, unita e con un forte carattere anti-sovietico era contro gli interessi di Mosca.
4. La politica estera di Breznev e il sorgere dei tre grandi ostacoli
Soltanto nell'ottobre del 1977 la Cina comunista e l'Unione Sovietica raggiunsero un accordo sulla questione dei confini fluviali. Secondo questo accordo si permetteva alle imbarcazioni cinesi di navigare lungo la rotta di Khabarovsk al punto di congiunzione tra l'Amur e l'Ussuri. Sebbene questo fosse stato solo un accordo tecnico, la stampa occidentale lo considerò come un primo segnale di riavvicinata amicizia tra le due potenze comuniste3 . Il primo turno di negoziati sulla normalizzazione delle relazioni fu invece tenuta il 27 settembre 1979. La Cina comunista li sospese a seguito dell'invasione sovietica dell'Afghanistan nel dicembre 1979 e utilizzò questa situazione per un avvicinamento all'Occidente, in particolare agli Stati Uniti. Nel gennaio del 1980 il Ministero degli Esteri cinese ribadì che non solo l'invasione sovietica in Afghanistan era una minaccia alla pace mondiale, ma anche un ostacolo per i colloqui sulla normalizzazione tra Pechino e Mosca. Proprio a causa dell'invasione in Afghanistan, la Cina sospese il secondo turno dei colloqui con l'Unione Sovietica4 . Il governo cinese pretese che si realizzassero tre condizioni prima della ripresa dei colloqui: primo, Mosca doveva ritirare le sue truppe dalla Mongolia Esterna e ridurre i suoi contingenti di forze al confine; secondo, i sovietici dovevano ritirare le loro truppe dall'Afghanistan; infine, i sovietici dovevano esercitare la loro influenza in modo da convincere le forze vietnamite ad uscire dalla Cambogia. Infatti una delle funzioni del grande spiegamento di forze militari sovietiche in Vietnam era di dissuadere i cinesi dal conquistare questo paese, rendendo così possibile la conquista da parte dei vietnamiti della Cambogia. Mosca ottenne in cambio da Hanoi l'uso delle basi americane a Danang e Cam Ranh Bay, con ciò realizzando il doppio obiettivo di circondare militarmente la RPC dal sud e di interrompere le comunicazioni aeree e navali americane dalle basi nelle Filippine fino al Golfo Persico. Gli eventi successivi dimostrarono invece la debolezza della politica sovietica. L'esercito sovietico non riusciva ad avere ragione dell'Afghanistan. Inoltre non solo non si riusciva ad eliminare i Kmer Rossi alleati di Pechino, ma l'aggressività del Vietnam facilitava gli sforzi cinesi di migliorare i rapporti con gli stati dell'ASEAN.
Era ormai ovvio che Mosca doveva cambiare la sua politica per non rischiare di rimanere totalmente isolata internazionalmente. Il 24 marzo 1982, Leonid Breznev tenne un discorso a Tashkent. I punti più salienti del suo discorso furono: 1) Sebbene Mosca avesse criticato le politiche di Pechino e specialmente la sua politica estera, essa non aveva mai negato che esisteva un sistema socialista in Cina; 2) Mosca non avrebbe appoggiato il cosiddetto "concetto delle due Cine" e avrebbe riconosciuto pienamente la sovranità di Pechino su Taiwan; 3) Mosca non avrebbe fatto alcuna richiesta territoriale alla Cina e sarebbe stata disposta a discutere il problema dei confini e a rafforzare la fiducia reciproca nelle aree confinarie; 4) l'Unione Sovietica sarebbe stata pronta, senza precondizioni, a negoziare relazioni bilaterali con la Cina senza causare danno a paesi terzi5 .
Si arrivò al 4 ottobre 1982 quando una delegazione sovietica con a capo il vice-ministro degli esteri Leonid F. Ilyichev si recò a Pechino per dei colloqui con i rappresentanti del governo cinese guidati dal vice-ministro degli esteri cinese Qian Qichen. I colloqui furono tenuti in assoluto segreto. Da questo momento le conversazioni si sarebbero tenute alternativamente a Mosca e a Pechino.
È interessante cercare di esaminare i vantaggi che le due parti si proponevano di ottenere al tavolo dei negoziati. Dal punto di vista di Mosca le ragioni per la riapertura delle trattative con Pechino potevano essere:
a) L'Unione Sovietica si era sentita a disagio dopo la visita, nel 1972, del presidente Nixon in Cina e, cosa più importante, temeva che quest'ultima preludesse a un fronte unito anti-sovietico nella forma di una coalizione tra gli USA, la Cina comunista, il Giappone e l'Europa occidentale. L'Unione Sovietica avrebbe quindi cercato di rompere questa coalizione richiamando un miglioramento delle relazioni tra Pechino e Mosca.
b) Anche se negli anni '70 l'Unione Sovietica era riuscita a raggiungere gli USA per quanto riguardava la capacità nucleare, tuttavia doveva far fronte a un bilancio per la difesa piuttosto alto. In queste circostanze Mosca era molto preoccupata per l'aumento della capacità di difesa americana sotto l'amministrazione Reagan. Era quindi interesse di Mosca riesumare la "distensione" e incoraggiare l'opinione pubblica americana ad opporsi a Reagan. In questo senso un disgelo nelle relazioni tra Mosca e Pechino avrebbe dato dell'URSS l'immagine di un paese che cercava la pace e avuto un grande impatto sull'opinione pubblica americana.
c) Qualunque ritiro parziale di truppe dal confine sino-sovietico, dall'Afghanistan o dalla Mongolia Esterna avrebbe fatto certamente sentire un certo disagio dal momento che in Europa occidentale si temeva che l'URSS spostasse forze militari verso occidente e che in Giappone non si desiderava di veder realizzata un'alleanza tra la Cina e l'Unione Sovietica. Quindi si sarebbe creata l'impressione che l'URSS volesse giocare la "carta della Cina" per spingere l'Europa occidentale e il Giappone verso la distensione.
d) L'Unione Sovietica desiderava aumentare il suo controllo sul Vietnam, Laos e Cambogia. Se Mosca migliorava le relazioni con Pechino, Hanoi si sarebbe trovata in pericolo nel confrontarsi da sola con Pechino a meno che non seguisse la guida sovietica o facesse sostanziali concessioni al regime cinese.
Sarebbe interessante riuscire a capire perché la Cina comunista era ora disposta ad accettare la proposta di Mosca di ripresa dei negoziati senza considerare le tre condizioni in precedenza ritenute essenziali. È chiaro che negli ultimi anni Pechino aveva manifestato un certo pragmatismo nel tentativo di ottenere assistenza dai paesi esteri per il suo programma di sviluppo delle Quattro Modernizzazioni, mentre il suo internazionalismo era ispirato dalla volontà di aumentare la sua forza economica e militare così come la sua influenza negli affari mondiali. Altre considerazioni potrebbero essere:
a) Il governo cinese mirava a ristabilire la sua posizione di portavoce dei Paesi del Terzo Mondo. Questi paesi non erano stati molto contenti nel vedere il riavvicinamento della Cina comunista con gli Stati Uniti negli anni '70. Per esempio nella guerra civile in Angola il suo appoggio all'UNITA (Unione Nazionale per la Completa Indipendenza dell'Angola), sostenuto anche dagli americani, l'aveva isolata.
b) I comunisti cinesi stavano cercando di prendere un'iniziativa nella relazione triangolare Washington-Pechino-Mosca. Pechino giocò la carta americana negli anni '70 per allontanare una possibile minaccia sovietica. Ma ciò significava che Pechino era diventata un partner passivo in questa relazione a tre6 . Perciò la Cina comunista poteva migliorare i rapporti con Mosca e anche giocare in questo caso la carta sovietica per controbilanciare gli Stati Uniti.
c) La Cina voleva ottenere maggiori aiuti economici e militari dagli Stati Uniti e dal Giappone.
Certamente il governo di Pechino rimase deluso quando i paesi occidentali non furono disposti ad offrire larghe quantità di aiuti economici mentre nello stesso tempo usavano la "carta cinese" nella loro strategia globale anti-sovietica. Grande fu il senso di frustrazione quando il Congresso USA si rifiutò di considerare la Cina comunista come un paese amico. Prova innegabile di questo si ebbe quando il presidente Reagan mise da parte l'accordo di cooperazione sull'energia nucleare tra gli Stati Uniti e la Cina. A questo punto il governo cinese tentò di usare il riavvicinamento con l'URSS come un'arma di ricatto verso gli Stati Uniti e il Giappone in modo da ottenere aiuti militari ed economici.
d) I cinesi avevano capito che con un sistema economico libero sarebbero stati incapaci di mantenere il controllo sulla popolazione. Per mantenere il ruolo guida del Partito Comunista, il governo di Pechino preferiva adottare un sistema economico di tipo sovietico piuttosto che una politica che forse avrebbe salvato il paese ma rovinato il partito. Per adottare un sistema economico come quello sovietico, Pechino aveva bisogno di migliorare le sue relazioni con Mosca7 .
e) Deng Xiaoping aveva sottolineato nel suo discorso di apertura al 12° Congresso Nazionale del PCC che il compito più importante era il raggiungimento delle Quattro Modernizzazioni. A questo scopo serviva una situazione internazionale stabile e in particolare confini sicuri con l'Unione Sovietica. Alla Cina serviva lo sviluppo di un'alta tecnologia e di modelli di gestione moderni. Era quindi naturale che il governo cinese volesse migliorare i suoi rapporti con Mosca per giovare alla sua politica industriale.
f) Il governo della RPC si aspettava che gli Stati Uniti fermassero la vendita di armi a Taiwan e risolvessero il "problema di Taiwan" dopo la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Pechino e Washington. Sia l'amministrazione Carter che quella Reagan respinsero questa richiesta. I cinesi, insoddisfatti, tentarono di fare pressione su Reagan attraverso un riavvicinamento con i sovietici. D'altra parte la politica di Deng Xiaoping a favore degli USA non aveva portato significativi risultati. Alcuni all'interno del partito volevano quindi un cambiamento nella politica e cessare di dipendere dagli Stati Uniti.
5. La perestrojka e la politica estera sovietica. Il nuovo atteggiamento di Gorbacev
II miglioramento delle relazioni tra Mosca e Pechino iniziò nell'era in cui la guida dei due paesi era rispettivamente sotto Breznev e Deng Xiaoping. L'occupazione militare sovietica dell'Afghanistan non aveva solo deteriorato la distensione Est-Ovest e portato ad un isolamento politico dell'Unione Sovietica, ma aveva anche aumentato le spese militari di Mosca e aggiunto un grave peso all'economia sovietica che già si trovava in difficoltà. Breznev decise di allentare la tensione con Pechino per rompere lo stallo politico ed evitare lo sviluppo di relazioni più strette tra la RPC e Washington.
Questa politica fu ereditata da Yuri Andropov, Konstantin Cernenko e Mikhail Gorbacev, i tre segretari del PCUS successi a Breznev. In particolare, Gorbacev intendeva creare un'immagine dell'Unione Sovietica "aperta e amante della pace". Al 27° Congresso Nazionale del PCUS (febbraio 1986) fu adottato un programma rivisto che lo stesso Gorbacev affermava essere di "pace e costruzione". Il 12° Piano Quinquennale, che doveva entrare in vigore quello stesso anno, enfatizzava anche lo sviluppo economico e il miglioramento del benessere della popolazione. Infatti Gorbacev aveva programmato di rinnovare gli impianti di produzione esistenti, migliorare il rendimento economico della scienza e tecnologia e riformare il suo sistema dirigenziale. Per attuare questo programma era necessario al governo di Mosca un ambiente internazionale tranquillo e dei confini pacificati. A tal fine vennero elaborati i principi guida della politica estera sovietica nell'era della perestroika, essi erano:
1) assicurare delle condizioni esterne favorevoli per la costruzione interna, l'eliminazione di minacce di guerre e il rafforzamento delle relazioni e della cooperazione dell'Unione Sovietica con gli altri paesi comunisti;
2) migliorare le sue relazioni con i paesi occidentali sulla base della coesistenza pacifica e della praticità;
3) sviluppare relazioni amichevoli con i paesi del Terzo Mondo;
4) rafforzare i suoi contatti con le forze di sinistra nei paesi non comunisti. È chiaro che in un'era nucleare, in cui l'interdipendenza tra i vari stati era diventata di estrema importanza, i problemi di sicurezza internazionale dovevano essere risolti attraverso diversi mezzi, compresi quelli economici, militari, politici e umanitari. In questo contesto la politica estera sovietica avrebbe dovuto manifestare un alto grado di flessibilità ed essere capace di ragionevoli compromessi8 . D'altra parte la guida di Deng Xiaoping aveva portato in Cina la realizzazione di una politica della "porta aperta" diretta a tutti i paesi stranieri, compresi quelli socialisti.
Nel discorso che fece a Vladivostok nel luglio 1986, Gorbacev annunciò la nuova politica dell'Unione Sovietica nella regione dell'Asia prospiciente al Pacifico, ponendo un'enfasi speciale sulla Cina comunista e il Giappone.
Dal discorso fatto a Vladivostok era chiaro che per promuovere il piano di sviluppo nell'estremo oriente sovietico e realizzare la nuova politica verso i paesi asiatici dell'Oceano Pacifico, l'Unione Sovietica aveva bisogno della Cina. Gorbacev fece anche delle proposte concrete circa le relazioni Mosca-Pechino. Oltre a sottolineare l'importanza dei due paesi socialisti nell'arena internazionale e a rispettare e appoggiare la modernizzazione in Cina, egli si mostrò pronto alla cooperazione nella costruzione della ferrovia tra la Regione Autonoma del Xinjiang Uighur e il Kazakhistan sovietico, nei progetti di esplorazione nello spazio, negli scambi culturali. L'Unione Sovietica propose anche di convocare una conferenza dell'area asiatica del Pacifico sul modello di quella di Helsinki, spiegando che la soluzione delle questioni nel Sud-Est Asiatico dipendevano in gran parte dalla normalizzazione dei rapporti tra la Cina e il Vietnam. Si affermò da parte sovietica che doveva avvenire una riduzione delle forze militari di terra sia da parte cinese che sovietica. Prova della buona volontà di Gorbacev fu l'annuncio del ritiro di truppe dall'Afghanistan entro la fine del 1986. Il significato del discorso di Gorbacev nel processo di normalizzazione è comparabile a quello di Breznev fatto a Tashkent nell'82.
La Cina non aveva mostrato notevoli cambiamenti nella sua politica estera fino al momento in cui annunciò l'adozione di una politica indipendente al 12° Congresso Nazionale del PCC nel settembre del 1982. I punti principali di questa erano:
1) la Cina comunista non si alleerà mai a qualsiasi grande potenza o gruppo di potenze, né cederà alla pressione di alcuna grande potenza;
2) la sua politica estera deriva direttamente dagli interessi fondamentali del suo popolo e del mondo;
3) la sua politica estera è basata su una globale strategia a lungo termine e assolutamente non viene influenzata da vantaggi personali o da provocazioni di qualcuno.
Allo stesso congresso fu anche affermato che la Cina comunista avrebbe da qui in poi migliorato le sue relazioni con gli altri partiti comunisti sulla base dei principi dell'indipendenza, eguaglianza, reciproco rispetto e non interferenza negli affari di ciascuno.
L'iter della normalizzazione delle relazioni tra i due paesi socialisti cominciò a portare risultati concreti nel dicembre del 1984, con la firma di accordi di cooperazione economica, scientifica e tecnica tra la Cina e l'URSS. In occasione del sesto e settimo incontro (1985)9 a livello di vice primi ministri degli esteri per discutere sulla normalizzazione dei rapporti, la Far Eastern Economic Review del 19 dicembre notava che "per la prima volta dall'inizio dei colloqui nel 1982, il comunicato congiunto del 20 ottobre, reso noto al termine del settimo incontro, sostiene il miglioramento nelle relazioni politiche senza legarlo esplicitamente alla risoluzione dei tre ostacoli". Sempre nel 1985 ci fu per la prima volta uno scambio di delegazioni a livello parlamentare tra Cina e Unione Sovietica che era stato interrotto alla metà degli anni '60. Infine fu proprio a New York nel settembre dello stesso anno che i due ministri degli esteri Edvard Shevardnaze e Wu Xueqian, attendendo l'apertura della 40° sessione dell'Assemblea dell'ONU, si scambiarono gli inviti per visitare i loro rispettivi paesi.
Nel gennaio del 1986 un portavoce del Ministero degli Esteri cinese dichiarava che solamente una risoluzione dei tre ostacoli poteva portare ad un riavvicinamento sostanziale tra i due paesi, considerando quest'ultima un punto importante per la sicurezza della Cina e per i "principi della giustizia internazionale" e rifiutando, di conseguenza, il trattato di non aggressione proposto dall'URSS per diversi anni. Nel marzo fu firmato un protocollo a Pechino che prevedeva lo scambio di tecnici e ingegneri, in modo da aumentare l'assistenza tecnologica a molti progetti industriali intrapresi prima del deterioramento delle relazioni sino-sovietiche.
Nell'aprile del 1986 si tenne a Mosca l'ottava sessione dei colloqui sulla normalizzazione. In questa occasione Gorbacev propose al vice ministro degli esteri cinese Qian Qichen un incontro al vertice con Deng Xiaoping, ma la proposta venne rifiutata perché considerata ancora irrealistica. Nel luglio, in seguito ad un altro incidente ai confini del Xinjiang Uighur, Gorbacev assumeva un atteggiamento conciliatorio sulla globalità delle questioni confinarie concedendo che il confine ufficiale passasse lungo il canale di navigazione Xiaoping del fiume Amur e Ussuri. Nel frattempo Deng Xiaoping faceva sapere che un eventuale incontro al vertice sarebbe stato condizionato dalle pressioni che i sovietici avrebbero fatto nel rimuovere le truppe vietnamite dalla Cambogia. Durante la decima sessione dei colloqui tenuta a Mosca, si giunse alla conclusione di un ritiro limitato di truppe dalla Mongolia. Nel febbraio del 1988 Shevardnaze visitava la Cina, incontrandosi con il leader del PCC Deng Xiaoping, il primo ministro Li Peng e il ministro degli esteri Qian Qichen, che da vice-ministro aveva svolto un ruolo importante nelle trattative. Fu quindi raggiunto l'accordo per un incontro al vertice a Pechino previsto per il 15-18 maggio 1989, il primo dopo trent'anni. Nello stesso anno era stato deciso in un incontro tra Vietnam, Cambogia e Laos, il ritiro delle truppe vietnamite dalla Cambogia per il settembre 1989. Nel marzo 1989 l'Unione Sovietica annunciò il ritiro del 75% delle sue truppe dalla Mongolia che sarebbe cominciato in concomitanza della visita di Gorbacev a Pechino.
6. La normalizzazione definitiva e la visita di Gorbacev a Pechino
Secondo il governo di Pechino, la Cina era ormai passata avanti all'Unione Sovietica nei rapporti economici e politici con gli stati asiatici. Mentre l'Unione Sovietica aveva perso la sua credibilità in questi paesi e sentiva un senso di minaccia in Asia, la Cina aveva sviluppato relazioni di amicizia sulla base dei cinque principi della coesistenza pacifica, soprattutto con gli USA, il Giappone e i nuovi paesi industrializzati dell'Asia. È quindi naturale che i sovietici dessero un'importanza prioritaria alle relazioni con la Cina data la funzione e la posizione di questa in Asia, aprendo così una breccia nell'isolamento sovietico10 . Quando Gorbacev visitò la Cina nel maggio 1989, fu emesso un comunicato congiunto in cui il governo sovietico accettava i principi della coesistenza pacifica come base per sviluppare ulteriormente i rapporti tra i due paesi. I risultati di questa visita furono ulteriormente sviluppati con i sei accordi di natura economico-commerciale firmati durante la visita di Li Peng dell'anno successivo. Da questo momento in poi ulteriori progressi sono stati fatti nel processo di riavvicinamento. La normalizzazione ha portato anche a notevoli passi avanti verso una soluzione definitiva della disputa di confine. Nel maggio 1990 il vice-ministro degli esteri sovietico Rogacev annunciò che Pechino e Mosca avevano raggiunto un consenso su circa il 90 per cento del loro confine.
Negli anni passati, l'evento più significativo nelle relazioni tra Pechino e Mosca era stato il negoziato sulla riduzione delle forze armate lungo il loro confine e la promozione della fiducia reciproca in campo militare. Durante la visita di Gorbacev si giunse ad un accordo che prevedeva incontri tra esperti militari e diplomatici di entrambe le parti per risolvere i problemi confinari.
Dopo un breve periodo di relazioni piuttosto tese tra Cina e Russia verso la fine del 1989, dovuto alla caduta dei regimi comunisti dell'Europa dell'Est la cui responsabilità veniva attribuita dal governo cinese principalmente al nuovo processo avviato da Gorbacev, ci fu un miglioramento nei rapporti sino-sovietici in campo politico, economico e della sicurezza. Questo coincise con l'intensificarsi del conflitto tra i sostenitori della linea dura all'interno del PCUS e le forze anti-comuniste guidate da Boris Yeltsin. Il punto culminante dell'avvenuto riavvicinamento tra i due paesi comunisti venne segnato dalla visita a Mosca nel maggio del 1991 del segretario generale del PCC Jiang Zemin.
Ci possono essere tre spiegazioni a questa ripresa di rapporti tra il 1990-1991. Prima di tutto, i sostenitori della linea dura all'interno del PCC avrebbero potuto cercare di incoraggiare e rafforzare le forze comuniste nell'Unione Sovietica. In secondo luogo, Pechino avrebbe potuto instaurare una diplomazia triangolare (il miglioramento dei legami con Mosca avrebbe avuto un'influenza su Washington che aveva interrotto le sue relazioni con Pechino). In terzo luogo, è possibile che Pechino abbia semplicemente sviluppato normali rapporti di cooperazione con un regime straniero trovando solo poi che questo regime stava collassando. Malgrado le dichiarazioni pubbliche di non interferenza negli affari interni dell'URSS, in realtà i leader cinesi erano profondamente preoccupati dagli sviluppi in Unione Sovietica. Entro i limiti imposti da obiettivi politici contraddittori, i cinesi fecero il possibile per sostenere le forze comuniste sovietiche. La Cina perseguì un'abile e complessa politica che cercava di bilanciare due obiettivi in competizione tra loro. Dopo il massacro di Tian'anmen, gli uomini politici cinesi volevano migliorare le loro relazioni con i paesi occidentali per quanto fosse possibile. Un aperto appoggio alle forze comuniste dell'Unione Sovietica avrebbe contraddetto questo obiettivo con possibili conseguenze catastrofiche. Ma, allo stesso tempo, il governo cinese credeva che il collasso del comunismo sovietico avrebbe enormemente rafforzato l'alleanza tra gli Stati Uniti e l'Occidente, creando seri problemi alla Cina.
A testimonianza dell'apprensione che veniva sentita all'interno del partito comunista cinese per i cambiamenti che avvenivano nell'Europa dell'Est, si possono citare i documenti interni che circolarono nel Comitato Centrale del PCC nel dicembre del 1989, intesi a "unificare il pensiero" sui travolgenti fatti di quell'anno. I cambiamenti erano attribuiti a fattori quali l'esistenza di elementi non-comunisti (vale a dire, i seguaci di Gorbacev) all'interno dei partiti comunisti e la forte influenza che aveva l'Unione Sovietica sui partiti comunisti dell'Europa dell'Est. Altri documenti interni che circolarono prima della visita di Li Peng in Unione Sovietica nell'aprile del 1990, erano ancora più categorici: Gorbacev veniva considerato un revisionista che aveva "completamente tradito i principi base del Marxismo-Leninismo. Nella sostanza egli aveva negato la lotta di classe nella sfera internazionale, aveva cambiato il carattere del partito comunista e incrementato la democrazia parlamentare di stile occidentale"11 .
7. Conclusioni
Dal 1974 la teoria dei Tre Mondi, su cui si basava gran parte della politica estera cinese, era servita come scopo per opporsi alle due super-potenze e isolare l'Unione Sovietica, diventata il nemico principale della Cina. Comunque gli sviluppi della situazione internazionale e le dinamiche politiche interne della Cina hanno portato a modificare questo schema. Gli ultimi adattamenti della politica estera cinese hanno segnato un forte distacco da quello che era la strategia del fronte unito rivoluzionario. Invece di essere preoccupato nell'identificare i suoi "amici" e i suoi "nemici", il governo di Pechino adesso, sottolineando la fiducia che riponeva nelle possibilità del proprio paese, stava cercando di mantenere relazioni cordiali, o perlomeno proficue, con tutte le nazioni.
Questa linea politica è stata rafforzata dall'ascesa, nella guida interna del paese, di una leadership pragmatica. Contrariamente a quanto si possa pensare, le recenti risposte positive dei cinesi alle aperture sovietiche e il rinnovo dei negoziati sulle relazioni bilaterali tra i due stati comunisti, non indicano una nuova svolta nella politica estera cinese. Infatti lo sforzo di Pechino di migliorare le relazioni con Mosca è stato piuttosto lo sviluppo logico e anticipato della linea politica estera di "indipendenza e fiducia in sé stessi" della Cina. La politica anti-egemonica fu ristretta a certe situazioni, come la presenza sovietica in Afghanistan e il supposto appoggio degli Stati Uniti all'egemonismo israeliano e sudafricano.
Negli anni '80 apparve una convergenza tra le politiche di Mosca e Pechino o, comunque, esse iniziarono a seguire due linee parallele. Entrambe presero in considerazione la possibilità di riformare da un punto di vista sia politico che economico il sistema stalinista, anche se Gorbacev poneva maggiore enfasi alle riforme politiche senza le quali la perestroika non avrebbe avuto successo, mentre la leadership cinese, sotto la guida di Deng Xiaoping, sottolineava l'importanza primaria delle riforme economiche.
Ma un nuovo fattore nelle relazioni sino-sovietiche e, in generale, nelle politiche globali, è il ruolo sempre maggiore del Giappone per la sua identificazione con Washington e Pechino, la sua forte posizione anti-sovietica, il suo crescente nazionalismo e le aumentate spese per la difesa. Il Giappone, come gli Stati Uniti, è già una grande potenza a livello tecnologico, ma lo diventerà anche dal punto di vista militare? Certo questa rimane una pura ipotesi, ma potrebbe spingere ulteriormente la Cina verso l'Unione Sovietica.
Senza dubbio il governo cinese ha progressivamente preso coscienza della necessità, per un paese di vasta estensione quale è la Cina, di riscattarsi da un ruolo di apparente secondo piano a cui lo stava relegando la potenza economica giapponese nel mondo orientale e, quindi, maggiore sentiva il dovere di misurarsi con quest'ultima.
MONDO CINESE N. 89, MAGGIO-AGOSTO
1995
Note
1 Joyaux, F., La politique extérieure de la Chine
Populaire, Paris, 1983, pp. 10-14.
2 Spence, J.D., The Search for Modern China, New York/London, 1991, pp. 583-586.
3 Lee Deng-ker, The Prospect for Peking-Moscow
Relations, in Issue & Studies, vol. XIX, n. 2, febbraio 1983, pp. 25-38
4 Sino-Soviet Talks Inappropriate Now, in Peking Review, n. 4, (28 gennaio 1980), p. 8.
5 Ying Ch'ing-yao, Three Barriers to PeKing-Moscow
Rapprochement, in Issue & Studies, vol. XIX, n. 9, settembre 1983, pp. 71-88.
6 Yahuda, M., China and the Great Power
Triangle, in Gerald Segal (ed.), The China Factor, New York, 1982, p. 42.
7 Yin Ch'ing-yao, Peking's Foreign Policy after the 12th CCP National Congress: Its Continuity and
Changes, in Issue & Studies vol. XIX, n. 1, (gennaio 1983), p. 38.
8 Pi Ying-hsien, Peking-Moscow Relations since
Gorbachev, in Issue & Studies, vol. XXIII, n. 11, (novembre 1987), pp. 96-114.
9 I colloqui erano cominciati nel 1982 e furono tenuti periodicamente ogni sei mesi, alternativamente a Mosca e a Pechino.
10 Jia Bei, Changing Soviet Relations with Major Powers in the Asia-Pacific
Region, in Guoji Wenti Yanjiu, n. 2, 1991, pp. 20-27.
11 Garver, J.W., The Chinese Communist Party and the Collapse of Soviet
Communism, in The China Quarterly, n. 133, 1993, p. 4.
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