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SAGGI

La politica cinese veso i Paesi africani negli anni '50 e '60

di Simonetta Musso

SOMMARIO: 1 - Primi approcci cinesi verso l'Africa. 2 - Lo sviluppo della politica estera verso i paesi africani: l'era della competizione in Africa. 3 - I contatti sino-africani 1958-1960 e la questione del riconoscimento diplomatico. 4 - Relazioni politiche e culturali con gli Stati dell'Africa occidentale: Guinea, Ghana e Mali. 5 - Relazioni economiche e culturali con l'Africa orientale. 6 - Le relazioni sino-tanzanesi: un caso particolare nella diplomazia cinese. 7 - La competizione africana tra Cina Comunista e Nazionalista. 8 - II viaggio di Zhou Enlai nei paesi dell'Oceano Indiano e in Africa. 9 - Conclusioni sul viaggio africano di Zhou Enlai e i suoi fallimenti. 10 - L'influenza in Africa del riconoscimento francese della Cina. 11 - Delusioni e fallimenti nella politica estera cinese in Africa.

ABBREVIAZIONI

NCNA  New China News Agency
ONU  Organizzazione delle Nazioni Unite
PR  Peking Review
RMRB  Renmin Ribao (Quotidiano del Popolo)
ROC  Repubblica di Cina
RPC  Repubblica Popolare Cinese
SCMP  Survey of China Mainland Press


1 - Primi approcci cinesi verso l'Africa

Fin dalla sua fondazione, la Repubblica Popolare Cinese si era trovata ad essere isolata internazionalmente soprattutto a causa della politica americana del "containment", risoluta a non riconoscere il nuovo stato. L'unico alleato da cui doveva, per forza di cose, dipendere era l'Unione Sovietica. Ma il governo cinese si dovette presto rendere conto che la situazione politica in cui era venuto a trovarsi restringeva di molto le sue possibilità di azione in campo internazionale. La Cina cominciò a mostrare interesse prima di tutto verso i paesi del Sud-Est asiatico, partecipando per la prima volta ad una conferenza internazionale quale quella di Ginevra in cui mostrò un ampio atteggiamento moderato e conciliatorio, e in seguito si diresse più specificatamente verso i paesi del Terzo Mondo, in particolare africani, che stavano entrando proprio in quegli anni nella scena mondiale come protagonisti delle proprie politiche. Quest'ultimi in realtà potevano offrire maggiori possibilità alla Cina per il miglioramento della sua posizione internazionale ancora delegittimizzata. D'altra parte, negli anni '50, il governo cinese sentiva con particolare preoccupazione la necessità di uscire da quell'isolamento e da un senso di pericolo che gravava sui suoi confini risultato della politica estera americana che, muovendosi in senso anti-comunista, appoggiava Formosa, punto strategico per la sicurezza americana, e procedeva anche ad organizzare alleanze militari con gli stati limitrofi alla Cina (S.E.A.T.O.). Appariva chiaro come, ormai, la divisione del mondo in due blocchi doveva essere superata per tutelare meglio gli interessi vitali della Cina. Di conseguenza il governo cinese cercherà alleanze dove prima non aveva tentato: Bandung offrirà queste nuove possibilità di apertura e sarà il trampolino di lancio per precisare e rafforzare il suo ruolo sulla scena internazionale, e dove i delegati cinesi daranno prova di un'intensissima attività nello stabilire contatti con tutte le delegazioni, sia comuniste che neutrali.

Al momento della fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, solo quattro Stati africani (Egitto, Liberia, Etiopia e Sud Africa) erano indipendenti. La politica estera cinese, stante la lotta contro l'isolamento che la Repubblica Popolare dovette sostenere ai suoi inizi, non poteva quindi interessarsi molto ai paesi africani.

L'interessamento cinese per l'Africa si intensificò in coincidenza con la Conferenza di Bandung (1955). Zhou Enlai e Nasser ebbero dei colloqui alla conferenza e ci furono anche frequenti contatti tra le delegazioni cinesi ed egiziane1 . I colloqui Sino-Egiziani gettarono le basi per l'apertura di un ufficio commerciale cinese al Cairo otto mesi dopo. Zhou Enlai inoltre invitò tutti i delegati presenti a Bandung a visitare la Cina, ma l'invito fu accettato solamente dagli Egiziani che continuarono le discussioni sulla collaborazione commerciale e culturale. Questo portò allo stabilimento di una missione cinese al Cairo.

All'epoca il Cairo era un crocevia di traffico politico, sede del quartier generale dell'Organizzazione di Solidarietà dei Popoli Afro-Asiatici e anche punto di riferimento per alcuni movimenti di liberazione africana che vi avevano le loro rappresentanze. Nel 1956, le missioni culturali cinesi non visitarono solo l'Egitto ma anche il Sudan, il Marocco, la Tunisia e l'Etiopia. Nel 1957 la Cina intensificò i suoi scambi culturali con l'Africa e il suo stand alla fiera del commercio a Casablanca in Marocco diede una buona impressione sui risultati raggiunti.

Ciò nonostante questa apertura non fu sufficientemente sfruttata: fu l'Unione Sovietica a donare armi a Nasser sul finire del 1955 mentre l'appoggio cinese alla nazionalizzazione del canale di Suez da parte del presidente egiziano fu piuttosto debole2 .

2 - Lo sviluppo della politica estera verso i paesi africani: l'era della competizione in Africa

In Africa, Cina e Unione Sovietica si fronteggiarono in una competizione amichevole molto ampia, che comprendeva la distribuzione di propaganda sia attraverso carta stampata che radio, lo scambio di studenti, mostre, inviti a gruppi e a singoli individui a visitare i rispettivi paesi e infine lo stanziamento di aiuti economici. Ma fin dall'inizio l'approccio delle due potenze fu differente. I sovietici, per esempio, invitavano a Mosca solo gruppi di élite, mentre i cinesi estesero l'invito nella loro capitale a qualsiasi africano volesse andare e avesse ottenuto il permesso dal suo governo. Così, nel 1960, non meno di 113 delegazioni africane, compresi anche dei gruppi provenienti da paesi come il Gabon, Dahomey e Costa d'Avorio i cui governi riconoscevano Taiwan, visitarono la Cina. Nel 1960 fu fondata l'Associazione di Amicizia per il Popolo Africano e Cinese che aveva il compito di organizzare le visite di funzionari cinesi nei paesi africani e viceversa. Ma fu soprattutto nel campo degli aiuti economici allo sviluppo di questi paesi che la Cina cercò in modo più marcato di fare una distinzione tra il suo approccio e quello dell'Unione Sovietica. In termini rivoluzionari la Cina sperava di portare come esempio la sua rivoluzione nei paesi ancora in cerca della propria indipendenza. Allo stesso modo i cinesi sostenevano che le loro esperienze per quanto riguardava lo sviluppo rurale dei paesi africani erano più adatte del modello di industrializzazione sovietico. Di conseguenza essi sottolineavano il valore dei bassi investimenti, del lavoro intensivo, dei progetti per piccole industrie. Agli inizi dei loro contatti con l'Africa, i russi, invece, raccomandavano un'industrializzazione veloce e i loro progetti di aiuti tendevano ad influenzare l'economia totale. L'Unione Sovietica, a differenza della Cina, diede il via a prestigiosi progetti come la diga di Assuan in Egitto e le acciaierie di Bihar in India. Questo ovviamente rifletteva il dislivello nella disponibilità di risorse da destinare all'estero tra i due colossi comunisti, ma anche una diversità di approccio ideologico: i sovietici calcolavano che la loro industrializzazione avrebbe portato alla formazione di un proletariato industriale che a sua volta avrebbe rovesciato i governi nazionali borghesi esistenti; i cinesi, al contrario, scoraggiavano l'industrializzazione per la ragione che la loro rivoluzione era stata essenzialmente una rivoluzione di contadini.

La Cina invece non mirava unicamente ad una diplomazia a livello ufficiale ma voleva far presa anche e soprattutto sul popolo a livello ideologico. Le tecniche e i mezzi usati erano le trasmissioni radio, il materiale di lettura e i contatti personali3 . I programmi di Radio Pechino consistevano in una combinazione di notizie e commentari, a carattere fortemente ideologico, con contenuti volti principalmente ad introdurre gli sviluppi della Cina comunista in Africa, oltre a discutere le politiche interne ed estere di Pechino. Tuttavia, in generale, la risposta africana a questo tipo di propaganda fu molto limitata. La radio era ancora un bene di lusso e quindi l'ascolto raggiungeva solo determinate classi sociali mentre la stazione radio straniera tradizionale continuava ad essere la BBC, fonte principale delle notizie dall'estero. I cinesi usarono anche la carta stampata per raggiungere i popoli africani. Ad eccezione del Kenya (dove erano state proibite tutte le pubblicazioni cinesi e il loro possesso era punibile con il carcere) in numerose parti dell'Africa si potevano ottenere piuttosto facilmente traduzioni in swahili della PR, delle opere di Mao e di altro materiale letterario cinese. Ma anche qui non ci fu una risposta soddisfacente da parte africana. Per quanto riguarda i contatti personali, solo in Tanzania la presenza cinese fu evidente e concreta, soprattutto intorno alla metà del 1968, periodo in cui numerosi tecnici cinesi vi lavorarono per progetti di assistenza. Mentre di solito il comportamento dei tecnici stranieri in territorio africano era di netta separazione fisica dalla popolazione indigena e con scarsa integrazione sociale, i cinesi invece furono elogiati proprio perché questo con loro non avveniva. Inoltre venivano ammirati per la loro frugalità e le loro qualità di grandi lavoratori.

La tecnica degli scambi culturali della Cina comunista fu ben dimostrata alla Seconda Conferenza degli Scrittori Afro-Asiatici tenuta al Cairo nel febbraio 19614 . I cinesi offrirono numerose borse di studio agli studenti africani. Nell'aprile del 1961 l'Agenzia di Stampa Nuova Cina riportò che studenti provenienti dalla Somalia, Kenya, Zanzibar, Chad, Ghana ed Uganda avevano formato una "Unione di Studenti Africani in Cina"5 .

L'anno 1960 vide la concessione dell'indipendenza politica a diciassette paesi africani, portando il numero totale degli stati indipendenti in Africa a ventisei. Adesso i cinesi dovevano scegliere se riconoscere gli stati di nuova indipendenza o meno, decidere se in base alla loro analisi ideologica i nuovi stati africani potevano essere accettati e trattati come uguali. Essi non potevano che decidere, in termini di convenienza, di offrire un immediato riconoscimento diplomatico esprimendo la speranza che tale riconoscimento venisse reciprocato. Questo era di estrema importanza in vista dello sforzo della Repubblica Popolare Cinese di ottenere la rappresentanza alle Nazioni Unite e contrastare il regime di Taiwan. Quanti dei nuovi stati fossero indipendenti realmente poteva esser valutato dalla loro reazione alle potenze imperialiste6 . Ad ogni modo la politica della Cina rimase essenzialmente pragmatica. Gli strumenti politici che erano già stati sviluppati continuarono ad essere usati. Lo scambio di delegazioni tra Cina e paesi africani rimase alto, il volume degli scambi aumentò e in Cina si riteneva fosse ormai necessario entrare nella competizione per gli stanziamenti di aiuti economici, malgrado la disastrosa situazione economica interna di quegli anni (1959, 1960 e 1961), per non rimanere al di fuori di un nuovo possibile assetto internazionale. Dovevano essere adottate nuove tattiche per contrastare il tentativo degli Stati Uniti di tenere la "guerra fredda fuori dall'Africa" (eufemismo, secondo i cinesi, per tenerne fuori il comunismo). L'Africa divenne così, in un certo senso, un terreno di battaglia tra gli stati occidentali e il blocco socialista. A seguito della rottura tra Cina e Unione Sovietica la competizione sarebbe diventata tripolare7 .

La strategia che doveva essere adottata, secondo i cinesi, dalle forze della "pace" nel loro confronto con l'imperialismo differiva da quella dell'Unione Sovietica. Essi sostenevano che al momento la situazione era favorevole alla lotta per la pace e che il movimento democratico nazionale in Asia, Africa e America Latina era un'importante forza in difesa della pace mondiale. I cinesi mettevano sull'avviso che un accomodamento con l'imperialismo sarebbe stato dannoso non solo alle lotte di liberazione nazionale ma anche agli stessi interessi della Cina, in contrasto con l'Unione Sovietica che sottolineava invece la possibilità e la desiderabilità di un rilassamento della tensione mondiale risolvendo le questioni attraverso negoziati con l'imperialismo.

La maggior parte delle élites africane però, politiche e intellettuali, avevano delle riserve ad accettare pienamente il modello di sviluppo cinese dato il suo carattere troppo radicale. La politica cinese determinata a contare unicamente sulle proprie forze e sui risultati politici ed economici ottenuti era percepita come un esempio che poteva adattarsi alle realtà africane di quegli anni. Ciò che ad esempio deploravano i gruppi sia politici che intellettuali dell'Africa era la mancanza di spirito e l'assenza di organizzazione. Tutto questo fu trovato nel modello cinese. Nel costruire un legame tra Pechino e l'Africa, l'enfasi fu data in primo luogo alla comune esperienza di soggiogazione e di sfruttamento da parte dell'imperialismo, passato e presente, europeo e americano.

La campagna di Pechino per imporre la sua guida sull'Africa rappresentava comunque un obiettivo a lungo termine. L'obiettivo più pressante a breve termine era quello di ottenere un più vasto appoggio internazionale e il riconoscimento del Governo della Repubblica Popolare Cinese come l'unico governo legittimo della Cina. Questo significava lo stabilimento di relazioni diplomatiche con i paesi africani e il loro ultimo sostegno all'interno di organismi internazionali. Se Pechino si fosse assicurata il completo appoggio di tutte le nazioni africane, Taipei avrebbe avuto grosse difficoltà nel mantenere il suo seggio all'ONU. Comunque sia, Pechino non ottenne molto successo in questo campo. Nell'agosto del 1963 erano solo dieci le nazioni africane che avevano riconosciuto la Repubblica Popolare Cinese. Nel voto per la rappresentanza cinese all'ONU nel 1962, Pechino ebbe l'appoggio di sole 14 nazioni africane.
D'altra parte, dato che la Cina ormai non poteva più fare affidamento sull'aiuto militare ed economico sovietico, l'alternativa era di costruire nuove alleanze anche se potevano risultare parziali e imperfette. Dato che la Cina aveva deciso di non ammorbidire la sua posizione politica e continuare su una linea dura nella conduzione dei suoi affari con l'estero, le alternative erano limitate. Per l'Africa ciò significava che:

1) la Cina stava cercando amici dove non aveva cercato prima;
2) aveva bisogno ancora di provare che il suo prospetto rivoluzionario era corretto. Se ci fosse riuscita avrebbe potuto conquistarsi alleati in Europa orientale così come nella stessa Unione Sovietica, in modo da arginare il potere sovietico contro di lei;
3) avrebbe potuto rafforzare la sua posizione politica di fronte all'Unione Sovietica se avesse avuto un'influenza maggiore sui leader africani dai quali anche Mosca cercava favore;
4) preferiva delle azioni che avrebbero potuto coinvolgere gli Stati Uniti (o anche l'Unione Sovietica) in un conflitto africano. Una lunga guerriglia che avesse allentato la pressione americana (o sovietica) sui confini cinesi, sarebbe stata la cosa migliore;
5) sarebbe così potuta entrare in competizione con gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica per quanto riguardava le risorse africane;
6) aveva maggiori possibilità di comprare e vendere in Africa;
7) avrebbe progressivamente assunto una posizione in disaccordo con quella dell'Unione Sovietica, facendo maggior affidamento sulla lotta, l'azione di massa e appelli per un'azione concertata anti-imperialista;
8) avrebbe tentato di ostacolare le contromanovre sovietiche e i suoi sforzi di estendere l'influenza di Mosca in Africa8 .

L'Africa diventava anche, per così dire, un nuovo campo di battaglia per la "guerra civile cinese". Il maggior teatro di conflitto tra i cinesi comunisti e quelli nazionalisti era stato trasferito dal territorio cinese a quello estero. Il mondo forniva ora l'arena su cui le due contendenti competevano per la supremazia. Il Medio Oriente, il Sud-Est Asiatico, l'America Latina e altre regioni avevano sperimentato la competizione cinese ma da nessuna parte la rivalità era diventata tanto intensa quanto in Africa. Sia Pechino che Taipei erano profondamente coinvolte su questo continente. Per Taipei questa non era che una lotta per la sopravvivenza. Per Pechino era lo stesso ruolo della Cina come guida del mondo afro-asiatico e dell'America Latina ad essere in gioco9 . Lo sforzo cinese per assicurarsi un riconoscimento diplomatico doveva scontrarsi con Taiwan che già manteneva relazioni diplomatiche con il Sud Africa, la Libia, la Liberia e la Tunisia. Pechino, naturalmente, vedeva il successo di Taiwan come risultato non dei suoi stessi sforzi ma delle pressioni degli stati occidentali. In qualche caso, il non-riconoscimento di Pechino fu il risultato dell'appoggio che questi diede alle attività rivoluzionarie dei gruppi di opposizione in quel determinato paese, come avvenne in Camerun e, più tardi, nel Congo Leopoldville.

3 - I contatti sino-africani 1958-1960 e la questione del riconoscimento diplomatico

Tra il 1958 e il 1960 i contatti cinesi con gli africani crebbero rapidamente. Le delegazioni africane che visitarono la Cina furono diciotto nel 1958, trentanove nel 1959 e raggiunsero addirittura il numero di ottantanove nel 1960. Il partito comunista cinese stava cercando di rafforzare la sua posizione in vista della prossima conferenza a Mosca del novembre 1960 che avrebbe dovuto riunire tutti i partiti comunisti. Il numero dei contatti con gli specifici movimenti nazionali africani era strettamente correlato alle relazioni politiche. Le relazioni con l'Egitto furono interrotte nel 1959 a causa della posizione di quest'ultimo a favore dell'India e in appoggio del Tibet, così tutti i contatti tra le delegazioni furono vanificati. D'altro lato l'attrazione della Cina per i movimenti rivoluzionari in Algeria e in Camerun era dimostrato dal fatto che tredici dei trentanove gruppi africani giunti in visita nel continente cinese nel 1959 provenivano da questi due paesi. Infatti il pronto riconoscimento di Pechino del Governo Provvisorio della Repubblica Algerina fu uno dei primi segni che la posizione cinese sull'Africa si distingueva da quella dell'URSS. Infatti la Cina si impegnò a sostenere la lotta algerina e questo fu il suo primo coinvolgimento in una guerra anti-coloniale in suolo africano.

Pochi giorni dopo che era stato proclamato il governo provvisorio della Repubblica algerina, la Guinea ottenne l'indipendenza e la Cina le diede il suo immediato riconoscimento. Il Marocco invece aveva stabilito relazioni diplomatiche con la Cina nel 1958.

La posizione strategica del Congo fece assumere al paese un'importanza particolare per quanto riguardava la politica estera sia della Cina sia dell'Unione Sovietica, soprattutto durante il periodo di anarchia che seguì all'indipendenza accordata nel giugno del 1960. La Cina vedeva nel Congo una possibilità di coinvolgere in Africa gli Stati Uniti. Infatti il desiderio di impegnare gli americani militarmente su altri fronti era una delle preoccupazioni principali del governo cinese il quale cercava ogni possibilità per alleggerire il senso di minaccia ai suoi confini. Ma entrambe le potenze comuniste fecero l'errore di non considerare l'opinione pubblica africana moderata che, come aveva dimostrato la votazione all'ONU, era favorevole ad un veloce ritorno alla stabilità. Così l'intervento delle forze dell'ONU in Congo provocò solo la denuncia da parte sia cinese che sovietica dell'imperialismo statunitense accusato di strumentalizzare l'organizzazione internazionale. Con l'assassinio del primo ministro congolese Lumumba, Gizenga del Partito di Solidarietà Africana formò un suo proprio governo in Stanleyville, riconosciuto sia dall'Unione Sovietica che dalla Cina come unico governo legittimo10 . Ma più tardi i sovietici stabilirono relazioni con il governo centrale e moderato di Leopoldville, spostando qui la loro ambasciata. Pechino non poteva instaurare invece alcun rapporto con il governo di Leopoldville in quanto quest'ultimo aveva riconosciuto la Cina nazionalista.

Quando la disputa sino-sovietica si fece più aperta, sia Mosca che Pechino cercarono di prevalere l'una sull'altra denunciando le rispettive politiche in Congo. I cinesi criticavano i sovietici per lo scarso entusiasmo rivoluzionario e videro nell'intervento dell'ONU la prova di un complotto sovietico-americano. In realtà le aspettative cinesi riguardo alla situazione africana erano scarse, poiché le masse non erano ancora conscie in senso rivoluzionario, le tecniche di guerriglia povere e la leadership debole. Ma c'erano altre considerazioni da fare, cioè l'incapacità della Cina, per ragioni logistiche ed economiche, di mantenere le sue promesse; l'assenza di gruppi di opposizione validi in certi paesi; il desiderio di mantenere relazioni come stato con alcuni governi, ostacolando di conseguenza il sostegno ai vari movimenti dissidenti, la credenza tra i capi che avevano liberato i loro paesi dal dominio coloniale che essi avessero conquistato nei fatti una "vera indipendenza" e non avessero bisogno quindi dell'assistenza cinese per ottenere "ulteriori vittorie"11 .

Nel gennaio del 1960 è invece Taiwan a volgersi verso i paesi dell'Africa occidentale, mandando delle delegazioni a livello di amicizia in modo da gettare le basi per un futuro riconoscimento da parte di quegli stati che presto sarebbero diventati indipendenti. Così furono stabilite relazioni diplomatiche con il Camerun e la Liberia. Pechino denunciò le manovre di Taiwan come "un tentativo imperialista di sabotare l'amicizia tra i cinesi e il popolo africano" e di promuovere in questo modo la politica delle "due Cine", mentre il solo governo legittimo rimaneva unicamente quello della Repubblica Popolare Cinese con i suoi 650 milioni di abitanti12 .

Nel 1960 dei diciassette stati africani che ottennero l'indipendenza politica, solo il Mali e la Repubblica di Somalia riconobbero la Cina. Non si può considerare tutto ciò come un totale fallimento della politica cinese in Africa. Se si prende in esame l'atteggiamento cauto con cui la maggior parte dei regimi africani considerarono la questione del riconoscimento cinese all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite dell'autunno del 1960, il risultato non fu così dannoso come poteva sembrare13 . Gli Stati Uniti si trovarono per la prima volta a dover fronteggiare le opposizioni di alcuni stati, in questo caso il Mali, il Senegal e la Nigeria (gli ultimi due non avevano ancora riconosciuto Pechino) mentre altri dodici stati africani si astennero. Era chiaro che il governo americano fu particolarmente toccato da questi nuovi e forse inaspettati atteggiamenti politici. Anche se l'apprensione americana per questo stato di cose cresceva, i cinesi sapevano che la diminuzione dell'influenza degli Stati Uniti nelle votazioni dell'ONU non significava che la loro ammissione all'interno di tale organismo fosse imminente14 .

Il caso del Ghana fu particolarmente interessante dato che Nkrumah rifiutò di riconoscere la Cina dopo l'indipendenza nel marzo 1957. Questa posizione fu sostenuta fino al luglio 1960. Le ragioni che avevano portato al riconoscimento della Cina erano sia esterne che interne. In primo luogo il radicalismo competitivo con la Guinea richiese che l'atteggiamento moderato del Ghana su certe questioni, come il ruolo del Sud Africa nel Commonwealth e il non-riconoscimento del governo algerino in esilio, doveva essere abbandonato. In secondo luogo la presenza di giovani radicali nel Ghana che spingevano per l'instaurazione di contatti diplomatici con la Cina favorì ulteriormente il riconoscimento al governo cinese. Era ovvio che i leader dei nuovi stati africani considerassero gli interessi dei loro paesi prima di esporsi troppo in campo internazionale, dove poteva diventare pericoloso per loro entrare nel complicato gioco della diplomazia Est-Ovest e quindi preferivano ancora rimanere legati alle vecchie potenze coloniali di cui ormai conoscevano bene i propositi.

Nel marzo 1961 il Senegal riconobbe il governo di Pechino e quello del Vietnam del Nord. Tuttavia non furono instaurate relazioni diplomatiche dal momento che il Senegal continuava ad intrattenere rapporti con Taiwan. Se la Cina avesse accettato contatti a livello diplomatico con questo paese, ciò avrebbe significato un'enorme contraddizione alla sua politica di opposizione alle "due Cine" e avrebbe influenzato la sua attitudine su molte questioni internazionali. La questione del riconoscimento diplomatico aveva coinvolto anche altri due stati nel 1961, il Congo, già precedentemente menzionato, e il Tanganyka.

Il Tanganyka ottenne l'indipendenza il 9 dicembre 1961 e il primo ministro Julius Nyerere decise di stabilire con la Cina rapporti diplomatici. A quel tempo Nyerere era considerato uno tra i leader africani moderati e il riconoscimento fu concesso in parte per sottrarsi alle pressioni che provenivano dai radicali e in parte perché in fondo era illogico non riconoscere un paese di così grande estensione come la Cina. Come risultato di tutto ciò si ebbe che, alla fine del 1961, otto su ventinove stati indipendenti africani avevano riconosciuto la Cina. In considerazione della sua rappresentanza alle Nazioni Unite, la Cina mirava a persuadere quanti più possibili stati africani a votare a suo favore e, se non le riusciva, almeno tentare di far rifiutare il voto a sostegno della posizione degli Stati Uniti che a sua volta appoggiava Taiwan. Infatti nella votazione del 1961 nove paesi africani si opposero alla risoluzione cinese, dieci appoggiarono Pechino e dieci si astennero15 . Tutti quelli che si astennero erano francofoni.

Il 1962 vide il riconoscimento formale dell'indipendenza algerina da parte della Francia e l'indipendenza dell'Uganda. Il governo algerino riconobbe formalmente la Cina, continuando così di fatto quel riconoscimento che gli era stato garantito già dal Governo Provvisorio. Il 18 ottobre anche l'Uganda assicurò il suo riconoscimento alla Cina. Nei dibattiti alle Nazioni Unite del 1962 il numero dei paesi africani che votarono per Pechino aumentò fino a un totale di quattordici con le sole astensioni di Nigeria e Togo. Ciò nonostante il risultato finale fu sconcertante. Mentre solo nove stati avevano votato contro Pechino nel 1961, adesso erano diventati sedici grazie al fatto che i paesi francofoni, di cui la maggioranza si era astenuta nel 1961, votarono adesso contro di lei. L'opposizione del Camerun e del Congo Leopoldville potrebbe essere spiegata come protesta al sostegno di Pechino per i rivoluzionari in quei paesi, mentre gli altri seguirono semplicemente la loro guida francese.

4 - Relazioni politiche e culturali con gli Stati dell'Africa occidentale: Guinea, Ghana e Mali

Lo sforzo per assicurarsi il riconoscimento diplomatico e la rappresentanza alle Nazioni Unite costituì nel primo periodo un aspetto minore della politica cinese in Africa. I cinesi dovevano riconoscere che ancora non vi erano molti leader "progressisti" e che anche coloro che lo erano avevano per il momento altre questioni di cui preoccuparsi. La Cina diede un'immagine di se stessa in questi tre stati dell'Africa occidentale come paese rivoluzionario e anti-coloniale nel pieno del suo sviluppo. A parte la solidarietà basata sul comune terreno dell'anti-colonialismo, la Cina cercò di aumentare le posizioni anti-occidentali di questi stati e di portarli a sostenere posizioni simili alle sue su questioni di interesse internazionale (pace, disarmo, anti-colonialismo e indipendenza economica). Cercò anche di interessarli ai problemi asiatici per assicurarsi che in caso di crisi la voce africana appoggiasse la sua evitandole così un isolamento e una condanna generale. Nell'estate del 1960 l'attività politica in Africa si estese. Uffici dell'Agenzia di Stampa Nuova Cina vennero stabiliti a Conakry, Rabat e Accra (rispettivamente in Guinea, Marocco e Ghana) con sempre maggiori preoccupazioni da parte degli occidentali16 .

In settembre il presidente Sekou Touré visitò la Cina e questa fu la prima visita di un capo di stato africano nella Repubblica Popolare. Egli con molta enfasi affermò che la sua delegazione era venuta per "prendere esempi che potessero essere applicati alle condizioni attuali della lotta africana... Riconosciamo il grande contributo della vostra rivoluzione e l'incessante sforzo che avete fatto per eliminare le barriere della miseria e della guerra, a beneficio della giustizia e della pace"17 . Gli accordi firmati con la Guinea aprirono la strada ad altri firmati con il Ghana, il Mali, il Congo (B) e la Tanzania. La visita di Sekou Touré in Cina e gli accordi che ne risultarono segnarono un punto di svolta nella politica cinese in Africa. Ormai si era entrati definitivamente nella competizione con le altre potenze per gli aiuti economici e tecnici. Il miglioramento dell'atmosfera politica e il desiderio di Touré di liberare i territori portoghesi attigui alla sua repubblica facilitò il compito dei cinesi nel provvedere agli appoggi materiali per i nazionalisti di questi paesi attraverso la Guinea. D'altra parte la Cina era stata molto attenta a differenziare i suoi aiuti da quelli dell'Unione Sovietica (offerti in termini più flessibili ed effettuati in modo da non avere un pieno coinvolgimento in quel paese). La Guinea fu anche il primo paese africano a ricevere aiuti "civili" dalla Cina (Egitto e Algeria avevano in precedenza ricevuto aiuti ma di tipo militare). I prestiti avvenivano sempre senza interessi, al contrario di quelli sovietici; oltre a ciò ci si accordò perché gli esperti cinesi non ricevessero un salario più alto di un funzionario della Guinea. Era chiaro che si voleva mettere in evidenza il contrasto tra i semplici standard di vita dei cinesi e lo stile di vita "coloniale" per il quale erano stati criticati i tecnici sovietici e quelli occidentali.

Al suo ritorno da Pechino, Touré mise in atto una linea politica a favore dei cinesi decisamente più marcata, riferendosi nei suoi discorsi all'occupazione illegale degli imperialisti americani a Formosa e contrastando la linea sovietica della coesistenza pacifica. Per quanto la Cina potesse elogiare il suo modello di sviluppo economico e portarlo come esempio, in contrasto a quello sovietico, ai paesi africani poveri e rurali, le sue capacità rimanevano limitate da circostanze interne. La Cina di questi anni era caduta in una profonda crisi economica dovuta a diversi fattori concomitanti: calamità naturali che devastarono intere regioni, ritiro dell'assistenza sovietica e fallimento del Grande Balzo in Avanti. Da ciò consegue che sia la preoccupazione per gli affari interni del paese sia l'impoverimento delle risorse disponibili per il piano di aiuti all'estero portavano la Cina ad essere necessariamente molto selettiva nella scelta dei suoi beneficiari. Malgrado ciò però, l'Africa era ormai diventata un terreno politico troppo importante nell'ottica cinese per poter essere totalmente abbandonata.

Il riavvicinamento politico tra il Ghana e la Cina nel 1961 avvenne sia per un cambiamento di orientamento politico all'interno di questo stato africano e sia a causa dell'influenza delle attività cinesi tra i giovani radicali del Partito della Convenzione del Popolo. Nel luglio del 1960 Nkrumah aveva già riconosciuto la Cina, ma la sua politica nei confronti del Congo aveva mostrato la sua divergenza da quella cinese. Infatti egli diede il suo pieno appoggio alla spedizione di truppe ONU in Congo nella speranza che così si sarebbe potuto restaurare l'ordine senza che ci fosse l'intervento delle grandi potenze. Il fatto che l'intervento dell'ONU si fosse risolto sostanzialmente in un intervento delle potenze occidentali tradendo le aspettative di Nkrumah fece sì che questi cambiasse il suo atteggiamento in campo internazionale. La svolta definitiva di Nkrumah avvenne dopo l'assassinio di Lumumba. Fu in questa situazione che Nkrumah decise di estendere alla Cina la visita che stava compiendo nei paesi socialisti nell'estate del 1961. Come Sekou Touré prima di lui, egli rimase favorevolmente impressionato dall'accoglienza ricevuta, concludendo anch'egli la sua visita con la firma di trattati di amicizia e di cooperazione economica e culturale.

Dopo la spaccatura della Federazione del Mali in Senegal e Repubblica del Mali, nell'ottobre del 1960, Modibo Keita, nuovo presidente del Mali, decise di garantire il riconoscimento ufficiale della Cina e furono stabilite relazioni diplomatiche con quest'ultima. Altre iniziative cinesi in questa parte del continente africano comprendevano l'annuncio di un prestito di 17 milioni di sterline all'Algeria nell'ottobre del 1963. Si dovette aspettare un altro anno per decidere le modalità del prestito, cosa che irritò molto gli algerini dato che avevano urgente bisogno di quei soldi. Nel 1966 solo un milione dell'intero prestito era stato stanziato e solo dopo la Rivoluzione Culturale i cinesi furono in grado di mantenere completamente il loro impegno preso una decina di anni prima. Il denominatore comune che appare legare principalmente questi paesi dell'Africa occidentale alla Cina sembra essere la comunanza di un'ideologia più o meno rivoluzionaria, antimperialista e anticolonialista che la Repubblica Popolare Cinese usava quasi fosse la sua carta vincente in politica estera, ma che peraltro le precluse altre strade africane.

5 - Relazioni economiche e culturali con l'Africa orientale

La prima grande iniziativa di aiuti in Africa orientale fu presa nel settembre del 1963 con un prestito alla Somalia, a cui fece seguito la visita a Pechino del primo ministro Shermarke. Questo prestito fu dato per riequilibrare il deficit della Somalia e forse anche in segno di gratitudine per aver permesso la trasmissione di programmi radio cinesi da una stazione che si trovava a Mogadiscio, una delle più potenti in Africa. Ma fu probabilmente anche dovuto al crescente interesse sovietico nel corno d'Africa, esso stesso causato dal ritiro dell'assistenza occidentale alla Somalia. In questa parte dell'Africa la presenza economica della Cina diede i suoi frutti concreti e mostrò le sue potenziali capacità. Simbolo di ciò fu la ferrovia che doveva unire la Tanzania allo Zambia.

Sebbene limitati, gli aiuti cinesi avevano avuto un loro impatto sia politicamente che economicamente, proprio perché la loro distribuzione in generale aveva avuto un carattere più selettivo che estensivo. Gli stati africani orientali risposero in modo diverso all'interazione economica con la Cina, portando avanti politiche simili o differenti a seconda dei bisogni individuali. Nel campo commerciale sia Kenya che Tanzania e Uganda avevano accettato rapporti con la Cina. Ciò aveva agevolato l'importazione dalla Cina di merci a basso costo. In generale la qualità delle esportazioni cinesi era buona, anche se l'attrazione principale rimaneva il loro prezzo. Se il commercio serviva quindi ai bisogni interni di questi paesi, è anche vero che la Cina forniva un mercato ai prodotti agricoli dell'Africa dell'Est.

Al pari di altri paesi che producevano materie prime, gli stati dell'Africa orientale avevano bisogno di mercati per i loro prodotti agricoli in modo da riuscire a finanziare il proprio sviluppo interno. L'apertura del mercato cinese aveva anche dei risvolti politici non irrilevanti, come l'obiettivo cinese di ampliare i rapporti che questi paesi avevano con l'estero e promuovere un minore grado di dipendenza economica o di altro tipo degli stessi dalle loro tradizionali relazioni coloniali. Per queste ragioni lo sviluppo del commercio con la Cina assumeva un significato non solo economico ma anche politico per gli stati dell'Africa orientale. Però, mentre questi stati erano fondamentalmente d'accordo sulle politiche commerciali da adottare, non c'era unità di vedute per quanto riguardava il riconoscimento politico della Cina. I due punti di vista opposti su questa questione erano stati manifestati dal Kenya e dalla Tanzania. Il Kenya, che rifiutava per presa di posizione ideologica qualsiasi tipo di aiuto da parte dei paesi comunisti, non accettava allo stesso modo quello cinese. La Tanzania invece era l'esatto contrario, dato che era diventata il destinatario principale sia degli aiuti cinesi all'estero che di qualsiasi altra fonte di assistenza.

In Kenya un primo passo verso la normalizzazione dei rapporti con la Cina fu fatto solo all'arrivo del vice primo ministro e ministro degli esteri Chen Yi a Nairobi, nel dicembre 1963, in occasione della proclamazione dell'indipendenza del Kenya. Relazioni diplomatiche con Tanganyka, Uganda e Zanzibar furono stabilite immediatamente dopo la raggiunta indipendenza di queste. Il Burundi decise di stabilire i rapporti con la Cina nel dicembre del 1963 in seguito alla visita della regina del Burundi a Pechino.
Sia l'Etiopia che il Sudan furono visitati da Zhou Enlai durante il suo viaggio politico all'inizio del 1964. Comunque i contatti economici e di assistenza in Sudan non aumentarono in modo notevole anche dopo la visita del primo ministro cinese. Le relazioni con l'Etiopia erano state limitate agli scambi tra delegazioni culturali. La visita di Zhou ad Addis Abeba fu intesa ad assicurare gli etiopici che l'apertura verso la Somalia riguardava unicamente il campo degli affari economici e non intendeva appoggiare le rivendicazioni territoriali della Somalia contro l'Etiopia.

L'interesse cinese nei territori ancora dipendenti da potenze coloniali era ancora molto forte, come nella Rhodesia meridionale, in Mozambico e in Africa sud-orientale. Le enormi difficoltà che si incontravano nel fornire un'assistenza diretta ai movimenti di liberazione nazionale in queste aree limitarono il sostegno cinese soltanto a un pubblico appoggio in linea teorica alle loro lotte. Le ragioni dell'interesse della Cina verso il Sud Africa sono abbastanza comprensibili, data la difesa cinese dei popoli di colore, contraria quindi al regime di apartheid che qui ancora regnava. Meno chiare e difficili da spiegare le sue relazioni economiche con questo paese simbolo della discriminazione razziale. Fin dal 1960 i cinesi avevano annunciato in differenti occasioni la loro determinazione a cessare tutti i contatti commerciali con il Sud Africa, ma in realtà questa decisione non venne mai applicata. Nel 1961 le esportazioni cinesi verso questo paese aumentarono mentre le importazioni declinarono a un livello trascurabile, più a causa delle difficoltà economiche interne della Cina che non di una cosciente e programmata strategia politica. L'anno successivo ci fu un declino nello scambio economico tra i due paesi che dimostrava il progressivo imbarazzo ideologico della Cina specialmente dopo che questa aveva attaccato pubblicamente il governo sudafricano e d'esser stata coinvolta emotivamente in Angola e Mozambico18 . Nel luglio 1963 l'Agenzia di Stampa Nuova Cina rese nota una dichiarazione in cui si annunciava il termine di tutte le relazioni economiche con il Sud Africa. Malgrado ciò però non ci fu mai alcuna indicazione concreta che confermasse la cessazione definitiva dei contatti economici tra i due paesi19 .

L'Egitto, ora Repubblica Araba Unita, era stato il primo paese a stabilire contatti diplomatici con Pechino (1956). Ma questi contatti non avevano avuto un carattere di continuità: la dura politica adottata dal presidente Nasser verso i comunisti locali, benché fosse tollerata dai russi, suscitò forti risentimenti tra i cinesi. La visita di Zhou Enlai al presidente Nasser nel dicembre del 1964 sottolineò soltanto i legami culturali tra i due paesi.

6 - Le relazioni sino-tanzanesi: un caso particolare nella diplomazia cinese

Già si è accennato al fatto che il Tanganyka riconobbe la Cina nel dicembre del 1961. Da questa data fino al 1963 la politica estera cinese fu più o meno come quella verso la Nigeria, descritta dagli occidentali "moderata" e "realistica". Il leader del Tanganyka, Julius Nyerere, era uno degli uomini di stato africani preoccupati maggiormente del fatto che il proprio paese non venisse colpito né dalle mire imperialiste né dai giganti socialisti. Alla Conferenza dell'A.A.P.S.O. tenuta a Mosca nel febbraio 1963, egli affermò che i paesi socialisti stavano per commettere gli stessi crimini delle vecchie potenze capitaliste, cioè l'acquisizione di potere e di prestigio20 . L'aperta competizione tra la Cina e l'Unione Sovietica presto arrivò in Africa e fu intenzione di Nyerere prevenire che la competizione tra Est e Ovest e quella sempre più crescente tra le due potenze dell'Est fosse nociva alle politiche africane. In Tanganyka i cinesi erano già attivi in diverse organizzazioni commerciali. Come concessione all'ala sinistra del governo del Tanganyka, Zhou Enlai fu invitato a visitare questo paese durante il suo viaggio africano. Ma a causa degli ammutinamenti degli eserciti in Uganda, Kenya e Tanganyka, si decise di posporre la visita. Gli ammutinati e la rivoluzione in Zanzibar segnarono un punto di svolta nelle relazioni cinesi con l'Africa orientale. Zhou Enlai era in Ghana il 12 gennaio 1964, quando fu rovesciato il Sultanato di Zanzibar in una violenta rivolta che impressionò tutta l'Africa orientale. La preoccupazione più immediata in Occidente fu se il nuovo regime fosse rimasto amichevole nei suoi confronti o si fosse mosso verso l'orbita cinese. Il 17 gennaio, seguendo l'esempio del Kenya, dell'Uganda e di Cuba, la Cina riconobbe la Repubblica Popolare dello Zanzibar, seguita anche da altri stati socialisti, mentre gli occidentali esitarono a riconoscere il nuovo governo. In Occidente si temeva che lo Zanzibar potesse diventare una Cuba africana. Anche il Tanganyka condivideva le stesse preoccupazioni. Così, secondo le stesse parole del ministro del Tanganyka, per rimuovere il conflitto dalla sua porta di casa fu presa la decisione nell'aprile del 1964 di formare l'Unione del Tanganyka e dello Zanzibar21 . L'ambasciatore cinese He Ying assicurò abilmente al presidente Nyerere l'appoggio della Cina all'Unione. Una volta che Nyerere venne assicurato del completo sostegno del governo cinese alla nuova repubblica africana, He Ying ebbe l'opportunità di preparare il terreno per future attività in quest'area. Comunque l'attuazione dei progetti di aiuto promessi dalla Cina fu anche qui molto lenta. In questo caso il ritardo fu dovuto a problemi economici del paese destinatario. A causa di questo ritardo l'attenzione fu rivolta allora agli aiuti militari. Anche se in Occidente quest'ultima situazione fu accolta con preoccupazione, bisogna anche sottolineare che i cinesi si muovevano con molta cautela quando si offriva loro la possibilità di aiutare con le armi gli "amici africani".

La visita di Nyerere in Cina, nel febbraio 1963 gli fece scoprire la grande somiglianza tra i problemi che sia gli stati africani sia la Cina stavano tentando di risolvere. Sebbene Nyerere fosse stato in parte spinto a visitare la Cina dall'insistenza delle ali più estreme e militanti del suo governo, una volta sul posto si convinse dei metodi di sviluppo cinesi. A sua volta Zhou visitò la Tanzania nel giugno del 1965 prima dell'abortita Conferenza Afro-Asiatica. Questo aiutò a cementare l'amicizia tra i due paesi.

Un eccellente esempio della stretta amicizia che si instaurerà tra la Repubblica Popolare Cinese e la Tanzania rimane il progetto per la ferrovia Tanzania-Zambia, la cui costruzione verrà inaugurata nell'ottobre del 1970. La decisione di impegnare il prestigio e le risorse del governo cinese in questo progetto coincisero con il periodo più aspro della Rivoluzione Culturale. L'attuazione del progetto fu un banco di prova per il governo della RPC che doveva testimoniare sia della sua lealtà verso l'alleanza sino-tanzanese, in particolare, sia del suo ruolo sulla scena mondiale, in generale. Su un altro piano, la ferrovia fu un esempio delle capacità cinesi: ma la Cina possedeva veramente le tecniche manageriali e industriali necessarie per la costruzione di quella ferrovia necessaria allo sviluppo economico e politico dei due stati africani? Era possibile portare avanti un progetto di così vaste dimensioni in un periodo di grave crisi economica interna alla Cina? Era chiaro che l'appoggio cinese a questi due stati che rappresentavano maggiormente le forze di cambiamento in Africa era sia reale che simbolico. Il ruolo simbolico della Cina si poneva in relazione al suo riconoscimento internazionale: la costruzione della ferrovia doveva dimostrare le capacità e il potere della Cina. In secondo luogo l'impegno in questo progetto testimoniava anche il crescente attivismo della Cina in campo internazionale e un cambiamento di vedute nella politica estera globale abbandonando quella sua caratteristica regionale degli anni precedenti volta principalmente ad arginare gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica in Asia.

Infine il progetto rappresentava un trionfo psicologico sia per la Cina che per l'Africa: l'Occidente, con la sua avanzata tecnologia, aveva per lungo tempo dominato sulla maggior parte dell'Asia e dell'Africa. La costruzione della ferrovia, che doveva essere attuata attraverso una cooperazione cino-africana, simbolizzava una fine al dominio e alla superiorità tecnologica dell'Occidente, così come l'avanzamento dello sviluppo tecnologico e economico della Cina e dell'Africa.

7 - La competizione africana tra Cina Comunista e Nazionalista

Abbiamo già fatto cenno come sia i cinesi comunisti che quelli di Taiwan si incontrarono sul suolo africano per tentare di portare a termine alcuni obiettivi di vitale importanza in campo internazionale. Entrambe le due Cine avevano rivendicato il fatto di voler aiutare sinceramente il popolo africano a realizzare i propri ideali. Entrambe avevano tentato di porre il loro paese ancora in via di sviluppo come un esempio da seguire dalle nuove nazioni africane ed entrambe si sentivano vicine ai popoli di colore non essendo esse di razza bianca e non avendo le stesse alcun passato di potenza coloniale. Le similitudini tra le due Repubbliche cinesi non finivano qui, in quanto esse avevano in comune identici motivi e metodi nel conquistare dalla loro parte i paesi africani. A spiegazione di ciò si può vedere come qualsiasi paese africano, al momento della sua indipendenza, riceveva il riconoscimento dei ministri degli esteri di tutte e due le Cine che si aspettavano, a loro volta, il reciproco riconoscimento. Entrambe le Cine avevano intrattenuto numerosi scambi di delegazioni con questi stati e avevano ricevuto capi di stato africani in visita ufficiale. Le relazioni culturali comprendevano anche offerte di borse di studio agli studenti africani nei rispettivi paesi mentre a livello economico erano coinvolte in grandi progetti di aiuti per l'Africa. Solo se si considerano più da vicino le loro attività, allora cominciano ad apparire le differenze. I cinesi comunisti hanno avuto contatti a livello ufficiale e formale principalmente con gli stati più radicali dell'Africa, come i membri del gruppo di Casablanca, mentre mantenevano relazioni non ufficiali e a volte segrete con i movimenti sovversivi o di tendenze di sinistra di altri paesi. I cinesi nazionalisti si sono legati in modo maggiore agli stati moderati, soprattutto a quelli che erano prima sotto la colonizzazione francese e ora si erano riuniti sotto il nome di Unione Africana e Malgascia (U.A.M.)

 

Tabella 1. Paesi Africani che hanno dato il riconoscimento diplomatico (con anno di riconoscimento)

alla Cina comunista

alla Cina Nazionalista

a nessuno dei due

Egitto (R.A.U.) 1956 Sud Africa   Tunisia
*Marocco 1958 Liberia 1957 **Costa d'Avorio
Sudan 1958 Libia 1959 **Niger
*Guinea 1959 **Madagascar 1960 Burundi
*Ghana 1960 **Gabon 1960 Nigeria
Somalia 1960 **Congo Brazzaville 1960 Etiopia
*Mali 1960 Congo Leopoldville 1960 Sierra Leone
Tanganyka 1961 **Camerun 1960  
*Algeria 1962 **Mauritania 1960  
Uganda 1962 **Senegal 1960  
    Togo 1960  
    **Volta Superiore 1961  
    **Chad 1962  
    **Repubblica Centroafricana 1962  
    **Dahomey 1962  
    Ruanda 1962  

*Membri del Gruppo di Casablanca
**Membri dell'Unione Africana e Malgascia
L'Egitto mantenne le relazioni con la Cina Nazionalista dal 1942 al 1956


Gli obiettivi principali dei comunisti cinesi sembravano essere: l'espansione dell'influenza cinese nella rivoluzione comunista mondiale e delle forze anti-americane; assicurarsi uno status di grande potenza; ottenere l'appoggio alle Nazioni Unite e forse, da ultimo, acquistarsi alcuni materiali strategici che mancavano alla Cina. I motivi dei nazionalisti erano quelli di contrastare i comunisti cinesi nel continente africano; conservare ed estendere il loro appoggio africano alle Nazioni Unite; mantenere i vecchi mercati e crearne di nuovi per i prodotti agricoli e industriali di Taiwan e in minor grado aprire uno sbocco all'estero a studenti e tecnici cinesi che in madrepatria non avevano sufficienti opportunità di lavoro.

L'importanza dei voti africani sulla questione del seggio cinese può difficilmente essere esagerata. Su 110 membri all'ONU, 33 erano africani, numero sufficiente a far oscillare un voto in una direzione piuttosto che in un'altra se gli stati africani avessero votato con unità di vedute. Questo blocco africano risultava quindi cruciale per i nazionalisti cinesi che stavano muovendosi attivamente con delle campagne propagandistiche per riuscire a mantenere il seggio alle Nazioni Unite che vedevano sempre più in pericolo.


Tabella 2. Voti dell'Assemblea Generale delle N. U.22 e dei membri Africani sulla questione del seggio
              cinese, 1959-1962

Anno

Paesi Membri

Voti a favore della Cina Nazionalista

Astenuti

In totale Africani In totale Africani In totale Africani
1959 82 10 44

        523

9 3
1960 98 27 42         924 22 16
1961 104 29 48         925 19 11
1962 110 33 56        1426 12 2



Da questa tavola possiamo vedere che nel 1961 la Cina Nazionalista ottenne sette voti in più, mentre la votazione a favore della Cina Comunista rimase uguale a quella dell'anno precedente. La votazione del 1962 registrò un aumento per entrambe le parti (riflesso della crescita dei paesi africani rappresentati all'ONU) ma i nazionalisti cinesi ottennero un maggior numero di preferenze. C'è da rilevare il fatto che tutti i membri dell'U.A.M. votarono questa volta per la Cina Nazionalista, facendo sì che Taipei raccogliesse più della metà dei voti africani. Sebbene alcuni dei membri dell'U.A.M. durante il dibattito avevano avanzato l'ipotesi di una soluzione che comprendesse le "due Cine", nessuno di loro ne fece una proposta specifica. Da parte sua, anche la Cina Comunista incrementò il suo voto africano anche se in percentuale più bassa. Il successo dei nazionalisti cinesi fu in parte dovuto alle loro attività in Africa, così come del forte appoggio statunitense di cui godevano e delle recenti azioni dei comunisti cinesi intraprese contro l'India che influenzarono negativamente il favore africano.

I rapporti dei comunisti cinesi con i diversi paesi africani avevano toccato tutti i fronti: diplomatico e clandestino, convenzionale e non, politico, economico, sociale e culturale. Al contrario la Cina Nazionalista aveva operato unicamente attraverso canali diplomatici, quindi convenzionali. Inoltre il progetto per gli aiuti da destinare all'estero fu altamente selettivo: fu limitato esclusivamente a due campi, quello dell'agricoltura e della pesca. Forse il più grande contrasto tra le due Cine è stato quello della crescita economica. Le pretese iniziali del Grande Balzo in Avanti della Repubblica Popolare Cinese impressionarono i paesi africani piuttosto interessati a questo esperimento di sviluppo economico per poterlo eventualmente prendere come esempio. Ma il successivo fallimento aveva disilluso molti e cristallizzato le posizioni di coloro che già in precedenza erano più inclini verso i nazionalisti. Il contrasto aumentava se si considerava il contemporaneo successo economico di Taiwan. La Cina Nazionalista aveva inoltre una preparazione maggiore nel campo delle conoscenze tecniche. Un altro punto di distinzione era stata la riforma agraria coronata da successo e i progetti per l'estensione dell'agricoltura attuati per via del Comunicato Congiunto Sino-Americano sulla Ricostruzione Rurale (parte di queste risoluzioni erano state utilizzate anche sul suolo africano). Infine una buona parte del successo dei nazionalisti cinesi in Africa era dovuto al sostegno e all'incoraggiamento degli Stati Uniti27 .

Le attività dei nazionalisti cinesi cominciarono nel 1960 ed ebbero maggior vigore nel 1961 e soprattutto nel 1962 al contrario di quelle comuniste che cominciarono in modo ambizioso, raggiunsero il loro culmine nel 1960 e poi si smorzarono in modo netto nel 1961 e 1962. Nel 1960 una missione di Taiwan visitò 11 paesi africani. Durante il 1961, contemporaneamente alla Cina Comunista, la R.O.C. invitò sia missioni africane che singoli individui a visitare Taiwan. Inoltre una missione commerciale nazionalista cinese visitò 7 paesi dell'Africa occidentale. Nel marzo del 1961 una delegazione della Liberia, capeggiata dal Segretario dell'Agricoltura e del Commercio, visitò Taiwan e venne richiesta la spedizione di tecnici cinesi per aiutarli a fronteggiare i problemi agricoli di quel paese e pianificare un progetto di sviluppo. La richiesta fu presto accolta e il progetto ebbe risultati positivi. Nel giugno dello stesso anno una missione di tecnici per l'agricoltura arrivò in Togo e in agosto il Ministro del Lavoro e delle Funzioni Pubbliche del Dahomey visitò Taiwan e raggiunse un accordo per cui la Cina nazionalista si sarebbe impegnata ad aiutarli a migliorare le risorse d'acqua e il sistema d'irrigazione. Il ministro del Dahomey più tardi dichiarò a Parigi di essere stato "vivamente impressionato da ciò che i cinesi avevano compiuto a Formosa" e riteneva che "gli stati africani sarebbero sicuramente stati interessati a visitare questo paese per poter emulare il loro esempio". Anche il Madagascar e il Congo Leopoldville mandarono delegazioni a Taiwan.

Anche la Libia richiese aiuti in campo agricolo nel 1961. Sembra che questa richiesta sia stata dovuta al risentimento per i mancati aiuti provenienti dall'ONU e la forte esitazione nell'accettare aiuti comunisti o occidentali (vale a dire colonialisti). Ottenuto il sostegno di Taiwan, anche il voto della Libia all'ONU passò dall'astensione del 1960 all'appoggio per la Cina Nazionalista nel 1961. Nel 1961 si costituì a Taipei una commissione per la cooperazione tecnologica sino-africana, formata dai ministri dell'Agricoltura, degli Affari Esteri e della Ricostruzione Economica nonché dei membri della Commissione Congiunta sulla Ricostruzione Rurale. Questa commissione intergovernativa coordinava il crescente numero delle attività in Africa e costituiva il mezzo attraverso il quale venivano estesi gli inviti ai paesi africani e mandati specialisti in luogo.

L'anno 1962 si aprì positivamente per Taiwan con lo stabilimento di relazioni diplomatiche con il Kenya e il Gabon. Ma il mese di maggior successo per la R.O.C. fu aprile, quando accolse la prima visita di un capo di stato africano, il presidente Philibert Tsiranana della Repubblica del Madagascar. Fu firmato un Trattato d'Amicizia e Tsiranana dichiarò che il suo paese aveva molto da imparare dalla Cina Nazionalista per quanto riguardava lo sviluppo economico, la riforma della terra e la modernizzazione delle forze armate. Verso la metà dello stesso mese, 25 africani da 11 paesi differenti28 arrivarono a Taiwan per apprendere le tecniche della coltura del riso e altri prodotti. Uno sviluppo più interessante avvenne nel regno del Burundi che ottenne la sua indipendenza nel luglio di quell'anno, ma posticipò la cerimonia di indipendenza ad ottobre a causa di rivolte tribali. L'ambasciatore comunista cinese nel vicino Tanganyka era già stato invitato quando il Burundi in un secondo momento invitò un rappresentante della Cina Nazionalista. L'ambasciatore comunista cinese He Ying si ritirò condannando "lo schema imperialista di usare la cricca di Chiang Kai-shek per minare le relazioni amichevoli tra la Cina e il Burundi" anche se la responsabilità di tutto ciò fu gettata sulle spalle dell'imperialismo statunitense. Comunque questo incidente fu in qualche modo ricompensato dalla situazione in Uganda dove si invitarono entrambi i rappresentanti delle due Cine ma questa volta furono i nazionalisti a declinare l'invito e, di conseguenza, l'Uganda (in precedenza protettorato britannico) si accordò per stabilire relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese.

L'uso giudizioso delle sue risorse al tempo della prosperità economica, nello stesso momento in cui la Cina Comunista falliva il suo esperimento economico, era stato magistralmente combinato dalla Cina Nazionalista per distanziare la sua rivale in Africa. Le sporadiche concessioni comuniste, anche se più generose, non potevano competere finanziariamente con quelle di Taiwan. Nello spazio di due anni i programmi dei nazionalisti cinesi avevano raggiunto un livello che poteva essere comparato ai grandi programmi di assistenza straniera dati ad Israele. In tutto questo l'Africa traeva comunque dei benefici dalla rivalità tra le due parti29 . La Cina comunista ha dovuto spendere molte energie per vincere la gara ingaggiata con la sua rivale volta ad ottenere voti a suo favore. La Repubblica di Cina infatti era uno stato, anche se piccolo, economicamente e tecnologicamente più avanzato che certamente poteva offrire di più ai bisogni immediati dei nuovi stati africani indipendenti. Inoltre anche da un punto di vista politico e ideologico si collocava rispetto alla Repubblica Popolare Cinese in posizioni più neutre che indubbiamente i governi africani, per la maggior parte moderati e nazionalisti, preferivano e condividevano.

8 - Il viaggio di Zhou Enlai nei paesi dell'Oceano Indiano e in Africa

A partire dagli anni '60, i paesi afro-asiatici potevano considerarsi divisi in tre gruppi: il primo comprendeva i paesi di pura integrazione di popoli, il secondo i paesi non allineati, il terzo i paesi che avevano partecipato a Bandung. Gli obiettivi principali comuni rimanevano: il completamento delle guerre di liberazione nazionale e la sicurezza dei confini nazionali30 . In questi anni l'Indonesia e la Cina posero in primo piano i temi dell'anticolonialismo e dell'antimperialismo appoggiando quindi alle conferenze internazionali i popoli di tutte le razze. Mentre l'India, l'Unione Araba e Ceylon invece appoggiandosi alle conferenze dei non allineati, come quella di Belgrado, sostenevano la coesistenza pacifica.

Nel 1964-65 si sollevano diverse dispute se tenere una seconda Conferenza di Bandung o una seconda Conferenza dei non allineati (seconda Belgrado). Per i cinesi era di vitale importanza tenere una seconda Conferenza Afro-Asiatica in linea con i principi già enunciati a Bandung, ma questa volta considerando anche i nuovi problemi che si erano venuti a creare o ad acutizzare in campo internazionale, in particolare per il governo di Pechino era la difesa della sua posizione politica all'estero di fronte all'ex alleato sovietico e l'acquisizione di crescenti consensi alla sua autorità nel consesso delle nazioni. Tutto questo non poteva essere ottenuto con una seconda Conferenza di Belgrado da cui i cinesi erano inevitabilmente esclusi insieme ai sovietici, e dove i paesi qui rappresentati si sarebbero uniti sotto la bandiera del neutralismo, termine che fondamentalmente non era accettato nel linguaggio ideologico maoista. Sukarno, che seguiva soprattutto una politica filocinese31 , insisteva soprattutto perché fosse tenuta una seconda Conferenza afro-asiatica, sul modello di Bandung. Diverse erano le motivazioni che lo portavano a questa scelta. Innanzitutto qui dovevano esser trattati i problemi che non potevano esser discussi o ci si rifiutava di discutere alle Nazioni Unite come il problema dell'appartenenza della Nuova Guinea occidentale, o la questione del conflitto sino-indiano, che aveva portato ormai al discredito dell'ideologia basata sui principi della coesistenza pacifica in quanto le due potenze della prima Bandung erano arrivate allo scontro armato.

In Africa, le linee politiche dei diversi stati differivano e sussistevano forti conflitti ideologici. Fin dall'inizio degli anni '60, si erano costituiti due gruppi distinti. Il primo, il "gruppo di Casablanca", comprendeva il Marocco, il Ghana, il Mali (ex Sudan), la Repubblica Araba Unita, ed era caratterizzato da una maggiore ostilità nei confronti delle ex metropoli e del neocolonialismo. Il secondo, detto "gruppo di Monrovia", riuniva tutti gli stati africani di espressione francese, ad eccezione del Togo, del Mali e della Guinea, e al quale si erano uniti il Gambia e la Nigeria, membri del Commonwealth, la Liberia, che era sempre rimasta indipendente, la Tunisia, la Libia, l'Etiopia e la Somalia. Questo gruppo praticava una politica di moderazione e di non ingerenza negli affari altrui, respingendo il concetto di unità africana sovrannazionale sostenuto da Nkrumah.

Il presidente indiano, Nehru, e quello egiziano, Nasser, in realtà temevano che, con una seconda Conferenza afro-asiatica, si sarebbe venuta a creare una grossa spaccatura a causa sia del conflitto sino-indiano, che vedeva i paesi asiatici divisi per l'appoggio dato ad una delle due contendenti, sia per la costituzione in Africa di due gruppi, quello di Casablanca e quello di Monvrovia, che sostenevano politiche diverse. Di conseguenza questa conferenza non avrebbe potuto giovare ad alcuna causa, mentre quella dei non allineati (essendo i paesi partecipanti neutralisti), avrebbe almeno avuto obiettivi comuni. Tuttavia Sukarno contava sulla conferenza afro-asiatica che doveva esser rivolta al versante della pace, appoggiare il concetto di società delle nazioni che si sviluppano liberamente raggruppando i paesi socialisti, insieme a quelli dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina. Tutto ciò doveva avere come premessa l'appoggio della Cina. La Cina d'altra parte, voleva esteriorizzare il ruolo di potenza guida di Bandung dimostrato dalla sua attività in Asia e in Africa e cercava di assicurarsi la priorità nel dibattito cino-sovietico. Il punto d'appoggio concettuale era l'idea cinese delle zone intermedie. Già nell'agosto del 1946 Mao aveva espresso alla giornalista Anna Louise Strong questo concetto: "Gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica sono separati da una zona molto estesa che comprende numerosi paesi capitalisti, coloniali e semi-coloniali, in Europa, in Asia e in Africa”32 . Mao vedeva allora questa come una zona di pace. Quasi in coincidenza con il raggiungimento di un accordo con Parigi per lo stabilimento di regolari relazioni diplomatiche tra la Cina e la Francia, Pechino, nel gennaio 1964, enunciò la sua dottrina sulle "zone intermedie" localizzate tra il campo socialista e gli Stati Uniti che dovevano servire a circondare e indebolire l'imperialismo33 .

Nei contrasti ideologici di quegli anni, si inserisce il viaggio di Zhou Enlai, dal dicembre del 1963 al gennaio 1964, che vede come prime tappe alcuni paesi asiatici e poi soste più lunghe in Africa. Dapprima visitò Ceylon, Pakistan e Birmania disegnando una specie di "rete" attorno all'India e guadagnando il loro appoggio per quanto riguardava la disputa sino-indiana. In seguito, accompagnato da Chen Yi e da una delegazione composta da circa quaranta funzionari cinesi, si fermò a visitare dieci paesi africani. Lo scopo della sua visita fu, come egli stesso affermò, di: "accrescere la comprensione reciproca tra la Cina e i paesi amici africani, rafforzare la tradizionale amicizia tra il popolo cinese e il popolo africano, sviluppare ulteriormente le relazioni di amicizia e di cooperazione tra la Cina e i paesi africani, incrementare la nostra conoscenza e imparare cose utili dal popolo africano"34 . Ma il viaggio di Zhou Enlai in Africa sottolinea il riconoscimento cinese che i mesi a venire erano cruciali per la posizione di Pechino sia nel mondo comunista sia nel mondo ex coloniale dell'Africa e dell'Asia35 . Il suo senso di urgenza derivava dalla certezza che nel 1964 ci sarebbe stata un'altra conferenza dei non allineati come quella che si era tenuta a Belgrado nel 1961. Gli obiettivi generali di Zhou Enlai erano:

1) ottenere il sostegno per una conferenza che doveva essere una seconda "Bandung" e non una seconda "Belgrado". La Conferenza di Bandung del 1955 fu afro-asiatica e specificatamente anti-coloniale. La Conferenza di Belgrado del 1961 fu essenzialmente "non allineata", ma non specificatamente afro-asiatica, considerando sia le questioni della pace mondiale sia l’anti-colonialismo. Entrambe le formule avrebbero escluso la Russia: ma Bandung avrebbe ammesso la Cina e assicurato che l'incontro avrebbe avuto un risvolto anti-coloniale e anti-occidentale;
2) ottenere l'appoggio africano contro l'India. Questo è intimamente connesso con il primo obiettivo. Per i cinesi la Russia, l'India e l'imperialismo degli Stati Uniti facevano parte della stessa razza. Questa doveva aiutarli a screditarli tutti e tre;
3) affermare che la vera indipendenza viene attraverso il successo della lotta armata e non attraverso accordi amichevoli con le precedenti potenze coloniali. Ma eccetto l'Algeria e il Kenya, l'Africa in genere aveva scarso interesse per questa teoria;
4) lo sforzo di rompere la tattica del contenimento americano, mostrando che la Cina aveva interessi globali;
5) tentare di spiegare l'atteggiamento cinese nei riguardi del trattato di interdizione degli esperimenti nucleari di Mosca del 1963 (che era stato ratificato da tutte le nazioni africane);
6) rivalutare l'immagine della Cina, offuscata, secondo le preoccupazioni dei moderati, dal suo appoggio alle attività sovversive e per spiegare che il debole livello degli aiuti era dovuto alla temporanea crisi economica e sarebbe stato aumentato quando le circostanze lo avessero permesso.
Pechino, inoltre, era determinata ad asserire la sua supremazia ideologica su Mosca. Infatti la situazione aveva ispirato alcuni dei leader cinesi a progettare la visione di una "terza forza" internazionale scismatica (costituita dalle nazioni dell'Africa, dell'Asia, dell'America Latina e anche dell'Europa, Francia in particolare) contro la "doppia egemonia" dei giganti nucleari che, sia i cinesi che de Gaulle accusavano essersi divisi il mondo a Yalta36 .

I cinque principi della coesistenza pacifica e gli otto principi dell'aiuto economico verso i paesi stranieri diventano il manifesto dell'avanzata in Africa della Cina. I cinque principi che dovevano regolare i rapporti tra la Cina e i paesi africani e arabi erano, secondo le stesse parole di Zhou Enlai:

1) La Cina appoggia i popoli africani e arabi nella loro lotta contro l'imperialismo e il colonialismo vecchio e nuovo e nello sforzo per conseguire e salvaguardare l'indipendenza nazionale;
2) Essa appoggia il perseguimento di una politica di pace, neutralità e non allineamento da parte dei Governi dei paesi africani e arabi;
3) Essa appoggia il desiderio dei popoli africani ed arabi di conseguire l'unità e la solidarietà in quel modo che sia da loro scelto;
4) Essa appoggia i paesi africani ed arabi nei loro sforzi diretti a risolvere le loro controversie mediante consultazioni pacifiche;
5) Essa ritiene che la sovranità dei paesi africani ed arabi debba essere rispettata da tutti gli altri paesi e che ci si debba opporre all'invasione e all'interferenza quale che sia la parte da cui provengono.
Questi cinque principi rappresentano l'applicazione concreta dei cinque principi della coesistenza pacifica e dei cinque principi della Conferenza di Bandung e uno sviluppo dello spirito di Bandung. Gli otto principi rappresentano pienamente, secondo Zhou, "il sincero desiderio del nostro paese di creare una cooperazione economica e culturale con i nuovi paesi di recente indipendenza". Questi si basavano sul principio dell'eguaglianza e del vantaggio reciproco, sul rispetto della sovranità dei paesi beneficiari degli aiuti cinesi, senza condizioni o privilegi e sull'elargizione degli aiuti economici sotto forma di prestiti esenti da interesse o basso interesse. Si sottolineava il fatto che nel fornire aiuti ad altri paesi, il proposito del governo cinese "non è quello di rendere i paesi beneficiari dipendenti dalla Cina, ma di aiutarli ad avviarsi gradualmente sulla via dell'autosufficienza e dello sviluppo economico indipendente."

Zhou continuava a giustificare i limitati aiuti economici cinesi: "Il nostro aiuto reciproco è simile a quello che esiste tra amici che sono poveri e che devono fronteggiare problemi analoghi, non è l"'aiuto" usato dalle forti, grandi potenze per tiranneggiare i deboli e i piccoli paesi. Il nostro aiuto reciproco è attualmente su scala ridotta, ma è degno di fiducia, pratico e conduce allo sviluppo indipendente dei paesi interessati. Con lo sviluppo dell'edificazione dei nostri rispettivi paesi, la nostra assistenza reciproca aumenterà quotidianamente in quantità e portata." Il tono del primo ministro cinese diventava sempre più fermo quando si entrava in campo ideologico: "Dobbiamo opporci all'aggressione e all'interferenza imperialiste, salvaguardare la sovranità statale e consolidare l'indipendenza nazionale. Dobbiamo attuare la cooperazione economica, culturale e tecnica in conformità ai principi dell'eguaglianza, del beneficio reciproco e della non-interferenza negli affari interni dell'altro senza porre condizioni. Dobbiamo rafforzare la nostra cooperazione amichevole negli affari internazionali sulla base dei dieci principi della Conferenza di Bandung. Dobbiamo opporci alla politica imperialista di aggressione e di guerra e difendere la pace mondiale"37 . Il gruppo visitò la Repubblica Araba Unita, l'Algeria, il Marocco, la Tunisia, il Ghana, il Mali, la Guinea, il Sudan, l'Etiopia e la Somalia. La maggior parte di questo itinerario fu improvvisato38 . In questo viaggio africano, Zhou sottolineò le similitudini tra la Cina e l'Africa mentre nello stesso tempo perseguiva interessi specifici:

a) Nella Repubblica Araba Unita, dove il Presidente Nasser era stato colui che aveva appoggiato maggiormente l'India e che aveva tentato una mediazione tra la Cina e l'India durante il momento culminante della loro disputa, Zhou cercherà una nuova iniziativa diplomatica per indurre l'India a negoziare. La sua difficoltà era nella prospettiva di offrire qualcosa in cambio. L'opposizione ad Israele poteva indicare un punto di accordo fruttuoso.
b) In Algeria, dove Zhou si trova in diretta competizione con Kruscev. Un prestito di 36 milioni era stato dato dai russi agli inizi di ottobre, seguito da uno cinese, il 28 ottobre, senza interessi. La Russia li aveva forniti di armi. La Cina aveva fornito alcuni istruttori militari e i due paesi avevano scambi di delegazioni militari. Un campo in cui Pechino può chiaramente sorpassare i russi è nel provvedere alla preparazione della guerriglia per i rivoluzionari africani.
Ma, di certo, il primo ministro cinese doveva vedere le difficoltà per la Cina nel continente africano. In Egitto, per esempio, gli fu mostrata la grande diga di Assuan costruita dai sovietici, che gli ricordava le risorse limitate con cui la Cina doveva tentare di competere con l'Unione Sovietica nel campo degli aiuti. In Tunisia, Etiopia e Marocco vennero sollevati forti dubbi sulle intenzioni pacifiche, più o meno reali, del governo cinese. In Africa occidentale, in particolare in Ghana, egli vide i segni di una considerevole influenza sovietica e dovette confrontare gli schemi di aiuti sovietici su larga scala con quelli più modesti dei cinesi. In Africa orientale doveva affrontare il fatto che la Cina non aveva avuto alcun impatto. Dovunque avrebbe avuto la sensazione di un risentimento africano per l'intrusione del contrasto sino-sovietico in Africa e negli affari internazionali, del quale la Cina era considerata la prima responsabile39 . Ma prese anche coscienza dell'intensa diffidenza sentita dai leader borghesi e moderati per l'ideologia cinese rivoluzionaria.


La più forte critica alle politiche della Cina fu quella del Presidente della Tunisia Bourguiba, che meravigliò i suoi ospiti con un discorso critico al banchetto di addio per il premier cinese, in cui dichiarava in toni molto aspri a Zhou che i cinesi non avrebbero ottenuto molto dall'Africa e non condivideva affatto il modo in cui i cinesi risolvevano i problemi alle frontiere40 .

Inoltre in Africa, Zhou Enlai fu imbarazzato dal bisogno, come Patrick Scale mostrò nell’”Observer", "di indossare il cappello da diplomatico e il berretto da guerrigliere allo stesso tempo". Le sue difficoltà erano dovute molto probabilmente alla mancanza di chiarezza e di consenso tra i leader cinesi sul come doveva esser portata avanti la politica della Cina verso l'Africa. La Cina doveva affrontare il conflitto tra le sue politiche diplomatiche e quelle rivoluzionarie. Comunque una cosa era certa: la Cina aveva bisogno di conoscere molto di più sull'Africa e addestrare più personale prima che qualsiasi politica potesse avere successo. Nella sua posizione di diplomatico, Zhou doveva parlare di coesistenza pacifica e conquistare quegli stessi politici della borghesia nazionale che Pechino accusò i Russi di favorire (come Nasser). Per tutto il suo viaggio la diplomazia fu dispiegata al massimo. De Gaulle doveva ancora riconoscere Pechino, quindi non doveva essere offeso (soprattutto dal momento che altri paesi africani avrebbero seguito la loro guida francese). Per costruire il cosiddetto "Fronte Unito dall'alto", Zhou doveva rassicurare coloro che lo ospitavano sulla posizione della Cina riguardo al trattato di interdizione degli esperimenti nucleari e al conflitto di confine sino-indiano e tutto ciò non fu privo di enormi difficoltà. Nella sua posizione di combattente rivoluzionario, si supponeva che Zhou preparasse il "Fronte Unito dal basso" (come un'eventuale base per la leadership cinese della terza forza) appellandosi alle élites in minoranza dell'Africa scontente e personificando la seconda ondata della rivoluzione. Ma sarebbe stato un suicidio diplomatico per la Cina dichiarare apertamente la linea di una rivoluzione violenta che aveva sostenuto invece nel contrasto con la Russia41 . Incapace di ottenere sostegno su questioni specifiche, Zhou ripiegò su una serie di formulazioni verbali accettabili sia dai capi africani sia dai maoisti, che ciascuna parte poteva interpretare a suo modo. Il RMRB, riassumendo il viaggio di Zhou, indicava i punti su cui egli aveva cercato di lavorare nei comunicati: "Nei comunicati emessi dopo i loro colloqui, il Premier Zhou Enlai e i leader dei Paesi africani si accordarono: per prevenire la guerra mondiale. È necessario condurre una lotta incessante contro le politiche imperialiste di aggressione e di guerra; il movimento di liberazione nazionale contemporaneo è una forza importante nella difesa della pace mondiale; l'imperialismo e il vecchio e il nuovo colonialismo devono esser completamente liquidate in Africa; la solidarietà Afro-Asiatica deve essere rafforzata con il massimo sforzo e, secondo l'opinione di molti paesi, preparativi dovrebbero essere fatti per una seconda conferenza Afro-Asiatica; le dispute tra i paesi afro-asiatici dovrebbero esser risolte con negoziati pacifici sulla base della solidarietà afro-asiatica; le economie nazionali dovrebbero esser sviluppate principalmente basandosi sulle proprie forze aiutati dall'assistenza straniera"42 . Da questo punto di vista la Cina diede una buona impressione, forse perché non si adattava affatto all'immagine di "maniaci della guerra" che le aveva attribuito la propaganda sovietica.

9 - Conclusioni sul viaggio africano di Zhou Enlai e i suoi fallimenti

Zhou aspettò fino alla sua ultima tappa, la Somalia, prima di fare il sommario definitivo sulle prospettive cinesi in Africa. Egli dichiarò a Mogadiscio che: 

"Il continente africano che ha dato la nascita ad una civiltà antica e brillante e che ha sofferto dell'aggressione coloniale più crudele, sta adesso dirigendosi verso tremendi cambiamenti. Più di trenta paesi africani sono diventati indipendenti, e quei popoli africani che sono ancora sotto l'oppressione coloniale e per di più divisi stanno ingaggiando eroiche lotte per conquistare l'indipendenza e la libertà. Le prospettive rivoluzionarie sono eccellenti in tutto il continente africano”43 .

L'ultima frase di Zhou (a volte tradotta come "l'Africa è matura per la rivoluzione") riecheggiò nel continente nero. Infatti sembrava confermare i timori peggiori di alcuni moderati come Bourguiba e Haile Selassie che davano credito alle rivendicazioni, a volte esagerate, sulla "minaccia cinese" e diede ai giornalisti occidentali per anni un modo conveniente di descrivere la politica della Cina in Africa. 

Zhou aveva fallito nell'ottenere una voce a favore della posizione della Cina nel conflitto sino-indiano e, con l'unica eccezione del Mali, nessun paese fu d'accordo con l'insistente suggerimento della Cina perché una seconda conferenza di Bandung delle nazioni afro-asiatiche fosse tenuta prima della seconda conferenza di Belgrado che riuniva i paesi non allineati. E sebbene egli avesse instaurato delle relazioni con gli stati radicali, Zhou aveva ulteriormente alienato quelli moderati con la sua semplice presenza sul suolo africano, considerata in qualche modo "di cattivo augurio". Questa fu una tipica reazione del punto di vista di uomini moderati al viaggio di Zhou che riassumeva il sospetto con cui la Cina veniva considerata, sia come risultato delle sue attività che della sua propaganda ostile. Negli anni seguenti, quando giornalisti e diplomatici cinesi furono espulsi da un certo numero di paesi africani per supposte attività sovversive, questo tipo di atteggiamento di sentita minaccia nei confronti della Cina ebbe maggiore credibilità. Alcuni addirittura presumevano che una "nuova politica rivoluzionaria" stesse per essere ingaggiata durante il viaggio di Zhou.

In conclusione, malgrado fosse stato organizzato su ampia scala, il viaggio di Zhou fu un misto di successo e fallimento. Alcuni stati si impegnarono per una seconda Conferenza di Bandung, ma la posizione della Cina sul trattato di interdizione degli esperimenti nucleari ricevette scarsa approvazione. Haile Selassie, critico riguardo al rifiuto della Cina sul trattato di interdizione nucleare e al suo continuo clamore rivoluzionario, assunse pubblicamente dei toni polemici verso Zhou.

Zhou cercò di portare avanti obiettivi pragmatici e rivoluzionari. Sebbene parlasse dei popoli africani che avevano già ottenuto la loro indipendenza con "l'avanzata della rivoluzione" e presentasse la prospettiva di un'eventuale trasformazione dei governi nazionalisti africani, non c'era nulla nei suoi commenti a Mogadiscio che giustificasse l'interpretazione che quelli erano attacchi rivolti agli uomini al potere. La visita di Zhou, infine, impressionò l'Africa e l'Occidente perché sottolineò l'interesse speciale che la Cina sentiva verso l'Africa. Egli fu il più importante uomo di stato ad aver visitato quelle capitali. Zhou si trovò ad affrontare un'Africa piuttosto ostile alle posizioni cinesi in politica internazionale, in parte anche per la propaganda avversa sia sovietica che occidentale (americana soprattutto) che insistette molto nel pericolo insito in un appoggio alla linea ideologica radicale cinese sottolineando il forte consenso da questa dato ai vari movimenti sovversivi all'estero. Zhou dovette lavorare non poco per demistificare e sdrammatizzare l'immagine internazionale di paese guida di tutte le attività sovversive mondiali che si faceva ricadere alla Cina di quegli anni.

Rimaneva la volontà del governo cinese di mettersi alla testa di un largo fronte unito formato da tutti gli anti-imperialisti del mondo (e se possibile anche anti-revisionisti44 ) per combattere l'isolamento che sentiva avanzare su di lei. Si imbarcò per questo in un'offensiva su tutti i fronti, diplomatico, economico e rivoluzionario, per conquistare alle sue posizioni nuovi amici. Il viaggio di Zhou e le sue sollecitazioni per un aperto sostegno ad una seconda Bandung erano importanti componenti di questa nuova strategia.

Un incontro preparatorio per la conferenza fu tenuto a Giacarta dal 10 al 15 aprile 1964, durante il quale la Cina si batté, in modo piuttosto aspro, contro la partecipazione sovietica. Violente accuse furono lanciate dai sovietici al governo cinese che stava cercando di "... inculcare a poco a poco un atteggiamento di sospetto verso molti popoli dei paesi socialisti soltanto perché questi erano bianchi... La predica del governo della Repubblica Popolare Cinese circa la razza non è altro che una copertura per le sue ambizioni di egemonia nei paesi Afro-Asiatici"45 .

Malgrado gli sforzi diplomatici di Zhou perché la conferenza afro-asiatica fosse tenuta prima di quella di Belgrado, i cinesi subirono una pesante sconfitta quando i paesi africani (unica eccezione il Mali) parteciparono ad un incontro tenutosi a Colombo nel marzo 1964 per programmare il prossimo vertice dei paesi non-allineati. Il risultato finale fu solo una conferma dell'esistenza di due blocchi ideologici contrapposti. Infatti, i paesi non-allineati si trovavano anche ad essere non allineati tra di loro. Nel frattempo, nell'anno della conferenza afro-asiatica che si doveva tenere ad Algeri, i rapporti tra la Cina e l'Indonesia migliorarono. Questo fu diretta conseguenza del fatto che, a partire dal 1965, l'Indonesia abbandonò l'ONU dopo l'elezione della Malesia al Consiglio di Sicurezza e Pechino iniziò ad insinuare che effettivamente una prospettiva di "Nazioni Unite Proletarie", rivali delle Nazioni Unite, non era da escludere.

Lo spostamento della conferenza fu un duro colpo per la Cina e per l'India. Il 30 giugno ci fu una dichiarazione quadripartitica della Cina, dell'Indonesia, del Pakistan e dell'Unione Araba, che affermava che il rinvio di questo importante incontro non rappresentava la fine dei paesi afro-asiatici, confermando invece fermamente che veniva mantenuta la decisione presa a Giacarta, di tenerla ad Algeri senza la partecipazione dell'URSS. Ma era chiaro ormai che le divergenze politiche, ideologiche e sociali tra questi paesi non potevano più collimare tra di loro sotto l'insegna di un'utopica solidarietà di popoli, per non menzionare le differenze tra i paesi africani francofoni e quelli anglofoni i quali seguivano ciascuno una diversa ispirazione politica in campo internazionale. Il governo cinese non era riuscito ad ottenere la convocazione di questa conferenza, l'unità afro-asiatica che era stata un punto determinante all'incontro di Bandung sembrava essere solo una vaga e vuota idea piuttosto che una realtà politica effettiva. La Cina si rese conto che continuare a decantare qualcosa che nella pratica non esisteva non le avrebbe giovato molto. Adesso bisognava tentare di raccogliere dei risultati concreti e più efficaci cercando altre strade, e non è da escludere che già in questi anni Zhou stesse prendendo in considerazione un riavvicinamento agli Stati Uniti. Ma i disordini della Rivoluzione Culturale rallenteranno tale possibilità e quindi si dovrà aspettare il suo termine perché venga aperta una nuova breccia nella politica estera cinese.

Nel frattempo, tre mesi dopo, l'URSS colse un'occasione favorevole per l'ulteriore sfascio del piano cinese. Nasser, nel settembre del 1965, si reca in Russia, e la visita si conclude con una dichiarazione congiunta tra i due paesi. Di fatto, dopo questo avvenimento i governi della Lega Araba divennero favorevoli alla partecipazione dell'URSS. L'Unione Sovietica aveva ottenuto ciò che sperava, staccare Nasser dall'orbita cinese. Altri avvenimenti si aggiungono alla già complicata situazione, lo scoppio della guerra tra India e Pakistan per la frontiera del Kashmir e il colpo di stato in Indonesia che portò una profonda trasformazione politica. La situazione era chiaramente opposta ai desideri del governo cinese, il quale avendo perso l'appoggio indonesiano, era ormai certo che la sua linea politica in un eventuale incontro internazionale sarebbe stata battuta.

Il problema di questi paesi che avevano partecipato a Bandung era di aver sviluppato sia un'economia che problematiche sociali diverse. Importanti, all'interno di questa coalizione di paesi, divennero gli antagonismi sia tra la Cina e l'URSS che tra la Cina e l'India. La spaccatura fu approfondita in seguito alla contrapposizione che avveniva tra la Cina e l'India per il ruolo guida di questi paesi e per il fatto che sia l'Unione Sovietica che l'America avevano "lavorato" perché questa unità si sfasciasse. Oltre a ciò c'era la spaccatura sino-sovietica a dividere ulteriormente le posizioni dei paesi africani. Si erano creati due poli: da un lato si trovava l'Unione Sovietica che sottolineava la coesistenza pacifica come unico mezzo per una distensione internazionale sostenuta dall'India, dall'altra la Cina che sottolineava l'importanza della "zona intermedia" per combattere l'imperialismo e il colonialismo appoggiata dall'Indonesia di Sukarno. Di conseguenza i due paesi comunisti coinvolsero in questa loro disputa gli stati dell'Africa e dell'Asia. Tutto questo non giovò né alla solidarietà terzomondista né alla loro evoluzione economica. I prestiti economici che giungevano dalla Cina d'altra parte erano insufficienti o addirittura non arrivavano, sicché i paesi africani si avvicinarono maggiormente all'URSS. Ciascun paese scelse allora un proprio quadro individuale che potesse servire meglio ai suoi interessi, dividendo in questo modo il fronte unito. La conferenza dei non allineati non presentò spaccature analoghe a quelle dei paesi afro-asiatici, poiché non sussisteva il problema della partecipazione di entrambe le due potenze comuniste, vale a dire Cina e URSS. I giovani governi africani si erano sentiti coinvolti in dispute, quella cino-sovietica e cino-indiana, che rimanevano esterne ai loro interessi politici. La Cina e l'India adesso si trovavano su posizioni politiche divergenti, mentre prima erano unite nel nome della pace. I due paesi si erano contesi il ruolo guida del Terzo Mondo, ma ora Nehru abbracciava politiche più pragmatiche volte all'edificazione di una pace mondiale da raggiungere con gli americani e i sovietici insieme.

10 - L'influenza in Africa del riconoscimento francese della Cina

Alla fine del viaggio africano di Zhou Enlai, un evento consentì a Pechino di avere maggiore prestigio in quella parte dell'Africa (l'occidentale) dove prima non aveva riscosso molto successo, eccetto che per il Ghana, la Guinea e il Mali, vale a dire la decisione della Francia di riconoscere la Cina comunista. Il 27 gennaio 1964 la Francia e la Repubblica Popolare Cinese decisero di stabilire relazioni diplomatiche e di nominare i loro ambasciatori entro tre mesi. Come previsto, l'azione francese fu aspramente denunciata dalla ROC che interruppe le sue relazioni diplomatiche con Parigi il 10 febbraio dello stesso anno. È certo che la Cina aveva migliorato la sua posizione a livello internazionale e diminuito, in conseguenza, quella della Cina nazionalista. Oltre a ciò, incoraggiando il particolarismo di De Gaulle, aveva intensificato la rottura nell'alleanza occidentale46 . Il riconoscimento non fu importante solo perché la Francia era membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma anche perché molti stati africani erano francofoni e la decisione di De Gaulle poteva influenzarli nei riguardi della Cina. Tuttavia sebbene il risultato sia stato favorevole agli interessi cinesi, in realtà a Pechino ci si aspettava politicamente maggior prestigio rispetto a quello che aveva ottenuto. La decisione di De Gaulle fu meno ben accolta nell'Africa francofona che nel resto del continente nero. Vi erano quindici ex-colonie francesi e due di queste, Guinea e Mali, avevano rapporti di inimicizia con la Francia fin dalla loro indipendenza e avevano già riconosciuto Pechino rispettivamente nel 1959 e 1960. Gli altri tredici paesi africani francofoni intrattenevano tutti relazioni diplomatiche con Taipei e solo tre seguirono l'esempio della Francia: il Congo, la Repubblica Centro Africana e il Benin. La Mauritania diede il suo riconoscimento a Pechino un anno dopo, portando il numero totale degli stati africani che avevano riconosciuto la Repubblica Popolare Cinese a diciassette. Gli altri nove paesi si rifiutarono di seguire l'esempio francese e continuarono a mantenere relazioni con la ROC, in parte ciò fu dovuto alla loro preoccupazione per le attività clandestine di gruppi dissidenti africani finanziati dalla stessa Repubblica Popolare Cinese. Tre di questi paesi, Madagascar, Costa d'Avorio e Volta Superiore, criticarono l'azione francese.

11 - Delusioni e fallimenti nella politica estera cinese in Africa

È stato spesso sottolineato che la sospensione delle relazioni diplomatiche con alcuni stati africani sia dovuto soprattutto al fatto che la Cina interferì nella politica interna di questi stati con gravi azioni. Se esaminiamo attentamente i singoli casi, possiamo verificare come queste implicazioni non abbiano alcun fondamento. Ad esempio, in Burundi gli inconvenienti erano sorti a causa della situazione interna di quel paese e delle diverse fazioni che si opponevano tra di loro. Non è corretto citare l'espulsione di Pechino dal Burundi come una prova del fallimento della politica cinese in Africa.

Nella Repubblica Centrale Africana, il primo gennaio 1966, il colonnello Bokassa salì al potere al posto di suo cugino. Cinque giorni dopo interruppe le relazioni diplomatiche con il governo della RPC, accusato ingiustamente di sostenere le attività sovversive in questo paese. Anche qui il risultato non fu una diretta conseguenza di coinvolgimenti politici del governo cinese.

Con lo stato del Dahomey furono stabilite relazioni commerciali il 12 novembre 1964. Nel gennaio del 1966 avvenne la loro rottura. Il generale Soglo non diede alcuna spiegazione dell'episodio. Inoltre benché l'ambasciata cinese venne aperta nel 1964, i rappresentanti di Taiwan rimasero nel Dahomey e il 21 aprile 1966 ripresero le relazioni ufficiali con Taiwan. I legami della Cina erano qui molto fievoli. Sembrava che Soglo non avesse mai desiderato intrattenere relazioni diplomatiche con la Cina comunista e quest'ultima poteva fare ben poco per cambiare una situazione di fatto.

Nel Ghana la situazione precipitò per la Cina con la caduta di Kwame Nkrumah il 24 febbraio 1966. La perdita cinese in Ghana fu sostanziale. Il passo finale verso la definitiva rottura delle relazioni fu fatto dal Ghana, ma contribuirono anche responsabilità cinesi. L'atteggiamento di aperta ostilità di Pechino verso le nuove autorità era forse dovuto al fatto che la Guinea, il Mali e il Congo Brazzaville, amici della Cina, continuavano ad appoggiare Nkrumah. Anche se la Cina fece arrivare subito le sue smentite su un suo presunto appoggio all'ex presidente, si riservò di considerare come legittimo il nuovo governo in quanto si sentiva obbligata a prendere una certa distanza da coloro che avevano rovesciato Nkrumah. La Cina non voleva tagliare definitivamente i suoi legami con Accra, ma fu costretta ad agire sotto la spinta di rapporti di lealtà ideologica e simbolica difficili da conciliare. Una volta decisa la rottura, si poteva sfruttarla per esporre l'essenziale conservatorismo sovietico.

Le relazioni con la Tunisia non erano mai state buone. Nel 1965 il presidente Bourguiba riferendosi alla politica cinese in Africa e in Asia l'aveva definita come "un colonialismo camuffato da ideologia". In aggiunta la Tunisia, come membro delle Nazioni Unite, era favorevole alla soluzione delle "due Cine", cosa che i cinesi non accettavano. La Cina considerò che mantenere un'ambasciata in Tunisia senza avere il diritto di parlare non aveva alcun significato. L'intransigenza del presidente Bourguiba non poteva tollerare alcuna interferenza politica o propagandistica.

I rapporti con il Kenya cominciarono a deteriorarsi verso la fine del giugno 1967. Le motivazioni furono le accuse fatte alla Cina di finanziare l'opposizione kenyana che andava contro il KANU (Kenya African National Union). Kenyatta sembrava condividere le stesse apprensioni del presidente tunisino, vale a dire il timore di un imperialismo proveniente dall'Est e del comunismo considerato un male quanto l'imperialismo. Il nazionalismo rimaneva sempre la forte base ideologica di questi stati. Era chiaro che la Cina aveva rischiato offrendo il suo appoggio a fazioni politiche e grazie al lavoro della polizia kenyana, aveva visto il disastroso fallimento del partito da lei sostenuto, soffrendo di conseguenza di un serio declino della sua rispettabilità e rendendo la sua posizione "sospetta" alle autorità kenyane. Le elezioni del 1966 portarono il partito del KANU ad assumere il ruolo guida del paese e le relazioni con la Cina furono completamente interrotte.

Nella Repubblica Araba Unita le relazioni si erano mantenute nel rispetto reciproco e a livello commerciale erano state intraprese alcune joint venture. La Cina e l'Egitto avevano due politiche completamente differenti e la rottura fu una conseguenza naturale del loro rapporto dialettico.
Gli anni della Rivoluzione Culturale portarono all'irrigidimento e alla chiusura della politica estera cinese, furono mantenuti solo i legami con quegli stati africani più radicali che si avvicinavano maggiormente alle posizioni internazionali sostenute dalla Cina.

MONDO CINESE N. 88, GENNAIO-APRILE 1995

Note

1 NCNA, 18 maggio 1955. Un resoconto riferisce che Zhou andò a Bandung risoluto a portare dalla sua parte Nasser. I due statisti si incontrarono a Rangoon mentre erano in rotta verso Bandung. Pochi minuti dopo l'arrivo di Nasser, Zhou lo invitò a visitare tutti i paesi dell'Asia. Cf. New York Times, 16 aprile 1955. 
2  Neuhauser, C., Third World Politics, China and The Afro-Asian People Solidarity Organization 1957-1967, Harvard East Asian Monographs, Cambridge, 1968.
3  Vedi Yu, George T., Dragon in the bush: Peking's presence in Africa, in Asian Survey, n. 12, 1968, pp. 1019-1026.
4  "Attraverso questi contatti e attraverso queste opere, asserì Mao, noi ci sentiamo più vicini ai popoli dell'Asia e dell'Africa". Cf. SCMP, n. 2681, 19 febbraio 1962, pp. 29-31.
5  Tuttavia le condizioni degli studenti non erano delle più rosee, come appariva dalla propaganda cinese. La disciplina richiesta era considerata intollerabile da molti di loro e alcuni si lamentavano delle discriminazioni razziali, proprio come succedeva in Unione Sovietica. Nell'agosto del 1962 trenta studenti del Camerun furono espulsi per aver reagito apertamente alle discriminazioni razziali. La propaganda occidentale fece subito uso di questo incidente dal momento che i cinesi si erano opposti con forza alle discriminazioni razziali in Sud Africa e negli Stati Uniti. La questione della razza fu usata anche quando la rivalità con l'Unione Sovietica si intensificò. Cf. Hevi, Emmanuel John, An African Student in China, New York, 1963.
6  In questo senso si esprimeva il mensile ideologico Bandiera Rossa: , "[le potenze imperialiste] sotto la forte pressione del movimento nazionale di indipendenza nazionale africano, stanno tentando di mantenere il loro traballante governo coloniale ingannando il popolo africano con offerte di certe forme di finta indipendenza", Cf. Bandiera Rossa, La vittoria appartiene al Grande Popolo Africano, 15 marzo 1960.
7  Ogunsanwo, A., China's Policy in Africa 1958-1971, Cambridge University Press, Cambridge, 1971.
8  Larkin, Bruce D., China and Africa 1949-1970, Berkeley, 1971, pp. 44-45.
9  Yu, George T., Peking versus Taipei in the world arena: Chinese competition in Africa, in Asian Survey, n. 9, 1963, p. 439.
10  Il riconoscimento avvenne soprattutto in seguito all'invito del presidente della Guinea Sekou Touré, il quale convinse le due potenze comuniste a dare un appoggio materiale al Congo.
11  Hutchison, Alan, China's African Revolution, London, 1975, p. 33.
12  RMRB, 9 febbraio 1960, p. 3.
13  Il delegato americano Henry Jackson affermò che la votazione dell'8 ottobre dimostrava che "Gli Stati Uniti avevano fallito per la prima volta nell'ottenere una maggioranza all'ONU. Ancora più minaccioso per il futuro è il fatto che noi non abbiamo ottenuto un singolo voto da parte delle nazioni indipendenti africane". Cf. British Broadcasting Corporation, Summary of World Broadcasts, part 3, Second Series, n. 460, 12 ottobre 1960.
14  Vedi RMRB, 18 ottobre 1960, p. 2. L'atteggiamento cauto della Cina si giustificò nel 1961, quando gli Stati Uniti introdussero una risoluzione all'Assemblea Generale in cui dichiarando che la questione del seggio cinese era di estrema importanza, la sua eventuale ammissione avrebbe dovuto richiedere i due terzi della maggioranza. In questo modo si tentava di ritardare il più possibile la sua entrata.
15  Yearbook of The United Nation 1950-1964.
16  Foreign Office 371, 146491, Lettera segreta dal Segretario di Stato per le Colonie al Foreign Office, 28 marzo 1960. "La misura crescente dell'ambasciata comunista cinese a Conakry ha sollevato infatti una considerevole speculazione e preoccupazione tra gli osservatori occidentali, e questa sembra sia condivisa da alcuni rappresentanti del blocco sovietico così come dall'U.A.R. Più di recente è stato dichiarato dalla rappresentanza dell'Agenzia Nuova Cina ad Accra che sono stati fatti dei preparativi sotto l'auspicio dell'AAPSO per invitare 20 dei delegati al Comitato Direttivo".
17  L'orientamento politico del Ghana e della Guinea è di significato strategico importante per gli Stati Uniti a causa della loro posizione sul confine occidentale dell'Africa. Le opportunità aeree e marittime di queste due nazioni... potrebbero costituire una seria minaccia agli interessi degli USA nell'Atlantico meridionale e in Sud America, così come nell'Africa stessa, se cadono sotto l'influenza politica del blocco sino-sovietico... Dal momento che sarebbe inaccettabile alla sicurezza nazionale degli USA che regimi nazionali in Africa divengano soggetti alla dominazione dell'imperialismo sino-sovietico, è necessario che si agisca adesso per evitare che la situazione in Ghana e Guinea diventi una seria minaccia... Le forze militari statunitensi dovrebbero partecipare ad un programma politico-economico-psicologico e militare ben coordinato per accrescere l'influenza degli Stati Uniti ed eliminare le attività del blocco sino-sovietico in queste aree così come in altre nazioni africane." PR, n. 37, 14 settembre 1960, pp. 15-16.
18  Prybyla, Jan S., Communist China's Economie Relations with Africa 1960-1964, in Asian Survey, novembre 1964, p. 1141.
19  Vedi Dougan, L. J., South African Trade, in Far Eastern Economic Review, 29 agosto 1963, pp. 574-575.
20  Vedi Smets, op. cit., p. 72.
21  Intervista di Ogunsanwo con il Ministro del Tanganyka, in Ogunsanwo, op. cit. p. 136.
22  Nel 1959 e 1960 si votò su una mozione statunitense per posticipare la discussione; nel 1961 e 1962 si votò su una risoluzione sovietica per togliere il seggio alla Cina Nazionalista a favore della Cina Comunista.
23  A favore: Liberia e Sud Africa; contro: Ghana e Guinea, Marocco, Sudan e U.A.R.; astenuti: Etiopia, Libia e Tunisia.
24  A favore: Liberia e Sud Africa; contro: Ghana, Guinea, Marocco, Sudan, U.A.R., Etiopia, Mali, Nigeria e Senegal; astenuti: tutti i membri dell'U.A.M. eccetto il Senegal, Congo (Leopoldville), Libia, Somalia, Togo e Tunisia.
25  A favore: Camerun, Gabon, Liberia, Libia, Madagascar, Mauritania, Senegal, Tanganyka e Sud Africa; contro: Etiopia, Ghana, Guinea, Mali, Marocco, Sierra Leone, Somalia, Sudan e U.A.R.: astenuti: Repubblica Centrale Africana, Chad, i due Congo, Dahomey Costa d'Avorio, Niger, Nigeria, Togo, Tunisia e Volta Superiore.
26  A favore: Camerun, Repubblica Centrale Africana, Chad, i due Congo, Dahomey, Gabon, Costa d'Avorio, Liberia, Libia, Madagascar, Mauritania, Niger, Ruanda, Senegal, Volta Superiore e Sud Africa; contro: Algeria, Burundi, Etiopia, Ghana, Guinea, Mali, Marocco, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Tanganyka, Tunisia, U.A.R., e Uganda; astenuti: Nigeria e Togo.
27  Yu, George T., Peking vs Taipei in Africa, in Asian Survey, n. 9, 1963, pp. 439-452
28  I paesi erano: Repubblica Centrale Africana, Congo Brazzaville, Congo Leopoldville, Dahomey, Costa d'Avorio, Libia, Madagascar, Mauritania, Niger, Senegal e Togo.
29  Slawecki, Leon M.S., The Two Chinas in Africa, in Foreign Affairs, gennaio 1963, pp.398-409
30  Sadakata, Minoru, Ajia-Afurika Renzai Undo to Chuso Ronso. Ajia-Afurika Kaigi to Hidomei Kaigino Hazamamade (1964-1965), in Kokusai Seiji, n. 95, pp. 115-130.
31  Nel marzo 1961 viene firmato un trattato d'amicizia tra i due paesi. Nei mesi seguenti la Cina aveva sostenuto l'Indonesia sulla questione della Nuova Guinea occidentale che Pechino aveva paragonato alla sua questione di Taiwan. L'Indonesia, dal canto suo, aveva rifiutato di sostenere l'India sul conflitto sino-indiano per il Tibet e la Linea Mc Mahon. A partire dal 1963, quando la questione della Grande Malesia si trasforma in crisi internazionale aperta, la cooperazione tra i due stati aumenta notevolmente.
32  Mao Tse-tung: intervista con la giornalista Anne Louise Strong, Casa Editrice in Lingue Estere, Pechino, 1961, p. 5
33  Forze del mondo in lotta contro l'imperialismo americano unitevi!: Quotidiano del popolo, 21 gennaio 1964, p. 2.
34  NCNA, Accra, 17 gennaio 1964.
35  Red China 1: African Safari, in Foreign Report, 12 dicembre 1963, pp. 1-3.
36  Vedi articolo: Tutte le forze del mondo che si oppongono all'imperialismo statunitense, unitevi, RMRB, 21 gennaio 1964, p. 4; PR, n. 4, 1964.
37  Enunciati da Zhou Enlai: i principi della collaborazione, in Relazioni Internazionali, 16 maggio 1964, pp. 761-762.
38  Il 7 dicembre 1963 la Cina fece il suo primo annuncio che Zhou avrebbe visitato la Repubblica Araba Unita, l'Algeria e il Marocco. Poco dopo il RMRB riporta che il viaggio viene fatto dietro invito di tre stati africani e dei paesi dell'Africa occidentale che avevano relazioni diplomatiche con la Cina. Mentre Zhou era in Marocco, la Tunisia fu aggiunta al suo itinerario. Il 4 gennaio 1964 fu annunciata l'aggiunta del Tanganyka. He Ying si recò in Uganda e in Kenya e subito dopo fu annunciata la visita a questi altri due paesi. SCMP, n. 3141, p. 31. Ma il Tanganyka, l'Uganda e il Kenya furono tolti dalla lista prima dell'arrivo di Zhou. Il 12 gennaio una rivoluzione ebbe luogo in Zanzibar e il 20 gennaio l'esercito si ammutinò, seguito dall'esercito del Kenya e dell'Uganda. Il 4 febbraio, l'ultimo giorno di Zhou in Africa, fu annunciato il "postponimento" delle tre visite nei paesi dell'Africa orientale. SCMP n. 3156, p. 17. Si presume che la Cina avesse cercato di tenere insieme l'itinerario, mentre gli Stati dell'Africa orientale riflettevano se la visita fosse stata un'azione saggia o meno. Nel frattempo la Cina cercava altri inviti. Solo il 27 gennaio fu annunciato che la Cina avrebbe visitato l'Etiopia. SCMP n. 3150, p. 15. Per il 4 e il 6 febbraio furono programmate visite anche in Zanzibar e Burundi, segno dell'intensa attività diplomatica cinese volta ad estendere il viaggio di Zhou al maggior numero di paesi possibili.
39  Hutchison, A., op. cit..
40  Jewish Observer and Middle East Review, Londra, 3 aprile 1964.
41  Adie, WA.C., Zhou Enlai on Safari, in China Quarterly, (aprile-giugno) 1964.
42  RMRB, 6 febbraio 1964, p. 4
43  NCNA, Mogadiscio, 3 febbraio 1964.
44  D'ora in avanti la Cina comincerà a sollecitare con maggior vigore dichiarazioni che condannino il revisionismo. Un primo esempio fu il comunicato congiunto firmato dai sindacati della Cina e del Tanganyka nel novembre 1963, il quale dichiarava che "per combattere effettivamente l'imperialismo e il colonialismo è necessario ai popoli dei vari paesi opporsi al moderno revisionismo".
45  New Times, N° 19, 1964.
46  Vedi Stephen, Erasmus, "General De Gaulle's Recognition of Peking”, in China Quarterly, n. 18, aprile-giugno 1964, pp. 195-200; e Francois Fejto, Francia e Cina: l'intersezione di due grandi disegni, in Halpern, A.M. ed., Policies toward China, pp. 42-76.

 

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