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HOME>MONDO CINESE>IL CONTRATTO DI VENDITA INTERNAZIONALE DI BENI MOBILI NELL'ORDINAMENTO CINESE: PROFILI GENERALI

SAGGI

Il contratto di vendita internazionale di beni mobili
nell'ordinamento cinese:profili generali

di Marina Timoteo

SOMMARIO: 1 - La legge applicabile al contratto. 2 - La struttura del commercio con l'estero. Le parti cinesi dei contratti di vendita internazionale. 3 - La formazione del contratto. 4 - Le cause di invalidità del contratto. 5 - L'inadempimento e la risoluzione del contratto. 6 - La risoluzione delle controversie sul contratto.

1 - La legge applicabile al contratto

La Repubblica Popolare Cinese ha ratificato, l'11 dicembre 1986, la Convenzione delle Nazioni Unite sui Contratti di Vendita internazionale di Beni Mobili (CVIM)1 . Essa è però uno Stato riservatario, nel senso che, avvalendosi della facoltà di riserva di cui agli artt. 95 e 96 della CVIM, ha dichiarato di volersi sottrarre all'applicazione dell'art. 1, co. 1°, lett.(b) e dell'art. 11 della legge uniforme2 .

L'art. 1 della Convenzione3 , relativo all'ambito di applicazione della Convenzione stessa, dispone che essa "si applica ai contratti di vendita di beni mobili tra parti le cui sedi di affari siano in Stati differenti:
(a) quando tali Stati sono Stati contraenti;
(b) quando le norme di diritto internazionale privato portano all'applicazione della legge di uno Stato contraente".

La decisione di escludere l'applicazione della lettera (b) da parte della Cina è l'ovvia conseguenza della presa di posizione dei Paesi ex-socialisti i quali, in sede di elaborazione dell'art. 1 della CVIM, avevano mosso serrate critiche alla disposizione che, temevano, avrebbe finito col "comprimere in modo ritenuto eccessivo la sfera di applicazione delle loro normative interne destinate a regolare i rapporti con l'estero"4 . A seguito della riserva, pertanto, nel caso di contratto con parti che abbiano la propria sede di affari in Stati non contraenti, se il foro competente è quello cinese, l'applicabilità della Convenzione è comunque esclusa e si applicherà la legge cinese o la legge interna di un altro Stato, secondo le indicazioni fornite dal diritto privato internazionale cinese5 .

L’art. 11 si occupa invece della forma del contratto, sancendo il principio della libertà della forma, sia sul piano sostanziale sia su quello processuale: "Non è richiesto che il contratto di vendita sia concluso o provato per iscritto, ed esso non è soggetto ad alcun requisito di forma. Può essere provato con ogni mezzo, anche per testimoni". Anche questo principio, così come quello succitato dell'art. 1, non piaceva ai Paesi socialisti che, a differenza degli Stati di civil law, riconoscevano al contratto, ed in special modo ai contratti commerciali internazionali, il carattere di negozio formale. Anche la Cina ha seguito questo indirizzo, nella Legge sui Contratti Economici con l'Estero (LCEE)6 , ove all'art. 7 si richede la forma scritta ad substantiam del contratto, a pena di nullità, ed ha di conseguenza escluso l'applicabilità dell'art.11 della CVIM.

In conclusione, tranne nel caso in cui l'applicabilità della Convenzione sia esclusa per effetto della riserva sull'art. 1 co. 1°, lett. (b) o a seguito di espressa rinuncia delle parti, il contratto di vendita internazionale tra una parte cinese ed una parte avente sede di affari in uno Stato contraente, sarà retto dalla legge uniforme, con l'eccezione delle disposizioni relative alla forma del contratto.

Se invece la disciplina uniforme non è applicabile e nel contratto non è stata determinata la legge regolatrice del rapporto, e se il foro competente è quello cinese, si farà ricorso alle disposizioni di diritto internazionale privato dettate dalla LCEE, ossia dall'art. 5, secondo il quale si applicherà la legge del Paese che è in più stretta connessione col contratto. Nel chiarire il senso della disposizione di legge, la Corte Suprema ha poi stabilito7 che in particolare, nei contratti di vendita internazionale, dovrà applicarsi la legge del luogo ove il venditore aveva il proprio centro di affari al momento della conclusione del contratto. La Cina si è così uniformata al criterio internazionalmente diffuso, previsto dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali la quale prevede appunto che, in assenza di una scelta delle parti sulla legge regolatrice, si applicherà la legge dello Stato con il quale il contratto presenta il collegamento più stretto, ossia quello in cui il venditore ha la propria residenza abituale o la propria sede8 . Tuttavia, la Corte ha introdotto un correttivo a tale principio, stabilendo che è possibile l'applicazione della legge del luogo ove l'acquirente ha la propria sede di affari se sussiste una delle seguenti condizioni: a) se il contratto è stato negoziato e concluso nel Paese dell'acquirente; b) se esso è stato concluso sulla base di modelli contrattuali predisposti dall'acquirente; c) se il contratto specifica che il venditore deve eseguire la consegna della cosa nel luogo ove l'acquirente ha la propria sede di affari.

2 - La struttura del commercio con l'estero. Le parti cinesi del contratto di vendita internazionale.

In Cina le imprese e le organizzazioni che esercitano il commercio con l'estero sono ancora prevalentemente controllate dallo Stato. Pertanto è opportuno delineare almeno un quadro generale della struttura organizzativa del commercio con l'estero cines9 per poter individuare le possibili parti cinesi di un contratto di compravendita internazionale.

Al vertice di tale struttura sta il Ministero per il commercio e la cooperazione internazionale (comunemente indicato con l'abbreviazione MOFERT) che ha competenze generali di programma e direzione e, tra le competenze specifiche, ha quella del rilascio delle licenze per l'importazione e l'esportazione. Già dall'inizio degli anni ottanta, il governo cinese ha avviato un programma di decentralizzazione del commercio con l'estero che ha condotto nel 1984 all'affidamento alle province, alle municipalità direttamente dipendenti dal governo centrale ed alle Regioni autonome di competenze precedentemente esercitate dal MOFERT ed ha posto sotto la direzione di queste le filiali locali delle società nazionali di import-export. Nel 1993, poi, il Consiglio degli Affari di Stato ha realizzato un ulteriore decentramento disponendo che ogni distretto e città della costa e delle province di confine ed ogni zona di sviluppo economico e tecnologico abbiano almeno una società di import-export entro la propria zona10 .

Entro questo quadro amministrativo operano le organizzazioni che esercitano il commercio con l'estero e che possono così suddividersi:

1) organizzazioni nazionali, dipendenti dal MOFERT, che si occupano dell'importazione di beni essenziali all'economia del Paese e dell'esportazione dei principali prodotti cinesi, che fino alla metà degli anni ottanta concentravano nelle proprie mani tutto il commercio con l'estero cinese (ad es. la China National Cereals, Oils and Foodstuffs Import and Export Corporation, la China National Light Industrial Products Import and Export Corporation, la China National Arts and Crafts Import and Export Corporation ect.);
2) organizzazioni che operano sotto il controllo di vari ministeri, a livello centrale;
3) organizzazioni dipendenti dai Governi locali, che operano con riferimento alle rispettive zone;
4) imprese (qiye) e società (gongsi) autorizzate al commercio con l'estero, cioè imprese che hanno ottenuto la licenza di import-export dal MOFERT o dal locale Ufficio di commercio per i rapporti economici con l'estero.

Quelle ricomprese nelle su elencate quattro categorie sono dunque le parti che il contraente straniero si troverà di fronte nella conclusione di un contratto di compravendita. Esse continuano ad essere rappresentate, per la massima parte da enti ed imprese statali, mentre il settore privato, pur avendo assunto un ruolo via via più importante nell'economia del Paese, sta ancora muovendo i primi passi nel campo del commercio con l'estero11 .

3 - La formazione del contratto.

Le regole generali in materia di formazione del contratto (proposta, accettazione, conclusione) non si rinvengono nella LCEE. Esse sono tuttavia ricostruibili attraverso gli scritti della dottrina e sulla base della prassi, che ci mostrano una certa aderenza alle regole accolte dalla CVIM.

La proposta (yaoyue, fapan, baopan o baojia) deve provenire dal proponente (yaoyueren o fapanren) e può essere rivolta anche a un destinatario (shouyueren o shuopanren) non determinato. Può trattarsi di proposta vera e propria (shipan), che è sempre irrevocabile e deve contenere tutti gli elementi del contratto da concludere, o di invito a proporre (xupan). L'invito a proporre non vincola il proponente e si caratterizza con espressioni del tipo "proposta condizionata a nostra conferma definitiva" o "proposta per conoscenza" e viene solitamente utilizzato dalla parte cinese per conoscere le intenzioni della controparte straniera o quando essa non è ancora sicura della disponibilità di una certa merce sul mercato cinese.

L'accettazione (jieshou o shoupan) dev'essere conforme alla proposta, altrimenti si considera nuova proposta (huanpan), a meno che non si applichi la CVIM che, all'art.19, co. 2°, ammette un'accettazione difforme dalla proposta se non altera sostanzialmente i termini di quest'ultima. L'accettazione dev'essere comunicata nella forma prevista dalla proposta o, in assenza di specificazioni in merito, nella stessa forma in cui è stata fatta la proposta. Il contratto inter absentes si conclude nel momento in cui il proponente riceve l’accettazione12 .

Come è stato anticipato, la Cina ha dichiarato di volersi sottrarre all'applicazione dell'art. 11 della CVIM, per cui, anche nel caso in cui questa sia la legge regolatrice del rapporto, varranno, per le vendite internazionali, le disposizioni della LCEE, ed in particolare l'art. 7, che richede la forma scritta ad substantiam. Tradizionalmente, i documenti usati dalle organizzazioni cinesi nelle transazioni commerciali internazionali sono di due tipi: contratti formali (shumian hetong o zhengsi hetong) e lettere di conferma (xiaoshu querenshu). Il primo tipo di contratto viene utilizzato nella vendita di materie prime, macchinari ed equipaggiamenti ed è estremamente dettagliato. Vi sono indicati: il nome dell'acquirente e del venditore, la specificazione del bene, la quantità e qualità dello stesso, il prezzo, il Paese d'origine, le indicazioni relative all'imballaggio, al marchio di spedizione, alle modalità ed ai tempi della spedizione (con l'inclusione, generalmente, delle clausole FOB per l'importazione e C&F e CIF per l'esportazione), alla consegna, alle modalità di pagamento, le ipotesi di force majeure in presenza delle quali l'inadempimento del contratto non comporta responsabilità, le clausole penali per ritardate spedizioni ed altre ipotesi di non corretto adempimento o ritardato adempimento, la clausola arbitrale per l'eventuale insorgenza di controversie. La lettera di conferma viene invece utilizzata solitamente per la vendita di beni di minore importanza ed è meno dettagliata del contratto formale, spesso non contenendo clausole di forza maggiore, penali e clausole arbitrali13 .

I contratti formali sono generalmente contratti tipo predisposti dalla parte cinese e sono stampati sia in cinese sia in inglese; entrambe sono le lingue ufficiali del contratto. La contrattazione per contratti-tipo non rappresenta certo una condizione favorevole per l'operatore straniero, il quale tuttavia generalmente finisce per sottoscrivere tali contratti di fronte alla resistenza opposta dalla controparte cinese ad accettare testi contrattuali proposti dalla parte straniera. Pur tenendo presente che anche l'introduzione di modifiche alle standard form of contract è impresa ardua, il contraente straniero dovrà comunque prestare particolare attenzione alle clausole contrattuali e mirare ad una regolamentazione contrattuale la più dettagliata possibile, per ridurre al minimo la possibilità di spiacevoli "sorprese" in caso di invalidazione del contratto o di controversia. Ad esempio, come è stato osservato14 , i contratti di importazione sono più dettagliati di quelli di esportazione, (i quali talora non prevedono, come invece regolarmente accade per i contratti di importazione, clausole penali per ritardate spedizioni), ed a causa di ciò i primi sono risultati più facilmente invalidabili dei secondi. Inoltre, un altro punto a cui bisogna prestare particolare attenzione è la clausola di forza maggiore, che dovrebbe essere accuratamente specificata dalle parti contraenti. Difatti, sebbene la normativa cinese aderisca al dettato della CVIM, nella definizione di forza maggiore, come evento imprevedibile ed inevitabile da parte del contraente inadempiente, spesso i cinesi, in sede di interpretazione della clausola di forza maggiore, hanno mostrato una certa rigidità. Ad esempio, il mancato conseguimento della licenza di import-export, laddove questa fosse richiesta, non è stata accettata quale causa sopravvenuta di forza maggiore, liberatrice dell'obbligazione di adempiere e della responsabilità per indampimento15 ; così pure lo sciopero non viene riconosciuto dai cinesi come evento inevitabile e quindi liberatorio della responsabilità16 .

4 - Le cause di invalidità del contratto.

La CVIM non tratta dell'invalidità del contratto la cui disciplina è pertanto rimessa al diritto nazionale che è applicabile in base alle regole del diritto internazionale privato.

La legge cinese prevede tre cause di nullità (wuxiao) dei contratti internazionali: 1) la violazione delle leggi cinesi; 2) la contrarietà del contratto agli interessi pubblici della società; 3) la conclusione del contratto dietro violenza o con dolo. La Corte Suprema, poi, ha identificato le seguenti ulteriori cause di nullità: 1) mancanza dei requisiti di forma; 2) conclusione del contratto da un falsus procurator; 3) conclusione del contratto in assenza delle necessarie autorizzazioni amministrative (business licence) o esorbitando dall'ambito operativo assegnato (quest'ultima ipotesi riguarda, in particolare, gli enti cinesi che operano nel commercio con l'estero) (art. 3 Sp.).
In caso invece di errore o di manifesta iniquità il contratto è annullabile (art. 4 Sp).

5 - L'inadempimento e la risoluzione del contratto.

Ex art. 18 LCEE si ha inadempimento (weifan hetong) quando una parte non esegue la prestazione o la esegue in maniera difforme da quanto previsto nel contratto.

Di fronte all'inadempimento di una parte sono concessi all'altro contraente i seguenti rimedi: a) la sospensione del contratto; b) il risarcimento del danno; c) l'esecuzione in forma specifica; d) la risoluzione del contratto.

La sospensione del contratto è un rimedio temporaneo, previsto sia nella LCEE (art. 17) sia nella CVIM (art. 71), che una parte può adottare qualora risulti manifesto che l'altra parte non sia in grado di adempiere una delle sue obbligazioni essenziali. La sospensione dev'essere prontamente comunicata all'altra parte e cesserà dopo che questa fornisca adeguate garanzie di adempimento.

Il risarcimento del danno è sempre esercitabile, quale che sia il rimedio specifico cui sia ricorsa la parte non inadempiente (art. 18 LCEE). In conformità alla regola della MM, la legge cinese prevede che debba trattarsi di un danno (sunshi) prevedibile dal debitore come conseguenza del proprio inadempimento (art. 19 LCEE). Inoltre, sempre seguendo un principio generalmente accolto nella prassi dei rapporti commerciali internazionali, si pre vede che la parte lesa debba prendere misure adeguate per limitare l'entità del danno subíto (art. 23 LCEE e 77 CVIM). In base all'art. 20 della LCEE le parti possono inserire nel regolamento contrattuale una clausola in cui viene predeterminata l'entità della somma da corrispondere come risarcimento del danno o, altrimenti, una clausola in cui si stabiliscono i criteri di quantificazione del danno da inadempimento. Queste clausole sono quasi sempre presenti nelle standard form of contract prediposte dalle parti cinesi17 .

Per quanto riguarda l'adempimento specifico, l'art. 28 della CVIM dispone che in applicazione della Convenzione "il giudice non è tenuto ad ordinare l'esecuzione in forma specifica a meno che non lo farebbe in virtù della sua legge nazionale in relazione a contratti di vendita simili ma non regolati dalla presente Convenzione". La cauta formulazione dell'art. 28, unita alla clausola "aperta" dell'art. 18 LCEE, che consente alla parte non inadempiente di chiedere, oltre ai rimedi previsti per legge, l'adozione di altri "ragionevoli rimedi", lascia dunque aperta la possibilità al giudice cinese, di ordinare l'adempimento specifico, qualora lo ritenga un "rimedio ragionevole" per l'inadempimento.

L'inadempimento che abbia privato l'altra parte di ciò che essa aveva diritto di aspettarsi dal contratto consente a questa di risolvere il contratto (art. 29, n. 1). Questa disposizione sembra richiamarsi alla nozione di fundamental breach18 di cui all'art. 25 della Convenzione di Vienna, anche se rispetto a quest'ultima la legge cinese si esprime in termini meno chiari. Comunque, da quanto emerge nella normativa cinese, la risoluzione del contratto sarebbe concessa solo per inadempimenti essenziali, mentre le altre forme di inadempimento sarebbero sanzionate, ex art. 18 LCEE, solo con i danni.

Altra ipotesi di risoluzione del contratto è quella dell'impossibilità sopravvenuta per forza maggiore. La forza maggiore, secondo l'art. 24 (che trae ispirazione dall'art. 79 della Convenzione di Vienna), è ogni evento che le parti non possono prevedere ed il cui accadimento e le cui conseguenze esse non possono evitare; i contratti tipo cinesi non sempre specificano le ipotesi di forza maggiore ed è consigliabile per le parti straniere cercare di ottenere una regolamentazione dettagliata della clausola di forza maggiore viste le difficoltà che sovente sono insorte in sede di interpretazione della clausola medesima.

Inoltre la legge, accanto alle suddette ipotesi di cessazione del contratto dovute a "patologie" contrattuali, ne prevede altre legate alle vicende "naturali' del rapporto (esecuzione, accordo delle parti, scadenza o recesso) (art. 31). La legge specifica anche che la cessazione non influisce sulla validità delle clausole compromissoria e penale (artt. 35 e 36).

6 - La risoluzione delle controversie sul contratto.

La materia della risoluzione delle controversie non viene trattata dalla CVIM, mentre la LCEE prevede quattro metodi di gestione delle liti, di cui tre alternativi alla soluzione giurisdizionale (artt. 37,38). I metodi alternativi sono quelli ormai internazionalmente diffusi della consultazione amichevole (settlement/negotiation), della conciliazione e dell'arbitrato. Le parti possono liberamente determinare la forma di risoluzione delle eventuali controversie (artt. 37, 38 LCEE) e la legge applicabile (art. 5 LCEE).

La soluzione più informale è quella della "consultazione amichevole" (youhao xieshang), che avviene direttamente tra le parti, senza interventi esterni. Segue la conciliazione (tiaojie), che è la forma tipica di soluzione delle liti del sistema giuridico cinese tradizionale19 e che è tuttora regolarmente "consigliata" da ogni testo normativo come prima forma di soluzione delle liti. Attualmente, nelle controversie del commercio internazionale, è possibile ricorrere ad una procedura di conciliazione ad hoc o alla conciliazione in corso di arbitrato. Per la prima forma di conciliazione è competente il Beijing Conciliation Center, istituito nel 1987 ed operante in base ad un proprio Regolamento di conciliazione in vigore dal 1° gennaio 199220 . Se questo tentativo di conciliazione fallisce o se le parti preferiscono non esperirlo e sottoscrivono una clausola compromissoria nel contratto o un separato accordo di arbitrato, si ricorrerà alla procedura arbitrale. Se le parti hanno scelto l'arbitrato cinese, questo si svolgerà presso la Commissione cinese per l'arbitrato internazionale economico e commerciale (CIETAC). Va a questo punto ricordato che l'arbitrato commerciale internazionale in Cina ha conosciuto nell'ultimo decennio una notevole espansione ed un crescente processo di internazionalizzazione, una cui tappa fondamentale è stata rappresentata dalla ratifica, nel 1986, della Convenzione di New York del 1958 sull'arbitrato commerciale internazionale, cui ha fatto seguito, nel 1988, l'emanazione di un nuovo Regolamento arbitrale CIETAC. Quest'ultimo è stato emendato nel 1993 (con entrata in vigore delle nuove norme dal 1° gennaio 1994), al fine di avvicinare ulteriormente l'arbitrato cinese agli standard arbitrali internazionali codificati nella Legge-modello Uncitral sull'arbitrato commerciale internazionale (Ginevra 1985). Il nuovo Regolamento21 prevede, oltre ad una migliore definizione ed una modernizzazione del procedimento arbitrale, anche un potenziamento della procedura conciliativa che gli arbitri possono attivare su proprio impulso e, ovviamente, dietro consenso delle parti, nella fase di apertura del procedimento e che può sfociare in un accordo di conciliazione da formalizzare nel lodo22 . Inoltre, negli ultimi anni, la CIETAC ha dato impulso anche a forme di cooperazione con istituzioni arbitrali estere, come la cd. "joint conciliation" e la "joint arbitration". Il lodo arbitrale cinese acquista autorità di cosa giudicata e contro di esso non è ammesso ricorso giurisdizionale (art. 260 Cod. Proc. Civ.)23 . L'intervento del Tribunale è ammesso invece per garantire l'esecuzione del lodo, ma va rilevato che da più parti viene lamentata una certa mancanza di coordinamento tra organi arbitrali e giurisdizionali che ha reso finora difficoltosa l'esecuzione forzata dei lodi emessi dal CIETAC'24 .

L'ultima ipotesi è quella della sottoposizione della controversia al Tribunale, ipotesi notoriamente invisa in Cina e tendenzialmente evitata anche dagli organismi che operano nel settore del commercio con l'estero. In generale il Tribunale ammetterà un'azione se: a) le parti hanno stabilito per iscritto di ricorrere alla soluzione giurisdizionale; b) se non vi è un tale accordo scritto ma il contratto è stato concluso o dev'essere eseguito in Cina; c) il convenuto è una persona giuridica cinese o registrata in Cina; d) il convenuto è cittadino o persona giuridica straniera che ha un'ufficio di rappresentanza in Cina; e) il convenuto ha una disponibilità di patrimonio in Cina sufficiente a far fronte alle spese processuali25 .

MONDO CINESE N. 87, SETTEMBRE-DICEMBRE 1994

Note

1 Per il cui testo, nelle versioni ufficiali in lingua inglese e francese ed in una traduzione in lingua cinese, si veda C.M. BIANCA e J.M. BONELL (a cura di), Commentary on the International Sales Law. The 1980 Vienna Sales Convention, Milano, Giuffré, 1987
2  In merito alla ratifica della Convenzione da parte della Cina si veda Duiwai jingji maoyibu guanyu zhixing lianheguo guoji houwu xiaoshou hetong gongyue ying zhuyi de wenti (Alcune questioni relative alla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sulla vendita internazionale di beni mobili da parte del Ministero del commercio con l'estero), in Zhonghua renmin gongheguo zuigao renmin fayuan gongbao, 1988, n. 1, pp. 19-20.
3  Per un commento approfondito dell'art.1 della Convenzione si veda F. FERRARI, Vendita internazionale di beni mobili, in F. GALLANO (a cura di), Commentario del codice civile Sealojia-Branca, Bologna, Zaniehelli, 1994, pp. 18-55.
4  R.LUZZATTO, voce Vendita (dir. internaz. priv.), in Enc. del dir., p. 510.
5  Questa è l'interpretazione di F. FERRARI, Op. cit., che, a p. 43., dopo aver esaminato le varie ipotesi di applicazione o meno della CVIM, in presenza della riserva in esame, conclude affermando che "l'applicazione della Convenzione di Vienna, ex art. 1, ce. 1°, lett.b), è sempre garantita quando la legge designata sia quella di uno stato contraente, riservatario o non, purchè il foro non sia quello di uno stato contraente riservatario".
6  Shewai jingji hetong fa, promulgata il 21-03-1985, in Zhonghua duiwai jingjifa fagui huibian (Raccolta di atti normativi relativi al diritto economico internazionale), versione bilingue cin.-ingl., Beijing, Foreign Language Press, 1991, vol. IV, pp. 97-114. 
7  Nelle Spiegazioni su alcune questioni relative all'attuazione della legge sui contratti economici internazionali (nel testo d'ora in poi abbreviato con Sp.) Zuigao renmin fayuan guanyu shiyong "Shewai jingji hetongfa" ruogan wenti de jieda, in Zhonghua renmin gongheguo zuigao renmin fayuan gongbao, 1987, n. 4, pp. 1-7, art 2, par. 6.
8  Cfr. F. FERRARI, Op. cit., pp. 36-37.
9Per un prospetto dettagliato si veda China's foreign trade corporations and organizations, Beijing, China Council for the promotion of international trade, 1992. 
10  Per una ricostruzione del processo di decentramento del commercio con l'estero si vedano N. LARDY, Chinese Foreign Trade in The China Quarterly, 1992, n. 4, pp. 700-703. G. WANG, China's Return to Gatt. Legal and Economic Implications, in Journal of World Trade, 1994, n. 3, pp. 58-59.
11  Per un'approfondita disamina delle diverse forme di imprese operanti nel settore del commercio con l'estero, si veda Y. CHENG, East-West Trade: Changing Patterns in Chinese Foreign Trade Law and Institutions, New York-London, Oceana, 1991, pp. 218-244.
12  Sulle regole relative a proposta e accettazione si vedano: Shanghai duiwai maoyi xiehui (Associazione per il commercio con l'estero di Shanghai) (a cura di), Duiwai jingji maoyi anli (Casi giudiziari in materia di commercio con l'estero), Shanghai, Lixin Kuaiji Chubanshe, 1992, pp. 36-40. AA.VV., Duiwai jingmao shijian zhong changjian falü wenti ji yingfu celüe (Come affrontare i problemi giuridici più comuni nella pratica del commercio con l'estero), Beijing, Zhongguo Minzhu Fazhi Chubanshe, 1992, pp. 14-40.
13  Cfr., per i vari modelli contrattuali, in versione inglese e cinese, Y. SONG, Practical Contracts for International Trade, Hong Kong, Star Ocean Publishing, 1989, alle pp. 277-307.
14  Cfr. R. TURCHINI, Il commercio con l'estero in Cina, in Commercio Internazionale, 1992, n. 14, p. 841.
15  Cfr. Y. CHENG, Op. cit., p. 273.
16 S.J. MITCHELL & D., D. STEIN, United States-China Commercial Contracts, in The International Lawyer, 1983, vol. 20, p. 910.
17 Cfr. Y. SONG, Op. cit.
18  In merito alla quale si vedano le considerazioni, anche in chiave comparativa, di A. FRIGNANI, Il contratto internazionale, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia diretto da F. GALGANO, pp. 235-238; 313-315.
19  Cfr. P. CORRADINI, Diritto e commercio in Cina: la tradizione e la storia, in G. CRESPI REGHIZZI e R. CAVALIERI (a cura di), Diritto commerciale e arbitrato in Cina, Milano, Egea, 1991, pp. 3-13. 
20  Sull'organizzazione del Beijing Conciliation Center si veda: H. ZHENG, Constant Development in Trade Promotion Work, in China's Foreign Trade, Oct/Nov 1989, p. 6. Per informazioni generali su questa procedura conciliativa si veda: D. CHEN, Shewai zhongcai yu falü (Arbitrato internazionale e legge), Beijing, Renmin Daxue Chubanshe, 1992, p. 107.
21  In merito al quale si veda: Y. ZHANG, Towards the Uncitral Model Law. A Chinese Perspective, in Journal of International Arbitration, 1994, n. 1, pp.98-121.
22  Secondo ZHANG, Op. ult. cit., circa il 30% dei casi sottoposti al CIETAC sono risolti con procedura conciliativa.
23  Il Codice di procedura civile, Minshi susong fa, è del 1991, e si trova in Zhonghua renmin gongheguo guowuyuan gongbao (Gazzetta del Consiglio degli affari di Stato della R.P.C.), 1991, n. 13, pp. 481-534.
24  Op. ult. cit., p. 279.
25  Cfr. Y. CHENG, Op. cit., p. 279. In merito alle varie forme di risoluzione delle controversie del commercio internazionale si vedano i vari saggi contenuti in G. CRESPI REGHIZZI e R. CAVALIERI (a cura di), Op. cit., pp. 253-374.

 

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