Premessa
Nel corso di una recente permanenza in Cina ho avuto occasione di incontrare alcuni esponenti significativi del mondo intellettuale cinese. Alle mie richieste di colloquio hanno aderito con cortesia ma, segno evidente di una pressione politica costante e di una certa insicurezza che ancora si fa sentire in tante manifestazioni della vita intellettuale, mi hanno pregato di non pubblicare i loro nomi.
Mi sembra tuttavia interessante offrire al pubblico italiano i testi di due interviste dalle quali sono stati espunti soltanto quegli elementi personali che avrebbero forse potuto consentire di identificare i miei interlocutori.
Da queste interviste emergono alcuni elementi ricorrenti nell'opinione espressa da numerosi altri intellettuali sulla linea politica adottata dal Partito Comunista cinese (P.c.c.) dal 1949 a oggi.
Innanzitutto prevale un giudizio negativo sull'atteggiamento di Mao Zedong verso gli intellettuali, al quale si contrappone un'opinione pressochè unanime sul mutamento dell'atmosfera generale nel dopo-Mao che ha determinato una maggiore, seppur parziale, "distensione". Tuttavia, per quanto riguarda la possibile attendibilità di analisi interpretative che tendono ad evidenziare fasi alterne di distensione e repressione, gli intellettuali cinesi sostengono che in realtà il controllo politico del Partito, soprattutto nel campo delle discipline umanistiche e delle scienze sociali, non è mai stato veramente allentato.
Il 18 marzo 1978, nel corso della Conferenza Nazionale sulla Scienza, Deng Xiaoping effettuò una riclassificazione teorica della figura e del ruolo intellettuale, annunciando che gli intellettuali entravano a far parte della classe lavoratrice e definendo la scienza e la tecnologia come forze produttive. Questo discorso programmatico, che viene comunemente interpretato a livello ufficiale come il punto di partenza del cambiamento della politica del partito nei confronti degli intellettuali, deve essere però collocato all'interno di un processo globale di legittimazione ideologica della nuova linea del Partito che ha visto successivamente la distensione e la stessa riforma economica diventare più volte dei mezzi per rafforzare un governo autocratico che affonda le sue radici storiche nella tradizione imperiale.
Gli intellettuali impegnati nel settore scientifico e tecnologico, in virtù della tipologia della loro attività lavorativa, sono meno direttamente coinvolti nelle questioni politiche e più strettamente funzionali al processo di modernizzazione e di crescita economica in atto nel Paese. Essi hanno quindi goduto in maniera particolare delle opportunità offerte dalla nuova situazione.
Persiste tuttavia ancor oggi una divergenza di vedute tra il Partito e gli intellettuali per quanto concerne il ruolo assegnato all'intellettuale e risultano ancora palesemente trascurate alcune istanze fondamentali riguardanti lo sviluppo in senso democratico del Paese.
Da queste due interviste emerge anche, in maniera significativa, un'atavica concezione elitaria, propria dell'intellettuale, che lo porta a guardare con disprezzo i contadini. È interessante tuttavia osservare la particolare espressione che assume questo atteggiamento di superiorità a causa della matrice storico-sociologica del Partito Comunista Cinese da un lato e delle ripercussioni della politica di modernizzazione in campo agricolo nelle zone limitrofe alle grandi città, dall'altro.
Le interviste che presentiamo ci offrono alcuni spunti interessanti per comprendere come si colloca la figura dell'intellettuale nel complesso processo di ristratificazione sociale attualmente in atto in Cina sull'onda della politica di riforme economiche propugnata da Deng Xiaoping.
Il cambiamento economico ha avuto conseguenze enormi sulla società, con caratteristiche diverse da zona a zona, e questo contributo vorrebbe essere quindi soprattutto un tentativo di fare luce sull'emergenza, più che sulla reale portata, di alcuni problemi che si sono progressivamente acuiti negli ultimi anni.
Il concetto e l'applicazione della legge, il buco nero dell'istruzione, il rapporto tra i valori del passato e il vuoto morale del presente sullo sfondo di un crescente divario generazionale, sono questi alcuni dei problemi che emergono nel corso delle interviste. Queste tematiche si collocano in un contesto generale nel quale, se da un lato predomina ancora, oggi come o più di ieri, il concetto etnocentrico di una Cina "forte e in armonia", si stanno tuttavia facendo strada anche forze centrifughe che trovano un loro puntuale riscontro nel microcosmo individuale, in quella ricerca di espressione della propria identità, di affermazione del proprio sentire soggettivo che caratterizza oggi il lavoro di alcuni intellettuali.
Prima intervista
D: Nell'analisi della linea politica adottata dal P.c.c. nei confronti degli intellettuali dopo il 1949 alcuni studiosi hanno utilizzato il modello interpretativo elaborato da Merle Goldman1 .
La studiosa americana sostiene che l'orientamento del Partito verso gli intellettuali è stato caratterizzato da un susseguirsi di fasi alterne di distensione (fangsong) e repressione (jinsuo). Ritiene questo modello idoneo per spiegare la situazione cinese?
R: E' innegabile che la politica del P.c.c. nei confronti degli intellettuali presenti questa ciclica alternanza, ma ritengo che utilizzando questo modello si corra il rischio di non arrivare a cogliere l'essenza del problema. Mi sembra infatti necessario tenere nella dovuta considerazione altri fattori significativi.
Innanzitutto è importante ricordare che le cose in Cina sono andate diversamente rispetto agli altri Paesi comunisti.
Non dobbiamo dimenticare che gli intellettuali cinesi erano profondamente insoddisfatti della "vecchia società" e questo scontento rappresentò una componente fondamentale della loro decisione di appoggiare il P.c.c. al momento della presa del potere. La teoria politica del P.c.c. sembrò incarnare un ideale assoluto di giustizia e di integrità, e fu per questo motivo che la stragrande maggioranza degli intellettuali si arrese al P.c.c. ma pochi di loro si resero conto del fatto (o forse ne sottovalutarono l'importanza) che il fulcro della rivoluzione cinese era costituito da contadini e non da intellettuali.
I dirigenti della rivoluzione maoista erano rivoluzionari contadini e questo carattere essenziale influenzò enormemente il loro atteggiamento politico verso gli intellettuali. Aldilà della possibilità di definire delle fasi alterne, possiamo quindi affermare, in generale, che soprattutto per la matrice sociale che ha caratterizzato la leadership del P.c.c., gli intellettuali hanno avuto una vita tutt'altro che facile, fino a dover subire, in certi periodi storici, un tragico destino.
D: Quale fu l'atteggiamento degli intellettuali nei confronti della rivoluzione?
R: Gli intellettuali erano pienamente consapevoli del fatto che si trattasse di una rivoluzione socialista e vi aderirono ponendo però un'enfasi particolare sull'importanza di tracciare le coordinate di un cammino democratico per lo sviluppo del Paese.
Gli intellettuali, dal 1949 ad oggi, hanno avanzato a più riprese un'istanza di maggiore democrazia e, a questo proposito, mi sembra importante rilevare che il concetto di democrazia espresso dall'intellettuale cinese non può essere identificato, se non in alcuni rari casi, con un sostegno incondizionato del modello politico occidentale.
Il P.c.c., al contrario, fece leva sui contadini per arrivare alla presa del potere e dopo il 1949 sottolineò la necessità di unificazione e centralizzazione come elementi imprescindibili per assicurare la stabilità del Paese e consentirne lo sviluppo.
Per quanto riguarda la complessa questione della democrazia, il P.c.c. stabilì il principio del centralismo sulla base della democrazia sotto una guida centralizzata (minzhujichushang jizhong, zhidaoxia de minzhu) ma non raccolse lo spirito profondo delle istanze avanzate dagli intellettuali.
Dal 1949 a oggi possiamo osservare come a volte gli intellettuali e il P.c.c. abbiano camminato lungo un sentiero comune ma molte altre volte si siano trovati su posizioni antitetiche.
D: Quale è stata la politica del Partito nei confronti degli intellettuali durante il periodo maoista?
R: Prima del 1949 l'atteggiamento di Mao Zedong verso gli intellettuali sembrò essere sostanzialmente positivo, caratterizzato da interesse e gentilezza nei loro confronti. A volte Mao aveva idee diverse rispetto a quelle di alcuni scrittori, ma la divergenza di opinioni si acuì progressivamente solo dopo il 1949. Penso ad esempio a Ding Ling, ad Ai Qing, e allo stesso Beisong; quest'ultimo aveva idee molto diverse da quelle del Presidente. Mao lo convocava spesso per discutere con lui su vari argomenti di carattere socio-politico. Con Ai Qing poi Mao si dimostrò molto tollerante e lo ricopri di onori.
Ma a metà degli anni Cinquanta numerosi intellettuali cominciarono a recedere dalla posizione di sostegno assoluto e incondizionato al Partito e alcuni di loro si spinsero oltre avanzando dubbi sulla causa rivoluzionaria. L'attacco di Mao nei confronti di questi intellettuali non si fece attendere.
D: Ritiene che l'estrazione sociale e la formazione personale di Mao Zedong possano avere in qualche modo influito sul suo comportamento?
R: Sicuramente, Mao non era un Professore! La sua estrazione contadina determinò il punto di partenza politico dell'attacco sferrato contro gli intellettuali.
La teoria rivoluzionaria maoista trovò la propria espressione pratica in una rivoluzione contadina guidata da un contadino rivoluzionario.
Se confrontiamo Mao Zedong con Chen Duxiu e Wang Ming risulta evidente la differenza: questi ultimi erano intellettuali, Chen Duxiu era un professore universitario e Wang Ming aveva lavorato a stretto contatto con Barovsky.
D: Pensa che vi sia stata un'evoluzione nella posizione teorica e nell'atteggiamento di Mao Zedong nei confronti degli intellettuali?
R: A Yan'an Mao aveva mostrato chiaramente la propria posizione quando aveva dichiarato "Studiare è la cosa più semplice, è più facile che uccidere un maiale". Sono d'accordo con l'essenza di questo concetto poichè io non ho mai ucciso un maiale e mai avrei il coraggio di farlo, ma in realtà non ha senso azzardare questo tipo di confronto, non le pare?! Penso che sulla base di queste premesse, nel periodo che va dal 1942 al 1957, Mao abbia progressivamente maturato l'idea secondo la quale gli studiosi e le persone istruite non sono in grado di comprendere la rivoluzione cinese. Questa potrebbe grosso modo rappresentare la prima fase della linea politica di Mao nei confronti degli intellettuali.
Nel giugno del 1957 iniziò una nuova fase caratterizzata da una palese avversione verso gli intellettuali. Gli intellettuali vennero definiti "coloro che usano le parole dei cani" (gouzir), e la letteratura retrocesse al livello di "una faccenda da cani". La negazione assoluta e perentoria che la letteratura potesse avere un valore speciale o assumere un carattere particolare ebbe un'influenza decisiva sull'opera di molti scrittori.
Nel 1957 venne stabilito il criterio secondo il quale gli intellettuali dovevano riconoscere il potere politico del P.c.c..
In realtà, anche durante il Movimento dei cento fiori, non possiamo parlare di vera e propria opposizione da parte degli intellettuali, direi piuttosto che molti intellettuali espressero la propria insoddisfazione. Ma nel 1957 la reazione del Partito fu durissima rivelando chiaramente come il desiderio che gli intellettuali sostenessero il suo operato fosse in realtà un ordine.
D: La struttura del potere e la linea politica adottata dal P.c.c. nei confronti degli intellettuali, soprattutto dopo la "campagna contro la destra" del 1957, hanno impedito la creazione di canali istituzionali per l'espressione del 'dissenso'.
Goran Leijonhufvud, nell'interessantissimo libro sul significato storico-politico dei dazibao2 , sostiene l'esistenza nella storia cinese di un fenomeno di lunga durata che egli definisce "critica leale" o "dissenso leale", ovvero la perenne presenza (a partire dal poeta e funzionario Qu Yuan vissuto nel quarto secolo a.C.) di persone che, nonostante non si trovino d'accordo con i metodi usati dai governanti, professano una sostanziale lealtà al sistema (al contrario di quanto avvenne, ad esempio, nei Paesi dell'Europa dell'Est). Ritieni che questa teoria possa essere applicata anche al dopo-Mao?
R: Non saprei. Sicuramente con l'ascesa al potere di Deng Xiaoping la condizione degli intellettuali è mutata, direi completamente mutata rispetto al precedente periodo maoista. Il segnale più significativo è stata la riabilitazione (pinfan) degli intellettuali classificati come elementi di destra nel 1957. Il movimento del 1957 ha rappresentato il momento di offensiva più violenta nei confronti degli intellettuali di tutto il periodo maoista.
D: Ancor più che la Rivoluzione Culturale?
R: Ritengo di sì poichè la Rivoluzione Culturale fu caratterizzata in primo luogo da problematiche generali relative alla natura e alla funzione del potere politico e coinvolse innanzitutto l'apparato burocratico del potere. Direi quindi che, nel corso della Rivoluzione Culturale, molti dirigenti politici hanno avuto una vita più dura rispetto agli intellettuali.
La campagna contro la destra del 1957, al contrario, ebbe come soggetto di discussione e di accusa gli intellettuali e rappresentò sostanzialmente un attacco durissimo e mirato nei loro confronti.
Deng Xiaoping ha stabilito il concetto innovativo secondo il quale la conoscenza e la scienza rappresentano una forza produttiva poichè egli ha capito che per realizzare il progetto di una Cina moderna occorre coinvolgere gli intellettuali nello sviluppo economico del Paese. Nell'era denghista abbiamo assistito ad un miglioramento delle condizioni di vita degli intellettuali nel tentativo di coinvolgerli nel processo di modernizzazione. Tuttavia il fatto che il fulcro della mutata condizione degli intellettuali consista in un nuovo criterio di valutazione della loro forza produttiva (shengchanli) ha originato non pochi problemi poichè molti intellettuali non riescono a considerarsi "produttori". Dobbiamo inoltre riconoscere che un certo numero di loro rivendica, in base alla riscoperta appartenenza alla classe lavoratrice sancita da Deng Xiaoping, la propria sovranità sulla nazione. Poichè "Sotto il sistema socialista, il popolo è il sovrano della nazione", alcuni intellettuali non si considerano semplici produttori ma "padroni" del Paese.
D: Durante il mio incontro con (. . .) abbiamo parlato delle differenze tra l'ex-Unione Sovietica e la Cina relativamente al rapporto tra gli intellettuali e la produzione. In particolar modo, per quanto riguarda gli intellettuali impegnati nel campo scientifico, mentre nell'ex-Unione Sovietica agli scienziati è stato riconosciuto e attribuito un ruolo di guida della produzione (kexuejia lingdao shengchan), in Cina sembra persistere ancor oggi l'idea dello scienziato al servizio della produzione (kexuejia wei shengchan fuwu). Abbiamo ricordato inoltre come Deng Xiaoping abbia coniato lo slogan "Tenere in grande considerazione la conoscenza e apprezzare il personale qualificato" (zunzhong zhishi, zunzhong rencai).
Ritiene che il cambiamento verificatosi nel dopo-Mao corrisponda a un reale riconoscimento del valore del lavoro intellettuale e del ruolo degli intellettuali nella società o si tratti principalmente di un tentativo di attirarli dalla parte del governo impegnato nel progetto di modernizzazione del Paese?
R: Bisogna riconoscere che Deng Xiaoping ha sottolineato più volte l'importanza della conoscenza attribuendole un ruolo di guida nello sviluppo del Paese mentre Mao rivelava, anche a livello teorico, una chiusura nei confronti degli intellettuali. Tra gli uomini-chiave scelti da Mao non troviamo degli intellettuali, al contrario, la maggior parte di loro erano persone prive di istruzione - penso ad esempio a Wang Hongwen, esponente della Banda dei Quattro, e allo stesso Hua Guofeng -. Ricordiamo inoltre che a Mao non piacevano gli studenti universitari (dopo il 1949 non si recò mai a Beida), egli non incitava gli studenti delle superiori a proseguire intraprendendo gli studi universitari, senza considerare la chiusura delle scuole durante la Rivoluzione Culturale.
Oggi le cose sono cambiate: è necessario essere laureati per arrivare ad occupare una certa posizione.
Ma il problema dell'istruzione rimane molto grave: oggi in Cina esistono duecento milioni di analfabeti.
Deng Xiaoping ha sottolineato l'importanza della conoscenza anche per coloro che ricoprono cariche di alto livello nell'apparato governativo e stimola continuamente i dirigenti a studiare. L'accresciuto ruolo della conoscenza ha interessato anche l'esercito: sono state create scuole speciali per la difesa (le guofang daxue) nelle quali sono stati attivati corsi di laurea idonei per i militari.
Al tempo di Mao le cose andavano diversamente..
D: Ritiene che i cardini della linea politica del P.c.c. nei confronti degli intellettuali abbiano subito una reale modificazione dopo il 1978 ?
R: Il modello dell'alternanza tra "distensione" e "repressione" non mi sembra del tutto idoneo per spiegare la politica del P.c.c. nei confronti degli intellettuali soprattutto perchè adottandolo si rischia di travisare un punto fondamentale. Come mostra l'enfasi posta oggi sui "quattro principi fondamentali", la pressione politica in realtà non è mai stata allentata, almeno per quanto riguarda gli intellettuali impegnati nel settore artistico-letterario. Dopo il 1978 si è venuta progressivamente a creare una grande differenza tra questo gruppo e gli intellettuali impegnati nel settore scientifico-tecnologico (nei confronti dei quali si è manifestata una maggiore distensione).
D: La dottrina tradizionale confuciana che sosteneva l'armonia naturale tra colui che comanda e i suoi sudditi ha costituito la corrente principale del pensiero cinese per oltre duemila anni. Questa teoria si è inoltre rafforzata grazie ai concetti etnocentrici determinando un rapporto simbiotico di devozione del cinese alla sua civiltà e ha preso la forma di nazionalismo nell'ultimo secolo. Pensi che questa idea di una Cina forte e in armonia abbia oggi un valore e un'influenza sugli intellettuali?
R: Oggi, così come in passato, esiste in Cina (e anche a Taiwan) una forte coscienza nazionale (minzu yishi): è una forma mentis che caratterizza anche la maggioranza degli intellettuali i quali coltivano l'ideale di rafforzare il Paese e sono felici di svolgere la propria attività lavorativa per il bene del Paese. Questo vale spesso anche per coloro che non condividono la politica o i metodi del Partito.
Anche un personaggio come (. . .), ad esempio, condivide l'idea di contribuire allo sviluppo del Paese; e così pure il premio Nobel Yang Zhenyin; che è un ferreo sostenitore delle libertà fondamentali dell'individuo, quando parla del suo Paese. Proprio per questo radicato senso di coscienza nazionale, non si schiera mai su posizioni antitetiche rispetto al Governo di Pechino.
D: Dopo i fatti del 1989 in Cina, Unione Sovietica e nei Paesi dell'Europa dell'Est molti studiosi hanno cercato di analizzare le cause del "crollo del comunismo" e anche per quanto riguarda la situazione cinese si è parlato di uno scollamento dell'ideologia (yishi xingtai de danhua). Qual è la sua opinione in proposito?
R: In Cina esiste uno stretto rapporto tra il ruolo dell'ideologia ufficiale e la coscienza nazionale di ogni singolo individuo, un rapporto che si è rivelato essere inversamente proporzionale poiché, ad un progressivo scollamento dell'ideologia, ha fatto da contraltare un rafforzamento del nazionalismo che sembra oggi incarnare l'ideale della riforma economica e della ristratificazione sociale.
D: È possibile applicare la categoria generale del dissenso all'attuale situazione cinese?
R: Gli intellettuali dissidenti in Cina presentano caratteristiche diverse rispetto a qualsiasi altro Paese. Questo per due motivi fondamentali: perchè la Cina appartiene al Terzo mondo e per la presenza di una fortissima coscienza nazionale. Nella situazione attuale la maggior parte degli intellettuali continua ad accettare, oggi come ieri, il ruolo dominante del P.c.c..
D: Pensa che esistano delle contraddizioni insanabili tra il Partito e gli intellettuali?
R: Penso che le maggiori divergenze riguardino le questioni della democrazia e delle libertà. Gli intellettuali ancor oggi si chiedono se è possibile avere più democrazia, che per molti di loro significa principalmente una minore interferenza nel campo letterario, la circolazione di un maggior numero di giornali e riviste più libere, ovvero libertà di espressione e di stampa.
Ogni anno, inoltre, gli intellettuali chiedono maggiore libertà nel campo accademico dove le critiche sono ancora all'ordine del giorno.
Il P.c.c. sostiene che il problema fondamentale consiste nel livello culturale (wenhua suzhi) troppo basso del popolo e teme che una maggiore libertà potrebbe portare al disordine. Questo è a mio avviso un pericolo reale soprattutto perchè in questa fase di sviluppo del Paese è importante evitare disordini che potrebbero avere conseguenze nefaste sul piano economico ma, al tempo stesso, si sta creando una discrepanza tra il ritmo sostenuto dello sviluppo materiale e l'elaborazione teorica.
D: E per quanto riguarda il modello politico-economico?
R: II governo cinese sembra essere molto interessato al modello politico-economico di Singapore che ritiene più idoneo rispetto al modello americano o ad altri modelli europei. Ma aldilà degli aspetti positivi della situazione di Singapore (quali ad esempio la soluzione del problema del traffico) rimane fondamentale l'accento posto sul problema del controllo politico. Il Governo di Singapore è come un padre-padrone che tratta gli abitanti come dei bambini.
La Cina poi è troppo grande e permane la paura dell'incontrollabilità dell'ordine pubblico.
D: Alcune delle persone da me incontrate sostengono che in Cina oggi vi sia "libertà di espressione" ma leggendo i quotidiani, le riviste o ascoltando i telegiornali si ha una sensazione totalmente diversa.
R: Per quanto riguarda la libertà di espressione devo dire che anche se in Cina allo stato attuale delle cose non è possibile pubblicare opinioni che attacchino il Governo, molti intellettuali quando si trovano insieme a casa di amici o al ristorante esprimono tranquillamente le proprie idee, discutono e avanzano critiche nei confronti della situazione politica o economica e a volte si avventurano persino nel campo della satira politica.
D: Un nodo cruciale per l'intellettuale cinese riguarda la presa di coscienza della propria soggettività, la scoperta della propria identità e di un nuovo rapporto con la società che negli ultimi anni è notevolmente mutata.
R: L'economia di mercato sta portando una maggiore indipendenza dell'individuo rispetto alla collettività. In passato se una persona lasciava la propria unità di lavoro, non aveva altri sbocchi nè lavorativi nè individuali* .
Oggi non è più così. Oggi persino la registrazione anagrafica (hukou) non ha più l'importanza che aveva in passato. Si sta facendo strada un nuovo modo di pensare che risponde alla logica secondo la quale se uno ha i soldi può comprare quello che vuole. Questo non comporta automaticamente un miglioramento della situazione generale, anzi, in molti casi ne determina un peggioramento dal punto di vista etico e sociale, ma la maggiore indipendenza del singolo rispetto al passato è un elemento positivo.
D: Quali sono le prospettive per il futuro?
R: Il cambiamento della situazione economica sta portando numerosi cambiamenti nella società e questo incide anche sulle idee e sul ruolo degli intellettuali. In passato gli intellettuali riponevano tutte le loro speranze nel governo. Volevano un governo buono, vagheggiavano l'ideale del buon imperatore che garantisce al Paese un futuro luminoso. Per questo motivo gli intellettuali erano interessati alla politica ma oggi le cose stanno cambiando.
Durante il suo soggiorno a Canton avrà constatato anche lei che gli intellettuali cantonesi non parlano di politica, anzi guardano con un misto di ironia e di disprezzo a Pechino dove gli intellettuali continuano a interessarsi della situazione politica, a parlare del XIV Congresso etc. Loro pensano che non abbia più senso discutere di politica e prendono in giro gli intellettuali di Pechino così coinvolti nella cosa pubblica: quando dicono che "a Pechino si mangia male" e sottolineano scherzando la loro capacità di mangiare del buon pesce si riferiscono in realtà a una nuova concezione dell'uomo e della vita che si sta facendo strada nel sud del Paese.
Penso comunque che il rapporto tra P.c.c. e intellettuali non debba essere concepito come un rapporto di tipo subordinato, come quello tra il datore di lavoro e i suoi dipendenti. Ma l'idea della democrazia in Cina non è sufficientemente sviluppata, quindi per ora il P.c.c. crede ancora di essere "il capo", come se fosse il direttore generale di una grande azienda.
D: Quali sono le differenze tra Mao Zedong e Deng Xiaoping per quanto riguarda il controllo sugli intellettuali?
R: Durante il periodo maoista il controllo sugli intellettuali veniva esercitato per mezzo di movimenti di critica e di riforma del pensiero incentrati su parole d'ordine di tipo ideologico (yishi xingtai). "La lotta di classe deve essere discussa ogni giorno, ogni mese, ogni anno" diceva Mao. Sembrava che ogni giorno, ogni mese, ogni anno fosse necessario effettuare dibattiti politici per dimostrate la validità della lotta di classe contro la borghesia.
Con l'ascesa al potere di Deng Xiaoping quegli slogan sono caduti in disuso, e la leadership politica del dopo-Mao ha messo in atto un controllo di tipo amministrativo. Se qualcuno si schiera contro il Paese, ovvero contro il P.c.c., allora viene represso ma Deng Xiaoping non ama le discussioni teoriche, o gli slogan politici, nè tantomeno i movimenti di massa. Deng pone al centro della sua strategia politica la costruzione economica e sembra ammonire gli intellettuali avvertendoli che potranno godere di notevoli benefici rispetto al precedente periodo maoista purchè non si oppongano al suo governo ancora strenuamente arroccato sui quattro principi fondamentali.
D: Qual è la sua opinione sui risultati della Conferenza del Dipartimento di propaganda del Comitato Centrale del Partito inaugurata a Pechino il 24 gennaio? Pensa che le linee programmatiche sul lavoro ideologico e delle comunicazioni avranno un'influenza negativa sulla libertà di informazione e in generale su quella di espressione degli intellettuali?
R: So che molti occidentali hanno interpretato le conclusioni della Conferenza come un segnale di chiusura (suojin). lo invece penso che non avranno alcun effetto sugli intellettuali impegnati nel settore artistico-letterario nè in negativo nè in positivo: non si tratta di una critica nei nostri confronti quanto piuttosto di un tentativo di ribadire la supremazia del Partito a livello nazionale.
Seconda intervista
D: Quale fu, a suo avviso, l'atteggiamento di Mao Zedong nei confronti degli intellettuali?
R: Il P.c.c. è un partito che ha una radicata e indelebile matrice contadina, un partito contadino più che marxista-leninista in senso classico, privo di qualsiasi idea democratica.
Mao Zedong, proprio in virtù della sua estrazione contadina, provava una profonda ostilità innanzitutto verso la conoscenza codificata e, di conseguenza, nei confronti degli intellettuali in quanto esseri pensanti dotati di capacità di analisi e di giudizio che, per questo motivo, risultavano più difficilmente manovrabili. Secondo Mao, gli intellettuali dovevano occupare una posizione servile, potremmo dire il ruolo di schiavi del nuovo padrone: il Partito.
Penso inoltre che Mao ragionasse soprattutto in base al criterio del rafforzamento del proprio potere personale: inferiore era il grado di conoscenza degli intellettuali meglio era, poichè così diventava più facile dominarli.
D: Ritiene che si possa parlare di una differenza di trattamento da parte del Partito nei confronti degli scrittori rispetto agli scienziati?
R: Gli scrittori sono, per loro stessa natura, persone che amano ragionare, ponderare in maniera più approfondita sulla realtà che li circonda e sono in grado di esercitare una maggiore influenza sulla società, sulla coscienza collettiva rispetto agli scienziati. Per questo motivo il controllo esercitato dal Partito nei loro confronti è stato più forte! Oggi la situazione è mutata, la società è cambiata e la struttura di potere non riesce più ad esercitare il proprio controllo in maniera così capillare e pervasiva come in passato. Possiamo dire in sostanza che oggi anche gli scrittori svolgono il proprio lavoro in un clima mutato, più "libero".
Gli intellettuali impegnati nel settore scientifico-tecnologico godono attualmente di migliori condizioni sia dal punto di vista del lavoro che del trattamento economico.
D: Quali sono, a suo avviso, le principali differenze che possiamo ravvisare nel rapporto tra il Partito e gli intellettuali durante Mao Zedong e Deng Xiaoping?
R: La linea politica del Partito nei confronti degli intellettuali non è sostanzialmente cambiata: la tendenza della leadership del Partito rimane quella di esigere dagli intellettuali di svolgere una funzione di propaganda a favore del governo. Ma per quanto riguarda gli scrittori il clima è più tollerante (kuansong) e anche se l'atteggiamento del P.c.c. nei loro confronti non è migliorato rispetto al passato, oggi possono scrivere più liberamente.
D: Quale può essere considerato l'obiettivo principale dei movimenti politici del dopo-Mao?
R: Quello di colpire gli intellettuali. Anche oggi verso di noi continuano ad esistere idee preconcette. I pregiudizi sono duri a morire e noi ci arrabbiamo per le limitazioni tuttora imposte.
Dopo il giugno del 1989 (un certo autore) ha scritto un romanzo. Subito dall'alto si sono mobilitati in molti per organizzarne la critica, ma poi Deng Xiaoping ha compiuto il suo viaggio nel sud del Paese e allora hanno desistito.
Grazie al cielo il mondo va avanti anche se non credo che questo possa essere ascritto al cambiamento del P.c.c. quanto piuttosto al fallimento del comunismo.
D: A proposito del "crollo del comunismo", si è discusso molto dello scollamento dell'ideologia e dei suoi effetti sulla situazione politica cinese. Qual è la sua opinione?
R: Penso che anche i dirigenti politici cinesi ne siano stati coinvolti ma mi sembra importante sottolineare il ruolo svolto dalla società in questo processo. Il cambiamento è venuto dal basso e questo fattore ha determinato il collasso (bengkuì) dell'ideologia.
Un altro elemento di fondamentale importanza consiste nell'influenza determinante del pensiero democratico. Il nostro tanto decantato "comunismo" si è rivelato agli occhi di molti intellettuali per quello che realmente è: una bieca distorsione del marxismo. Noi viviamo in una dittatura fascista abbigliata nelle vesti marxiste della "dittatura del proletariato". I dirigenti politici cinesi hanno soltanto sfruttato, come meglio conveniva loro, la dottrina di Marx, si sono fatti scudo delle belle parole della retorica marxista, ma essi sono e rimangono dei contadini e il contadino, per la sua stessa natura, quando ha in mano il potere pensa solo a se stesso.
Il P.c.c. è una dinastia, e anch'esso non sfugge alla regola storica tipicamente cinese dei cambiamenti dinastici. Anche questa dinastia è giunta al potere per mezzo di una rivoluzione contadina, una volta al potere il P.c.c. si è servito dell'ideologia marxista travisandola e snaturandola... e chissà, forse, un giorno cadrà proprio grazie ad un'altra rivolta contadina. Penso che sia per questo motivo che la politica di riforme economiche presta particolare attenzione al problema delle campagne.
D: Qual è la sua opinione personale sul marxismo?
R: Come tanti altri -ismi, il marxismo ha in sè una componente fortemente utopistica. Ma l'uomo è sostanzialmente un animale, è materia (wuzhi), mera fisicità ancor prima che essere pensante.
Tornando allo scollamento dell'ideologia, mi sembra importante ribadire che esso è partito dal basso. Mao voleva passare dal feudalesimo al socialismo senza attraversare lo stadio del capitalismo. Oggi stiamo invece tornando sui nostri passi. La Cina sta andando verso il capitalismo, stiamo tornando allo stadio dell'accumulazione del capitale. Paradossalmente si sta creando una situazione per certi aspetti simile a quanto era avvenuto in Occidente duecento anni fa, con tutto ciò che ne consegue poiché anche oggi le condizioni non sono ancora mature soprattutto sul piano istituzionale. Il problema fondamentale in Cina rimane quello della legge, del governo dell'uomo (renzhi) che prevale ancora sul governo della legge (fazhi).
D: Alcuni studiosi sostengono che, attraverso la politica di riforme inaugurata da Deng Xiaoping, gli intellettuali cinesi abbiano progressivamente acquisito una maggiore consapevolezza della loro identità, una presa di coscienza soggettiva (juexing), quasi un risveglio dopo un lungo torpore...
R: Penso che il juexing abbia avuto inizio alla fine della Rivoluzione Culturale. Se pensiamo al 1957, dobbiamo riconoscere che allora gli intellettuali venivano attaccati e credevano di aver sbagliato sul serio. In quegli anni, il dubbio di essere "elementi di destra" sorgeva in loro e si autoalimentava. In realtà oggi, col senno di poi, è possibile capire come, fin dal 1942, Mao Zedong nutrisse un forte disprezzo nei confronti degli intellettuali ma non direi che si sia trattato di una vendetta storica quanto piuttosto di un problema personale di Mao che aveva un'estrazione contadina e per questo motivo odiava gli intellettuali e voleva umiliarli.
D: Ritiene che esista un legame tra il funzionario-letterato e l’intellettuale?
R: Oggi esistono ancora degli intellettuali che hanno interesse a diventare funzionari governativi, o che semplicemente si iscrivono al Partito per i vantaggi che possono trarne. Non penso sia diffuso il fenomeno di richieste da parte di dirigenti politici per ottenere il sostegno e l'aiuto (qiuyuan) degli intellettuali, in alcuni casi tuttavia i funzionari politici sollecitano da loro consigli (zixun). Ma direi soprattutto che assai diffuso è l'utilizzo degli intellettuali (shiyong). Una volta veniva utilizzato la rettifica del pensiero (gaizao), ebbene direi che oggi le tecniche si sono notevolmente sofisticate.
D: A proposito di gaizao, mi interesserebbe sapere la tua opinione sul grado di adesione degli intellettuali al programma del Partito nel 1949 fino ad accettarne la pratica della "riforma del pensiero".
R: Nel 1949 gli intellettuali avevano fiducia nel P.c.c.: questa fiducia derivava dal confronto con il governo del Guomindang (GMD) sotto il quale i problemi della disoccupazione, della fame, della miseria, avevano assunto proporzioni impressionanti. Oggi bisogna riconoscere che il grado di libertà dell'informazione era superiore sotto il GMD, ma nel 1949 non era ancora emerso con chiarezza il volto fascista del P.c.c. Gli intellettuali avevano fiducia nel Partito.
Per quanto riguarda "la riforma del pensiero", la radice del problema consisteva nel fatto che gli intellettuali venivano presentati come parte integrante della classe sfruttatrice. L'idea fondamentale era che se qualcuno aveva studiato doveva avere avuto i soldi per farlo: e come se li era potuti procurare quei soldi se non sfruttando la classe operaia ?!
Questa concezione ebbe enormi ripercussioni sui rapporti tra intellettuali, operai e contadini. Ma non si può definire a priori una persona buona o cattiva sulla base della sua estrazione di classe, è un problema che riguarda la singola persona.
D: Il problema della negazione del diritto all'individualità (gexing) è uno dei nodi cruciali della storia cinese contemporanea.
R: Durante il periodo maoista l'individualità era considerata un segno di egoismo, un fattore negativo. Non c'era indipendenza nè etica nè politica. La Rivoluzione Culturale fu come il vaso di Pandora: rappresentò l'uscita allo scoperto della parte demoniaca dell'uomo (mogui). Ma quando il lato negativo dell'uomo uscì completamente allo scoperto che cosa rimase? In realtà la lotta politica serviva a Mao per controllare e dominare i suoi avversari.
D: Un'altra questione molto importante è, a mio avviso, la responsabilità etica dell'intellettuale, il suo senso di missione.
R: Dopo il 1949 penso che questa responsabilità etica sia progressivamente venuta meno. L'unica "missione" possibile per l'intellettuale era quella di servire il Partito, di rinunciare alla propria individualità e diventare lo schiavo del Partito.
Dopo il 1949 tanti valori vennero meno. Un esempio per tutti: la cortesia (limao). Mao riteneva che la cortesia fosse un atteggiamento borghese e attaccava quindi aspramente qualsiasi comportamento caratterizzato da gentilezza.
Io ho frequentato dal (. . .) al (. . .) l'Università (. . .) nella quale il controllo del Partito era fortissimo. Ricordo la massima "Dovete essere uno strumento del Partito (dang de xunfu gongju)". Ma io quando sentivo quella frase mi inalberavo: "Io sono una Persona, non una chiave a brugola ! ".
Durante ogni campagna politica, anche la più breve, io venivo sempre duramente criticata. Ricordo quegli anni come un'allucinazione.
D: Pensi che oggi esistano delle differenze tra le varie generazioni di intellettuali?
R: Esistono differenze soprattutto per quanto riguarda il senso di responsabilità nei confronti della società, ma non è tanto una questione di intellettuali. Oggi esistono differenze enormi tra i giovani e i meno giovani. Io quando cammino per le strade e vedo come si comportano i giovani inorridisco: mi sembrano dei lupi, non hanno nè principi etici né ideali, e questo stato di cose è assai pericoloso. Ma questo stato di cose, al contrario di quanto si pensi, è anch'esso una conseguenza del periodo maoista: Mao era un egoista e questa è la lezione che hanno imparato i giovani di oggi.
La mia era una generazione di idealisti che credevano nel valore dell'istruzione e nell'idealità dell'istruzione. Credevamo nell'eroismo rivoluzionario.
In una parola credevamo nel comunismo. Ma il P.c.c. si è successivamente rivelato per quello che era: un ipocrita (xuwei).
D: Qual è oggi la posizione degli intellettuali nella società ?
R: Purtroppo è ancora molto, troppo bassa. E Mao ha avuto una grossa responsabilità nella creazione di questa situazione. Gli intellettuali nel periodo maoista sono progressivamente sprofondati sempre più in basso nella scala sociale ed ora è difficile risorgere. Gli intellettuali in Cina sono coloro che devono essere poveri e soffrire (chiku) per antonomasia.
Anche oggi, la nuova legge fiscale stabilisce che chi supera gli 800 yuan al mese deve pagare il 20% di tasse senza prevedere dei casi particolari come può essere quello di uno scrittore che ha impiegato tanti anni per scrivere un romanzo eppure si calcola solo il suo reddito su base mensile. Questo è solo un esempio ma tanti pregiudizi, tante limitazioni, e ancora tante incongruenze a volte mi fanno sospettare che qualcuno, in alto, ce l'abbia con noi perchè ha visto che le nostre condizioni di vita sono migliorate e non gli sembra che ciò sia giusto, o meglio, che ciò risponda alla logica cinese.
D: Durante le prime fasi del movimento studentesco del 1989 alcuni osservatori hanno nutrito la speranza che il clima politico, e quindi anche la linea del Partito verso gli intellettuali, potessero mutare radicalmente?
R: Zhao Ziyang era molto più aperto degli altri esponenti di primo piano del Partito ma uno dei suoi limiti consisteva nel prendere a modello Singapore, un sistema politico-economico basato su "persone di grande talento" (xinjingyingzhuyi). Se nel 1989 avesse vinto lui, la Cina forse sarebbe andata verso il modello di Singapore che non è certo un campione di democrazia. Zhao Ziyang voleva fare della Cina un Paese ricco ma il sistema politico non sarebbe stato modificato in senso democratico poichè Zhao, così come altri dirigenti del P.c.c., sosteneva la centralizzazione (jiguan) del potere statale.
Dopo Tian'anmen siamo tornati indietro di molto (houtui) ma questo è "il progresso"!
D: Oggi molti osservatori si domandano che cosa accadrà dopo la morte di Deng Xiaoping.
R: La Cina, dal punto di vista delle caratteristiche del sistema politico, non è sostanzialmente mutata rispetto alla tradizione imperiale. Tutti sperano ancor oggi di poter contare su un buon imperatore ma il problema non consiste tanto in colui che ci governa, quanto piuttosto nel livello qualitativo (suzhi) del popolo cinese che deve essere governato.
Nell'ex-Unione Sovietica, ad esempio, il popolo ha degli ideali, ha un livello culturale più elevato di quello cinese e io penso infatti che se la Russia riuscirà a superare i problemi attuali, in futuro otterrà risultati migliori rispetto alla Cina.
Oggi il luogo comune diffuso in Cina che i russi "sono poveri" è un ulteriore indicatore di questa disparità culturale. Sembra quasi una discriminazione razzista nei confronti dei russi da parte del fratello minore che si è riscattato diventando ricco e importante in tempi brevi (baofahu). Ma la ricchezza di pochi non è certo un segno della cultura dei molti! Dal punto di vista culturale la modernizzazione ha portato il karaoke: una cultura da colonia (zhimindi de wenhua), un effimero tentativo di catarsi da tutte le limitazioni, le inibizioni e le oppressioni subite!
Rispetto a quanto è avvenuto in Unione Sovietica, in Cina prevale oggi il problema della stabilità che indubbiamente è un nodo socio-politico molto importante. I problemi dello sviluppo economico, delle minoranze etniche e del grado di civiltà (wenming suzhi) del popolo cinese devono essere risolti con mezzi pacifici.
D: Qual è l'atteggiamento degli intellettuali oggi verso i fatti del giugno 1989?
R: Molti hanno dimenticato. Ma molti altri ricordano. Nemmeno il GMD era arrivato a tanto, ma bisogna anche ammettere che molti dei leader studenteschi erano dei carrieristi con ambizioni selvagge (xiaoyexinjia).
Dopo il 4 giugno, gli intellettuali che volevano andare all'estero dovevano documentare di non aver partecipato al movimento.
MONDO CINESE N. 86, MAGGIO-AGOSTO
1994