PATRIZIA CARIOTI (a cura di), Le Battaglie di Kuo-Hsing-yeh
(1715), di Chikamatsu Monzaemon, Opera Universitaria, Dipartimento di Studi Asiatici, Istituto Universitario Orientale, Serie Didattica 2, Napoli, 1993, pp. 1-171, I-LXV
Patrizia Carioti ci dà, con questo lavoro, la traduzione di un'opera teatrale di Chikamatsu Monzaemon (1653-1725) di argomento non solo giapponese ma anche cinese. Il protagonista del dramma è infatti Cheng Zhenggong (conosciuto in Occidente anche come Koxinga), eroe della resistenza lealista Ming contro gli invasori mancesi, che cacciò gli Olandesi da Taiwan e costituì nell'isola un piccolo regno che, quasi ad anticipare altre vicende che, nel nostro secolo, si sarebbero verificate e costituì anche a lungo l'esempio di quel che la Cina sarebbe potuta essere senza il cambiamento di regime.
Cheng Zhenggong era un sino-giapponese, essendo nato in Giappone da padre cinese e da madre giapponese, e questo spiega i perchè della sua popolarità in Giappone e nella letteratura giapponese.
In una appendice, che appesantisce il volume ma la cui presenza può essere spiegata dai fini didattici che si propone, viene riportato il testo integrale in giapponese.
La prefazione di Maria Teresa Orsi ci rassicura sulla bontà della traduzione.
Alcune note vanno fatte sull'introduzione e in generale sulla parte relativa alla Cina e alla storia cinese. Non si capisce, infatti, perchè la Carioti, alla Tav. 2 traduca Chünwang, termine che notoriamente significava, nell'ordinamento nobiliare cinese, "Principe di Seconda Classe", come Sovrano oppure perchè, nel citare i numerosi monumenti eretti all'eroe in Cina continentale, a Taiwan e in Giappone, abbia dimenticato il maggiore, cioè la grande statua in pietra che a Xiamen (Amoy), nell'incantevole isola di Gulangyu, si protende verso il mare, quasi a dominarlo ancora. Si tratta, tra l'altro, di un bell'esempio di moderna scultura cinese.
Lasciano inoltre perplessi alcune affermazioni, come quella (p. 25) per cui Cheng Zhenggong sarebbe stato presentato dalle "cronache cinesi" (sic) come il primo ad opporsi al "capitalismo" delle potenze occidentali. In realtà per "cronache cinesi" bisogna intendere la contemporanea storiografia cinese che però non è così sprovveduta da non sapere che alla metà del secolo XVII non si poteva ancora parlare di capitalismo ma soltanto dei suoi inizi. Perplessità suscita ancora il vedere definire "fatidici giorni" quelli in cui il Giappone decise di chiudersi, mentre dal testo sembrerebbe che il Giappone si era chiuso da molto tempo, quando invece la chiusura fu, in realtà praticamente contemporanea alle gesta di Cheng Zhenggong. Sempre alla stessa pagina meriterebbe qualche chiarimento l'affermazione per cui, nelle fonti giapponesi, Cheng Zhenggong, descritto come "stratega eccelso in questioni di politica mercantilistica internazionale", sia stato "pertanto dissanguatore delle finanze giapponesi".
La correlazione consequenziale non è affatto chiara.
Infine una menzione merita la bibliografia. Essa (pp. 168-171) è quasi tutta nipponistica e verte per lo più sul teatro giapponese e su Chikamatsu. È giusto, in quanto si tratta della traduzione di un'opera teatrale giapponese. Ma il lettore che volesse saperne di più su Cheng Zhenggong viene rimandato soltanto (nota 1, p. 34) ad un precedente lavoro della stessa Carioti, integrato da quelli, sempre della stessa, nella nota (*) a p. 9.
La bibliografia su Cheng Zhenggong è molto più abbondante e sarebbe stato opportuno citare almeno le opere fondamentali.
Piero Corradini
PAOLO SANTANGELO (a cura di), Ming Qing Yanjiu, Dipartimento di Studi Asiatici, Istituto Universitario Orientale e Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, Roma, 1993, pp. 1-167.
II Dipartimento di Studi Asiatici dell'Istituto Universitario Orientale insieme all'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente presenta questo secondo volume di ricerche sulle epoche Ming e Qing; frutto della collaborazione di studiosi di quel Dipartimento e di studiosi cinesi.
Come chiarito nell'introduzione a firma del Curatore, si tratta di saggi che dovranno essere inclusi nella Chinese Encyclopaedia of Chinese History and Culture che i due Istituti stanno da tempo preparando.
Il volume si apre con un saggio di Lucia Caterina (pp. 9-37) sulle porcellane cinesi a soggetto occidentale conservate al Museo "Duca di Martina" di Napoli.
L'autrice, che si interessa di quel Museo da anni, presenta un tipo di porcellana che testimonia gli scambi commerciali e culturali tra Cina ed Europa promossi dalle Compagnie delle Indie, mostrando la consueta perizia ed ampia informazione.
Maria Cigliano (pp. 39-66) affronta il problema della sinizzazione di esponenti di quelle che oggi sono chiamate minoranze nazionali durante la dinastia Ming, partendo dall'analisi di un caso esemplare, quello di Yang Shiyun, un esponente dell'aristocrazia Bai dello Yunnan, giunto ad alti gradi nell'amministrazione, noto come poeta, filosofo, astronomo e storico. Condotto sulle fonti originali, accuratamente ricercate ed esaminate, il lavoro porta nuovi contributi alla conoscenza del problema ed è interessante anche per chi oggi si interessa dei problemi delle minoranze. Sarebbe stato preferibile, trattandosi di un argomento relativo a personaggi e fatti del tempo dei Ming, che nel glossario non fossero stati utilizzati i caratteri abbreviati.
Lionello Lanciotti (pp. 67-80) introduce, con ampia panoramica, le opere di Pu Songling.
Paolo Santangelo (pp. 81-112) affronta, proseguendo in un filone di ricerca che sta coltivando da anni con interessanti risultati, la teoria di Zhu Xi sulle emozioni e le virtù, alla luce delle concezioni della moderna psicologia occidentale. Mentre non si può che ammirare la bravura dell'autore nel condurre l'analisi, per molti versi originale, viene da domandarsi perchè mai tale saggio, relativo a un filosofo dell'epoca Song, sia stato inserito in un volume dedicato ai periodi Ming e Qing.
Chiudono il volume due saggi di studiosi cinesi, uno di Wei Qingyuan e Yu Xing'an (pp. 113-126) sull'amministrazione centrale cinese, sui suoi meccanismi decisionali, l'altro di Zhang Guotu (pp. 127-163) sul sistema commerciale di Canton. Per ambedue i saggi, redatti peraltro con maestria e ottima conoscenza delle fonti cinesi, c'è da notare che non si sottraggono a quello che è il difetto fondamentale di tutta la storiografia contemporanea cinese, cioè la scarsità di informazione su quanto in merito è stato prodotto in Occidente.
Piero Corradini
FEDERICO MASINI, The formation of Modem Chinese Lexicon and its Evolution Toward a National Language: The Period from 1840 to
1898, Journal of Chinese Linguistics, Monograph Series Number 6, Berkeley, University of California Press, pp. I-IV,1-295.
Con questo saggio Federico Masini esamina a fondo quello che probabilmente fu (ed è ancora) il maggiore problema della modernizzazione della Cina, cioè l'adeguamento della lingua alle nuove esigenze. Dimostrando un'informazione sterminata, sia per le fonti primarie che per la bibliografia sull'argomento, Masini riesce a ricostruire con maestria le vicende linguistiche della Cina nella seconda metà del secolo XIX e la formazione di un linguaggio per quanto possibile moderno, nonostante le differenze dialettali e le difficoltà del particolare sistema di scrittura.
Gli apporti dell'Occidente e del Giappone sono esaminati a fondo come pure gli sforzi compiuti dall'intellettualità cinese per giungere ad avere uno strumento di comunicazione idoneo ad affrontare i problemi dei tempi nuovi. Utili e interessanti le appendici sui simboli chimici, i neologismi e i prestiti giapponesi e inglesi. Naturalmente, per fare tutto questo, era necessaria una profonda conoscenza della lingua cinese, classica e moderna. Cosa che Masini ha dimostrato ampiamente di possedere.
In conclusione, si tratta di un lavoro che fa onore alla sinologia italiana e all'Istituto Universitario Orientale di Napoli dove l'autore ha condotto le sue ricerche.
Piero Corradini
WANG YINGLIN, Il Libro dei Tre Caratteri, seguito da Il Testo delle Mille parole di Zhou Xingsi, a cura di Paola Zamperini, Sellerio editore, Palermo 1992, pp. 123.
WANG YINGLIN, Classico dei Tre Caratteri, Libreria Bocca, Milano 1993, pp. 306.
"Habent sua fata libelli..." Il destino di quell'abbecedario, di quel manualetto per le scuole elementari della Cina di un tempo, noto col nome di Sanzi Jing (Il Classico dei Tre Caratteri) è stato particolarmente fortunato nel nostro Paese in questi ultimi anni. Due traduzioni italiane sono apparse nel 1992 a cura di Paola Zamperini e nel 1993 a cura di Edoardo e Eileen Fazzioli: la prima in formato tascabile fa parte della collezione "Il divano", deliziosa per il buon gusto con cui è curata; la seconda, stampata alla grande, quasi che fosse uscita dalla officina del Bodoni, fa parte della collana "Introvabili', edita dall'editore milanese. Ambedue le traduzioni vanno ad aggiungersi alle precedenti apparse da tempo nelle principali lingue occidentali, fra cui piace citare quella latina curata dal nostro A. Zottoli e apparsa nel suo monumentale Cursus Litteraturae Sinicae, vol. II, Shanghai 1879, pp. 88-105. Non rappresentano quindi un nuovo, serio contributo alla conoscenza del classico studiatissimo un tempo in Cina, ma hanno comunque il merito di presentarlo per la prima volta in Italia, dove è da augurarsi riescano ad invogliare qualche studente di cinese a leggerlo, rileggerlo, apprenderlo a memoria.
Io lo studiai a memoria in gioventù ed ancor oggi mi tornano alla mente versetti che cito sovente a monito di studenti svogliati: "Chi insegnando non è severo è un pigro maestro...", "Chi da bambino non impara, come farà poi da grande?". Lo studio del cinese classico presuppone infatti un solo metodo: l'apprendimento a memoria dei principali testi, uno sforzo cui purtroppo ben pochi studenti e affermati sinologi amano assoggettarsi.
Mi sorprende che il Fazzioli, nella sua opera apparsa nel dicembre 1993, scriva: "Non sappiamo se (il Sanzi Jing) è stato tradotto in italiano prima di noi" (p. 18) quando fin dal novembre 1992 era stata pubblicata la traduzione della Zamperini! E trovo del tutto fuori posto che nella sua "Introduzione", un po' saccente, alquanto confusa e ripetitiva, se la prenda (p. 14) con "i testi italiani ed alcuni stranieri di letteratura cinese" che avrebbero dato a suo dire un vero ostracismo nei confronti del Sanzi Jing, "semplicemente ignorandolo". Trattandosi di un abbecedario, di un rimario (per usare le sue parole), non poteva esser altrimenti. Citi comunque qualche storia della letteratura cinese scritta in cinese in cui viene dato largo spazio al Sanzi Jing come opera letteraria, prima di criticare.
Giuliano Bertuccioli
PIERO CORRADINI (a cura di), Confucius. La via dell'uomo. Grande esposizione della cultura
confuciana, Edizioni Charta, Milano 1993, pp. 141.
PIERO CORRADINI (a cura di), Confucius. La via dell'uomo. Ricette di saggezza per la vita
quotidiana, G. Feltrinelli, Milano 1993, pp. 49.
Con queste due pubblicazioni: una documentata ed elaborata, l'altra agile e scarna, Piero Corradini ha presentato al pubblico italiano, come mai era stato fatto in precedenza, la figura ed il pensiero di Confucio.
Si tratta nel primo caso del catalogo della esposizione organizzata dal 4 dicembre 1993 al 4 giugno 1994 a Urbino per iniziativa della Provincia dello Shandong della Repubblica Popolare di Cina e della Brandani e Guastalla S.p.A. di Milano e con il patrocinio di vari enti ed in cui sono stati esposti circa 80 pezzi, come libri, oggetti d'arte, bronzi, dipinti, etc. aventi attinenza con la figura di Confucio e col culto a lui tributato. Nel catalogo, magnificamente illustrato, le riproduzioni sono precedute da un'ampia introduzione (pp. 13-37), inquadrante la figura e l'opera di Confucio nella storia del suo Paese ed accompagnate da commenti (pp. 42, 56/57, 82, 94 e 98) ben documentati e nello stesso tempo di agevole lettura.
La seconda opera è invece una antologia di detti di Confucio, scelti fra quelli registrati dai suoi allievi nei Lun-yu (I Dialoghi) e che Corradini ha raggruppato a seconda dell'argomento: la pratica della virtù; l'amicizia e i rapporti con gli altri; l'importanza dello studio; la pietà filiale ed il rispetto per gli antenati; il buon governo; l'uomo superiore. Le traduzioni sono fedeli al testo, ma non per questo poco leggibili.
In un punto mi sento di dissentire dal traduttore, nel modo, a mio avviso riduttivo, con cui ha reso alcune delle parole con cui iniziano i Dialoghi: "Se uno non si scompone se gli altri non si accorgono di lui, non è veramente un uomo superiore?". Al posto di "scomporsi" avrei preferito "rammaricarsi, addolorarsi, avvilirsi, risentirsi" e al posto di "accorgersi" pensa sia meglio adoperare il verbo "apprezzare". Ma a parte questa inezia, il libretto è ben fatto e di piacevole lettura.
Giuliano Bertuccioli
MONDO CINESE N. 85, GENNAIO-APRILE
1994