La Cina invade le pagine economiche della stampa quotidiana: conquista spazi sempre più ampi nelle pagine di politica
internazionale. In forza del ritmo accelerato della sua crescita economica c'è chi pronostica che la Cina, alla fine del decennio, supererà
la capacità produttiva di Germania e Giappone messi insieme; mentre, in forza del primato politico acquisito nell'ambito
regionale, dell'Est Asia, già da oggi si configura nel ruolo di potenza emergente nel confronto con gli USA. Jiang Zemin partecipa a pieno titolo e da protagonista al vertice APEC di Seattle (novembre 1993 ospite in america, non chiede permessi, quando, da Seattle, si
reca a Cuba a rendere visita a Fidel Castro.
Se non è una provocazione, è certamente una esplicita affermazione di autonomia nelle scelte, subordinata al solo
preminente interesse del suo paese.
Questa è la Cina di oggi, la Cina di Deng Xiaoping. Ma prima, sino a ieri, sino al 1976, è stata la Cina di Mao Zedong,
premessa e condizione della Cina di oggi; una prima, lunga fase della rinascita di questo grande paese, vissuto per decenni come in una zona d'ombra, conosciuto in modo approssimativo dall'esterno; in uno stato di isolamento dal resto del mondo; dilaniato dai lunghi,
terribili anni di una guerra civile senza fine, dalla lotta anti-giapponese, dalle campagne di annientamento lanciate contro l'Armata Rossa di cui Mao Zedong è stato vittima e protagonista superstite,
leader di un movimento rivoluzionario per l'unità e l'indipendenza del paese, condotto senza sponsor e senza amici.
E prima ancora di Mao è stata la Cina negata, la Cina che non era la Cina, un grande vuoto politico nel cuore nevralgico dell'Asia orientale, dolente nella sua secolare povertà; priva di una sua identità politica, in una condizione scini-coloniale e scrìii-feud-,ile; con le sue minoranze culturali impegnate nella ricerca dell'unità e dell'indipendenza nazionale, nell'attesa dell'evento forte che traducesse tale ricerca in un disegno strategico operativo. 'tale evento è venuto a consistere nel sorgere e nell'affermarsi della leadership eli Mao Zedong.
La personalità storica di Mao, ancora oggi difficile da interpretare per il pensiero politico occidentale, porta con sé tutti i meriti e tutti i demeriti di una impresa di straordinaria rilevanza, condotta a buon fine nel segno del suo primato; di un rivolgimento dal profondo dell'area politica cinese e della sua stessa coscienza culturale; una impresa che cambia la storia del mondo e eli cui la Cina di oggi, la Cina di Deng, rappresenta lo stadio di evoluzione avanzato.
Di questa sua capacità creativa si cerca di individuare le radici; delle sue responsabilità e dei suoi eccessi si cerca di valutare le ragioni e le conseguenze; ci sarebbe un 70% eli meriti e un 30% eli demeriti nei suoi comportamenti, attribuiti, questi ultimi, agli anni conclusivi della sua attività di governo. Una valutazione piuttosto grezza, espressa per percentuali, in forma ufficiale e diretta dai massimi organi del PCC che, ovviamente - in quanto sintesi semplicistica e approssimativa - non chiude il problema.
Si scandaglia nella sua effettiva relazione con il marxismo-leninisino, tradotto nel Mao Zedong-pensiero, che altro non è se non la quinta essenza della specifica esperienza cinese in materia eli socialismo, mille miglia lontana - proprio in Mao Zedong - dal dogmatismo libresco di tanti altri leader e intellettuali marxisti.
"Se un partito - dichiarava Mao nel convegno di Zunyi (1934) che ne confermava il primato - non può applicare la verità universale del marxismo-leninismo alla pratica rivoluzionaria del proprio paese, ma deve fare affidamento sui consigli di gente venuta di fuori o su un sapere libresco, senza tenere conto della propria esperienza della situazione locale, questo partito non ha alcuna speranza di riuscita". E si tratta di una costante ripetutamente confermata.
Questa esperienza della situazione locale prevale non solo sul sapere libresco, rna anche sulla esperienza di altri paesi che
in quegli anni costruiscono il socialismo reale, a cominciare dalla Unione Sovietica di allora; essa si integra nella ben più
vincolante esperienza remota di una diversa pratica e di una diversa cultura politica
che affonda le sue radici nella storia antichissima della Cina, con una sua spiccata concezione della funzione e della
centralità del potere che non ha nulla da apprendere dalla pratica del marxismo-leninismo e che trova
giustificazione nella immensa difficoltà del compito assunto.
Da una tale remota esperienza prende origine la forte affermazione della capacità di realizzazione volontaristica dell'uomo,
ritenuta in grado di spostare le montagne se così è nelle sue decisioni. Trasferita in Occidente con i semplici elementari apologhi di
Yu
Kong e del compagno Zhude, un soldato semplice portato come esempio per la sua dedizione quotidiana, questa impostazione faceva opinione, faceva pensare a un mondo diverso, fatta impegno
di personale proteso a realizzare una società di giustizia e di eguaglianza come era allora in occidente nelle aspirazioni diffuse delle giovani generazioni. Una politica e un'etica della politica, che faceva sognare a occhi aperti una Cina che -
almeno in quei termini - non c'era.
Anche se, bisogna riconoscere, c'è stata realmente in Cina, in quell'epoca, una moralità e una particolare temperie; c'è stata
come una scuola universale all'insegna di lucide idee-guida; idee strategiche, efficaci sul piano delle motivazioni personali e del scelte operative sul campo; seguite e attuate nella forma
rigida richiesta e imposta da situazioni con una sola e unica via di uscita tenuto conto dell'obiettivo da realizzare e subordinando a esso persone, cose, comportamenti, con una conseguenzialità estrema
Così è stato in momenti cruciali, coine quello della lunga marcia negli anni più neri della guerra civile; così è stato nella
lunga crisi della rivoluzione culturale, esito provvisorio dello scontro delle due linee all'interno del partito (Mao contro Deng),
quando Mao Zedong non esitava a scatenare masse senza nome contro le strutture del partito e dello stato, da lui
ritenute deviate e in contrasto con il suo progetto sulla Cina. Una lunga deriva,
all'insegna dell'anarchia, della quale si sa oggi abbastanza per valutarne limiti e incongruenze sul piano politico.
Una dimensione, questa della politica, che sembra fare gravemente difetto in Mao Zedong, chiuso nella dimensione dello "scontro con il nemico" acquisita negli anni della lotta armata, una dimensione allora necessaria, ma ora non più idonea a governare gli anni della pace, quando la società lentamente si ricompone, i molteplici interessi e le molteplici aspirazioni si definiscono e si confrontano nei tempi lunghi di una crescita sociale ed economica estremamente difficile e complessa.
Per questo tempo della politica, Mao Zedong non era mentalmente attrezzato. Accanto a lui è stato per lunghi anni Zhou Enlai, artefice di un persistente tentativo di sostituire la politica allo scontro. All'ombra di Mao, non poteva che essere una politica minore, defilata, che ha potuto dare i suoi frutti quando, nel dicembre 1978, il Comitato Centrale del PCC sanciva l'avvio del nuovo corso e il primato di Deng Xiaoping; compiva, cioé, un altro passo verso la costruzione della nuova Cina come oggi la vediamo presente nella scena del mondo.
MONDO CINESE N. 83/84,
SETTEMBRE-DICEMBRE
1994