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SAGGI

Le norme costituzionali che disciplinano le relazioni internazionali

di Giorgio Conetti

SOMMARIO - 1. Considerazioni d'insieme ed enunciati programmatici. - 2. Competenze degli organi costituzionali per le relazioni internazionali. - 3. La condizione dei cittadini all'estero e degli stranieri in Cina.

1. La nuova Costituzione della Repubblica popolare cinese (Rpc) adottata dall'Assemblea nazionale del popolo (Anp) il 4 dicembre 1982, è già stata oggetto di esame e di considerazione, per lo più d'insieme, anche su questa Rivista1. Tuttavia la sua non comune ampiezza rispetto ai testi che l'hanno preceduta, la maggior precisione di molte delle sue norme, le diverse innovazioni in essa contenute, giustificano e rendono ancora necessari approfondimenti di analisi con riguardo a molti dei suoi particolari contenuti. Tra l'altro, appare opportuno considerare unitariamente quelle norme che, sparse nel testo costituzionale, hanno per oggetto i diversi aspetti delle relazioni della Cina popolare con l'estero, per la pratica importanza che le stesse rivestono via via che sempre più consistente appare la partecipazione della Cina alla vita di relazione internazionale, ormai svolgentesi anche nel quadro istituzionale delle organizzazioni internazionali cui essa partecipa, e che si sviluppano i rapporti commerciali e le comunicazioni con l'estero, dando conseguentemente origine a sempre più frequenti occasioni di rapporti interindividuali con cittadini stranieri oltre che a rapporti interstatuali.
Anche nelle norme che qui ci interessano, si riscontrano i caratteri comuni già rilevati propri dell'intero nuovo testo costituzionale: maggiore precisione e analiticità delle norme, espressione della generale tendenza, attualmente in corso, a rafforzare la legalità e lo sviluppo del diritto positivo, mediante un ampio intervento legislativo mirante a regolare, talora per la prima volta, interi settori dell'ordinamento; minore rilevanza di qualificazioni politiche suscettibili di conferire alle norme una indeterminatezza di contenuti atta a tradursi in più ampia discrezionalità di applicazione e affermazione, al contrario, della preminenza del diritto e della Costituzione, come sua fonte prima, in ogni manifestazione della vita sociale2. Un tale indirizzo, così radicalmente innovativo rispetto alle tendenze politicamente prevalenti nella Cina popolare nel corso degli ultimi decenni e riflesse nelle ben diverse formule delle Costituzioni del 1975 e del 1978, è presente, non senza conseguenze, anche nella visione che la nuova Costituzione offre della condotta delle relazioni internazionali e dei principi che devono informarla, nonché della posizione della Cina popolare in seno alla Comunità internazionale.
Anche la nuova Costituzione infatti, non diversamente da quelle che l'hanno preceduta, contiene nel preambolo l'enunciazione di alcuni principi programmatici guida e di alcuni fini politici atti a orientare l'azione dello Stato, ma in esso, accanto alla continuità della riaffermazione di alcuni assunti tradizionalmente presenti in tali enunciati, vi è la novità di una diversa considerazione della vita di relazione internazionale, più propensa che non nel passato all'accoglimento di una visione unitaria della Comunità internazionale e della interdipendenza della pace e del benessere dell'umanità. Costituisce segno di continuità l'enunciato che la politica estera cinese debba attenersi ai cinque tradizionali principi: del reciproco rispetto per la sovranità e la integrità territoriale, della non aggressione, della non ingerenza negli affari interni, dell'eguaglianza e del reciproco vantaggio, della coesistenza pacifica3. Il rispetto dei suddetti principi appare, nelle formule del preambolo del 1982, ancor più solidamente affermato che non in quelle dei precedenti ove tali principi erano considerati come base per un'azione politica, diversamente da adesso, come riferimento cui l'azione politica deve attenersi.
Quanto al contenuto dell'azione politica restano l'opposizione all'imperialismo, all'egemonismo e al colonialismo, l'appoggio alle nazioni oppresse e ai popoli in via di sviluppo, la lotta per la pace ed il progresso, ma cade tutta una serie di specificazioni presenti nei testi del 1975 e 1978 facenti riferimento al social-imperialismo, alla condanna delle grandi potenze, nel cui novero la Cina popolare non si sarebbe mai dovuto ricomprendere. Come già notato, la visione della società internazionale appare, nel testo del 1982, più unitaria, riferendosi all'inserzione dell'azione politica della Cina nel quadro dell'appoggio dei popoli del mondo e collegandosi l'avvenire della Cina a quello del mondo intero. Implicita in queste espressioni sembra di potersi scorgere una propensione per le forme di cooperazione internazionale cui la Cina ormai partecipa, anche se dalle stesse non deriva una più precisa assunzione di principi e fini programmatici4.
Vengono meno, tuttavia, le precedenti ricostruzioni della Comunità internazionale come suddivisa in più campi e la conseguente necessità per la Cina di assumere posizione in siffatti schieramenti, riconoscendo maggiori vincoli di solidarietà con un determinato gruppo di Stati; non vi è più menzione, infatti, degli speciali vincoli della Cina con l'Unione Sovietica e il gruppo degli Stati a democrazia popolare, come enunciati nel Programma Comune del 1949 e nella Costituzione del 1954, ormai da tempo superati dalla diversità delle linee politiche assunte, ma nemmeno dell'unità e del vicendevole sostegno che legano la Cina con gli Stati socialisti come enunciati nel preambolo del 1975 o con il proletariato menzionato nel testo del 1978. È caduto, infine, ogni accenno all'internazionalismo proletario e alla teoria dei tre mondi, cui il testo del 1978 prevedeva conformarsi l'azione politica internazionale della Cina e che per alcuni anni costituì l'assunto ideologico per una nuova ricostruzione della lotta di classe internazionale e il conseguente riferimento pragmatico per la condotta della politica estera5.
Può ben dirsi, invece, che il testo del 1982 è contraddistinto dall'assenza di enunciati ideologici specifici e troppo storicamente determinati e assume i toni generali di una linea terzo-mondista a favore dell'affermazione della indipendenza politica e dello sviluppo economico dei popoli. Questo orientamento più pragmatico, meno ideologicamente condizionato e conseguentemente meno portato a considerare inevitabili forme conflittuali delle relazioni internazionali, si riflette pure sulla novità delle formule con cui il preambolo del 1982, rispetto a quello del 1978, considera possa risolversi il problema della piena restaurazione dell'unità nazionale con il riacquisto di Taiwan. Dove precedentemente si enunciava la necessità politica della liberazione di Taiwan e l'ottenimento di questo risultato a seguito di un'azione della Rpc, l'attuale testo auspica che tale obiettivo venga raggiunto con la collaborazione dei compatrioti di Taiwan. La nuova formula del preambolo appare in tal modo adeguarsi ai contenuti dei nove principi per il ritorno di Taiwan alla madre patria e la riunificazione pacifica del paese, enunciati dal presidente del Comitato permanente dell'Anp Ye Jianying il 30 settembre 1981, ove si prevede l'avvio di conversazioni su base paritarie non tanto tra gli organi di governo ma tra le forze politiche dominanti nelle due parti del territorio cinese (il partito comunista e il Guomindang), al fine di raggiungere inizialmente accordi per agevolare le relazioni umane e commerciali e quindi portare alla riunificazione, pur nel rispetto della conservazione del sistema socio?economico proprio di Taiwan.

2. La Repubblica popolare cinese costituisce uno Stato unitario e come tale era stata sempre definita nei precedenti teste costituzionali (art. 3 della Costituzione del 1954, art. 4 della Costituzione del 1975, art. 4 della Costituzione del 1978), aggiungendosi peraltro il suo concomitante carattere plurinazionale. Il testo attuale ribadisce detta qualificazione nel preambolo e dedica alla eguaglianza, alla protezione e all'autonomia delle nazionalità di minoranza il proprio art. 4 e le successive norme (artt. 112-122) alle forme e istituzioni di autogoverno delle aree nazionali autonome. La forma di stato unitario adottata sin dalle sue origini dalla Rpc non contrasta con il suo ripartirsi e ordinarsi in una pluralità di enti locali territoriali di diversa ampiezza e natura e dotati, ai vari livelli, di diversa autonomia, assetto istituzionale quest'ultimo che risulta rafforzato nel vigente testo costituzionale e che era stato già oggetto dei primi emendamenti al testo del 1978 con l'adozione, il 1° luglio 1979, della legge organica sulle assemblee locali del popolo e i governi locali e la relativa legge elettorale6.
Anche quando le autonomie nazionali, provinciali e delle municipalità direttamente dipendenti dal governo comportano l'attribuzione agli organi locali di autogoverno di propri poteri legislativi, non ne risulta peraltro mai compromessa l'unità dell'ordinamento giuridico, la legislazione locale dovendo essere conforme alla Costituzione e alla legislazione nazionale (v. soprattutto gli artt. 5, 100, 115 e 116 della Cost. ) e potendo essere annullata dal Comitato permanente in presenza di contrasti con queste (art. 67, par. 8), si che come può dirsi che lo Stato cinese non ha natura federale così va riconosciuto che il suo ordinamento non ha natura plurilegislativa.
Coerentemente con questi assunti, l'attribuzione delle competenze esterne dello Stato per le relazioni internazionali è ripartita anche dall'attuale Costituzione esclusivamente tra gli organi costituzionali centrali dello Stato. Non risulta attribuita alcuna competenza esterna agli organi degli enti autonomi locali. Per implicito può facilmente dedursi, inoltre, che l'autonomia legislativa locale, quando esiste, trova un limite oltre che nella legislazione nazionale, negli obblighi internazionali dello Stato, tanto più che gli stessi sovente sono destinati a tradursi in normativa nazionale.
Diversamente dovrà concludersi, invece, quando inizierà ad avere attuazione la norma dell'art. 31 della Costituzione che prevede l'istituzione con legge dell'Anp di regioni amministrative speciali. Il testo costituzionale non fornisce ulteriori elementi per meglio determinare la portata dell'autonomia di cui tali regioni potranno godere e delle deroghe che, con i loro ordinamenti speciali, potranno esser apportate all'ordinamento dello Stato ed eventualmente alla stessa Costituzione. Essendo d'altronde evidente che, dovendo intervenire volta per volta per costituirle un'apposita legge, gli ordinamenti che ne deriveranno potranno essere anche tra loro diversi, come appare adombrato dalla formula dell'art. 62, par. 12 della Costituzione relativo al potere dell'Anp di istituire le regioni amministrative speciali e i sistemi in esse applicabili.
Maggiori lumi si possono trarre dal fatto che già sono istituite, entro il territorio della Repubblica popolare cinese, delle zone economiche speciali ove vigono discipline in deroga ai principi generali dell'ordinamento e che, nelle dichiarazioni politiche dei governanti cinesi, all'istituzione di regioni amministrative speciali si potrà ricorrere per risolvere i problemi derivanti dall'opportunità di conservare gli ordinamenti giuridici ispirati a differenti modelli socio?economici di territori ora separati dallo Stato cinese al momento della loro riunificazione allo stesso. La contiguità di alcune delle zone economiche speciali con detti territori lascia inoltre supporre la possibilità di istituire regioni amministrative speciali disposte, seppure con regimi articolati, a ricomprendere le prime con i secondi, onde creare zone di diverso ordinamento specie con riguardo alla disciplina delle attività economiche e, al contempo, superare la coincidenza dell'ambito spaziale di applicabilità del regime speciale con quello già proprio del territorio di nuova ricomprensione nel territorio nazionale7.
Il ricorso all'istituzione di una regione amministrativa speciale, d'altronde, è stato espressamente considerato al terzo dei ricordati nove principi atti a consentire la riunificazione di Taiwan con la madre patria e il tenore dei medesimi appare piuttosto illuminante quanto al grado di flessibilità e ampiezza che può essere ottenuto con tale forma di autonomia. Infatti si prevede di consentire alla regione autonoma così istituita di mantenere proprie forze armate, di conservare immutati il proprio sistema socio?economico, il proprio modo di vita, il regime della proprietà privata e degli investimenti stranieri e si giunge a riconoscere alla regione un'autonomia esterna nelle relazioni internazionali, comprensiva della capacità di concludere accordi con Stati terzi, seppur limitatamente alle materie economiche e culturali.
Risulta innegabile che, quando un siffatto sviluppo si sarà concretato, la Rpc presenterà degli aspetti istituzionali propri di uno Stato non unitario e una pluralità legislativa su base territoriale all'interno del proprio ordinamento, quale per certi aspetti già si è delineata a seguito della istituzione delle zone economiche speciali.
Salve le precedenti considerazioni relative ai possibili e ipotizzati sviluppi futuri, le competenze nella conduzione delle relazioni internazionali nel vigente ordinamento cinese si ripartiscono tra la reintrodotta Presidenza della Repubblica, già prevista dalla Costituzione del 1954 ma soppressa in quelle del 1975 e del 1978, il Comitato permanente dell'Anp, l'Assemblea stessa e il Consiglio degli affari di Stato o governo centrale della Rpc.
Le funzioni riattribuite al Presidente della Repubblica restano peraltro soltanto formali, intese come sono esclusivamente all'esternazione della manifestazione di volontà dello Stato e al compimento di atti di cerimoniale e consistono nel ricevere le credenziali dei rappresentanti diplomatici accreditati presso la Repubblica popolare, nominare e revocare i rappresentanti e i plenipotenziari all'estero, ratificare e denunziare i trattati e gli altri accordi internazionali definiti importanti, dichiarare lo stato di guerra. Tutte queste funzioni si svolgono in corrispondenza e attuazione di competenze e poteri decisionali attribuiti al governo o al Comitato permanente dell'Anp; anche nella Rpc la gestione della politica estera è infatti competenza propria e precipua dell'esecutivo, come precisato al par. 9 dell'art. 89 che elenca le attribuzioni del Consiglio degli affari di Stato. Lo stesso articolo precisa come spetti al governo concludere i trattati e gli altri accordi internazionali ed esercitare la protezione diplomatica con riguardo ai cittadini cinesi all'estero.
Importanti poteri sono peraltro attribuiti al Comitato permanente dell'Anp che cumula funzioni di natura normativa ed esecutiva e a cui spetta nominare e richiamare i rappresentanti all'estero e di ratificare o denunziare i trattati e gli accordi internazionali definiti importanti. Siccome il Comitato permanente è emanazione dell'Assemblea ed è politicamente responsabile nei confronti della stessa cui riferisce del suo operato, i suoi atti potendo da questa venir modificati o annullati (art. 62, par. 11), può reputarsi che l'Assemblea eserciti un controllo generale sulla politica estera. La Costituzione prevede, inoltre, che, tra le commissioni da istituirsi in seno all'Assemblea, ve ne sia una per gli affari esteri ed una per i cinesi d'oltremare, le quali possono svolgere i propri lavori sotto la direzione del Comitato permanente anche quando l'Assemblea non è in sessione.
La delibera dello stato di guerra è competenza propria dell'Assemblea (art. 62, par. 14) ma, quando la stessa non sia in sessione, può essere assunta dal Comitato permanente (art. 67, par. 18). Può apparire incerto se la limitazione del ricorso alla guerra, prevista da quest'ultimo articolo, ai soli casi di risposta a un attacco armato o in adempimento di obblighi internazionali assunti per una difesa collettiva verso un'aggressione subita da un terzo, che sostanzialmente corrispondono alle sole ipotesi di ricorso alla forza consentite agli Stati membri della Carta dell'ONU, si riferiscano esclusivamente all'esercizio di questo potere da parte del Comitato permanente, limitandone così la discrezionalità alle situazioni descritte, o piuttosto, come sembrerebbe preferibile, vadano considerate un limite costituzionale generale al ricorso alla guerra, in armonia con analoghe disposizioni accolte in molte costituzioni attualmente vigenti e con il riconosciuto principio generale di illegittimità di ricorso alla forza armata nelle relazioni internazionali8.
Con riguardo alle competenze per la conclusione di accordi internazionali, mentre tutti i precedenti testi costituzionali si riferivano esclusivamente all'attribuzione al Comitato permanente dell'Anp del potere di deliberare in merito alla ratifica dei trattati, per implicito assumendosi che gli accordi non rientranti nella categoria dei trattati non richiedessero ratifica e potessero quindi esser conclusi dal governo, il testo vigente appare più esplicito richiedendo la ratifica del Comitato permanente per i soli trattati e gli accordi internazionali importante ed espressamente conferendo al governo il potere di concludere accordi che, quando non rientranti nella categoria di quelli qualificabili come importanti, potranno quindi non necessitare di ratifica. La discriminante resta, comunque, di natura piuttosto politica e discrezionale, tale da dar luogo a incertezze, d'altronde non inconsuete nemmeno in testi costituzionali più attenti ad affermare e garantire le competenze del potere legislativo in materia di assunzione di obblighi internazionali9.
Si reputa comunemente che i criteri in pratica seguiti siano ancora quelli fissati dalla risoluzione adottata il 16 ottobre 1954 dal Comitato permanente e così formulata:
"I seguenti tipi di trattati, conclusi dalla Rpc con Stati esteri devono essere ratificati in corrispondenza alle previsioni degli artt. 31, sez. 12 e 41 della Costituzione della Rpc: trattati di pace; trattati di non aggressione; trattati di amicizia, alleanza e reciproca esistenza, nonché tutti i restanti trattati, ivi compresi gli accordi che contengono clausole intese a richiederne la sottoposizione a ratifica.
Gli accordi ed i protocolli che non rientrano nelle anzidette categorie devono essere approvati dal Consiglio degli affari di Stato".
Si evince da questa elencazione la natura politica dei trattati per i quali si ritiene necessaria e in generale si ha la ratifica del Comitato permanente; quanto ai restanti, non risulta che l'approvazione successiva del governo sia sempre condizione necessaria per l'espressione finale del consenso ad obbligarsi, restando la necessità della stessa nella discrezionalità del governo e avendosi casi in cui tale consenso è stato definitivamente espresso con la firma dei plenipotenziari10.
Nemmeno il testo costituzionale del 1982, in ciò non diversamente dai precedenti, fornisce elementi per dedurre secondo quali regole e modalità le norme poste con i trattati vincolanti per lo Stato cinese acquistano efficacia all'interno dell'ordinamento dello stesso e quale sia la posizione che entro di questo assumono. In mancanza di prese di posizione nella scarsa dottrina cinese, l'osservazione della pratica offre i dati apparentemente contrastanti tanto, talora, della pubblicazione di accordi nella raccolta ufficiale delle leggi e regolamenti della Repubblica popolare, dal che se ne dedurrebbe l'efficacia diretta a seguito della sola pubblicazione, quanto, in altri casi, dell'adozione di apposite norme interne intese a dare attuazione agli obblighi internazionali11.

3. Il tradizionale interesse dello Stato cinese a mantenere il collegamento con la propria popolazione che risiede stabilmente all'estero, cui corrisponde il diffuso sentimento entro dette comunità di continuare ad appartenere per vincoli di lingua e di cultura al popolo cinese, si è sempre tradotto, nei testi costituzionali della Repubblica popolare, in norme intese programmaticamente a impegnare l'azione del governo alla protezione dei diritti e degli interessi legittimi dei cittadini residenti all'estero12.
La protezione diplomatica dei propri cittadini, affidata al governo (art. 89, par. 12 della Costituzione del 1982), venendo così a corrispondere a un principio programmatico di politica estera costituzionalmente garantito, cessa di essere oggetto di valutazione discrezionale per presentarsi dovuta, sin tanto almeno che appaia trattarsi della difesa di diritti ed interessi legittimi di cittadini, anche se non è facile ricostruire su questa sola base un diritto soggettivo del cittadino a goderne o in che forme tale diritto possa esser fatto eventualmente valere. Se non manca l'esempio di una situazione in cui tale protezione è stata esercitata anche con il ricorso all'intervento armato nei confronti dello Stato vietnamita per pratiche discriminatorie da quest'ultimo attuate, va pure considerato come la Rpc abbia costantemente cercato di giungere a soluzioni convenzionali, mediante accordi con gli Stati maggiormente interessati dalla presenza di numerose comunità cinesi, per regolare le eventuali situazioni conflittuali che potessero derivare da tale circostanza con il favorire l'acquisto volontario da parte dei cinesi stabilmente residenti all'estero della cittadinanza dello Stato di residenza e, conseguentemente, far decadere la cittadinanza cinese ancora conservata da quanti avessero acquisito una nuova cittadinanza, sopprimendo cosi il fondamento medesimo per l'esercizio della protezione diplomatica e il connesso timore degli Stati interessati che, attraverso di essa, si facesse opera di interferimento negli affari interni di detti Stati13.
La legge sulla cittadinanza intervenuta infine nel 1980 per risolvere le incertezze derivanti dal vuoto legislativo fino ad allora esistente in materia, segue questo indirizzo poiché, pur confermando la tradizionale adesione al principio dello jus sanguinis atto a consentire la trasmissione e la conservazione della cittadinanza a seguito della nascita da genitori o genitore cittadini, richiede inoltre, al fine dell'acquisto originario della cittadinanza, che la nascita sia avvenuta in Cina o che, se avvenuta all'estero, il nato non abbia acquisito la cittadinanza di uno Stato straniero, in forza delle leggi di questo, il che gli precluderebbe la concomitante trasmissione delta cittadinanza cinese dai genitori; ciò, evidentemente, per limitare nel futuro le situazioni di doppia cittadinanza così frequentemente prodottesi nel passato a seguito dell'illimitato funzionamento dello jus sanguinis14.
In conformità a questa linea, l'acquisto successivo di una cittadinanza straniera da parte dei cittadini residenti all'estero, per naturalizzazione volontaria e non forzata o per opzione o a seguito di matrimonio, riconoscimento o adozione, comporta la decadenza di diritto dalla cittadinanza cinese. La legge però consente, con procedura analoga a quella della naturalizzazione, la reintegrazione nella cittadinanza cinese di quanti già l'avessero posseduta; questa peraltro sarà disposta discrezionalmente, in presenza di giusti motivi che potranno derivare soprattutto da naturalizzazioni forzate e da perdite della cittadinanza avvenute senza concorso della volontà dell'interessato, ma potrà evidentemente riguardare solo quanti già in passato erano in possesso della cittadinanza cinese e non quanti, nati all'estero pur da cittadini cinesi, abbiano ab origine acquistato una cittadinanza straniera e che quindi, per effetto della nuova legge, non sono mai divenuti cittadini cinesi; a questi ultimi, quindi, resta aperta la sola via della naturalizzazione15.
Pur se, a seguito dei descritti indirizzi, il numero di cittadini cinesi permanentemente residenti all'estero appare destinato a ridursi consistentemente nel tempo, i principi costituzionali quanto alla loro condizione e protezione sono rimasti quelli tradizionalmente accolti. Costituisce invece una significativa innovazione apportata dal testo del 1982, a conferma del nuovo indirizzo politico favorevole a una maggior apertura ai rapporti con l'estero non soltanto nel campo economico ma in quello culturale, turistico e, generalmente, delle relazioni umane, l'inserzione in esso di norme relative alla condizione degli stranieri, completamente assenti nei testi costituzionali anteriori e che trovano un limitato precedente soltanto nel Programma comune del 194916.
Le due norme ora rilevanti in materia (artt. 18 e 32) sono ricomprese entrambe nel cap. I, dedicato ai principi generali, il che ne evidenzia la loro importanza. Al primo comma dell'articolo 32 si afferma l'obbligo per lo Stato di proteggere diritti e interessi legittimi degli stranieri presenti nel territorio della Cina, questi essendo a loro volta tenuti a conformarsi alle leggi dello Stato. L'art. 18, consentendo gli investimenti in Cina di capitale straniero e la disposizione di diverse forme di cooperazione economica con l'estero, precisa a sua volta che le imprese e le organizzazioni economiche straniere nonché le società a capitale misto stabilite in Cina dovranno conformarsi alle leggi dello Stato e ne godranno la protezione per i loro diritti ed interessi legittimi.
Siffatte norme hanno potuto essere poste e possedere un significato concreto solo a seguito della più recente evoluzione dell'ordinamento della Rpc che, arricchendosi in questi ultimi anni con ampi interventi normativi nel campo del diritto civile, commerciale, penale e processuale, ha perso la sua indeterminatezza e appare in grado di offrire i requisiti di positività e certezza atti a fondare la sicurezza dei rapporti giuridici e la garanzia del rispetto della legge17. Un simile sviluppo, se coinvolge tutti i campi del diritto nel perseguimento dell'attuale obiettivo dell'instaurazione della legalità socialista, è particolarmente significativo e ricco di risultati con riguardo alla disciplina dei rapporti economici con l'estero e degli investimenti stranieri in Cina18.
Al fine di agevolare con incentivi e regimi più favorevoli la presenza di operatori economici e capitali stranieri, la Cina è giunta a rinunziare all'unità territoriale del proprio ordinamento consentendo che, nelle già citate zone economiche speciali, in luogo delle normative generali valgano delle apposite discipline in deroga19.
In corrispondenza a questo nuovo indirizzo legislativo si è manifestata di recente anche la disponibilità della Rpc a concludere accordi bilaterali con Stati esteri intesi a istituire o rafforzare, su base convenzionale, le garanzie offerte ai rispettivi cittadini per gli investimenti effettuati nell'altro Stato contraente, che di fatto assumono importanza soprattutto per gli interessi in Cina dei cittadini dell'altro Stato contraente20.
A seguito dell'introduzione di una norma generale sulla condizione e il trattamento degli stranieri entro la medesima, al secondo comma del citato art. 32, è stata inserita anche la previsione, tradizionalmente presente ma isolata nei precedenti testi costituzionali, relativa alla concessione dell'asilo politico in Cina agli stranieri perseguitati, ma la sua nuova formulazione si distacca radicalmente da quelle finora accolte. Laddove infatti nelle norme anteriormente vigenti (art. 60 del Programma comune del 1949, art. 99 della Cost. del 1954, art. 29 della Cost. del 1975 e art. 59 della Cost. del 1978), la concessione dell'asilo, pur oggetto di valutazione discrezionale del governo, era prevista in circostanze ideologicamente qualificate: persecuzione subita dallo straniero per aver difeso gli interessi del popolo e aver lottato per la pace (testo del 1949), aver difeso una giusta causa e aver agito a favore della pace (testo del 1954), o aver partecipato a un movimento rivoluzionario o per l'attività scientifica (testi del 1975 e del 1978)21, la norma ora vigente sottolinea la discrezionalità dell'operato del governo assumendo che l'asilo può essere concesso allo straniero che io richieda per motivi genericamente indicati come politici.
Il nuovo tenore della norma costituzionale può reputarsi connesso con l'adesione che la Cina popolare ha effettuato, il 24 settembre 1982, alla Convenzione di Ginevra del 1951 sulla condizione dei rifugiati che, al fine della qualificazione del rifugiato, si avvale della persecuzione subita o temuta dall'individuo per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o opinioni politiche professate, individuando così una serie di motivi di portata più ampia e generale di quella risultante dalle precedenti norme costituzionali cinesi in materia. Un motivo pratico per la più generica formulazione della norma può poi anche ritrovarsi nell'ampia accoglienza fatta dalla Repubblica cinese nel proprio territorio a numerosi individui di origine etnica cinese che hanno abbandonato negli ultimi anni il Vietnam e riguardo ai quali la Cina ha partecipato alla Conferenza di Ginevra del luglio 1979 sul problema dei rifugiati dall'Indocina22.

MONDO CINESE N. 46, GIUGNO 1984

Note

1 V. lo studio di P. Biscaretti di Ruffia, già autore di un saggio sull'ordinamento costituzionale della Rep. popolare cinese secondo la Costituzione del 1975 (La Repubblica popolare cinese. Un modello nuovo di ordinamento statale socialista, Milano, 1977, in Mondo Cinese, n. 43, 1983, pp. 3-40. Nello stesso fascicolo trovasi una traduzione italiana del nuovo testo costituzionale proposto da G. Melis. A cura dello stesso Autore è iniziata inoltre la pubblicazione, a parure dal n. 44 della stessa Rivista, di un assai utile raffronto testuale delle norme delle diverse Costituzioni successivamente datesi dalla Rpc e del Programma comune adottato nel 1949 dalla Conferenza politico-consultiva del popolo cinese a valere come Costituzione provvisoria. Una traduzione ufficiosa della nuova Costituzione è contenuta nella Beijing Review, n. 52 del 27 dicembre 1982, nelle diverse lingue in cui la stessa viene pubblicata (inglese, francese, spagnolo, tedesco e giapponese), ed una in lingua inglese a cura di T. Saich, dell'Istituto di Sinologia dell'Università di Leida, in Review of Socialist Law, 1983, pp. 183-208. Sul medesimo fascicolo si veda il saggio dello stesso T. Saich, The Fourth Constitution of the P.R. of China, pp. 113-124. Ancora sul nuovo testo costituzionale si ricordano gli studi di J. Barrett, What's new in China's new Constitution, in Review of Socialist Law, 1983, pp. 305-345 e di Tsien Tche-hao, La Constitution de 1982 et les réformes institutionnelles en R.P. de Chine, in Revue Internationale de Droit Comparé, 1983, pp. 385-390.
2 Molto significativo a questo riguardo appare l'art. 5 della nuova Costituzione che, dopo aver affermato 1'unità dell'ordinamento giuridico e la superiorità gerarchica delle norme costituzionali rispetto alle altre fonti legislative, ispirandosi ai principi dello Stato di diritto vincola al rispetto della legge ogni potere pubblico e politico, ogni organizzazione sociale e ogni individuo.
3 Tali principi, già espressi agli artt. 54 e 56 del Programma comune del 1949, quindi contenuti nel preambolo del trattato del 29 aprile 1954 tra la Rpc e l'India relativo al commercio e alle relazioni con il Tibet, sono stati enunciati con la denominazione in lingua hindi di panch sila, dal premier indiano Nehru il 28 giugno 1954 e, il giorno successivo, nel comunicato congiunto emesso al termine dell'incontro tra Zhou Enlai e il primo ministro birmano U-Nu. Ripresi poi, con la denominazione di wuxiang yuanze nel preambolo della Costituzione cinese del 20 settembre 1954, appaiono frequentemente in numerosi accordi conclusi dalla Rpc. Al loro riguardo e per la loro rilevanza sulle concezioni cinesi del diritto e delle relazioni internazionali si veda L. Focsaneanu, Les cinq principes de coexistence et le droit international, in Annuaire Français de Droit International, 1956, pp. 150-180.
4 La partecipazione della Cina popolare all'ONU e, in seguito a questa, a molte delle istituzioni specializzate collegate a detta organizzazione, nonché 1'azione politica condotta dalla Cina entro le stesse, sono state oggetto di numerosi studi. Per una recente ed ampia opera di insieme su questa tematica si rinvia a S.K. Kim, China, the U.N. and the World Order, Princeton, 1979.
5 La teoria dei tre mondi che il principale documento teorico ad essa riferentesi, elaborato dalla Redazione del Quotidiano del Popolo ed ivi pubblicato il 1° novembre 1977, riporta al pensiero di Mao Zedong in sviluppo ed applicazione dei principi del marxismo-leninismo, postula, com'è largamente noto, la individuazione nella comunità internazionale di tre campi, l'uno costituito dalle super-potenze imperialiste ed egemoni, l'altro, il terzo, in cui si situa la Cina popolare, dalle nazioni socialiste anticolonialiste e antiegemoniche, in via di sviluppo e spesso di recente indipendenza, e un secondo costituito da nazioni a elevato grado di sviluppo economico ma oggetto della pressione egemonica e della contesa degli opposti imperialismi, in rapporto dialettico con gli stessi, potendo essere o vittime di questi o assumibili alla lotta contro di loro. Per maggiori approfondimenti e gli opportuni richiami si rinvia alla voce Tre Mondi nel1'opera enciclopedica a cura di G. Melis e F. Demarchi, La Cina contemporanea, Roma, 1979, nonché, quanto alla rilevanza di questi assunti ideologici sulle concezioni cinesi della struttura della comunità internazionale e delle relazioni entro di essa e del suo ordinamento giuridico, allo studio di S. Jaschek, Die Chinesische Völkerrechts Doktrin im Lichte der Drei Welten Theorie, in German Yearbook of International Law, vol. XXI, 1978, pp. 363-386.
6 Sul sistema delle autonomie locali e delle minoranze nazionali in Cina, quale ora derivante dal nuovo testo costituzionale, si veda T. Heberer, Neue Aspekte der Autonomiegesetzgebung in der Volkerepublik China, in Zeitschrift für Vergleichende Rechtswissenschaft, 1982, pp. 152-164.
7 Siffatta ipotesi è proposta da J. Barrett, nel già citato studio What's new in China's new Constitution?, a p. 317, ove si considera la possibilità di fusione futura tra Hong Kong e la zona economica speciale di Shenzhen, tra Macao e la zona di Zhuhai e tra Taiwan con la zona dello Xiamen.
8 Questa formula corrisponde a quella già accolta agli artt. 27, par. 13 e 31, par. 16 della Costituzione del 1954. La sintetica Costituzione del 1975 nulla disponeva in proposito, mentre quella del 1978, all'art. 25, par. 12, consentiva al Comitato permanente di decidere nell'intervallo tra le sessioni dell'Anp sulla proclamazione dello stato di guerra esclusivamente nel caso di invasione armata diretta contro lo Stato. La descritta vicenda porta perciò ad escludere che la formula attualmente accolta derivi dalla partecipazione della Cina popolare all'Organizzazione delle Nazioni Unite. L'adesione ai ricordati principi della coesistenza pacifica, le reiterate pubbliche dichiarazioni dei governanti cinesi e la pur scarsa dottrina nel campo del diritto internazionale, fanno comunque propendere per l'opinione che la limitazione costituzionale abbia portata generale e sia fatta in corrispondenza a un riconosciuto principio del diritto internazionale. Si veda per questa posizione Tsien Tche-hao, Conceptions et pratique du droit international public en République populaire de Chine, in Journal de Droit International, 1976, pp. 863-897. I casi di limitato ricorso alla forza armata effettuato dalla Repubblica popolare cinese nei confronti dell'India, dell'Unione Sovietica e del Vietnam sono stati d'altronde sempre giustificati corne compiuti in risposta a un'invasione di territorio cinese. Per le vicende e le motivazioni degli scontri armati alle frontiere con l'Unione Sovietica e con l'India rinvio al mio studio Le frontiere della Repubblica popolare cinese, in Mondo Cinese, n. 1, 1973, pp. 8-65.
9 Anche la lingua cinese, non diversamente da molte altre, possiede una pluralità di denominazioni per riferirsi agli accordi internazionali, senza che alle stesse corrisponda una precisa individuazione di categorie, distinte per caratteristiche formali, procedurali o di contenuto. Comunemente vien fatto riferimento in proposito, per rifarsi a fonti cinesi, alla elencazione e alle definizioni contenute nell'opera di Wang Yaotian, Guoji maoyi tiaoyue he xieding (Trattati ed accordi internazionali di commercio), pubblicata a Pechino nel 1958, dove sono distinti sei tipi di accordo con diverse denominazioni e se ne fornisce la relativa definizione. Alla terminologia ivi raccolta sostanzialmente corrispondono le definizioni contenute nella Parte IV (Diritto e politica) di un dizionario enciclopedico cinese (cihai) del 1936, la cui riedizione provvisoria è stata pubblicata a Shanghai nel 1961 e che sono state quindi tradotte in lingua tedesca (v. H.v. Senger, Völkerrechtliche Begriffe Chinesicher Sicht. Eine Dokumentation, in German Yearbook of International Law, vol. XXI, 1978, pp. 387-441), dove peraltro appaiono ulteriori figure con proprie denominazioni di accordi internazionali o si hanno specificazioni e qualificazioni dei vari tipi di accordo; altre denominazioni ancora possono trovarsi nell'esame della prassi assumendo a riferimento la collezione ufficiale dei trattati conclusi dalla Repubblica popolare cinese (Zhonghua renmin gongheguo tiaoyueji, in 16 volumi, Pechino, 1957-1969): appare in genere assai raro l'impiego della denominazione trattato (tiaoyue), riservata a materie politico-amministrative e, talora, alla determinazione dei confini e quasi sempre con riferimento ad accordi sottoposti a ratifica, mentre di assai frequente uso sono i termini di accordo (xieding) e protocollo (yidingshu). Per l'analisi della prassi della Rep. pop. cinese in materia di accordi internazionali si vedano, limitandosi alle opere maggiori, le ampie trattazioni di G.L. Scott, Chinese Treaties. The Post-Revolutionary Restoration of International Law and Order, New York-Leiden, 1975; H. Chiu, The People's Republic of China and the Law of Treaties, Cambridge Mass., 1972; L.T. Lee, China and International Agreements. A Study of Compliance, Leiden, 1969; L. Focsaneanu, Les grands traités de la République populaire de Chine, in Annuaire Français de Droit International, 1962, pp. 139-177; K.T. Young, Negotiating with the Chinese Communists. The United States Experience 1953-67, New York, 1968; J. Hsiung, Law and Policy in China's Foreign Relations, New York, 1972; le raccolte di saggi e documenti a cura di J. A. Cohen, China's Practice in International Law. Some Case Studies, Cambridge Mass., 1972 e People's China and International Law. A Documentary Study, Princeton, 1974. Un importante repertorio è stato edito a cura di D. Johnston e H. Chiu, Agreements of the People's Republic of China 1949-1967. A Calendar, Cambridge Mass., 1968 e un'utile antologia contenente i testi di 37 accordi è stata edita a cura di G.F. Rhode e R.E. Whitlock, Treaties of the People's Republic of China 1949-1978. An Annotated Compilation, Boulder, 1980.
10 Vedi al riguardo G.L. Scott, Chinese Treaties, cit., pp. 121-125 e H. Chiu, The P.R. of China and Law of Treaties, cit., pp. 31-37.
11 Per questi dati vedi H. Chiu, The P.R. of China and Law of Treaties, cit., pp. 6-7. Tuttavia, a favore dell'efficacia interna diretta degli accordi internazionali vincolanti per la Cina popolare nonché della superiorità delle norme di questi, in base apparentemente a un principio di specialità, rispetto alle norme comuni, testimoniano le norme degli artt. 188, 189, 196 (par. d), 202, 203 e 204 del nuovo Codice di procedura civile, adottato dal Comitato permanente del1'Anp l'8 marzo 1982 e applicato, in via provvisoria, a partire dal 1° ottobre di quell'anno. Detti articoli fanno riferimento alla applicabilità da parte degli organi giurisdizionali cinesi delle norme contenute in eventuali trattati conclusi in materia di immunità dalla giurisdizione, notificazioni all'estero, assistenza giudiziaria, riconoscimento ed esecuzione delle sentenze straniere. L'art. 189, specialmente, ha portata generale disponendo che, quando un trattato internazionale concluso dalla Rep. pop. cinese o al quale la stessa partecipa contiene norme diverse da quelle interne, le prime sono applicabili salvo che la Cina popolare non abbia espresso riserve alle stesse.
12 Tali norme, presenti in tutti i precedenti testi costituzionali (art. 58 del Programma comune del 1949, 98 della Costituzione del 1954, 27, ult. co. della Costituzione del 1975, 54 di quella del 1978 e 50 di quella del 1982) sono state allargate, a partite dal testo del 1978, a garantire i diritti e gli interessi dei familiari residenti in Cina, e con quello del 1982 ai diritti e interessi dei residenti all'estero che riacquistino la residenza in Cina, offrendo in tal modo riconoscimento costituzionale all'indirizzo politico inteso a favorire il rientro nella madrepatria di quei residenti all'estero che non abbiano acquistato una cittadinanza straniera. Non sono considerati quali cittadini residenti all'estero ma sono qualificati come compatrioti di Taiwan, Hong Kong e Macao e in tutto assimilati ai cittadini i cinesi residenti in detti territori.
13 Si ricordano al riguardo gli accordi di attuazione piuttosto travagliata con l'Indonesia (trattato del 22 aprile 1955, scambio di note sulle misure di attuazione del 24 dicembre 1960); il Nepal (scambi di note del 20 settembre 1956 e del 14 agosto 1962); la Birmania (scambio di note del 1° ottobre 1960); le Filippine (comunicato congiunto del 9 giugno 1975); la Malaysia (comunicato congiunto del 31 maggio 1974); la Thailandia (comunicato congiunto del 1° luglio 1975). In merito agli stessi e in generale alla condizione dei cinesi residenti all'estero, rinvio al mio scritto La Cina popolare e la soluzione del problema della doppia cittadinanza dei cinesi d'oltremare, in Mondo Cinese, n. 18, 1977, pp. 37-59.
14 Per un esame della nuova normativa si veda il mio scritto La legge della cittadinanza della Repubblica popolare cinese, in Mondo Cinese, n. 37, 1982, pp. 35-45.
15 A seguito dette modifiche apportate, con la legge del 21 aprile 1983, al regime dell'acquisto della cittadinanza italiana che ne allargano le ipotesi consentendo la trasmissione della stessa, a titolo originario, egualmente sia dal padre cittadino o dalla madre cittadina, o a seguito di adozione se uno dei genitori adottivi è italiano, o la concessione della cittadinanza italiana, a seguito di matrimonio dove uno qualunque dei coniugi sia cittadino italiano, su istanza di uno degli interessati e con il consenso del coniuge straniero, i case di conservazione della cittadinanza cinese da parte di residenti in Italia o di acquisto della doppia cittadinanza italiana e cinese sono destinati, per il concorrere dette due leggi, a ridursi ulteriormente. Anche le residue ipotesi di doppia cittadinanza che possano ancora prodursi (nascita in Cina da genitori italiano e cinese, quest'ultimo residente in Cina), pur essendo irrilevanti per la legge cinese, sono destinate a estinguersi per l'obbligo di opzione al compimento della maggiore età previsto dalla nuova legge italiana.
16 All'art. 59 dello stesso ove si disponeva la protezione dei cittadini stranieri residenti in Cina che si conformassero alle leggi quivi vigenti.
17 Essenziale per il descritto fine e per la possibilità dello straniero di godere delle fondamentali garanzie giurisdizionali è stata l'adozione del già ricordato nuovo Codice di procedura civile del 1982; se ne veda una traduzione tedesca con un commento di F. Münzel, Die neue Zivilprozessordnung der Volksrepublik China von 1982, in Rabels Zeitschrift für ausländisches und internationales Privatrecht, 1983, pp. 78-127. All'art 186 dello stesso la capacità processuale degli stranieri, persone fisiche o giuridiche o imprese è assimilata a quella dei cittadini, salva la condizione di reciprocità nei confronti dei cittadini di quei paesi i cui ordinamenti prevedano restrizioni alla capacità processuale di persone fisiche o giuridiche o di imprese cinesi. L'art. 17 inoltre dispone che nelle controversie di cui sia parte uno straniero, giudice di prima istanza sia il tribunale popolare di grado intermedio, che altrimenti è giudice di appello rispetto ai tribunali popolari di base. Un segno del nuovo interesse per la condizione degli stranieri è la recente elaborazione dottrinale effettuata in Cina del diritto internazionale privato; il primo manuale della materia ad opera di Yao Zhuang e Ren Jisheng, Guoji sifa jichu (Istituzioni di diritto internazionale privato) è stato pubblicato a Pechino nel 1981; su di esso si veda un commento di F. Münzel, Ein erstes chinesisches Lehrbuch xum IPR, zur Darstellung des chinesischen internationales Ehe-, Erb-, und Patentrechtes bei Yao und Ren e una recensione allo stesso a cura di Liu Xiaolin, in Rabels Zeitschrift für ausländisches und internationales Privatrecht, 1983, pp. 730-738 e 755-761. Significativa al riguardo appare anche la conclusione da parte della Cina popolare di accordi consolari, tra cui il Protocollo sullo stabilimento reciproco di consolati generali firmato con l'Italia, a Roma, il 6 novembre 1979.
18 Sui quali temi si rinvia ad una mia monografia, di imminente pubblicazione, in collaborazione con G. Crespi Reghizzi. La legislazione relativa al commercio internazionale, com'è noto, è ormai particolarmente consistente e copre i campi della costituzione di imprese a capitale misto, del lavoro nelle stesse, delle imposte applicabili ad esse e, in genere, agli stranieri, del regime valutario e del controllo dei cambi, della protezione dei marchi, dell'istituzione di uffici di rappresentanza. Della stessa è iniziata ora la pubblicazione ufficiale anche in lingua inglese: China's Foreign Economic Legislation, vol. I, 1979-81, Pechino, 1982. Utili pure al riguardo le raccolte a cura di D.T.C. Wang, Les sources du droit de la République populaire de Chine, Ginevra, 1982, di F. De Bauw e B. Dewit, China Trade Law, Bruxelles, 1982 e quelle con traduzioni di testi legislativi in lingua italiana a cura della Banca Nazionale del Lavoro, Cina. Normativa in materia di joint-ventures, Roma, 1981 e della Confindustria, Repubblica popolare cinese: leggi e regolamenti relativi agli investimenti e agli uffici di rappresentanza stranieri, Roma, 1981.
19 Trattasi della legislazione apposita per le zone economiche speciali della provincia del Guangdong (aree di Shenzhen, Zhuhai, e Shantou) comprendente le regole sulle attività economiche e gli investimenti nelle stesse adottate dal Comitato permanente dell'Assemblea nazionale il 26 agosto 1980, delle misure provvisorie per il controllo dei personale che entra in Cina o ne esce, per la registrazione e la gestione delle imprese, per la disciplina del lavoro e per il regime dei suoli nella Zona di Shenzhen, adottate localmente dal Comitato permanente dell'Assemblea della provincia del Guangdong il 17 novembre 1981.
20 Un primo accordo relativo alla reciproca protezione degli investimenti è stato concluso dalla Repubblica popolare cinese con la Svezia il 29 marzo 1982 e può ritenersi preludere alla conclusione di ulteriori accordi analoghi.
21 Le precedenti versioni delle norme costituzionali cinesi in materia di asilo appaiono sostanzialmente coincidenti con il tenore dell'art. 38 della vigente Costituzione sovietica del 1977, che prevede la concessione dell'asilo agli stranieri perseguitati per aver difeso gli interessi dei lavoratori, la causa della pace, per aver partecipato al movimento rivoluzionario e di liberazione nazionale o per aver svolto attività progressiva di natura socio-politica, scientifica o creativa. Per considerare anche un diverso modello di Stato socialista, non troppo diversa appare poi, anche se di più ampia portata, la norma della vigente Costituzione jugoslava del 1974: all'art. 202 di questa, è previsto che si conceda l'asilo allo straniero perseguitato per il suo impegno a favore di concezioni e movimenti democratici, della liberazione sociale e nazionale, della libertà e dei diritti della persona umana o della libertà di creazione artistica e scientifica.
D'altronde anche la Costituzione italiana com'è noto collega il diritto all'asilo dello straniero a motivi valutati alla stregua dei valori di democrazia accolti dal nostro ordinamento; particolarmente significativo, perciò, appare l'attuale abbandono nella norma costituzionale cinese di ogni specificazione onde consentire alle autorità la più ampia libertà di apprezzamento.
22 Con la contemporanea adesione effettuata anche al Protocollo di New York del 1967, la Cina popolare ha esteso l'applicazione del regime convenzionale pure a quanti ottengano l'asilo per eventi successivi al 1951, pur facendo riserva del suo art. IV relativo all'accettazione della giurisdizione della Corte internazionale di Giustizia per controversie relative alla interpretazione o all'applicazione dello stesso Protocollo. A seguito dell'ammissione all'ONU, la Cina popolare partecipa inoltre all'attività dell'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ne ha accolto i rappresentanti sul proprio territorio e consente loro l'accesso ai campi per rifugiati in esso istituiti. In materia si veda W. Pfeifenberger, Chinesische Flüchtlingspolitik, in AWR Bulletin, 1980, pp. 147-157.

 

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