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SAGGI

La Costituzione della Repubblica Popolare Cinese del 1982
principi generali e ordinamento dello Stato

di Paolo Biscaretti di Ruffia

Parte Prima: Il sistema politico costituzionale e i "principi generali"

1. Considerazioni introduttive - 2. «La Repubblica Popolare Cinese è uno Stato socialista di dittatura democratica popolare» (art. 1) - 3. I più significativi «principi generali»: a) l'«unità del potere statale» (arr. 2 e passim) - 4. b) il «centralismo democratico» e la «doppia dipendenza» (art. 3 e passim) - 5. c) l'autonomia assicurata alle minoranze nazionali nel quadro dello Stato unitario (art. 4) - 6. d) la «legalità socialista» (art. 5) - 7. e) l'attenuazione della rigidezza del principio dell'economia socializzata (artt. 6/18: rinvio) - 8. f) i compiti sociali e educativi dello Stato (artt. 19/30) - 9. g) i rapportí con l'estero (art. 31/32: rinvio) - 10. La scomparsa nel capitolo dei «principi generali» dell'affermazione dell'assoluta preminenza del Partito comunista sugli organi e sulle attività dello Stato non impedisce, tuttavia, che tale preminenza continui a sussistere incontrastata (com'è tuttora, del resto, chiaramente affermato nel «preambolo»).

1. Nella Costituzione della Cina del 1982 i «principi generali» occupano i 32 articoli del capitolo I di fronte ai 20 dell'analoga porte della Costituzione del 1954, ai 15 di quella del 1975 ed ai 19 di quella del 1978. Si nota, quindi, un chiaro orientamento inteso a risalire dalle più generiche e laconiche enunciazioni del 1975 e del 1978 (che ancora risentivano - secondo gli attuali governanti cinesi - degli «errori» del periodo della «rivoluzione culturale») alla più ampia formulazione di una serie organica di dettami costituzionali, economici e sociali sostanzialmente più in armonia con le dottrine politiche oggidì dominanti in Cina. E potrà, quindi, essere utile - trattando dei vari temi di più spiccato rilievo soffermarsi brevemente a considerare le differenze riscontrabili fra il testo qui in esame e quello del 1975, che dei menzionati «errori«» offriva il panorama maggiormente esplicito ed evidente: mirandosi, ora, invece, da parte degli uomini politici cinesi, con vivo senso del reale, essenzialmente a conseguire una concreta «modernizzazione socialista», finalizzata alla realizzazione di uno «Stato socialista altamente civilizzato e altamente democratico»1.

E sarà opportuno rifarsi, in proposito, ove conveniente, pure all'analoga sezione della Costituzione dell'URSS del 1977 («Basi del regime sociale e della politica dell'URSS»): anch'essa premessa - come quella cinese odierna - alle trattazioni concernenti rispettivamente (nell'ordine), i «diritti e i doveri dei cittadini» e l'«ordinamento dello Stato» (con una partizione ormai uniformemente adottata da tutte le più recenti Costituzioni dei Paesi socialisti)2.

Occorre, però, riconoscere che la sezione in parola della Costituzione sovietica del 1977 aveva assunto, in merito, una più schematica impostazione di massima, elencando, in successione, ben cinque capitoli, concernenti distintamente: il sistema politico, il sistema economico, lo sviluppo sociale e la cultura, la politica estera e la difesa della patria socialista. Ma anche l'unitario capitolo sui «principi generali» della Costituzione cinese che qui si esamina - come tra breve si vedrà - si sviluppa sostanzialmente secondo linee espositive formali assai simili a quelle sovietiche, pur non facendo ricorso ad ulteriori partizioni interne.

Ad ogni modo, nella presente breve trattazione - dopo un succinto esame preliminare della definizione che viene data della Repubblica Popolare Cinese nell'art. 1 della Costituzione del 1982 - verranno man mano considerati i più significativi «principi generali» informatori delineati nel capitolo I del testo stesso sulla traccia dell'ordine che segue: a) l'«unità del potere statale» (art. 2 e passim), b) il «centralismo democratico» e la «doppia dipendenza» (art. 3 e passim), c) l'autonomia assicurata alle minoranze nazionali nel quadro dello Stato unitario (art. 4), d) la «legalità socialista» (art. 5 e passim), e) l'attenuazione della rigidezza del principio dell'economia socializzata (artt. 6/18), f) i compiti sociali ed educativi dello Stato (artt. 19/30), e g) i rapporti con l'estero (articoli 31 /32).

Non potranno tacersi, tuttavia, in chiusura alcune considerazioni su una constatazione che non può non saltare immediatamente agli occhi del lettore attento: e cioè, l'assenza di qualunque esplicita menzione (sia nel capitolo in parola che negli altri articoli del testo vero e proprio della Costituzione) del Partito comunista cinese e del suo ruolo assolutamente dominante in tutta la vita politica, economica e sociale del Paese (ruolo, peraltro, succintamente, ma esplicitamente evidenziato nel testo del «preambolo» della Costituzione medesima).

Sarà intento, quindi, delle pagine che seguono porre in luce sia le analogie (che pur sempre continuano a sussistere) fra il documento costituzionale cinese e gli altri che l'hanno preceduto durante gli ultimi anni (nonché col modello sovietico nella sua più evoluta formulazione del 1977), sia anche le non poche più significative note differenziali che hanno contraddistinto i principi generali informatori dell'ultimo rinnovato ordinamento della Cina stessa. Attenuando le affermazioni più spinte e radicali che vi erano state introdotte dalla «rivoluzione culturale» tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, così da poter pervenire ad un modello di Stato socialista più legalitario ed efficiente, ispirato alle esigenze dell'economia moderna, senza soverchie indulgenze a presupposti ideologici e dottrinali troppo distanti dalle necessità della complessa società dei giorni nostri, anche in un Paese a regime socialista.

2. Ma converrà, innanzitutto, chiarire esattamente il significato del 1° articolo della Costituzione della Repubblica Popolare Cinese del 1982, che definisce la medesima uno «Stato socialista di dittatura democratica popolare, guidata dalla classe operaia e basata sull'alleanza operai-contadini». Si noterà, infatti, la differenza con le locuzioni impiegate nell'art. 1° delle precedenti Costituzioni del 1975 e del 1978, che parlava, invece, di «Stato socialista di dittatura del proletariato», ponendo l'accento su tale specifica classe della società, in un certo senso contrapposta a tutti i restanti cittadini «non proletari».

Questi ultimi, ormai - secondo le parole pronunciate da Peng Zhen all'atto della presentazione del testo della nuova Costituzione alla V Assemblea nazionale del popolo nel novembre del 1982 - sono ormai pressoché scomparsi, così che la menzionata «dittatura» viene oggidì «esercitata nei confronti di un numero infimo di persone»3.

La classe operaia, infatti, è attualmente assai aumentata rispetto agli anni dell'ultimo dopoguerra, mentre la grande massa dei contadini si è raggruppata in organizzazioni collettive e i c.d. «intellettuali» non possono più essere considerati (come nel passato) appartenenti alle «classi sfruttatrici», giacché anch'essi ormai vivono del proprio lavoro. Non esiste, quindi, più una contrapposizione fra gli operai e i contadini, da un lato, e gli intellettuali, dall'altro, in quanto, dal punto di vista (fondamentale per la dottrina marxista) della proprietà dei mezzi di produzione, gli intellettuali non vengono a costituire una «classe» diversa dagli altri cittadini. Il popolo cinese, perciò, si pone oggidì come il solo padrone dello Stato e della società, attraverso l'attività esplicata, ai diversi livelli, dalle rispettive assemblee popolari.

Sopravvive nel testo costituzionale l'espressione «dittatura» solo per indicare che, pur essendo sostanzialmente venuti meno gli antichi elementi sfruttatori, incombe purtuttavia sempre il pericolo rappresentato dai nuovi controrivoluzionari e dalle spie dell'imperialismo (capitalista) e dell'egemonismo (sovietico); ma la lotta contro siffatti isolati individui asociali sarà condotta, direttamente e con energia, dallo Stato.
Il comma seguente dell'articolo 1° ricorda, tuttavia, subito che «il sistema socialista è il sistema fondamentale della Repubblica Popolare Cinese» ed è quindi «vietato a qualsiasi organizzazione od individuo di sabotare il sistema socialista».

3. a) Nell'articolo 2 - precedentemente dedicato, invece, nelle Costituzioni del 1975 e del 1978 alla posizione dominante del Partito comunista - dopo la recisa affermazione che tutto il potere spetta al popolo, si precisa che esso viene esercitato dal medesimo essenzialmente attraverso l'opera svolta dai suoi rappresentanti eletti nelle assemblee popolari dei diversi livelli di governo, fino a giungere, al vertice, all'Assemblea nazionale del popolo.

E dal contesto dell'intera Costituzione risulta, poi, che - ad ogni livello -tutti gli altri organi statali, esercitanti funzioni amiministrative o giurisdizionali, vengono eletti o nominati dalle assemblee stesse, verso le quali restano parimenti responsabili (principio, ad esempio, che si trova definito in modo ancor più esplicito e preciso nel 2° comma del corrispondente articolo 2 dell'attuale Costituzione dell'URSS).
In altre parole, anche in Cina - come in tutti gli altri Stati socialisti contemporanei foggiati sul modello del prototipo sovietico - non viene accolto, in proposito, il classico principio occidentale della «divisione dei poteri», bensì l'altro, antagonistico anche se non indicato nel testo cinese con la sua locuzione specifica - dell'«unità del potere statale»: concentrato, appunto, ad ogni livello di governo, nell'assemblea rappresentativa (il soviet della dottrina marxista russa). La quale esercita, direttamente, la funzione legislativa (ed, in parte, pure quella di governo) e indirettamente quelle esecutiva e giurisdizionale (per mezzo, allora, di funzionari amministrativi e magistrati da essa nominati e da essa stessa revocati).

Il principio accennato rinviene, nella dottrina marxista sovietica, il suo fondamento nella persuasione che la scomparsa di ogni contraddizione interna - quale dovrebbe riscontrarsi in ogni società socialista compiutamente attuatasi - consente che tutti i poteri statali vengano globalmente affidati, ad ogni livello, all'ormai omogenea collettività dei cittadini, senza che sia più necessario organizzare quel continuativo reciproco controllo che è proprio della «divisione dei poteri» (secondo il noto dettame francese che «le pouvoir arréte le pouvoir»). Non essendovi più gruppi politici minoritari da tutelare, né contrasti di classe da comporre, una gestione unitaria di tutte le funzioni statali - secondo l'accennata impostazione dottrinale - dovrebbe risultare più efficiente: comportando, inoltre, l'altro vantaggio (auspicato già nello scritto di Marx ispirato alla «Comune» di Parigi del 1871) di abolire la burocrazia e la magistratura come corpi a sé stanti, a struttura gerarchicizzata ed estranea alle classi popolari (instaurando, invece, un rapporto diretto e frazionato, di nomina e di dipendenza, fra le assemblee dei diversi livelli ed i corrispondenti organi amministrativi e giudiziari).

Dato, peraltro, che - in Cina - le assemblee specie ai più alti livelli sono spesso assai ampie, riunendosi perciò ad intervalli di tempo sovente molto distanti, le loro funzioni vengono comunemente svolte dai rispettivi «Comitati permanenti» (sul modello, anche qui, del Presidium del Soviet Supremo sovietico): in tal modo creando un ulteriore trasferimento di funzioni dall'intera assemblea ad un suo organo notevolmente più ristretto. Si aggiunga, poi, il fatto che, nella Cina attuale (a differenza dell'URSS: in cui ormai dal 1936 tutti i soviet sono eletti direttamente dai cittadini), l'assemblea popolare risulta formata con elezioni dirette solo nelle due prime categorie dei livelli di governo (rappresentate essenzialmente dal Comune, che sta soppiantando la precedente Comune popolare, e dal Distretto), mentre nei livelli superiori è sempre il risultato di elezioni indirette (ad opera delle assemblee popolari sottostanti). Fino a giungere all'Assemblea nazionale del popolo, i cui membri risultano eletti dai componenti delle Assemblee popolari delle Municipalità direttamente dipendenti dal Governo centrale, delle Province e delle Regioni autonome.

Non è chi non veda, quindi, come - nella presente situazione cinese - il «principio dell'unità del potere statale», esercitato direttamente dal popolo, anche se enunciato in modo particolarmente apodittico nel testo costituzionale, trovi poi molteplici attenuazioni (per non dire distorsioni: ove si pensi anche al costante controllo del partito su ogni nomina o candidatura elettorale) sul piano dell'attuazione pratica: specie attraverso il metodo delle elezioni a più gradi e dell'usuale trasferimento dell'esercizio effettivo delle attribuzioni dalle più ampie assemblee ai loro comitati permanenti, assai più ristretti.

4. b) Un preciso riferimento viene, invece, fatto nell'art. 3 della Costituzione all'altro «principio del centralismo democratico»: principio tipico delle strutture organizzative di pressoché tutti i partiti comunisti del mondo contemporaneo, siano essi al governo oppure all'opposizione (come solitamente avviene nelle democrazie occidentali).

Il criterio-base di tale struttura organizzativa è chiaramente spiegato nel 4° comma dell'art. 3 della Costituzione cinese, laddove si precisa che «nella ripartizione dei poteri d'ufficio tra organismi statali centrali e locali, si segue il principio di svolgere pienamente, sotto la guida unitaria del centro, l'iniziativa e l'attivismo locale».

È chiaro, infatti, che l'accettazione integrale della regola dell'esercizio di ogni funzione statale, a ciascun livello, da parte della corrispondente assemblea rappresentativa e degli organi amministrativi e giudiziari, dalla stessa nominati e verso la medesima responsabili, determinerebbe, come naturale conseguenza, un pluralismo di centri di governo difficilmente accettabile in uno Stato di grandissime proporzioni, sia come superficie (trattandosi di circa 9 milioni e 300.000 km. quadrati) che come popolazione (oltre un miliardo di abitanti), e per di più retto secondo le regole dell'economia socializzata e pianificata, come la Cina contemporanea. Da ciò la necessità di attuare, oltre all'accennata rete di nomine e responsabilità sul piano orizzontale - come si è testé visto - anche un'altra rete di responsabilità (e spesso di controlli o di proposte in ordine alle nomine) sul piano verticale.

Così da pervenire - anche qui sul modello sovietico (seppure con qualche leggera diversità) - al coordinato «principio della doppia dipendenza». Nel senso che - riferendosi, ad esempio, al livello del Distretto - mentre, orizzontalmente, la corrispondente Assemblea popolare risulta responsabile di fronte agli elettori che l'hanno votata (e si vedrà in seguito come essi possano pure revocarne anzitempo i deputati) e gli organi esecutivi (costituenti il rispettivo governo locale), giurisdizionali e della procura appaiono responsabili davanti all'Assemblea stessa (che li ha nominati), verticalmente, la Assemblea medesima è poi controllata (con possibile invalidazione dei suoi atti) dal Comitato permanente della sovrastante Assemblea di Provincia, mentre i sopra menzionati organi esecutivi, giurisdizionali e della procura, sono responsabili di fronte agli analoghi organi del livello provinciale (ossia: il rispettivo Governo, con i suoi diversi settori amministrativi, la Corte del popolo e la Procura del popolo). È evidente che, in tal modo, viene a crearsi una fitta e solida maglia, o intelaiatura, di nomine e di responsabilità, idonea a conferire una salda e coordinata unitarietà all'intero ordinamento statale.

Si accennava, poco sopra, ad alcune diversità sussistenti, a tale riguardo, rispetto al prototipo sovietico: e può essere opportuno segnalarne quelle di maggiore rilievo. Ad esempio - sul piano orizzontale - mentre i componenti delle Assemblee popolari di Comune e di Distretto rispondono del loro operato direttamente ai cittadini elettori, quelli delle Assemblee popolari dei livelli superiori, essendo eletti a suffragio indiretto, risultano responsabili verso le «unità elettorali» (e cioè: le Assemblee popolari sottostanti) che li hanno eletti. Così anche - sul piano verticale - le Assemblee popolari inferiori sono controllate non dalle Assemblee popolari del livello superiore (che si riuniscono solo assai di rado nel corso dell'anno), ma dai rispettivi Comitati permanenti (funzionanti in continuità). Ed un'altra eccezione sussiste in ordine agli organi della Procura: che in Cina, attualmente (giacché, ad esempio, la Cost. del 1975 li aveva sbrigativamente eliminati affidandone le funzioni agli «organi della pubblica sicurezza ai diversi livelli»: art. 25) sono stati inseriti nel menzionato quadro della «doppia dipendenza», mentre nell'URSS sono sempre stati sottratti ad ogni controllo o responsabilità, sul piano orizzontale, ossia verso il corrispondente soviet, mirando ad assicurare loro una piena indipendenza nei confronti di tutte le altre autorità dello stesso livello di governo (sottoponendoli, quindi, alla sola dipendenza verticale, nei riguardi degli organi della Procura a loro sovraordinati).

Infine, occorre ricordare che la Costituzione del 1982 ha istituito due nuovi organi al vertice della struttura statale: il Presidente della Repubblica e la Commissione militare centrale (dalla quale dipendono tutte le forze armate). Di conseguenza tali due organi come meglio si vedrà in seguito - escono, per così dire, dall'accennato consueto schema della «doppia dipendenza»: giacché si trovano in un rapporto di elezione/revoca nei confronti della sola Assemblea Nazionale del popolo.

5. e) Il successivo art. 4 è destinato a regolare una materia di vitale rilievo per la Repubblica Popolare Cinese, appunto definita - nel «preambolo» della Costituzione - uno «Stato unitario plurinazionale, foggiato in comune da ogni razza nell'intero Paese». Ora, l'articolo menzionato intende assicurare le numerose nazionalità minoritarie sussistenti nell'ambito dello Stato cinese4 che verranno loro riconosciuti i rispettivi diritti e interessi legittimi, mantenendo e sviluppando i rapporti fra le nazionalità stesse sulla base dei principi dell'uguaglianza, della solidarietà e della mutua collaborazione.

Ma mentre si bandisce ogni discriminazione ed oppressione nei confronti di qualsiasi gruppo etnico minoritario, in pari tempo si vieta rigidamente qualunque attività tendente a indebolire lo stretto vincolo unitario fra le nazionalità stesse o ad incoraggiare eventuali tendenze separatiste.

Nella Cina popolare continentale, infatti - secondo il censimento del 1° luglio 1982 - vi sono 1.003.937.078 abitanti, dei quali gli appartenenti al gruppo etnico degli Han, largamente maggioritario, sono 936.703.842 (ossia il 93,3 % ), mentre tutte le restanti 26 nazionalità ammontano a 67.233.254 persone (ossia il 6,7 %)5. Ma le minori nazionalità stesse sono assai diverse sia per entità numerica (andandosi, ad esempio, dai 13.378.162 Zhuang ai 1.549 Gaoshan, ai quali ultimi dovrebbero però aggiungersi i circa 3/400.000 presenti nell'isola di Taiwan), sia per livello culturale, economico e sociale. Creando, perciò, una serie di problemi assai rilevanti per giungere ad una loro fruttifera collaborazione, che ne consenta uno sviluppo armonicamente coordinato. Tanto più che le vicende storiche intere e gli interventi delle Potenze straniere negli ultimi 150 anni hanno spesso collaborato ad alimentare e ad acuire i reciproci contrasti (e basti pensare alle vicende di Taiwan, della Manciuria e del Tibet).

Ora, il principio direttivo accolto in proposito dalla Repubblica Popolare Cinese è appunto stato quello di cementare i vincoli di collaborazione fra i diversi gruppi etnici, mantenendo le loro peculiarità linguistiche e culturali, ma inquadrandoli saldamente - come meglio si vedrà in seguito esaminando l'ordinamento costituzionale della Repubblica - nell'unità inscindibile dello Stato.

A tal riguardo si constaterà (nella Parte II relativa all'ordinamento costituzionale della Repubblica cinese) come - mentre i gruppi etnici più numerosi e compatti siano stati riuniti in 5 apposite Regioni autonome - i gruppi etnici minori, sparsi qua e là per l'esteso territorio della Cina, siano stati organizzati in 29 Circondari autonomi, in 69 Distretti autonomi ed in numerosi altri Comuni di nazionalità (in quei casi in cui i gruppi etnici non superavano l'ambito di un villaggio o di un borgo di modeste proporzioni).

La posizione assunta attualmente dalla Cina Popolare in ordine a siffatta materia può, quindi, riassumersi nei termini seguenti: riconoscere largamente una sfera di autonomia alle varie nazionalità, ma sempre a condizione ch'essa si sviluppi nel quadro unitario dello Stato cinese, e consentire parimenti l'uso e lo sviluppo delle diverse lingue e dei tipici costumi e tradizioni locali, purché ciò non ostacoli in alcun modo il sistema politico, economico e culturale socialista6. Ciò spiega anche perché -malgrado la vastità del territorio, l'ingente massa di popolazione ed i numerosi gruppi etnici sussistenti nell'ambito della medesima - non si sia mai seriamente pensato da parte dei successivi costituenti socialisti di adottare una struttura federale per la nuova Cina popolare7.

6. d) L'articolo 5 della Costituzione - col suo preciso riferimento alla «legalità socialista» - è stato inserito all'inizio del nuovo testo per affermare solennemente la riacquistata importanza del diritto per la progressiva edificazione della nuova società socialista. È, infatti, largamente noto che negli anni seguiti alla «rivoluzione culturale» le norme giuridiche erano andate man mano perdendo in Cina sempre più valore e rilievo ai fini della creazione del nuovo modello di convivenza sociale: che avrebbe dovuto condurre, al termine di un lungo travaglio evolutivo, alla formazione di una società comunista, in cui le strutture coattive dello Stato avrebbero dovuto lentamente dissolversi, per lasciare sussistere solo più alcune semplici regole atte a coordinare la vita economica e sociale del paese (sulla base del principio «da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni»)8.

Ma i legislatori costituenti del 1982 hanno, invece, nuovamente voluto riaffermare l'importanza del diritto per la realizzazione del nuovo «modello» di Stato socialista da essi configurato; e non soltanto, quindi, hanno enunciato nell'art. 5 della Costituzione il diretto impegno statale per garantire «la coesione e la dignità del sistema legale socialista» (con ciò uniformandosi a quanto generalmente è affermato in tutti i testi costituzionali più recenti dei Paesi socialisti europei: e basti ricordare, in merito, l'art. 4 della Cost. dell'URSS del 1977), ma hanno a più riprese, posto in evidenza il valore particolare e preminente assunto a tale proposito dalle norme giuridiche del testo costituzionale9. Il quale - si è aggiunto nello stesso art. 5 - non potrà essere contraddetto da alcun regolamento amministrativo o locale; mentre tutti gli organi dello Stato, le forze armate, i partiti politici, le organizzazioni sociali, le imprese e le istituzioni più varie dovranno scrupolosamente osservarlo, giacché «nessuna organizzazione e nessun individuo devono avere il privilegio di essere superiori alla Costituzione e alle leggi».

L'asserzione medesima è espressa in termini così assoluti da far comprendere che, d'ora innanzi, anche il Partito comunista non potrà sottrarsi all'osservanza delle norme costituzionali e legislative (come, del resto, è pure stabilito alla fine dell'introduttivo «programma generale» del suo ultimo Statuto del 6 settembre 1982). E tale dovere è ulteriormente ribadito nell'art. 53 della Costituzione nei confronti di tutti i cittadini. 

Si noti infine che la Costituzione del 1982 - a differenza delle due immediatamente precedenti del 1975 e del 1978 e con analogia a quelle di tutti i Paesi socialisti europei - non è più una Costituzione flessibile, bensì si presenta come una Costituzione rigida: anche se la «procedura aggravata» prescritta per la sua revisione si limiti a richiedere semplicemente l'approvazione da parte dell'Assemblea nazionale del popolo coi 2/3 di maggioranza dei suoi componenti, su proposta del proprio Comitato permanente o di 1/5 almeno dei suoi membri (art. 64 Cost.).

L'intento di creare un corpus unitario e coordinato di leggi valevoli per tutto il territorio cinese si desume, del resto, chiaramente anche dai numerosi codici e testi normativi fondamentali approvati durante gli ultimi anni della V Assemblea nazionale del popolo, nelle sue 5 successive sessioni di lavoro, svoltesi dal 26 febbraio del 1978 fino alla fine del dicembre 1982. Infatti, mentre nella 1a sessione (26 febbraio/5 marzo 1978) veniva abrogata la Cost. del 1975, sostituita da un nuovo testo più in armonia con le nuove tendenze legalitarie che stavano man mano consolidandosi10: nella 2a sessione (16 giugno/1° luglio 1979) venivano approvati i nuovi Codici penale e di procedura penale e la legge sulle imprese miste di capitale cinese e straniero; nella 3a sessione (30 agosto/10 settembre 1980) erano votate le leggi sul matrimonio, sulla nazionalità e sulle imposte relative alle citate imprese miste; nella 4a sessione (30 novembre/13 dicembre 1981) venivano promulgati il nuovo Codice di procedura civile, la legge sui contratti economici e la legge relativa alle imposte sui redditi delle imprese straniere; mentre, infine, nella 5a sessione (26 novembre/ 10 dicembre 1982), oltre al testo dell'attuale Costituzione, veniva approvato il VI Piano quinquennale per il 1981/85.

L'elencazione sopraccennata se mostra, da un lato, l'impegno di formulare un sistema di norme giuridiche più completo e adeguato alle nuove esigenze per la Cina contemporanea, denota, da un altro lato, come i lavori dell'Assemblea nazionale del popolo si siano sempre svolti, anche negli ultimi tempi, solo per poco più di una decina di giorni all'anno, chiaramente mostrando come i testi legislativi menzionati abbiano ricevuto, in sede assembleare, soltanto una formale approvazione a posteriori, senza alcuna approfondita discussione del loro contenuto (presentandosi, perciò, piuttosto come i risultati dei lavori del Comitato permanente delle Assemblee stesse o di qualcuna delle sue specifiche Commissioni più ristrette).

Tuttavia, dal punto di vista formale, l'art. 62 Cost. esige che le leggi di maggiore rilievo (ed il n. 3 dello stesso articolo menziona fra esse espressamente i Codici penale e civile e le leggi relative all'ordinamento dello Stato) siano approvate dall'intera Assemblea Popolare e non dal suo solo Comitato permanente (come solitamente avviene per le leggi ordinarie). E tra le leggi attinenti all'ordinamento fondamentale dello Stato occorre includere, ad esempio, tutte quelle cui la Costituzione stessa fa rinvio nel testo del suo capitolo III: e cioè, la legge elettorale dell'Assemblea nazionale del popolo (art. 59) e le leggi sull'organizzazione della stessa Assemblea e del suo Comitato permanente (art. 78), del Consiglio degli Affari di Stato (art. 86) e delle assemblee locali del popolo e dei loro Governi (art. 95), la legge sull'autonomia regionale delle nazionalità (art. 115) e, infine, le leggi sull'organizzazione dei tribunali popolari (art. 124) e delle procure del popolo (art. 130).

Giova, tuttavia, ricordare che non è stato introdotto in Cina, nemmeno nel 1982, alcun controllo giurisdizionale sulle leggi ordinarie (come, del resto, accade in tutti gli Stati socialisti, con l'unica eccezione della Jugoslavia, a tutela del suo tipico principio dell'«autogestione»), le quali vengono vagliate nella loro costituzionalità dalla stessa Assemblea nazionale del popolo (art. 62, n. 2) e interpretate dal suo Comitato permanente (art. 67, nn. 1 e 4).

Un ultimo punto, infine, merita di essere ricordato in relazione ad una più effettiva applicazione delle norme giuridiche nei confronti dei titolari delle più alte cariche dello Stato: e cioè, l'introduzione della disposizione che stabilisce la necessaria rotazione nelle cariche stesse, vietando più di due periodi successivi di permanenza nel medesimo ufficio (disposizione mirante, appunto, ad impedire - come ha rilevato lo stesso Peng Zhen nella sua «relazione» introduttiva per l'approvazione della Costituzione11 - l'esplicazione a vita delle funzioni in parola da parte dei maggiori dirigenti politici: come non di rado era avvenuto nel passato). In particolare, una terza elezione o nomina è stata vietata: dall'art. 66 Cost. per il Presidente ed i Vicepresidenti del Comitato permanente dell'Assemblea nazionale del popolo, dall'art. 79 per il Presidente ed il Vicepresidente della Repubblica, e dall'art. 87 per il Primo Ministro ed i Viceministri del Consiglio per gli Affari di Stato.

7. e) Gli articoli della Costituzione dal 6 al 18 sono stati dedicati al sistema economico socialista accolto nella Repubblica Popolare Cinese.

La base essenziale del sistema in parola si trova nella «proprietà pubblica socialista dei mezzi di produzione» (art. 6): la quale si presenta, ora, come «proprietà statale» (o «del popolo intero»), ed ora, come «proprietà collettiva delle masse di lavoratori» (Comuni del popolo e cooperative di varia natura). Tuttavia il principio dell'economia socializzata ha trovato nel testo costituzionale in esame alcune significative attenuazioni ed eccezioni, suggerite da motivi pratici: così, ad esempio, è stata ammessa con una certa larghezza l'«economia individuale dei lavoratori delle città e delle campagne» in particolari e ben delimitati settori.

Ed anche la pianificazione centralizzata dell'economia ha trovato dei limiti in una certa autonomia di gestione riconosciuta alle varie organizzazioni economiche collettive.

Un ultimo articolo, infine, il 18, agevola gli investimenti economici stranieri in Cina, specie nella forma delle imprese a capitale misto: mirando, per tale via, a determinare una più rapida trasformazione industriale e commerciale del paese mediante l'impiego anche di capitali provenienti dall'estero.

8. f) Gli articoli 19 a 30 della Costituzione sono, invece, dedicati ai molteplici compiti sociali ed educativi che la Repubblica Popolare Cinese ritiene di dover svolgere per giungere alla formazione di una collettività popolare socialmente e culturalmente progredita.

In particolare, lo Stato: sviluppa l'educazione socialista per elevare il livello scientifico e culturale di tutto il popolo (art. 19: mirando, fra l'altro, ad eliminare l'analfabetismo ed a generalizzare l'impiego di una lingua «standard» in tutto il paese); sviluppa pure l'educazione scientifica ed i servizi medici e sanitari, nonché le attività sportive di massa per migliorare la buona efficienza fisica della popolazione (artt. 20/21); ma sviluppa anche le lettere e le arti e tutela la natura e i monumenti storici (art. 22); cura, poi, in special modo, la cultura politica socialista dei cittadini, dando loro un'educazione ispirata al materialismo dialettico e storico, in netto antagonismo con le concezioni capitaliste e feudali (artt. 23 e 24); incoraggia, inoltre, la «pianificazione familiare», per armonizzare la crescita demografica con i piani dello sviluppo economico e sociale (art. 25); e protegge l'ambiente naturale (art. 26).

Lo Stato, inoltre, cura l'addestramento del personale burocratico, che deve rimanere in permanente contatto con le masse popolari, per meglio interpretarne le esigenze e le necessità (art. 27); mantiene l'ordine pubblico (art. 28); e addestra le forze armate, al servizio del popolo, per la difesa della patria (art. 29). Per svolgere tutte le menzionate attribuzioni, lo Stato viene suddiviso in numerosi enti territoriali, sovraordinati gli uni agli altri (art. 30).

9. g) Infine, i due ultimi articoli del capitolo dedicato ai «principi generali» concernono i rapporti con l'estero: prevedendo la creazione di eventuali «Aree amministrative speciali» (art. 31: per facilitare i rapporti economici con gli Stati capitalisti e predisporre il futuro inglobamento nello Stato anche di territori finora retti a regime non socialista: come Taiwan e Hong Kong), ed accordando una piena tutela giuridica agli stranieri residenti nel territorio cinese (art. 32: potendo, inoltre, concedere il diritto di asilo a quelli fra essi che lo richiedano per ragioni politiche).

10. A conclusione dell'esame condotto in ordine al capitolo I della Costituzione cinese del 1982 concernente i «principi generali» non può non rilevarsi - come già si è detto - la singolare circostanza che il Partito comunista non vi è mai espressamente menzionato. In netto contrasto, quindi, con quanto era avvenuto nelle due precedenti Costituzioni cinesi del 1975 e del 1978 e con quanto suole attualmente accadere nella Costituzione dell'URSS12 ed in tutte quelle socialiste europee di modello sovietico13.

In ordine, innanzitutto, alla Cost. cinese del 1975, può rilevarsi che il testo in parola dava chiaramente l'impressione che lo Stato ed il Partito comunista risultassero ormai inestricabilmente compenetrati, con una netta predominanza del secondo sul primo. Tanto è vero che - pur tralasciando le reiterate affermazioni in tal senso contenute nel «preambolo» della Costituzione stessa - l'art. 2 non nascondeva assolutamente tale realtà, asserendo in modo chiaro ed in termini assoluti che «il P.C. è il nucleo dirigente dell'intero popolo cinese» e che «la classe operaia esercita la sua direzione sullo Stato per mezzo della sua avanguardia, il P.C.C.» (tema ribadito ancora nell'art. 13 ). Mentre l'art. 15 (statuendo che «il Presidente del P.C.C. comanda le forze armate di tutto il paese») addirittura sottraeva all'organizzazione statale quello che è lo strumento coattivo più efficiente dello Stato stesso; l'art. 16, dopo aver stabilito che «l'Assemblea nazionale del popolo è l'organo supremo del potere statale», aggiungeva, però, subito dopo, ad evitare ogni equivoco, che essa era, tuttavia, «posta sotto la direzione del P.C.C.»; ed il successivo art. 17 precisava, inoltre, che l'Assemblea stessa poteva bensì nominare e rimuovere dall'incarico il Primo Ministro e gli altri ministri, ma solo «su proposta del Comitato centrale del P.C.C.». E l'ultimo tocco alla complessa costruzione veniva dato dall'art. 26, che poneva fra i doveri fondamentali del cittadino quello di «appoggiare la guida del P.C.C.». Nel complesso, insomma - tra «preambolo» e testo vero e proprio - la Costituzione cinese del 1975 menzionava il Partito comunista ben 12 volte14!

Nella successiva Costituzione cinese del 1978 l'accennata compenetrazione fra Stato e Partito era già assai meno appariscente: anche se persistevano a sussistere immutate, nell'art. 2, le sopra riportate espressioni relative al ruolo dirigente del Partito comunista, e se l'art. 19 continuava a stabilire che «il Presidente del Comitato centrale del P.C.C. è il Capo delle forze armate della Repubblica Popolare Cinese».

Ora, effettivamente, nella Costituzione del 1982 i richiami al ruolo dirigente del Partito comunista risultano del tutto scomparsi dal testo vero e proprio della Costituzione, restando meramente confinati al testo del «preambolo». Ma ciò - anche se può denotare un certo desiderio di scindere più nettamente la struttura statale da quella partitica -certo non elimina il «principio generale» dell'assoluta preminenza del Partito comunista nei confronti della società cinese e dell'intera attività svolta dagli organi statali.

Nel «preambolo» stesso si legge, peraltro, anche l'affermazione che la edificazione socialista richiede la collaborazione di tutte le forze sane della Nazione, ivi compresi quei cittadini che, pur non essendo iscritti al Partito, intendono collaborare col medesimo per la modernizzazione dello Stato. Tanto è vero che nello stesso «preambolo» si menziona espressamente il «Fronte unito patriottico»: cui partecipano tutti i partiti e i gruppi democratici e tutte le organizzazioni popolari, ivi compresi tutti i lavoratori socialisti e tutti i patrioti, sostenitori del socialismo e della riunificazione della patria. Indicando, pure - a tale scopo - come organizzazione del menzionato «Fronte», particolarmente idonea a conseguire gli obiettivi menzionati, la Conferenza consultiva politica del popolo cinese.
E il 4 giugno del 1983 si è appunto riunita la prima sessione di tale rinnovata Conferenza, sotto la presidenza di Deng Yingchao, 80enne vedova di Zhou Enlai, raccogliendo nel suo ambito i rappresentanti, oltre che del Partito comunista, anche di 8 piccoli partiti democratici, delle organizzazioni di massa dei lavoratori, dei militari, dei giovani e delle donne, di 16 corporazioni professionali, dell'associazione degli ex-imprenditori capitalisti, delle principali confessioni religiose, degli emigrati e dei residenti a Hong Kong, Macao e Taiwan15.
In altre parole, la scomparsa dell'esplicita menzione del Partito comunista nel capitolo su «i principi fondamentali» non rinnega in alcun modo il ruolo dominante ch'esso continua a svolgere nella vita pubblica e privata del paese, ma rimane solo ad indicare come l'ormai rinnovata comunità popolare cinese sia oggidì chiamata nella sua interezza a partecipare al difficile compito della modernizzazione economica e sociale della Cina.


Parte Seconda: L'ordinamento dello Stato

Considerazioni introduttive - a) Assemblea nazionale del popolo - b) Il reintrodotto ufficio del presidente della repubblica - c) Consiglio degli affari di stato - d) Commissione militare centrale - e) Assemblee locali del popolo e governi popolari locali - f) Gli organi locali delle zone ad autonomia nazionale - g) Tribunali e procure del popolo.

Considerazioni introduttive

Il capitolo III della Costituzione cinese del 1982, é dedicato a «L'ordinamento dello stato» (guoja jigou) ed è suddiviso, a sua volta, in 7 sezioni. Ora, l'ordinamento in parola - anche dopo l'ultima rielaborazione voluta da Deng Xiaoping - continua ad avere molte linee in comune con l'ordinamento tipico di tutti gli stati socialisti di modello sovietico. Non si accoglie, infatti - come si è già visto trattando dei «principi generali» enunciati nella Costituzione - il principio occidentale classico della «divisione dei poteri», bensì quello marxista dell'«unità del potere statale»: concentrato, nei diversi livelli, nelle sovrapposte assemblee popolari, sino a giungere, al vertice, all'Assemblea nazionale del popolo. Anche se poi, in realtà, le funzioni teoricamente conferite alle assemblee in parola siano, di fatto, esercitate (specie ai livelli più elevati, ove le assemblee stesse risultano assai ampie e si riuniscono solo una o due volte all'anno) dai loro corrispondenti comitati permanenti.

Ad ogni livello, inoltre, le assemblee in parola eleggono, o nominano, da un lato, i componenti dei vari corrispondenti governi (od amministrazioni) locali (con, al vertice, il governo centrale: denominato Consiglio degli affari di stato, cui presiede un primo ministro) e, da un altro lato, i membri dei diversi tribunali popolari e delle relative procure (con al vertice la corte suprema del popolo e la procura suprema del popolo).

A questo consueto schema organizzativo si aggiungono, tuttavia, in Cina, altri due organi, situati, in un certo senso, al di fuori delle categorie tradizionali: un presidente della repubblica (con un suo vice) - che si rintraccia solo in alcuni stati socialisti in cui sono intervenuti, in proposito, motivi storici ed ambientali ben definiti - ed una commissione militare centrale, da cui dipendono (con innovazione del tutto insolita) le varie forze armate del paese.

Lo studioso occidentale, avvezzo a studiare le Costituzioni degli ultimi decenni del suo mondo, potrebbe, peraltro, non notare motivi tanto eccezionali di novità nello schema testé illustrato: giacché, in realtà, accanto alle diverse sovraordinate assemblee (organi legislativi e di governo), riscontra poi altri organi sostanzialmente avvicinabili agli organi esecutivi e giurisdizionali a lui ben noti. La novità consiste, se mai, nel fatto che, in linea teorica, ogni potere è concentrato, ad ogni singolo livello, nell'assemblea rappresentativa popolare, negando qualunque possibile separazione o contrapposizione della medesima nei confronti degli organi dotati di attribuzioni amministrative o giurisdizionali (e ciò spiega, ad esempio, come in tutti gli stati socialisti - con l'unica eccezione della Jugoslavia, caratterizzata dalla sua tipica «autogestione» - non si accolga alcun sistema di controllo giurisdizionale di costituzionalità delle leggi: non concependosi che pochi magistrati indipendenti possano sindacare e bloccare la volontà normativa espressa dal popolo attraverso le delibere dei suoi rappresentanti, sia pure appellandosi al mancato rispetto delle superiori disposizioni costituzionali).

E spiega anche come non possa assolutamente configurarsi una differenziazione dei «poteri», che siano indipendenti l'uno dall'altro (sul modello ben noto del Montesquieu) - ognuno dei quali costituisca, di conseguenza, quasi un corpo autonomo ed a sé stante - così da dar origine a tre grandi complessi di organi in posizione di reciproco diffidente controllo.
Ad ogni modo, per semplificare l'ordine della trattazione, si seguirà - in questa sede - il succedersi degli argomenti svolti nelle diverse sezioni del capitolo in esame. Parlando, così, innanzitutto a) dell'Assemblea nazionale del popolo e del suo Comitato permanente, poi b) del Presidente della repubblica, indi c) del Consiglio degli affari di stato, d) della commissione militare centrale, e) delle assemblee locali del popolo e dei governi popolari dei rispettivi livelli, f) degli organi locali delle zone ad autonomia nazionale, e, per ultimo g) dei tribunali e delle procure del popolo. Alcune considerazioni finali tenteranno, per ultimo, di trarre qualche conclusione dall'indagine analitica così condotta.

a) Assemblea nazionale del popolo

L'Assemblea nazionale del popolo (A.n.p.) si pone, quindi, come l'«organo supremo del potere statale», con un diverso più ristretto organo, peraltro, che ne esercita, poi, con continuità le funzioni: il suo Comitato permanente (art. 57).
Sarà, quindi, opportuno esporre, innanzitutto, 1°) la composizione e le attribuzioni dell'Assemblea e, successivamente, 2°) del suo Comitato permanente, lasciando per ultime, 3°) alcune disposizioni concernenti il metodo di lavoro della prima e la specifica posizione personale riconosciuta ai suoi deputati.

1) Giova rilevare, prima di ogni altra cosa, che non si è ancora ritenuto, in Cina - data la vastità e la varietà del paese e il non completato assestamento delle sue diverse classi sociali - di formare l'assemblea rappresentativa più elevata col metodo del suffragio diretto. I suoi componenti - denominati rappresentanti (daibiao) o deputati - sono, infatti, eletti dai membri delle assemblee popolari delle provincie (sheng), delle regioni autonome (zizhiqu) e delle municipalità («città», shi) immediatamente dipendenti dal governo centrale; cui si uniscono alcuni altri deputati designati dalle varie unità delle forze armate (per contrassegnare, anche formalmente, il ruolo davvero rilevante ricoperto nei passato, ma ancor oggi in atto, da parte delle forze armate stesse nel laborioso processo rivoluzionario che ha condotto all'attuale Cina popolare).

Un'apposita legge elettorale regola l'intera materia; basti qui ricordare che l'Assemblea è eletta per la durata di 5 anni e che due mesi prima dello spirare di tale termine il Comitato permanente in carica deve assicurarsi che tutte le operazioni elettorali siano state compiutamente esaurite. Solo in circostanze eccezionali che rendano impossibile l'attuazione delle menzionate interpellazioni elettorali di secondo grado (ad esempio: lo stato di guerra o una situazione di grave disordine generale nel paese), il mandato dell'Assemblea potrà essere prorogato in seguito ad una delibera presa da almeno 2/3 dei componenti del Comitato permanente; ma cessate le circostanze anzidette, si dovrà senza indugi procedere alla formazione della nuova Assemblea.

Dal 1954 (anno nel quale venne approvata la prima Costituzione della nuova Cina socialista) sino ad oggi si sono succedute 6 successive legislature, rispettando quasi sempre il prescritto mandato quinquennale, salvo durante il periodo della c.d. «rivoluzione culturale» quando l'intervallo fra la chiusura della terza e l'inizio della quarta ammontò a ben 10 anni (dal gennaio del 1965 al gennaio del 1975).
Occorre, tuttavia, tener presente che fino alla legislatura precedente a quella attuale (legislatura che si era iniziata il 26 febbraio del 1978) ogni Assemblea nazionale del popolo generalmente si era riunita per un'unica sessione nel corso del suo quinquennio di esistenza, per una durata complessiva di poco più di una decina di giorni. Solo la quinta legislatura annoverò 6 sessioni, e cioè sostanzialmente una all'anno (come oggi tassativamente prescrive l'art. 61 Cost.)16.

Il 6 giugno del 1983 si è riunita l'A.n.p. della sesta legislatura, fino al 21 dello stesso mese. E tra i 2.977 suoi componenti, più di 2.000 sono risultati «uomini nuovi», mentre l'età media dei deputati si aggira oggidì sui 53 anni (segnando un notevole «ringiovanimento» rispetto al passato). Inoltre, sono diminuiti gli operai ed i contadini (scesi dal 47,3%, al 26,6% del totale) per lasciare il posto ad un maggior numero di tecnici e d'intellettuali (saliti al 23%) ed anche i militari hanno perso terreno (passando dal 14,4% al 9%, con una prevalenza di ufficiali giovani, subentrati al posto degli anziani generali prima presenti), così come sono notevolmente calati di numero i funzionari dell'amministrazione (21,4%). In pari tempo, invece, le personalità non comuniste nell'Assemblea sono salite dall'8 al 18%.

Infine - seguendo le prescrizioni dell'art. 59 Cost. - si presenta oggidì assai più ampia la rappresentanza delle varie nazionalità (salita dal 10 al 13,5%), mentre sono presenti anche dei deputati di Taiwan (eletti, per ora, dai 22.000 cittadini originari dell'isola residenti nella Repubblica popolare) e delle varie collettività cinesi all'estero. Nel complesso, sembra veramente di poter concludere che l'Assemblea del popolo della VI legislatura offre l'immagine di una Camera sostanzialmente rinnovata nella sua composizione (in quanto ideologicamente e socialmente meno uniforme e proletaria e con un livello culturalmente superiore) e destinata verosimilmente ad assumere un ruolo più rilevante nella effettiva vita politica del paese17.

Si è già detto poco fa, infatti, che la nuova Costituzione prevede (all'art. 61) che l'Assemblea si riunisca almeno una volta all'anno, su convocazione del suo Comitato permanente o di 1/5 dei suoi componenti, eleggendo ad ogni sessione un ufficio di presidenza (zhuxituan), presidium, per dirigere i propri lavori.

Ed il complesso delle attribuzioni conferite dalla Costituzione all'Assemblea sembrerebbe, del resto, esigere anche un intervento più continuativo dell'organo, non soltanto attuato per mezzo del suo Comitato permanente, al quale - come si constaterà - sono posti alcuni precisi limiti a tale riguardo da parte della Costituzione (e basti, in proposito, confrontare gli artt. 62 e 67 rispettivamente concernenti le competenze dell'Assemblea e del Comitato).

Ad esempio, si è già ricordato (trattando dei «principi generali»), che dev'essere l'Assemblea, coi 2/3 di maggioranza, ad emendare la Costituzione (mentre a curarne l'applicazione può intervenire anche il Comitato permanente), ed è la stessa Assemblea che deve votare le leggi di maggiore rilievo dell'ordinamento statale cinese (che il Comitato permanente, negli intervalli fra le varie sessioni assembleari, potrà soltanto completare ed emendare parzialmente, senza tuttavia poter mutare i principi fondamentali che le contraddistinguono). Così, del pari, dovrà essere l'Assemblea a votare la legge relativa al piano per lo sviluppo economico e sociale del paese, nonché quelle concernenti il bilancio preventivo e consuntivo (leggi alle quali il Comitato permanente potrà arrecare soltanto integrazioni e modifiche parziali)18.

All'Assemblea, inoltre, spettano un'ampia serie di elezioni e nomine ad elevate cariche direttive dello stato (anche se le medesime possono poi essere compiute dal Comitato permanente durante i lunghi intervalli di tempo intercorrenti fra le sessioni assembleari). Così, è l'Assemblea che: elegge il presidente (zhuxi) ed il vicepresidente della repubblica; decide, su proposta del presidente della repubblica, circa la nomina del primo ministro (zongli), e, su proposta del primo ministro, circa la nomina dei viceprimi ministri, dei ministri di stato («consiglieri degli affari di stato», guowu weiyuan), dei ministri (buzhang), dei presidenti (zhuren) delle commissioni statali (guojia weiyuanhui), del presidente della revisione dei conti («revisore capo dei conti», jiancha zhang) e del segretario generale (o «segretario capo», mishuzhang) del Consiglio degli affari di stato (guowuyuan); elegge pure il presidente (zhuxi) della commissione militare centrale e decide, su proposta del medesimo, circa la nomina degli altri membri della commissione stessa; ed elegge, infine, il presidente (yuanzhang) della corte suprema del popolo e il procuratore generale (o «procuratore capo», jianchazhang) della procura suprema del popolo.

Limite rilevante - almeno sulla carta - dei poteri esercitati dal Comitato permanente è, tuttavia, la competenza dell'Assemblea di poterne sempre modificare od annullare le decisioni che siano ritenute inopportune. Mentre le decisioni sulle questioni concernenti la guerra e la pace pur spettando, in linea di principio, all'Assemblea, saranno, poi, verosimilmente spesso assunte, di fatto, dal Comitato permanente: data la necessaria urgenza che caratterizzerà, in genere, le decisioni stesse.

Spetta, invece, all'Assemblea vera e propria ratificare l'istituzione delle provincie, delle regioni autonome e delle municipalità direttamente dipendenti dal governo, nonché decidere sull'istituzione di regioni amministrative speciali, determinando con precisione i loro particolari ordinamenti.

Non può non rilevarsi, tuttavia, un'ultima singolare clausola - che si potrebbe definire «di chiusura» - dell'art. 62 concernente le attribuzioni dell'Assemblea, la quale stabilisce che l'Assemblea medesima potrà, inoltre, esercitare tutti quei poteri che riterrà di dover assumere (clausola, come si vede, che allarga a dismisura le attribuzioni dell'Assemblea - e, in un certo senso, rende superflua, sotto molti aspetti, l'elencazione stessa sin qui esaminata - riconoscendo alla medesima la «competenza sulla propria competenza»).

Deve, per ultimo, notarsi che (per l'art. 63 Cost.) ogni qualvolta l'Assemblea può eleggere o nominare il titolare di un'altra carica dello Stato, può, parimenti, se necessario, procedere alla sua revoca.

2) Tutto ciò che sin qui si è riferito concorre a dimostrare come, nella realtà, i compiti attribuiti all'Assemblea - dato l'alto numero dei suoi componenti (circa 3.000: il che rende impossibile qualsiasi vera discussione in sede collegiale) ed i pochi giorni all'anno in cui essa si trova concretamente in funzione - debbano necessariamente poi essere esercitati, nella gran maggioranza dei casi, dal suo Comitato permanente.

Questo, infatti, si presenta come un organo collegiale in perenne funzionamento ed assai più ristretto, essendo formato da un presidente (weiyuanzhang), alcuni vicepresidenti, un segretario generale (mishuzhang) e parecchi semplici membri (e nella sua composizione anche le minoranze nazionali debbono avere un'adeguata rappresentanza). I suoi componenti - che non possono assumere alcuna altra carica amministrativa o giudiziaria - vengono eletti dall'Assemblea nazionale del popolo e possono essere revocati dalle rispettive funzioni in ogni momento. Essi restano in carica per tutta la durata della legislatura, esercitando le loro funzioni sino a che la nuova Assemblea non avrà eletto un proprio rinnovato Comitato permanente.

Può rilevarsi che nella sessione di giugno della VI Assemblea nazionale del popolo, i suoi membri sono passati da 196 a 155 (costituendo, perciò, in un certo senso, quasi un parlamento minore); ed anche la sua composizione è stata rinnovata per quasi 2/3, immettendovi vari intellettuali, che erano stati emarginati all'epoca della «rivoluzione culturale»19.

Il numero relativamente non esiguo dei componenti del Comitato permanente può, inoltre, spiegare come si sia ritenuto opportuno costituire al suo interno (art. 68 Cost.) un consiglio di presidenza (weiyuanzhang huiyi) che - formato dal presidente, dai vicepresidenti e dal segretario generale - è incaricato di curare gli affari correnti di competenza del Comitato.

Le attribuzioni del Comitato (art. 67 Cost.) sono, infatti, assai numerose: anche perché, come poco sopra si è notato, gran parte delle attribuzioni dell'Assemblea finiscono per essere svolte durante l'intera annata (salvo i pochi giorni di sessione della medesima) dal Comitato stesso. E ciò avviene - come si è constatato - sia per le funzioni legislative, sia per quelle relative alle nomine ed alle elezioni delle più alte cariche dello stato, sia per parecchie di quelle di controllo dell'operato dei titolari delle cariche stesse.

Ma altre attribuzioni spettano in proprio al Comitato, come: la formulazione delle leggi che si potrebbero definire «ordinarie» e la loro interpretazione (disposizione molto opportuna, poiché ha legalizzato una prassi che era stata costantemente seguita durante tutta l'esistenza della Repubblica popolare cinese); il controllo sulle delibere del Consiglio degli affari di stato e sulle decisioni degli organi dirigenti delle provincie, delle regioni autonome e delle municipalità direttamente dipendenti dal governo centrale che risultino contrarie alla Costituzione ed alle leggi; la nomina e la revoca su proposta del presidente della corte suprema del popolo, degli altri membri della corte stessa e del presidente del tribunale militare, e, su proposta del procuratore generale della procura suprema del popolo, dei componenti della procura suprema stessa e del procuratore generale della procura militare (nonché l'approvazione della nomina e della revoca dei procuratori generali delle procure delle provincie, delle regioni autonome e delle sopracitate municipalità); la ratifica e la denuncia dei trattati internazionali; l'istituzione dei vari gradi gerarchici di militari e di diplomatici; la creazione di nuovi ordini, decorazioni e distinzioni onorifiche; la proclamazione di amnistie; la decisione circa la mobilitazione generale o parziale; e circa l'instaurazione della legge marziale in tutto il paese o solo in alcune delle sue parti. Infine si riscontra, anche a questo riguardo, una «clausola di chiusura»: nel senso che la Costituzione prescrive (nel suo n. 21 dell'art. 67) che il Comitato potrà esercitare ogni altra attribuzione che, in aggiunta a quelle sin qui menzionate, gli venga attribuita dall'Assemblea nazionale del popolo.

Si è già detto, per ultimo, che il Comitato permanente è responsabile di fronte all'Assemblea e deve, perciò, rendere conto alla medesima della sua attività.

3) Se l'Assemblea nazionale del popolo ha lavorato negli ultimi tempi, in pratica, poco più di una decina di giorni all'anno, le sue varie commissioni permanenti hanno svolto, invece, un'attività assai più intensa sotto la supervisione del Comitato permanente dell'Assemblea. Ora, la Costituzione, all'art. 70, elenca 6 diverse commissioni permanenti (delle nazionalità; delle leggi; degli affari finanziari ed economici; dell'educazione, delle scienze, della cultura e della sanità pubblica; degli affari esteri; e dei cinesi all'estero); ma l'Assemblea può costituirne anche altre, qualora ciò appaia necessario.

L'Assemblea ed il suo Comitato permanente possono pure istituire, quando ne sia il caso, anche delle commissioni d'inchiesta in ordine a questioni particolari, assumendo poi i provvedimenti suggeriti nelle loro relazioni conclusive. E la Costituzione prescrive, all'art. 71, che gli organi dello stato, le varie formazioni sociali ed i cittadini sono tenuti a fornire alle commissioni stesse tutte le informazioni che vengano loro richieste.

L'iniziativa legislativa è riconosciuta ad ogni membro dell'Assemblea o del suo Comitato permanente rispettivamente in ordine alle leggi di competenza dell'una o dell'altro (ma tale potere d'iniziativa legislativa è pure riconosciuto - come in Occidente - anche al governo, ossia al Consiglio degli affari di stato). I deputati, inoltre - durante le sessioni sia dell'Assemblea che del suo Comitato permanente - possono rivolgere delle interrogazioni al Consiglio degli affari di stato od a singoli suoi ministri o presidenti di commissioni statali, e gli organi stessi sono tenuti a darvi risposta.

I deputati, inoltre - con chiara analogia a quanto prescritto nelle Costituzioni occidentali sin dalla metà dell'800 - non possono essere arrestati, né sottoposti a procedimenti giudiziari, senza l'autorizzazione dell'ufficio di presidenza dell'Assemblea, quando essa sia riunita in sessione, o del Comitato permanente dell'Assemblea stessa durante il resto dell'anno. E parimenti essi non sono in alcun modo responsabili per le opinioni e i voti espressi nel corso delle sedute parlamentari.

Tuttavia - a differenza che in Occidente, dove non esiste alcun vincolo di mandato imperativo e dove, quindi, il deputato deve rispondere politicamente dinanzi ai suoi elettori solo al momento della fine della legislatura e della sua eventuale rielezione - in Cina i parlamentari devono restare in perenne collegamento con le unità elettorali (Assemblee delle provincie, delle regioni autonome, delle municipalità, delle forze armate) che li hanno prescelti, e che possono, secondo le modalità stabilite dalla legge, revocarli e sostituirli in ogni momento (art. 77 Cost.). Tale potere di revoca - che è regola comune a tutti i paesi socialisti nei confronti dei membri delle assemblee rappresentative d'ogni livello - consente, in pratica, al partito comunista (che è l'unica organizzazione in grado di mettere in moto, per via diretta o indiretta, il complesso procedimento di revoca anzidetto) di allontanare dagli organi collegiali in parola quei membri che si pongano troppo nettamente in contrasto con le direttive impartite dal partito stesso.

b) Il reintrodotto ufficio del presidente della repubblica

La sezione 2a del capitolo III della Costituzione è dedicata ad un organo - il presidente della repubblica - che era stato volutamente ignorato nelle due precedenti Costituzioni cinesi del 1975 e del 1978. Per trovarlo espressamente menzionato in un testo costituzionale occorre, quindi, risalire fino alla prima Costituzione socialista della Cina: quella del 1954, che aveva, in un certo senso, ereditato tale carica dalla Costituzione presidenziale nazionalista del 1946 del Guomindang.

L'ufficio di presidente della repubblica era stato ricoperto dal 1954 al 1959 dallo stesso Mao Zedong; ma, manifestatesi nell'aprile di quell'anno talune difficoltà sul piano politico, determinate dagli insuccessi del c.d. «balzo in avanti» e dalla troppo rigida instaurazione forzata delle Comuni popolari, Mao Zedong venne sostituito da Liu Shaoqi. Quest'ultimo, tuttavia, incorso nell'ostilità delle «guardie rosse», fautrici di Mao, nel corso della «rivoluzione culturale», venne di fatto privato di tutte le sue funzioni dirigenti nel 1968; e da quell'epoca in avanti il supremo ufficio dello stato, pur restando previsto dalle norme costituzionali in vigore, restò vacante. Fino a quando la Costituzione del 1975 abrogò formalmente l'ufficio stesso, trasferendone le funzioni in parte al Comitato permanente dell'Assemblea nazionale del popolo (ad esempio: quelle inerenti ai rapporti internazionali) ed in parte al Comitato centrale del partito comunista (chiamato, ad esempio, dalla stessa Costituzione a proporre all'Assemblea nazionale del popolo, la nomina e la revoca dei membri del Governo) e al presidente del Comitato stesso (divenuto, in quel periodo, di conseguenza, l'ufficio direttivo più importante dell'intero ordinamento costituzionale cinese: risultando, fra l'altro, preposto al comando di tutte le forze armate, in base all'art. 15 Cost.).

Ed anche la Costituzione del 1978 seguì un analogo orientamento, continuando ad affidare al presidente del Comitato centrale del P.c.c. il comando delle forze armate.

Nel 1954 Mao aveva ritenuto che fosse opportuno concretizzare il vertice dell'ordinamento costituzionale cinese in una ben definita persona fisica, di particolare prestigio: anche se, poi, le funzioni di tale organo di rado venissero ad assumere un autonomo rilievo, dovendo essere esercitate (per gli artt. 40 e 41 della Costituzione) quasi sempre d'intesa con l'Assemblea nazionale del popolo o con il suo Comitato permanente. Mentre il consiglio della difesa nazionale, di cui era a capo il presidente della repubblica (art. 42) appariva sostanzialmente subordinato nell'effettiva guida delle forze armate alla Commissione militare del Comitato centrale del partito (di guisa che l'eliminazione dei due organi statali testé menzionati venne a determinare anche la scomparsa di sempre impendenti conflitti di competenza nella politica militare del paese). Ed in tal modo si veniva pure ad eliminare ogni dualismo fra i vertici dello stato e del partito: accentuando, anche sotto tale rispetto, il netto predominio di quest'ultimo. 

Ora, la reintroduzione dell'istituto nel 1982 è avvenuta solo dopo lunghe e accese discussioni. Ma ha finito per prevalere la tesi favorevole alla sua rinnovata istituzione: che è sembrata, da un lato, venire a formalmente rafforzare la struttura statale, mentre, da un altro lato, era apparsa anche desiderata dai componenti dei vari gruppi etnici nazionali.

Nel fatto, poi, accadde che la VI Assemblea nazionale del popolo, al termine della sua prima sessione, il 21 giugno 1983, elesse presidente della repubblica Li Xiannian, un esperto economista di 74 anni, di tendenze moderate, mentre a vicepresidente fu designato Ulanhu, già uno dei vicepresidenti del Comitato permanente dell'A.n.p. e leader del partito nella regione autonoma della Mongolia interna (così fornendo una particolare soddisfazione ai minori gruppi etnici, rappresentati in tal modo anche nell'ambito della presidenza della repubblica).

La Costituzione (nel suo art. 79) ha stabilito, più precisamente, che sia il presidente che il vicepresidente della repubblica vengano eletti per un quinquennio dall'Assemblea nazionale del popolo fra i cittadini dotati di piena capacità elettorale, attiva e passiva, di almeno 45 anni (essendo rieleggibili solo per una seconda volta). Essi restano, poi, in carica fino all'elezione dei loro successori da parte della rinnovata Assemblea nazionale del popolo.

L'art. 84 ha, inoltre, posto delle norme assai precise per sopperire alle eventuali vacanze nelle due cariche: innanzitutto, se diviene vacante l'ufficio del presidente, subentra il vicepresidente; se, invece, è quest'ultimo ufficio quello che viene a rendersi vacante, l'Assemblea procede a sostituirlo con una nuova elezione; infine, se ambedue le cariche si rendono contemporaneamente vacanti, si terranno delle elezioni supplementari e, nel frattempo, la supplenza del presidente della repubblica sarà assunta provvisoriamente dal presidente del Comitato permanente della A.n.p.

Ma restano, ora, da esaminare le funzioni attribuite dalla Costituzione al capo dello stato: e non sarà difficile subito constatare come esse rivestano per lo più un carattere formale ed onorifico. Così, ad esempio, è il presidente che promulga le leggi, ma semplicemente dando esecuzione a delle delibere assunte dall'Assemblea nazionale del popolo o dal suo Comitato permanente; e, del pari, è il presidente che nomina e revoca, con propri decreti, il primo ministro e gli altri componenti del governo, ma limitandosi, nella realtà, a convalidare delle scelte già operate dai due testè menzionati organi collegiali.

E carattere egualmente solo esecutivo di delibere già assunte in altra sede sembrano rivestire anche i decreti presidenziali: di conferimento delle decorazioni e delle altre distinzioni onorifiche; di proclamazione dell'amnistia, ovvero della legge marziale, dello stato di guerra e della mobilitazione, generale o parziale.

Solo nel campo delle relazioni internazionali il suo ruolo pare rivestire una più autonoma consistenza, dovendo personalmente ricevere i diplomatici stranieri, che sono appunto accreditati presso di lui; ma, poi, solo in seguito ad apposite delibere dell'A.n.p., può nominare e richiamare in patria i rappresentanti diplomatici all'estero, nonché ratificare e denunciare i trattati e gli accordi stipulati con le altre Potenze.

È assai difficile formulare, per ora, un giudizio sulla reale posizione che potrà assumere il nuovo ufficio della presidenza della repubblica nel meccanismo della vita costituzionale del paese: la logica della struttura di governo degli stati socialisti - basata, come si è visto, sul «principio dell'unità del potere statale», affidato, ai diversi livelli, alle varie assemblee rappresentative popolari - non lascia, infatti, molto spazio per le scelte discrezionali di un organo individuale. Solo in determinate fattispecie storiche, infatti, dove trovarono modo di affermarsi personalità di eccezionale rilievo, dominanti anche nell'ambito del Partito comunista, l'ufficio del capo dello stato fu in grado di acquistare una solida consistenza (e basti pensare al Maresciallo Tito, eletto presidente a vita, ma alla cui morte l'ufficio presidenziale, come organo autonomo, venne abolito, restando al vertice dello stato jugoslavo, come di consueto, un ristretto organo collegiale, sia pure con un proprio presidente ai fini interni di direzione dei dibattiti del collegio: sul modello del Presidium del Soviet Supremo Sovietico). E, per ora, in Cina tale coincidenza tra l'ufficio del capo dello stato e la guida carismatica del partito non si è avuta se non nel periodo iniziale, dal 1954 al 1959, con Mao; attualmente, infatti, la personalità dominante del regime, Deng Xiaoping, ha preferito rimanere in una posizione più defilata, manovrando solo per interposte persone le fila delle organizzazioni dello stato e del partito.

c) Consiglio degli affari di stato

Nel meccanismo istituzionale cinese, riveste, invece, un ruolo pratico di notevole peso il Consiglio degli affari di stato: equivalente al governo degli stati occidentali e definito dall'art. 85 Cost. come «l'esecutivo dell'organo supremo del potere statale» (ossia: l'A.n.p.) e «l'organo amministrativo supremo dello stato».

Il Consiglio degli affari di stato (guowuyuan) è composto dal primo ministro, dai viceprimi ministri, dai ministri di stato («consiglieri degli affari di stato»), dai ministri, dai presidenti di commissioni, dal revisore capo dei conti e dal segretario generale. Essi sono nominati per la durata della legislatura (ed eventualmente revocati) con decreto del presidente della repubblica (art. 80 Cost.), ma la designazione a tal riguardo è compiuta dall'Assemblea nazionale del popolo su proposta del presidente stesso in ordine al primo ministro e su proposta di quest'ultimo in ordine agli altri componenti del governo (art. 62, 5° Cost.). Nei lunghi periodi in cui l'Assemblea non è in sessione, le designazioni di cui sopra sono, invece, prese dal Comitato permanente dell'A.n.p.. Si noti che nella precedente Cost. del 1978 la delibera dell'Assemblea in ordine alla designazione del primo ministro era, invece, assunta su proposta del Comitato centrale del partito comunista (art. 22, 4°): e la mutazione a tal proposito della lettera della nuova Costituzione sembra attestare chiaramente l'intento di istituire uno stacco più netto fra le sfere organizzative dello stato e del partito (almeno sul piano formale: giacché, di fatto, tutte le designazioni alle cariche pubbliche di qualche rilievo sono compiute sempre su indicazione dei corrispondenti organi direttivi del partito, sul modello del ben noto sistema sovietico della c.d. Nomenklatura)20. Infine, non sono ammessi che due successivi periodi di permanenza negli anzidetti più elevati uffici ministeriali (in altre parole: non più di 10 anni consecutivi per evitare troppo durature permanenze di specifiche persone alla direzione della macchina burocratica statale).

Sono, tuttavia, previste due diverse composizioni dell'organo governativo: l'una più ristretta, che (a guisa dell'Inner Cabinet britannico) è formata dai più vicini collaboratori del primo ministro, ossia: i viceprimi ministri, i ministri (o «commissari degli affari») di Stato e il segretario generale - ed in tal caso la Costituzione parla di riunioni esecutive (o «permanenti», changwu) - ed una più ampia, che raccoglie anche tutti gli altri componenti - ed il testo costituzionale usa allora l'espressione riunione plenaria21.

Lo stesso Consiglio forma, poi, un organo di verifica dei conti per controllare tutte le entrate e le uscite dei dicasteri amministrativi che ad esso fanno capo, nonché quelle dei governi locali dei differenti livelli e delle varie imprese e istituzioni statali; e tale organismo svolge le sue funzioni in piena indipendenza sotto la diretta supervisione del primo ministro (si noti, peraltro, che in Occidente - nell'intento di ottenere una maggiore indipendenza nello svolgimento delle loro delicate funzioni - gli organismi analoghi di controllo contabile non sono inseriti nell'Esecutivo, bensì - come la nostra Corte dei conti - rispondono della loro attività direttamente dinanzi al parlamento).

Le funzioni esercitate dal Consiglio degli affari di stato corrispondono, all'ingrosso, a quelle svolte in Occidente dai vari governi, potendo: emanare vari tipi di norme regolamentari (subordinate alle leggi); presentare progetti di legge all'A.n.p. ed al suo Comitato permanente; dirigere l'attività degli organi componenti dei diversi dicasteri amministrativi; dare esecuzione al piano economico ed al bilancio di previsione annuale; sovraintendere alla tutela delle differenti nazionalità; emendare od annullare le decisioni illegittime degli organi dipendenti, centrali e locali, dello stato; e così di seguito. Con la già nota «clausola di chiusura» che autorizza il Consiglio stesso ad esercitare tutte quelle ulteriori attribuzioni che potranno essergli conferite dall'A.n.p. o dal Comitato permanente di quest'ultima.

d) Commissione militare centrale

Piuttosto singolare, invece, appare la sezione 4a del capitolo III della Cost. del 1982, in quanto essa è dedicata ad un organo nuovo: la commissione militare centrale, preposta alla direzione di tutte le forze armate del Paese (art. 93 ).

Essa è formata da un presidente («zhuxi», lo stesso vocabolo usato per il titolo del presidente della repubblica), dai vicepresidenti e alcuni membri; dura in carica quanto l'A.n.p., da cui viene eletta, ed il suo presidente è politicamente responsabile verso l'Assemblea stessa e verso il suo Comitato permanente.

Per comprendere, tuttavia, le ragioni che hanno condotto alla creazione di questo singolare organo - sconosciuto dagli altri Stati contemporanei, nei quali, di regola, il comando delle forze armate, quantomeno sul piano formale, viene solitamente riconosciuto al capo dello stato - occorre esaminare alcuni presupposti storici sussistenti a tale riguardo. Anche in Cina, infatti, nella prima Costituzione socialista del 1954 il comando delle forze armate era stato conferito al presidente della repubblica; ma esautorato, di fatto, l'istituto stesso nel 1968, all'epoca della «rivoluzione culturale», ed abolito, poi, formalmente il medesimo nelle due successive Costituzioni del 1975 e del 1978, il comando stesso venne trasferito ad un organo del partito comunista. Divenne, infatti, capo delle forze armate il presidente del Comitato centrale del partito comunista stesso (art. 15 Cost. 1975 e art. 19 Cost. 1978), posto anche a capo della commissione militare del P.c.c., formata all'interno del Comitato centrale.

In pratica, tale ufficio - di notevole rilievo, perché conferiva la diretta disponibilità di tutte le forze armate del paese - venne, così, ricoperto prima da Mao e, poi, da Hua, dall'ottobre del 1976 al giugno del 1981: quando assunse il comando in parola Deng Xiaoping, quale presidente della commissione militare del Comitato centrale del P.c.c.

Con la Costituzione del 1982 - pur continuando a sussistere la predetta commissione militare del Comitato centrale del P.c.c. (e si veda, in merito, l'art. 21 dell'attuale Statuto del partito) - si è istituita al vertice dell'organizzazione dello stato la commissione militare centrale, di cui è diventato presidente Deng Xíaoping: evento assai significativo sotto un duplice aspetto. Innanzitutto, infatti, con tale innovazione si è voluto mettere in particolare rilievo il fatto che le forze armate (rimaste in tutti gli anni scorsi strettamente legate all'organizzazione del partito) erano ormai diventate uno dei pilastri fondamentali della struttura dello stato: nella quale, quindi, dovevano ormai trovare il loro naturale incasellamento. D'altro lato, però, su un piano più contingente, pare di poter capire che Deng Xiaoping, benché non desideroso di assumere di persona le cariche più prestigiose dello stato stesso (capo dello stato o capo del governo), non volesse rinunciare alla guida diretta delle forze armate: sempre rimaste, in Cina, strettamente legate al movimento rivoluzionario e chiamate così a partecipare fattivamente alla ricostruzione della vita sociale del paese. Da ciò la creazione di un organo certamente assai anomalo nel quadro costituzionale consueto degli stati contemporanei: nei quali, anche dove sussiste un organo collegiale posto al vertice delle forze armate (Consiglio supremo di difesa, ecc.), generalmente non sono riconosciuti al medesimo che dei poteri consultivi (spettando, se mai, al governo le decisioni operative nella materia), mentre la presidenza è quasi ovunque assegnata al capo dello stato, che appunto impersona l'unità e la forza coattiva dell'intera organizzazione statale.

Può essere, per ultimo, suggestivo ricordare come, fra gli stati socialisti, negli ultimi anni, l'accennato modello cinese sia stato accolto solo in Albania (rimasta, com'è noto, per lungo tempo alleata fedele della Cina popolare): nella cui Costituzione del 1976 (art. 79) si è appunto posto a capo di tutte le forze armate un particolare Consiglio di difesa, presieduto dal primo segretario del Comitato centrale del partito comunista.

e) Assemblee locali del popolo e governi popolari locali

Sul piano locale, l'organizzazione statale cinese - sostanzialmente distribuita su tre livelli territoriali - riproduce (sulla base dei già illustrati «principi dell'unità del potere statale» e della «doppia dipendenza») quella poco sopra esaminata a livello di vertice costituzionale.

In altre parole, ad ognuno dei tre prospettati livelli - formati, procedendo dal basso: 1) nelle zone rurali da xiang e zhen, che corrispondono ai nostri comuni di campagna, caratterizzati da un centro abitativo consistente (nel caso di zhen, o «borghi»), oppure in prevalenza composti da un certo numero di villaggi (nel caso di xiang); 2) dai distretti, dalle municipalità («città», shi) e dalle circoscrizioni urbane (shi xia qu) delle municipalità più ampie; 3) dalle provincie (sheng) e dalle municipalità («città», shi) più popolose, dipendenti direttamente dal governo centrale (zhi xia shi) oppure dalle provincie (sheng xia shi) - sussistono delle Assemblee del popolo (dotate nei due livelli più elevati di propri Comitati permanenti) e dei corrispondenti governi locali (che sono i loro organi esecutivi e vengono eletti e revocati dalle Assemblee stesse). Le Assemblee dei due livelli più elevati, inoltre, nominano e revocano pure i membri dei corrispondenti tribunali e procure del popolo.

Quanto al loro procedimento di formazione, occorre distinguere le Assemblee del popolo dei diversi livelli sopra menzionati in due distinti gruppi. Quelli facenti parte del 3° livello (ossia le Assemblee delle provincie, delle municipalità più popolose divise in circoscrizioni urbane e delle tre municipalità dipendenti direttamente dal governo centrale: ossia, Pechino, Shanghai e Tianjin) vengono, infatti, costituite mediante elezioni indirette, ad opera delle Assemblee del popolo immediatamente sottostanti, per la durata di 5 anni, mentre quelle dei due primi livelli (zhen, o borghi, e xiang, o comuni rurali, al livello iniziale, e i distretti, le municipalità più piccole e le circoscrizioni urbane delle citate municipalità più popolose, al livello immediatamente superiore) vengono costituite mediante elezioni dirette, per la durata di tre anni.

Per ciò che riguarda, invece, le loro competenze, il divario viene a porsi, piuttosto, fra le Assemblee del livello più basso e quelle dei due livelli sovrastanti. Dal distretto in sù, infatti, le Assemblee popolari - rappresentate, durante la maggior parte dell'anno, dai rispettivi Comitati permanenti - esaminano e approvano i piani di sviluppo economico e sociale ed i bilanci dei rispettivi ambiti con assai maggiori poteri di azione di quelli riconosciuti alle Assemblee del 1° livello. Inoltre, le Assemblee del 3° livello sono dotate pure di ampie potestà regolamentari (da esercitarsi sempre, beninteso, nell'ambito della Costituzione, delle leggi e dei regolamenti statali).

Il «principio della doppia dipendenza» implica, infine, che le varie Assemblee restino sempre responsabili di fronte ai rispettivi elettori: che, però, mentre per i primi due livelli più bassi sono rappresentati dai cittadini, nel livello più elevato sono costituiti dalle unità elettorali di cui le Assemblee medesime sono derivate attraverso le menzionate elezioni indirette. È, quindi, sempre possibile la revoca anticipata di componenti delle Assemblee locali ad opera di coloro (collegi o persone singole) che li hanno designati.

I governi locali, eletti dalle Assemblee dei rispettivi livelli, sono definiti - dall'art. 105 Cost. - «organi esecutivi del potere locale dello stato», nonché «organi amministrativi locali delle stato ai diversi livelli». Essi restano in carica per l'intero periodo di durata delle corrispondenti Assemblee; ma queste (od i loro Comitati permanenti: nei due livelli più alti) ne possono revocare innanzitempo singoli componenti. Essi svolgono, sul piano locale, tutte quelle attribuzioni di ordine amministrativo che, sul piano centrale, sono svolte dai vari dicasteri del governo. E sono responsabili della loro attività (orizzontalmente) dinanzi alle rispettive Assemblee e (verticalmente) dinanzi agli organi amministrativi del loro stesso settore del livello superiore. Tenendo presente che - sulla base della formula generale riscontrantesi nell'art. 110 Cost. - «i governi popolari locali di ogni grado, nell'intero paese, sono organi amministrativi dello stato posti sotto la direzione unitaria del Consiglio degli affari di stato e sottoposti alla sua autorità».

Dal livello del distretto in su, nel loro ambito, sono parimenti costituiti degli organi di verifica dei conti, che esercitano le loro funzioni in piena indipendenza, rispondendone (orizzontalmente) al corrispondente governo locale, e (verticalmente) all'organo di verifica dei conti a loro sovrastante nel livello superiore (fino a giungere all'organo di verifica dei conti funzionante nell'ambito del Consiglio degli affari di stato).

Occorre, infine, far menzione pure dei comitati di cittadini e comitati di contadini che, rispettivamente, nelle città e nelle campagne si pongono come «organizzazioni autonome di base delle masse» (art. 111 Cost.). I loro presidenti, vicepresidenti e membri sono eletti dagli abitanti residenti nella zona. E la Costituzione prevede che nel loro ambito, si istituiscano dei comitati di conciliazione fra i cittadini (competenti a comporre le liti di minore rilievo), dei comitati per la sicurezza (che collaborino con gli organi di polizia per il mantenimento dell'ordine) e dei comitati per la salute pubblica: tutti con dei compiti di ausilio e d'integrazione rispetto alle attività svolte dagli organi statali veri e propri.

Le accennate organizzazioni sociali dovrebbero servire - nella concezione marxista accolta anche dai cinesi - a ridurre il numero e l'entità delle mansioni svolte direttamente dallo stato e, nello stesso tempo, certo contribuiscono a meglio raggiungere tutti i cittadini, attraverso una rete capillare, attuata sostanzialmente su base volontaria.

f) Gli organi locali delle zone ad autonomia nazionale

La Costituzione, inoltre, dedica un'altra sua sezione, la 6a, agli «organi di amministrazione autonoma delle località ad autonomia nazionale»: che si pone quasi in parallelo con quella precedente, riferendosi parimenti agli organi locali del potere statale, ma nelle zone ad autonomia nazionale.

Si è visto, infatti - esponendo i «principi generali» della Cost. del 1982 - che la Repubblica popolare cinese intende assicurare una larga autonomia alle varie minoranze nazionali, seppure sempre nel quadro di uno stato unitario (art. 4 Cost.). E i dati riportati in quella sede - attestando la diversissima entità numerica dei diversi gruppi nazionali e la loro sparsa dislocazione sul territorio statale - spiegano come i costituenti del 1982 abbiano predisposto la formazione di entità territoriali autonome ai diversi livelli del governo locale per consentire più facilmente la prospettata autonomia dei gruppi stessi. Tanto è vero che l'art. 112 Cost. (il primo della sezione 6a) stabilisce appunto che «gli organi d'amministrazione autonoma delle località ad autonomia nazionale sono le Assemblee del popolo ed i governi popolari delle regioni autonome, dei circondari (zhou) autonomi e dei distretti autonomi» (le prime delle quali si situano allo stesso livello delle provincie e le seconde in uno stadio intermedio fra queste ultime e i distretti). Si noti, poi, che l'ultimo comma del precedente art. 99 Cost. aveva già previsto anche dei comuni (xiang) di nazionalità, per gruppi etnici differenziati molto esigui, prevedendo la possibilità, per le loro Assemblee del ponolo, di assumere particolari provvedimenti a tutela delle rispettive caratteristiche nazionali.

Sia le regioni autonome (che sono attualmente 5: Mongolia interna dal 1947, Xinjiang-Uvgur dal 1955, Ningxia-Hui dal 1957, Guangxi-Zhuang dal 1958 e Tibet dal 1965)22, sia i 29 circondari e i 69 distretti autonomi possono ricevere dalle proprie Assemblee popopolari degli speciali «Statuti», in armonia con le rispettive caratteristiche politiche, economiche e culturali. Tuttavia, prima di entrare in vigore, gli Statuti delle regioni dovranno ottenere l'approvazione del Comitato permanente dell'A.n.p. e quelli dei circondari e dei distretti l'approvazione dei Comitati permanenti delle Assemblee del popolo delle provincie o delle regioni autonome che li contengono (dandone, poi, sempre comunicazione al Comitato permanente dell'A.n.p.)23.

I menzionati organi di amministrazione autonoma godono anche di una specifica autonomia finanziaria; e, in particolare, curano in modo indipendente, nel loro ambito territoriale, le attività inerenti all'educazione, alle scienze, alla cultura, alla pubblica sanità ed agli sport, in modo da sviluppare il peculiare patrimonio culturale delle rispettive nazionalità (art. 119 Cost.). Gli organi in parola, in conformità dell'ordinamento generale militare dello stato ed alle specifiche rispettive esigenze, con l'approvazione del Consiglio degli affari di stato, possono pure organizzare delle proprie forze di sicurezza pubblica. Ed è pure previsto l'impiego, nell'attività legislativa ed amministrativa, della lingua o delle lingue minoritarie parlate e scritte nei corrispondenti territori. Mentre vengono spesso stanziati dallo stato dei particolari aiuti finanziari per accelerare il progresso economico e sociale delle zone stesse; tenendo presente pure l'obiettivo di creare, nell'ambito delle nazionalità così tutelate, un numero sufficiente di personale specializzato nel compiere le varie pubbliche attività.

Si ricorda, infine, che la Costituzione, all'art. 31, prevede anche l'istituzione - ove opportuno - di Regioni amministrative speciali: non già, tuttavia, da creare per tutelare particolari gruppi etnici minoritari, bensì allo scopo di agevolare nel futuro l'inclusione nel territorio nazionale di Taiwan e di parti della Cina tuttora in mani straniere, come Hong Kong24 o Macao, senza sconvolgerne soverchiamente l'assetto commerciale e industriale attualmente in atto.

Nel momento presente risultano costituite quattro Zone economicbe speciali (Special Economic Zones: Sezs): Shenzhen (al confine con Hong Kong), Zhuhai (nelle vicinanze di Macao), Shantou e Xiamen. Esse offrono agli imprenditori stranieri imposte particolarmente limitate, affitti bassi, possibilità di esportare buona parte dei redditi conseguiti, mano d'opera a buon mercato ed altri favorevoli incentivi25. Tuttavia le Regioni amministrative speciali previste dall'art. 31 dovrebbero comportare attenuazioni ancora più sostanziali del sistema economico e amministrativo socialista.

g) Tribunali e procure del popolo

La sezione 7a del capitolo III - concernente i tribunali del popolo e le procure del popolo - non viene qui esaminata nei suoi dettagli.

Può solo rilevarsi come anche l'ordinamento dei menzionati organi non si sottragga ai principi generali di struttura e di funzionamento già precedentemente illustrati (tanto che persino gli uffici della procura - strutturati solo verticisticamente nello stato sovietico - si presentano, invece, nell'attuale Cina popolare sottoposti alla comune regola della «doppia dipendenza»: presentando un rapporto di diretta dipendenza nei confronti delle Assemblee popolari dei corrispondenti livelli).

Considerazioni conclusive

Uno sguardo complessivo all'ordinamento statale datosi dalla Repubblica popolare cinese nel 1982 può portare alla conclusione che si è intenzionalmente cercato di separare in modo più netto che nei precedenti testi costituzionali del recente passato - quantomeno sul piano formale - la struttura organizzativa dello Stato da quella del partito comunista (pur restando sempre quest'ultimo - come chiaramente si desume dal «preambolo» della stessa Costituzione - il vero deus ex machina dell'intera vita pubblica, sociale ed economica del paese).

Ad ogni modo, la posizione di netta supremazia nell'ambito dell'organizzazione statale è riconosciuta, senz'alcuna limitazione, all'Assemblea nazionale del popolo: organo supremo rappresentativo di tutto il popolo cinese. Non ben definita, se mai, resta la rinnovata figura del presidente della repubblica di cui si era fatto a meno durante gli ultimi due decenni e nelle precedenti Costituzioni del 1975 e del 1978. Ed anomalo, inoltre, è certo il supremo comando delle forze armate conferito ad un organo collegiale ristretto: la commissione militare teatrale (con poteri particolarmente significativi concentrati nel suo presidente). Ma siffatta duplice singolare situazione pare debba essere collegata a ben identificate esigenze politiche (già precedentemente accennate).

Così, egualmente, la non ancora estesa procedura dell'elezione diretta per la formazione delle assemblee popolari del vertice costituzionale e del livello locale più elevato sembra denotare un grado di non ancor completo assestamento politico-sociale del popolo cinese: circostanza che deve parimenti aver spinto a non abbandonare il sistema della semplice ripartizione territoriale autonoma a più livelli (l'uno all'altro sovraordinato) per una più libera e sciolta struttura statale di tipo federale.

In sostanza, l'osservatore attento della situazione politico-sociale della Cina non può non notare un travagliato lavoro di assestamento, dopo le agitate e spesso tragiche vicende degli ultimi decenni: di cui sono indici evidenti, ad esempio, sia la trasformazione in atto dell'intelaiatura burocratica dello stato26, sia l'appena iniziata revisione di tutta la complessa macchina organizzativa del partito comunista cinese27. Si tratta, fra l'altro, di compiti davvero impegnativi - data l'ampiezza e la varietà delle condizioni ambientali del paese e l'alto numero dei suoi abitanti - che richiederanno alcuni anni per una loro completa attuazione; si pensi soltanto alla metamorfosi che dovranno subire le comuni popolari, passando da organismi politici territoriali a semplici organizzazioni di gestione economica di tipo cooperativo28.

È, quindi, difficile prevedere oggigiorno se la struttura governativa enunciata nella Costituzione del 1982 conseguirà ulteriori sviluppi, ma pur sempre nell'ambito delle linee generali tracciate nel testo anzidetto, o se gli eventi politico-economici del prossimo avvenire obbligheranno presto a giungere alla redazione di un nuovo testo costituzionale: secondo la prassi ormai instauratasi a partire dal 1975.

MONDO CINESE N. 43, SETTEMBRE 1983

Note

1 Cfr. la «Relazione sul progetto di revisione della Costituzione della Ren. Popolare Cinese, presentata il 26 novembre 1982 da Peng Zhen, Vicepresidente della Commissione per la revisione della Costituzione alla V sessione della V Assemblea Popolare Nazionale», in Beijing Information, 1982, n. 50 del dicembre 1982, p. 10 (citato, in seguito, come Peng Zhen, Relazione alla Cost.).
2 Cfr., ad es., oltre alla cit. Cost. dell'URSS del 1977, quelle: della Romania del 1965, della Germania Or. del 1974, della Polonia del 1976, etc.
3 Cfr. Peng Zhen, Relaz. Cost., cit., p. 13.
4 Per dati più precisi al riguardo si veda il capitolo su «le minoranze nazionali» nel volume di Tsien Tche-Hao, L'Empire du milieu retrouvé: la Chine populaire a trente ans, Paris, 1979, p. 131.
5 Le cifre indicate soro state tratte dall'articolo redazionale Les miriorités nationales en Chine, contenuto nel n. 22, del 1983, p. 24 di Beijing Information.
6 Cfr. Tsien Tche-Hao, L'Empire du milieu retrouvé, cit., p. 140.
7 In particolare, potrebbe forse destare qualche interrogativo nel lettore attento la diversa soluzione data in Russia, dopo la «rivoluzione d'ottobre», ad un analogo problema, giungendo alla formazione di un complesso Stato federale: l'Unione Sovietica (costituita da numerose entità territoriali di vario tipo: Repubbliche federate, Repubbliche autonome, Regioni autonome e Circoscrizioni autonome). Tuttavia, occorre ricordare, da un lato, che nel 1917 intervennero nell'ex-Impero Zarista motivi particolari di natura storica, che indussero a proclamare formalmente il diritto delI'autodeterminazione di tutti i popoli che lo costituivano, conducendo così naturalmente ad una soluzione di tipo federale, da un altro lato, è ben noto agli studiosi occidentali della materia come l'accennato «federalismo sovietico» si presenti con caratteristiche assai diverse da quelle tipiche del «federalismo occidentale»: rendendo l'URSS, malgrado le apparenze esteriori, sul piano pratico, più simile ad uno «Stato ad autonomia regionale». Per bibliografia e notizie al riguardo cfr., ad esempio, il paragrafo sul federalismo sovietico in P. Biscaretti di Ruffia, Introduzione al dir. costituzionale comparato, IV ed., Milano, 1980.
8 Si vedano, ad es., le considerazioni espresse nel paragrafo dedicato alla «legalità socialista» nel saggio di P. Biscaretti di Ruffia su La Repubblica Popolare cinese: un «modello» nuovo di ordinamento statale socialista (Cost. del 17 gennaio 1975), Milano, 1977, p. 29.
9 Cfr., ad es., la Relazione di Peng Zhen, cit., sulla nuova Costituzione. p. 25 ss., in cui si precisa che la Costituzione stessa dovrà essere osservata e applicata da tutti e che ciò costituirà un presupposto indispensabile per «far progredire di successo in successo la» (prospettata) «modernizzazione socialista».
10 Tutti i dati qui riferiti sono tratti dall'articolo redazionale di Beijing Information, n. 23, del 6 giugno 1983 p. 15 ss. Ove, peraltro, in relazione alla Cost. del 1978 si rilevava - con evidente disapprovazione! - che nella medesima ancora «se trouvaient beaucoup de mots d'ordre de gauche».
11 Cfr. Peng Zhen, Relazione alla Cost., cit., p. 21.
12 L'ultima Costituzione sovietica federale del 1977 enuncia, infatti, nell'art. 6, il principio fondamentale che «il P.C.U.S. è la forza che dirige ed indirizza la società sovietica, il nucleo del suo sistema politico, delle organizzazioni statali e sociali» ed aggiunge ancora, nell'art. 100, che il diritto di presentare le candidature dei deputati ai diversi soviet spetta essenzialmente alle organizzazioni del partito ed a varie altre che al medesimo risultano strettamente collegate.
13 Si vedano, ad esempio - sulla falsariga del cit. art. 6 della Cost. dell'URSS - gli artícoli: 3 della Cost. del 1976 dell'Albania, 1 della Cost. del 1971 della Bulgaria, 4 della Cost. del 1960 della Cecoslovacchia, 3 della Cost. del 1976 della Polonia, 1 della Cost. del 1974 della Repubblica Democratica Tedesca, 26 della Cost. del 1965 della Romania e 3 della Cost. del 1972 dell'Ungheria.
14 Cfr., ad es., P. Biscaretti di Ruffìa, La Repubblica Popolare Cinese, cit., p. 38.
15 Cfr., ad es., R. Ferraro, Riunita la Conferenza consultiva: va avanti in Cina la svolta di Deng, in Corriere della Sera, 5 giugno 1983. Notizie assai precise sulla Conferenza consultiva politica del popolo cinese nel passato (si pensi ch'essa funzionò come Assemblea nazionale del popolo dal 1949 al 1954) si possono leggere nell'apposito paragrafo dedicatogli nel volume di Tsien Tche-Hao, Les institutions chinoises et la Constitution de 1978, Paris, Notes et études documentaires, n. 4501/ 2, 11 gennaio 1979, p. 57.
16 Per chi desiderasse dati più precisi, si possono riferire quelli indicati nella rivista Beijing Information n. 23 del 6 giugno 1983, p. 15: I) legislatura (sessioni 15/28 settembre 1954 e 5/30 luglio 1955); II) legislatura (18/29 aprile 1959); III) legislatura (21 dicembre 1964/4 gennaio 1965); IV) legislatura (13/17 gennaio 1975); V) legislatura (26 febbraio/5 marzo 1978 - 18 giugno/1° luglio 1979 - 30 agosto/10 settembre 1980 - 30 novembre/13 dicembre 1981 - 26 novembre/10 dicembre 1982).
Mentre la VI) legislatura si è iniziata con una prima sessione durata dal 6 al 21 giugno 1983: durante la quale venne eletto presidente della repubblica Li Xiannian, vicepresidente Ulanhu, presidente dell'Assemblea nazionale del popolo Peng Zhen, e confermato nella carica di primo ministro Zhao Ziyang. Deng Xiaoping preferiva, invece, rimanere in una posizione più defilata e formalmente solo consultiva (quale presidente, ad es., della Commissione consultiva centrale del Pcc), pur divenendo presidente della importante commissione militare centrale, e Hu Yaobang, segretario generale del Comitato centrale del partito, non assumeva alcuna carica statale. La vera triade al potere continuava, tuttavia, nella realtà, ad essere costituita da Deng, Hu e Zhao. Cfr., ad es., G. Vizioli, «Deng rinnova il partito» e «Tutti gli uomini di Deng», in Relazioni internazionali, rispettivamente nei nn. 22, p. 740 e 25, p. 854.
17 Per i dati numerici riferiti ci si è appoggiati all'articolo di R. Ferraro, «Oggi a Pechino la riunione dell'Assemblea nazionale», in Corriere della Sera, del 6 giugno 1983.
Quanto alla V Assemblea nazionale del popolo all'epoca della sua quinta sessione, in cui venne approvata l'attuale Costituzione (26 novembre/10 dicembre 1982), essa annoverava 3.421 deputati, dei quali 3.055 presero parte ai lavori. Cfr. Beijing Information, n. 49, del 6 dicembre 1982, p. 7.
18 Può ricordarsi, in merito, che il VI Piano economico quinquennale (relativo agli anni 1981/1985) venne presentato da Zhao Ziyang all'Assembea nazionale del popolo, il 30 novembre 1982 (e, quindi, con quasi due anni di ritardo), mentre il giorno successivo il ministro delle finanze Wang Bingqian presentò il bilancio preventivo per il 1983. Cfr., ad es., G. Vizioli, «Nuovo piano per l'economia cinese» in Relazioni internazionali, 1983, n. 3, p. 53.
19 I dati riferiti sono stati tratti dal cit. articolo di G. Vizioli, «Tutti gli uomini di Deng», in Relazioni internazionali, 1983, n. 25, p. 854.
20 Cfr., ad es., P. Biscaretti di Ruffia e G. Crespi Reghizzi, La Costituzione sovietica del 1977: un sessantennio di evoluzione costituzionale nell'URSS, Milano, 1979, p. 293.
21 I componenti del governo eletti, il 21 giugno 1983, al termine della 1a sessione della VI Assemblea nazionale del popolo, furono complessivamente 45 (vedi Relazioni internazionali, 1983, p. 903).
22 Cfr. Tsien Tche-Hao, L'Empire du milieu retrouvé, cit., p. 135.
23 Un elenco dei circondari (zhou) autonomi (con la loro ubicazione geografica nelle varie provincie e regioni autonome della Cina) si può trovare in Beijing Information, 1979, n. 6, p. 19.
24 Per Hong Kong - com'è noto - sono in corso trattative fra la Repubblica popolare cinese e la Gran Bretagna, per assicurare alla città (ed alle sue immediate dipendenze), anche dopo la prossima cessazione del dominio britannico, un regime di autonomia politica ed economica, che le consenta di continuare a fare da tramite per i rapnorti commerciali con gli Stati stranieri e le cospicue collettività cinesi all'estero. Si vorrebbe giungere a configurare un apposito governo autonomo (sia pure rappresentato all'Assemblea nazionale del popolo da propri deputati, ma con vincoli di dipendenza assai minori di quelli sussistenti nei riguardi del Tibet o della Mongolia interna), conservando agli abitanti di Hong Kong una specifica cittadinanza e istituendo una moneta particolare, liberamente convertibile con quelle occidentali. Tra i molti, da ultimo, T. Ballarino, «Il futuro di Hong Kong», in Relazioni internazionali, 1983, n. 26, p. 899.
25 Notizie particolarmente aggiornate a tale riguardo possono leggersi, ad es., negli articoli di Nishitateno, «China's Special Economic Zones: Experimental Units for Economic Reform», in The International and Comparative Law Quarterly, 1983, p. 175 e J.J. Putman, «Special Economic Zones: China's Opening Door», in National Geographic, 1983, vol. 164, n. 1, p. 64.
26 Cfr., ad es., A. Toscano, «Scatta in Cina la riforma burocratica», in Relazioni internazionali, 1982, p. 212.
27 Vedi, ad es., i dati riferiti da A. Toschi, nel saggio «Affermazione di Deng al XII Congresso», in Relazioni internazionali, 1982, p. 807, nonché le più recenti notizie riferite da G. Vizioli nell'articolo «Deng rinnova il Partito», in Relazioni internazionali, 1983, p. 740 (coll'annuncio della revisione della posizione dei circa 40 milioni di tesserati a cominciare dalla fine del 1983).
28 Cfr., ad es., il saggio di Song Dahan e Zhang Chunsheng, «Importante reforme du sytème de la Commune populaire», in Beijing Information, n. 30, del 26 luglio 1982, p. 16. Ove si riferisce che «le comuni» stesse, istituite nel 1958, con la duplice natura di ente politico-amministrativo e di organizzazione economica collettiva, funzionavano, all'inizio del 1982, su tre diversi livelli: contando la comune standard circa 10.000 abitanti (con pressapoco 2.000 focolari), suddivisa in varie brigate di produzione, a loro volta formate da più ridotte squadre di produzione (con una media di un centinaio di persone, distribuite in 20/30 focolari).

 

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