di
STELLA PENDE
fotografie di PIGI CIPELLI
Al sessantesimo piano del grattacieIo Marriott in costruzione, i due
operai cinesi lavorano sull'impalcatura sospesi nell'aria come marionette senza fili. Uno
dei due ha in mano un lungo metro. Quando Io allunga sembra voler misurare il cielo. Sotto
di loro si muove e palpita la città del sogno: Shanghai. E lì intorno sembrano muoversi
anche i suoi grattacieli, siluri d'oro che puntano il cielo. Ma anche quelli d'argento dai
cappelli turchese e smeraldo. Mentre le case dal tetto di specchio fanno rimbalzare raggi
di sole sugli uomini che corrono piccoli come formiche tra le strade invase di macchine e
di insegne fosforescenti.
Shanghai ovvero «Le Mille e una notte» dell'Asia. Shanghai una volta
la Parigi d'Oriente, oggi la città più futuribile d'Occidente. Shanghai corrotta, fatale
e maledetta, adesso la signora più sofisticata e più bella del mondo. Shanghai dove ogni
due ore nasce un'azienda nuova, ogni 20 minuti si costruisce il piano di un grattacielo.
Shanghai dove le ragazze possono comprare un reggicalze di seta in 607 negozi di
biancheria.
Gli operai-marionette lasciano il cielo e rientrano nell'immenso
scheletro di cemento. Comincia un altro turno. Qui nella città cantiere non si smette mai
di costruire. Si lavora tutta la notte. Per questo ci sono 2.500 grattacieli. Per questo
potranno costruirne in un anno ancora 60. Il miracolo edilizio non ha pari nel mondo:
palazzi, alberghi, case escono dalla terra da un giorno all'altro «come se il cielo li
chiamasse, corne se volessero arricchire il potere di questa città che, come disse Deng
Xiaoping, sarà il destino dell'Asia». Così scrive il quotidiano più autorevole, Shanghai
Daily. Cosi pensano tutti gli abitanti e i 74 milioni di turisti cinesi che la
invadono ogni anno.
Il signor Chris Tsoi, direttore del marketing della società Jw
Marriott Hotel è meno romantico. «Il nostro albergo costerà 2 miliardi di dollari e
farà sparire tutti gli alberghi della città. Hotel da favola. Più alto di tutti, dunque
almeno 200 metri. Più raffinato di tutti: architetti spagnoli e americani. Più
sorprendente di tutti». Una sorpresa anticipata mister Tsoi? «La palestra avrà pesi
dorati e la piscina un prato verde vero per prendere il sole ad alta quota». Forse già
arreso all'abbronzatura, mister Tsoi si sistema gli occhiali a specchio e continua:
«Avremo 342 stanze e 255 suite. Nei rimanenti 20 mila metri offriremo centinaia di
appartamenti extralusso. Tutti i ricchi della Cina stanno arrivando in questa città?
Troveranno case più ricche».
Per ora il vertice del management ha inviato da Hong Kong i suoi uomini
per sorvegliare i lavori. Accade spesso di questi tempi. L'esplosione della città è tale
che la gente non riesce a star dietro a tecniche e ritmi di grandi progetti. Nonostante
tutto dal 1995 a oggi 235 nuovi grattacieli sono stati costruiti, 400 mila tonnellate di
materiali edilizi comprati, un terzo delle gru del mondo occupate e 60 miliardi di dollari
investiti.
Shanghai, però, non ha mai avuto un cuore solo cinese. E facilmente ha
assorbito atmosfere e modi stranieri: quelli dei francesi e degli inglesi che l'hanno
abitata negli anni Venti, poi degli affascinanti mascalzoni che l'hanno corrotta, perfino
dei nemici giapponesi che l'hanno invasa. Quella di Shanghai express film di Josef
von Sternberg, dove Marlene Dietrich, lunga e bellissima, vuole comprare un cappellino, è
una città sensualmente occidentale. «Ma è questa sua carnalità, questa maniera di
essere sempre aperta a tutto che la rende magnetica e unica». Li Pu, modella famosa ma
anche studentessa alla Fudan university, ha capelli nero-blu, tacchi a spillo rossi. Parla
camminando veloce su People square. «Questo è il Grand Theater» dice e indica una
incredibile costruzione di vetro con un tetto a pagoda galattica. Cina spaziale. «Stasera
tutti a vedere Gong Li nel suo ultimo spettacolo teatrale», ma la nostra diva ride, tiene
stretta la gabbietta con un uccellino smeraldo in una mano e nell'altra la borsa di
Vuitton. Cina vecchia. Cina nuova. «Studiavo legge e lavoravo a Pechino ma sono venuta
qui. Shanghai è il posto dove devi essere.I ragazzi cinesi da sempre hanno sognato
università americane. Ma oggi tornano. Una nostra ricerca dice che il 38 per cento dei
laureati vuole lavorare solo qui».
Penso a questi giovani che hanno chiamato per anni il sogno di
libertà. «È un sogno che si avvererà quando la Cina entrerà nella World trade
organisation» chiarisce Li che come tutti aspetta quel momento. «E solo allora i cinesi
saranno seduti sut treno della globalizzazione».
Passiamo il Ritz Hotel. Immensa e chiassosa cattedrale di marmo nero
dove la stanza Pacha può costare per una notte 3 mila dollari. Appena usciti il bar dello
Star Bucks che pullula di ragazzi colorati. Uno ha perfino un piercing a farfalla laccata
sulla bocca. Le multinazionali americane invadono la città. Qualcuno fra i negozi di moda
ha nomi stranieri. Molli italiani: Giordano, Baleno. Anche i manichini sono signore bionde
e pettorute con Io chignon. «Invece le fabbriche sono cinesi. Imitazioni. Per noi la moda
italiana è come il Libretto rosso di Mao. È la nostra religione» dice e poi vola via
davanti al grattacielo brulicante della Coca-Cola come vorrebbe fare il suo uccellino.
Il taxi turchese metallizzato si ferma nella Nanjing road west. Strada
che evoca eleganze di avenue francesi. Annunciato da enormi cesti di camelie rosse ecco il
magazzino di lusso più chic della Cina: Plaza 66. Castello della favola della moda. Piani
e piani di vetri, piume, struzzi, frizzi, champagne, specchi, petali, ori, fiocchi e un
aereo vero e pizzicato di paillettes che pende dal soffitto. A perdita d'occhio tutti i
nomi della fashion intemazionale: da Prada a Lagerfeld, dalla Bottega Veneta a Celine, da
Tod's a Via della Spiga. Una grande bouffe di 316 boutique. Ancora vuota però. Ce la
farà Shanghai a riempire il suo sogno ambizioso?
Intanto una dea lunga e morbida come un fiore di loto entra da Vuitton
e pretende un paio di sandali di pitone arcobaleno. Non ci sono. I serpenta in Cina si
trovano più facilmente corne antipasto nei ristoranti. Allora si infila nel negozio
accanto: Shanghai Beauty-Imagine Test. Qui la signorina Livia Shi spiega entusiasta che
con l'entrata della Cina net Wto la sua azienda servirà per insegnare alle ragazze locali
modi e mode stranieri. Il suo tailleur verde pisello non pare efficace per quelle lezioni.
Sospetto che diventa certezza: «Si comincia sempre dalle unghie. Lunghe minimo quattro
centimetri massimo sei». Ce la farà Shanghai a vincere la sua grande corsa contro la
Cina?
Fuori orgia asiatica di macchine. Tra le molte schizza una Bmw.
Automobile di tendenza. Poche biciclette. Piccole lucertole che scappano dai mostri a
motore. «C'è un modo di pedalare che è solo cinese» scriveva Mao. Il grattacielo della
Nec ha un cappellino viola. Qui tutti i grattacieli hanno cappellini. Come templi dal
Duemila. Davanti a noi come meravigliose bisce d'acciaio le nuove strade sopraelevate. Un
vecchio sale le scale di vetro e sembra arrampicarsi sui grattacieli e sul futuro al quale
non è preparato. «Pick your money free»: cioè come salvare e spendere i soldi. Un
ragazzo legge attento il titolo di That's: il magazine dalla Shanghai del denaro e della
moda.
In città il business è come l'aria. Tutti arrivano e corrono qui
dall'Amenca che tratta la Cina come seconda destinazione dei suoi investimenti stranieri.
Il 61 per cento del denaro che arriva in Asia va a Shanghai che è diventata anche la
calamita dei grandi soldi di Hong Kong. Perfino la Coca-Cola ha spostato qui la sua sede.
Una gloria voluta dai due uomini più potenti della Cina. Ambedue cittadini di Shanghai:
il presidente Jiang Zemin e il premier Zhu Rongji. Ma quelli che hanno in mano la testa
dal Dragone sono soprattutto gli esuli. I cinesi emigrati nel mondo che tornano miliardari
a coprire di dollari la loro città. Come Handel Lee. Lavvocato che possiede già il
Courtyard, ristorante icona di Pechino, si presenta con una giacca scura sopra una T-shirt
nera. Tra Versace e Rocky Balboa. E, come ogni cinese ricco che si rispetti, ha un inglese
perfetto e il sorriso regolabile. Ci porta sul Bund, struggente e antico passeggio sul
fiume Huangpu, a vedere quello che sarà «il palazzo più attraente
dell'intrattenimento». ll posto, sede di una compagnia di assicurazione dal 1916, è
immenso. Almeno 2 mila metri. «Al 1° piano ci sarà uno showroom di design e una
gioielleria, al secondo una galleria d'arte mai vista prima» e fa intendere accordi col
Guggenheim Museum «poi il ristorante, force il francese Georges e la sala del jazz per
tornare ai vecchi splendori. In cima e sulla terrazza il ristorante giapponese Nobu,
perché oggi la grande moda qui sono i ristoranti giapponesi. Infine la sala dei sigari
dove Robert De Niro verrà a fumare un Avana che conservo proprio per lui».
Handel racconta il miracolo di Shanghai. E come la Perla d'Oriente ha
mangiato Pechino in tutto e per tutto. «In Cina Pechino comanda su tutto e tutti. Ma i
capitali che negli ultimi anni sono atterrati su Shanghai l'hanno resa libera. La Michelin
voleva compare un'azienda qui. Pechino ha detto no. La Shanghai Bank ha risposto: facciamo
da soli. Certo il cammino sarà lungo. L'efficienza delle banche, le riforme del sistema
sociale, ma soprattutto la riduzione delle invasioni governative. Alla fine sarà Shanghai
ad aprire il cancello del mondo alla Cina».
Uscendo all'angolo della strada si gira un film. Improvvisamente
un'acqua torrenziale arriva dal cielo raramente azzurro. Sul tetto del Peace Hotel,
monumento del déco cinese, piccoli ometti spruzzano pioggia finta da un grande tubo. La
Cina non sarà mai veramente nuova perché è stata troppo tempo antica. Mai veramente
ricca perché è stata troppo povera. Cosi a chiunque cammini sul Bund lungo quel fiume
torvo e incantato appariranno prima o poi tutti gli avventurieri, i maghi, gli acrobati,
le prostitute, i fumatori di oppio che hanno abitato questa città. E che non la
lasceranno mai.
«Gradisce champagne americano o francese?»: il cameriere
perfettamente ariano offre l'aperitivo nel ristorante più gettonato della città, il M on
the Bund, creazione del tycoon australiano Michael Garnaut. A parte il controfiletto di
coccodrillo e l'eccitazione per gli champagne occidentali, il luogo offre un piatto
davvero esclusivo: il panorama a 360 gradi sull'altra parte del fiume, Pudong. Ovvero il
cortocircuito degli occhi. Vista così potrebbe essere une delle città immaginarie di
Calvino. Poi la guardi encora: Pudong è vera. Ed è vera la Perla d'Oriente, cioè la
torre della televisione alta 250 metri quando tocca il sole. Sono veri quegli immensi
mappamondi d'argento che le stanno vicini e che nascondono l'albergo Oriental. E anche il
grattacielo Jin Mao il «palazzo» più alto della Cina. Con dentro l'hotel Hyatt.
L'albergo più alto del mondo. E sarà vera la nuova città del cielo bionica che per 15
miliardi di dollari conterrà case per 100 mila persone e 300 negozi. E il nuovo Museo
della scienza che ha fatto chiamare a Shanghai i 500 scienziati più famosi e ancora il
treno magnetico a levitazione (1,08 miliardi di dollari) che volerà a 400 chilometri
all'ora. E pensare che Pudong era campagna solo nel 1990. Poi fu deciso di concederle la
libertà di nascere e di crescere. E oggi è diventata una città di 1,6 milioni di
abitanti che ha lanciato 5.942 progetti con un investimento di 29,44 miliardi di dollari.
Una città che non è nata. È esplosa.
Dentro quest'esplosione l'hotel Hyatt è la grande stella: ristorante
italiano con cuoco varesino, discoteca di grido e una piscina circondata di vetri dove il
cliente nuota praticamente nel cielo. «Ognuno qui ha il suo colore, il suo aperitivo, il
suo massaggio personalizzato» spiega la frangetta lucida di Tina Lu, communication
manager. Non dice che gli slip di Barbra Streisand, di Julia Roberts, di Margaret
Thatcher, di Cesare Romiti e di Giulio Andreotti, ospiti passati dell'hotel, sono
costretti ogni volta a un salto di 88 piani. La laundry è al primo livello. Due passi e
al 99 della Huangpu road dentro la Bund international Tower, il migliore dei 234 club di
nababbi locali e forestieri: l'American club international. Qui il club manager Clint
Harris, copia perfetta del porcellino che vince Ezechiele lupo, incoraggia i soci
all'iscrizione da 23.500 dollari. «La garanzia migliore? A Shanghai puoi girare con
milioni in tasca senza pericolo. Se te li rubano? Li condannano a morte! ». Un trenino
delle meraviglie che corre sotterraneo dentro cerchi arcobaleno ti riporta alla City. E al
fiume azzurro. Alle poche case fatate, antiche e bianche che gli artisti di Shanghai hanno
scelto corne i luoghi della loro arte. «Negli anni Settanta ogni opera astratta era, per
il partito, sovversiva. Gli artisti scappavano all'estero». Ding Yi scrolla il suo codino
e accarezza uno dei suoi quadri, patchwork di colori e di stelle net suo studio.
«All'epoca facevo design d'interni e il pubblicitario. Ero più libero». La pubblicità
poteva non essere maoista? Non risponde. Poi la politica ha perso il potere della grande
censura. Continua impassibile: «Il sogno degli artisti cinesi è diventato la fusione con
larte occidentale. E, dopo, la lotta dell'Oriente contro l'Occidente. Oggi siamo
liberi di esprimerci. Io e Yu Youhao, Li Shao, Song Haidong e gli altri che hanno
partecipato alla Biennale di Venezia, Io abbiamo dimostrato: la bellezza è negli occhi di
chi la guarda ».
Una bellezza che si scopre anche nella galleria d'arte (une delle 200)
più sofisticata della città. Quella di Lorenz HeIbling. Svizzero-cinese, Lorenz racconta
di essere stato il vero pioniere e il pasionario dell'arte contemporanea a Shanghai
dove si tengono oggi 500 mostre al giorno. «La pittura moderna terrorizzava cinesi e
stranieri. Ho fatto piccole mostre in sotterranei, alberghi, pensioncine, ristoranti. Poi
Shanghai è stata travolta dalla libertà e i suoi artisti ci volano sopra». Parla e
mostra il ritratto dell'uomo cammello di Zhou Tiehai. Ma la meraviglia sta sul tavolo. Un
piano di ceramica infiorato con la donna più sensuale, il vestito più fasciato, le gambe
più accavallate. Senza testa e senza braccia.
Tornando sulla Nanjing road le gioiellerie non si contano. Diamanti appesi alla vetrine
come stelle cadenti ma soprattutto oro. Serpenti, tori, cavalli. Gli animali, vivi, si
vedono solo nei negozi. Ogni due metri la strada è bucata. Colpa di quanta città
cantiere perenne ma anche di Edward Tian Suning, il megamanager dalla Netcom society che
sta cablando lintera città: 40 mila chilometri di fibra ottica. Ma il trionfo di
Internet ha anche protagoniste femminili. «La Cina, e soprattutto Shanghai, si sono
improvvisamente accese e liberate sotto gli occhi dei cinesi: Internet è stata la prima
fiamma della nostra liberazione. Le donne i fiammiferi». Chan Baowen, occhi lucidi e
sorriso da attrice, dopo 15 anni di America è oggi presidente dalla China technology
ventures, un vero mito per la nuova generazione dei cinesi che sognano il business.
Soprattutto per le giovani donne in carriera che affollano aziende e banche. Ma le ragazze
vivono di più anche la notte. Nel giardino ancora molto cinese di Fuxing con peschi e
fontane c'è il Baci restaurant con annessa discoteca Park 97. Corne il nome, anche il
posto e gli ospiti sono vestiti all'occidentale. Una ragazza balla da sola in blue jeans e
stivali alti rosa shocking. Un'altra danza col cellulare in mano e ride con l'amica. Come
ti chiami? «Milk». Come? «Si, Milk e la mia amica As soon as possibile». Che vuol
dire? «Che viviamo di America, ma una volta dovevamo immaginarla, oggi l'abbiamo qui».