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         Tutto ha inizio con un massacro.
        Quello di miliardi di crisalidi in procinto di uscire dal loro bozzolo.
        Vengono soffocate con il vapore, affumicate, cotte da micidiali
        microonde: ogni mezzo è buono per impedire alle aspiranti farfalle di
        secernere il liquido alcalino che sciogliendo le sostanze gommose del
        bozzolo crea il foro d'uscita. Non c'è alcuna pietà: quell'apertura
        non s'ha da fare. 
        Dopo la strage, il miracolo. I
        delicati involucri setosi, messi a mollo nell'acqua bollente, riescono a
        ridonare tutto il filo che li compone e, attraverso macchine e mani
        industriose, a trasformarsi in filati, matasse, rocchetti e da qui in
        cravatte, abiti, foulard, lenzuola e mutandine, paracadute e addirittura
        strumenti tecnico-chirurgici. 
        La via della seta non è solo
        quella che da millenni ha visto il passaggio di ori e stoffe preziose
        attraverso l'Oriente: è anche il percorso che porta dal baco al
        tessuto. È un cammino tragico e sublime insieme; forse perché
        racchiude in sé gli estremi della nascita e della morte, predestinata e
        ineluttabile, o perché segue le leggi della natura come quelle
        dell'arte; o forse ancora perché si svolge attraverso fasi note e
        ripetute da almeno 4.700 anni. 
        È infatti dal 2700 avanti Cristo,
        stando a quanto attestano le fonti cinesi, che il Bombyx mori o "bombice del gelso", 
        una falena della
        famiglia delle Bombycidae, è
        stato “addomesticato” dall’uomo, con il preciso intento di
        produrre il prezioso filato. L'allevamento controllato, protrattosi per
        millenni, ha finito per operare una vera e propria selezione
        artificiale, portando a un insetto "creato dall'uomo, incapace di
        vivere autonomamente". 
        A dirlo è la dottoressa Patrizia
        Ianne del Silkworm Laboratory di Guanzate, nel Comasco, emanazione di
        una delle industrie seriche più importanti al mondo, la Ratti s.p.a. 
        "Il Bombyx mori non
        potrebbe più sopravvivere senza l'aiuto dell'uomo", spiega.
        "Le sue uova verrebbero mangiate dalle formiche, le poche larve
        sopravvissute, incapaci di mimetizzarsi con l'ambiente, sarebbero facile
        preda degli uccelli". 
        Se la natura ormai gli è nemica,
        in compenso il baco da seta trova cure, nutrimento e coccole per mano
        nostra per almeno tre quarti della sua esistenza. Il primo stadio è
        quello delle uova, chiamate "seme‑bachi" dagli addetti
        al settore, ricavate da incroci di numerose razze pure: sono controllate
        accuratamente, sottoposte a un graduate aumento della temperatura e
        dell'umidità relativa. Dopo circa due settimane escono le larve che,
        voracissime, si gettano sulle foglie di gelso tritate, alternando enormi
        abbuffate con periodi di stasi, ognuno concluso da una muta. Dopo un
        mese dalla schiusa, quattro cambiamenti di pelle e un aumento del peso
        corporeo di 10.000 volte quello originario, i bruchi cercano una
        superficie verticale adatta ai loro scopi, il cosiddetto
        "bosco", e cominciano a costruire il bozzolo, emettendo un
        filamento umido che si rapprende appena a contatto con l'aria. 
        Dopo tre giorni e oltre 300.000
        movimenti del capo, il lavoro è compiuto. I bozzoli vengono raccolti e
        i loro ospiti uccisi prima che terminino la trasformazione in farfalle.
        Ai pochi adulti risparmiati per la riproduzione restano, tuttavia, solo
        pochi giorni di vita: il tempo di accoppiarsi e deporre le nova. Privi
        di apparato boccale, sono infatti incapaci di nutrirsi e quindi
        destinati a morire di fame. 
        "Il baco non è che un
        intestino che si muove", scrisse il biologo Jean Rostand,
        "l'adulto è un organo riproduttore provvisto di ali". In
        mezzo c'è il miracolo della seta, nelle sue due componenti essenziali:
        la fibroina, sempre bianca, e la sericina, una guaina che riveste il
        filo come un manicotto e gli conferisce un colore che varia a seconda
        delle razze. Una larva produce fino a due chilometri di filo, che però
        deve essere unito ad altri per ottenere un filato adatto alla tessitura.
        Per avere un chilo di seta grezza ci vogliono almeno 80 chili di
        bozzoli, ovvero 500 bachi nutriti con 2 quintali di foglie di gelso.
        Tradotto in merce, sono 110 bozzoli per una cravatta, 600 per una blusa,
        3.000 per un kimono. 
        I rapporti numerici sono tali che
        solo i Paesi ricchi di manodopera a basso costo possono dedicarsi in
        maniera massiccia alla sericoltura. Primo fra tutti la Cina, che copre
        da sola l’82 per cento circa della produzione mondiale. Nel 1995 ha
        immesso sul mercato 4.600 tonnellate di filato grezzo e 184 milioni di
        metri di tessuto. Le 20 province cinesi più impegnate nella
        sericoltura, come il Zhejiang e il Jiangsu, hanno prodotto seta per 2,9
        miliardi di yuan, corrispondenti a circa 600 miliardi di lire, nei soli
        primi tre mesi di quest'anno. Sono cifre da capogiro, in diretta
        relazione a una crescente richiesta del prodotto che, nonostante le
        oscillazioni del mercato e la concorrenza delle fibre artificiali, è
        quasi raddoppiata negli ultimi 30 anni. 
        Se la produzione è "made in
        China", la lavorazione del prodotto è però patrimonio dei Paesi
        industrializzati, come l'Italia e la Francia. Nel nostro Paese
        l'industria della seta dà lavoro da sola a 13.500 persone, esporta
        prodotti per 3.420 miliardi di lire, su un fatturato complessivo di
        circa 4.700 miliardi: la fonte è l'Associazione serica italiana, l'ente
        che dalla fine del secolo scorso rappresenta tutte le imprese che
        operano nel settore. Tra i primi Paesi al mondo per l'esportazione di
        tessuti e per la qualità dei suoi prodotti, l'Italia della seta ha nel
        comprensorio industriale comasco la sua "capitale": vi si
        trovano concentrate le principali manifatture, come la Mantero o la
        Ratti, i laboratori, i gelseti, i musei. 
        Contende a Como il ruolo di
        capitale europea della seta Lione, almeno dal 1538, quando Francesco I
        diede ai mercanti lionesi il privilegio della fabbricazione dei preziosi
        tessuti. Ha qui sede, per esempio, la società di Bernard Tassinari, che
        ha restaurato tutti gli arredi in seta della camera da letto di Luigi
        XIV a Versailles: un lavoro durato 17 anni, che ha comportato ricerche
        d'archivio, l'utilizzo di vecchi telai e la riscoperta di tecniche ormai
        abbandonate. 
        Ma i problemi non mancano. Nel 1995
        i setaioli lionesi hanno prodotto 354 tonnellate di filo e 335 di
        tessuto: due volte meno che 10 anni fa, 20 volte meno che all'inizio del
        secolo. Le cose vanno un po’ meglio in casa nostra, anche se venti di
        crisi cominciano a soffiare. "Nel 1996 la tessitura serica italiana
        ha esaurito il ciclo positivo che l'aveva caratterizzata negli anni
        precedenti", lancia l'allarme l'Associazione serica italiana.
        "L’inversione di tendenza è stata netta e ha portato a una
        diminuzione della produzione media annua dell'8 per cento". 
        Molte le possibili cause, dal
        mutamento generale del gusto all'immissione sul mercato di prodotti di
        scarsa qualità. Da tutte le analisi emerge tuttavia un unico grave
        problema di fondo: il monopolio cinese della materia prima. Si scopre
        così che la via della seta esiste ancora ed è quella che costringe le
        industrie tessili occidentali ad andare in Oriente per fare la scorta
        dei bozzoli e a dipendere in tutto e per tutto dall'andamento
        politico‑economico del paese dei campanelli. L’egemonia cinese
        è tale che persino il Giappone, tra i principali produttori di seta, ha
        da tempo ritenuto più conveniente importare i bozzoli e dedicarsi
        soprattutto alla manifattura. 
        Le iniziative volte ad arginare il
        problema non mancano. In Europa nel 1994, tutti gli interessati alla
        produzione e lavorazione della seta si sono riuniti nel quadro di un
        ambizioso progetto, denominato Eurochrysalide e finanziato dall'Unione
        per 1,8 milioni di ecu. Lo scopo, quello di creare un polo tecnologico
        della seta ad alto livello, rilanciare la produzione, trasmettere
        conoscenze e tecniche alle generazioni future. Il primo, importante,
        risultato è stato l'inaugurazione, il 29 novembre 1997, della stazione
        di grainage di Pradel, nella
        regione francese dell'Ardèche: un centro pilota per la produzione dei
        semebachi e per l'allevamento delle larve. Vi ha partecipato, unico in
        Italia, il Silkworm Laboratory di Guanzate, mettendo a punto ricerche
        innovative sulla produzione di nutrimento artificiale del Bombyx mori. 
        "Il baco da seta è un animale
        decisamente monofago", spiega la dottoressa Patrizia Ianne.
        "Nei secoli passati molti hanno cercato di variargli la dieta ma i
        risultati sono stati sempre estremamente deludenti". Tutto a causa
        dei tre recettori di cui è provvisto l'apparato boccale della larva,
        corrispondenti a tre differenti livelli di accettazione del cibo: il
        primo valuta se è il caso di morsicare l'alimento, il secondo di
        masticarlo e il terzo di deglutirlo. "Qui a Guanzate siamo riusciti
        a superare tutti e tre i livelli", annuncia la dottoressa Ianne,
        "con una dieta a base di soia, sostanze vegetali, sali minerali e
        vitamine. Un nutrimento che in futuro potrebbe sostituire degnamente il
        gelso, impegnativo e antieconomico". 
        Perché in futuro? "Perché
        oggi sono ancora troppo costose e complesse le tecnologie che consentono
        di allevare il baco con una dieta artificiale. Conviene ancora andare a
        rifornirsi in Oriente". 
        Il rilancio della sericoltura
        europea deve quindi seguire per ora anche altre strade; innanzitutto
        abbattere i costi della manodopera e favorire la meccanizzazione del
        ciclo produttivo. Anche qui le iniziative non mancano. Sono stati
        inventati apparecchi per la raccolta dei rami di gelso, la separazione e
        tritatura delle foglie, la distribuzione del cibo, l'imboscamento e la
        raccolta dei bozzoli. 
        "Nulla di tutto questo però
        avrà un senso se i nostri bachi non cominceranno di nuovo a
        filare", avverte però Mauro Nicoletti, presidente
        dell'Associazione bachicoltori italiani. Il fenomeno si è verificato la
        prima volta nel 1989 a ancora non ha incontrato soluzione: i bachi
        italiani, soprattutto quelli allevati al Nord, giunti alla fine del loro
        stato larvale, invece di salire al bosco e di filare il bozzolo,
        continuano imperterriti a mangiare il gelso e a ingrassare, lasciando a
        mani vuote i bachicoltori. "Prima del 1989 si producevano 120.000
        chili di bozzoli", afferma sempre Nicoletti, "oggi la
        produzione è praticamente azzerata. I pochi allevatori che continuano a
        nutrire i bachi, lo fanno solo nella speranza, sempre più debole, di un
        futuro ritorno alla normalità". Lo "sciopero" dei bachi
        da seta sembra dovuto al Fenoxycarb, la molecola contenuta in un
        antiparassitario usato in agricoltura. Nonostante il governo abbia
        emesso in proposito numerosi decreti‑legge e abbia di fatto
        vietato l'uso del pesticida in quasi tutto il territorio nazionale, il
        problema è rimasto praticamente irrisolto, un po' a causa dei numerosi
        contravventori, un po' per la micidiale efficacia della molecola, attiva
        su largo raggio anche con dosi infinitesimali. 
        Mentre i bachi da seta nostrani
        incrociano le braccia, quelli del resto del mondo si mettono a filare
        con buona lena, soprattutto quelli dei Paesi tropicali a subtropicali,
        dove il clima e il costo del lavoro possono fare della sericoltura
        un'industria di importanza strategica. Vaste zone del continente
        asiatico, dell'Africa mediterranea e di quella australe, nonché del
        continente sudamericano, cominciano oggi ad affacciarsi alla ribalta
        come potenziali forti produttrici di seta e a fare concorrenza al
        colosso cinese. Il filo del Bombyx
        mori che ha cominciato a legare Oriente e Occidente 47 secoli fa,
        oggi sta cominciando ad avvolgere il pianeta come in un bozzolo.  |